<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 08 aprile 2021 n. 61</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14-quater della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lanciano.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Ancora in via preliminare, l’Avvocatura generale ha sollevato eccezione d’inammissibilità in quanto il giudice a quo avrebbe affermato in maniera assertiva l’impossibilità di interpretare la norma denunciata secundum constitutionem: da un lato, infatti, la tassatività delle ipotesi di conversione non assumerebbe il carattere rigido sostenuto dal rimettente e, dall’altro, non sarebbe esclusa la possibilità, per i debitori, di domandare, con il medesimo ricorso, la liquidazione subordinatamente al diniego dell’omologazione dell’accordo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tale specifica eccezione va disattesa.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudice rimettente si è, infatti, soffermato, ancorché succintamente, sull’art. 14-quater della legge n. 3 del 2012, osservando che il suo tenore letterale non consentirebbe di convertire la procedura di accordo in quella di liquidazione al di fuori delle ipotesi da esso previste. Le questioni sollevate non sono quindi inammissibili, «poiché è stata consapevolmente esclusa […] la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata» (ex plurimis, sentenza n. 150 del 2020).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.1.– L’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità anche per l’insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate: con riguardo all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., perché il rimettente non avrebbe individuato né il tertium comparationis né lo «specifico profilo d’irragionevolezza denunciato»; con riguardo all’art. 24 Cost., perché il dedotto vulnus sarebbe basato su «considerazioni generiche».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Neppure tale eccezione è suscettibile di accoglimento, sotto entrambi i profili in cui è articolata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quanto al contrasto con il principio di eguaglianza, va, infatti, rilevato che il giudice a quo non ha mancato di individuare il tertium utile ad apprezzare la denunciata disparità, evidentemente identificandolo nella situazione in cui versano i debitori che hanno sì raggiunto l’accordo, ma ne hanno determinato la successiva “caducazione”. Il rimettente ha del pari chiarito i profili di irragionevolezza di siffatta disparità: circoscrivendo a tali debitori – che per di più hanno posto in essere condotte dolose o gravemente colpose o, comunque, inadempimenti loro imputabili – la possibilità di chiedere la conversione, l’art. 14-quater della legge n. 3 del 2012 del tutto ingiustificatamente precluderebbe la medesima facoltà ai debitori che “incolpevolmente” non hanno raggiunto l’accordo con i creditori. Questa preclusione risulterebbe, inoltre, irragionevole poiché i presupposti della liquidazione coinciderebbero con quelli della procedura di accordo e sarebbero stati già accertati dal giudice in sede di verifica dell’ammissibilità di tale ultima procedura.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In ordine, poi, alla lesione dell’art. 24 Cost., dalla complessiva motivazione dell’ordinanza di rimessione emerge chiaramente che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della norma denunciata perché essa comporterebbe una frammentazione della tutela dei debitori che non hanno raggiunto l’accordo, costringendoli a subire la chiusura del procedimento già aperto e ad attivarne uno distinto per accedere alla liquidazione, così sopportando un aggravio di spese.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Deve conclusivamente ritenersi che le argomentazioni del Tribunale abruzzese superino il vaglio di ammissibilità, sotto gli aspetti rimarcati dall’Avvocatura generale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– L’esame del merito è, tuttavia, precluso da altre ragioni di inammissibilità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Queste prescindono dalla possibilità d’interpretare la specifica norma denunciata secundum constitutionem, in quanto afferiscono piuttosto alla lacunosa ponderazione del complessivo quadro normativo e giurisprudenziale in cui essa s’inserisce.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.1.– Le questioni oggetto dell’odierno incidente di legittimità costituzionale, infatti, si sviluppano sul presupposto, sostenuto dal rimettente, che non sia ammissibile la domanda del debitore che, superato il preliminare esame giudiziale sulla proposta di accordo da esso formulata, chieda, in conseguenza del dissenso in seguito manifestato dai creditori, la conversione della procedura in quella di liquidazione del proprio patrimonio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A tale inammissibilità il giudice a quo giunge sulla scorta della dirimente considerazione che il censurato art. 14-quater della legge n. 3 del 2012, nel disciplinare la conversione, non include, nel novero dei soggetti legittimati a chiederla, i debitori che non hanno raggiunto l’accordo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il rimettente perviene a questa conclusione senza, tuttavia, considerare, su un altro piano, che la domanda con la quale il debitore chiede, in conseguenza del mancato raggiungimento dell’accordo, di accedere alla liquidazione può invece ben essere ammessa, in ossequio al principio di economia processuale e alla funzione sociale della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, applicando le norme sul rito camerale, per tal via giungendo allo stesso sostanziale risultato della conversione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Detta domanda, infatti, si colloca in una fase del procedimento in cui il giudice investito della procedura, al fine della successiva omologazione dell’accordo, è chiamato tra l’altro ad accertare il consenso della maggioranza qualificata dei creditori (rappresentanti, cioè, almeno il sessanta per cento dei crediti) sulla proposta del debitore.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si tratta di una fase alla quale, sia pure con il temperamento della compatibilità, appaiono applicabili le norme sul rito camerale di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile, espressamente richiamate dagli artt. 10, comma 6, e 12, comma 2, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.2.– Il rito camerale, di cui il rimettente deve quindi fare applicazione, come chiarito da questa Corte, è connotato dall’assenza di «formalismi non essenziali» (ordinanza n. 140 del 2001), in quanto preordinato a soddisfare «esigenze di speditezza e semplificazione» (sentenza n. 10 del 2013; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 194 del 2005; ordinanze n. 190 del 2013, n. 170 del 2009 e n. 35 del 2002).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in linea generale, nel procedimento camerale «non vigono le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario» e, segnatamente, che possono essere finanche «proposte per tutto il corso di esso domande nuove […] in conformità delle direttive dettate dal giudice» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 24 ottobre 2003, n. 16035, e 25 ottobre 2000, n. 14022), al quale gli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ. riservano «ampi margini di discrezionalità» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 aprile 2016, n. 8404).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Da ultimo, peraltro, non è nemmeno superfluo ricordare che anche le preclusioni che invece contraddistinguono il processo di cognizione ordinario risultano attenuate, con particolare riguardo alla modificabilità delle domande, a seguito della sentenza con la quale le sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che la «modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio […]» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 15 giugno 2015, n. 12310).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.3.– Nel descritto contesto, il giudice a quo avrebbe dovuto, quindi, prendere in considerazione la possibilità di qualificare la domanda di conversione nella specie formulata dal debitore quale mera modifica dell’originaria domanda di accordo in quella di liquidazione, ritenendola di conseguenza ammissibile sulla scorta delle norme che disciplinano il rito camerale; magari solo per escluderla, perché ad esempio impedita dal divieto di reiterazione infraquinquennale, volto «a fronteggiare un uso ripetuto ed indiscriminato» delle procedure in discorso e «dettato a carico del debitore» il quale abbia, però, fruito «degli effetti pieni» delle stesse (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 1° gennaio 2016, n. 1869; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 1° agosto 2017, n. 19117).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>I requisiti per accedere alla liquidazione, come rileva anche lo stesso rimettente, sono del resto in buona misura sovrapponibili a quelli previsti dalla legge n. 3 del 2012 per la procedura di accordo. Tali requisiti sono stati, d’altro canto, già accertati in occasione del giudizio di ammissibilità della proposta di accordo sulla base di documentazione del pari largamente coincidente con quella che deve essere depositata a corredo della domanda di liquidazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La possibilità ermeneutica che il giudice a quo trascura sarebbe, pertanto, coerente sia con le ragioni di celerità e semplificazione che, come visto, questa Corte ha ripetutamente posto a fondamento della disciplina del rito camerale, sia con il suddetto orientamento della giurisprudenza di legittimità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.4.– La descritta lacuna nella ricostruzione del quadro normativo si traduce quindi in un’insufficiente motivazione in punto sia di rilevanza, poiché il rimettente, seguendo il descritto percorso interpretativo, non dovrebbe necessariamente fare applicazione dell’art. 14-quater della legge n. 3 del 2012, sia di non manifesta infondatezza, dal momento che i trascurati profili di applicabilità delle richiamate disposizioni codicistiche sui procedimenti camerali sarebbero anche idonei a confutare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudice a quo, peraltro, nemmeno si confronta con la tesi – accolta sia in dottrina, sia nella giurisprudenza di merito e qui sostenuta dall’Avvocatura generale – che ammette la proposizione, con lo stesso ricorso, di domande (non già cumulative, ma) subordinate aventi ad oggetto le diverse procedure volte al superamento della crisi da sovraindebitamento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tale omissione si riverbera sull’adeguatezza della motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza: il sistema normativo, pur in assunto precludendo al debitore che non abbia raggiunto l’accordo di chiedere la liquidazione nel corso del procedimento, gli consentirebbe però (e ciò incide sui prospettati profili di illegittimità costituzionale) di formulare siffatta domanda, in via subordinata, con il ricorso, offrendogli per tal via la possibilità (per così dire, “in prevenzione”) di non dovere attivare un nuovo e distinto procedimento al fine di accedere alla liquidazione stessa.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.– In definitiva, l’incompleta ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza, ciò che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibili le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 15 del 2021, n. 264 del 2020 e n. 150 del 2019; ordinanze n. 147 e n. 108 del 2020).C</em></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Emilio Barile La Raia</em></strong></p>