Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 30 luglio 2021 n. 21970
PRINCIPIO DI DIRITTO
La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., nel rispetto delle regole che lo disciplinano».
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – La «sorte» della società incorporata o fusa.
Gli argomenti esposti dalla corte del merito impongono di ricostruire i profili societari delle operazioni c.d. straordinarie, ed in particolare della fusione.
- – Le operazioni sociali straordinarie.
1.1. – Le modificazioni che possono interessare il soggetto collettivo e la sua attività, pur nella permanenza dei soci e dell’intrapresa economica sul mercato, sono varie e di diversa intensità, da minima a massima.
Ci si vuol riferire a quelle varie operazioni che, usualmente di competenza dell’assemblea straordinaria, ma a volte anche degli amministratori, comportano un profilo di riorganizzazione dell’impresa e, dunque, ricevono una disciplina ad hoc, atta a renderla giuridicamente più agile ed economicamente meno onerosa, riducendo i costi di transazione.
Si va dal mutamento della denominazione, la quale lascia sussistere il medesimo soggetto, sia pure diversamente nominato; alla cessione e all’affitto di azienda o di ramo d’azienda, ove muta il gestore della stessa, senza modificazione né soggettiva del concedente, né oggettiva dell’azienda come universitas facti, quale complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 cc.), arrestandosi l’efficacia della vicenda modificativa al solo trasferimento della proprietà o godimento dell’azienda (art. 2556 cod. civ.); alla trasformazione, la quale del pari, sebbene sotto un’altra forma, lascia permanere l’ente nella sua originaria identità; sino alla fusione ed alla scissione, in cui, al contrario, almeno in alcuni casi e per taluni dei soggetti partecipanti (società incorporate, società fuse, società scissa che assegni l’intero suo patrimonio a più società), il mutamento è radicale, con la scomparsa di essi dalla scena giuridica, allo stesso modo dello scioglimento e della liquidazione della società, seguite dalla cancellazione dal registro delle imprese.
1.2. – Pertanto, è stato da tempo chiarito che il mutamento della denominazione sociale configura una modificazione dell’atto costitutivo (Cass. 28 giugno 1997, n. 5798), ma non determina l’estinzione dell’ente e la nascita di un nuovo diverso soggetto giuridico, comportando solo l’incidenza su di un aspetto organizzativo della società (fra le tante, Cass. 29 dicembre 2004, n. 24089); del pari, si è precisato che, in caso di trasferimento della sede sociale all’estero, un mutamento di identità non potrebbe essere ricollegato al contemporaneo cambiamento della denominazione sociale, che non fa venir meno la «continuità» giuridica della società (Cass. 28 settembre 2005, n. 18944).
Nelle società di persone, parimenti, il mutamento della ragione sociale per effetto della sostituzione del socio, come accade per l’unico socio accomandatario ex art. 2314 cod. civ., determina esclusivamente una modificazione dell’atto costitutivo, ma non la nascita o il mutamento della società in un soggetto giuridico diverso, onde essa non si estingue, né sorge una diversa società (Cass. 29 luglio 2008, n. 20558; Cass. 14 dicembre 2006, n. 26826, sia pure massimata, erroneamente, con riguardo alla medesimezza del soggetto nella trasformazione; Cass. 13 aprile 1989, n. 1781; con qualche episodica incertezza: cfr. Cass. 2 luglio 2004, n. 12150, in tema di contenzioso tributario).
Gli stessi principi sono sottesi ad altre decisioni, pur rese in una prospettiva diversa, quale la tutela della denominazione in presenza del mutamento dell’oggetto sociale (Cass. 13 marzo 2014, n. 5931) ed a fronte della prospettata perdita dell’avviamento dovuta al mutamento del nome (Cass. 17 luglio 2007, n. 15950).
1.3. – La cessione di azienda è, del pari, evento che non tocca l’identità soggettiva del cedente e del cessionario, provvedendo gli artt. 2558 ss. cod. civ. unicamente a regolamentare il subentro nei contratti, diritti ed obblighi aziendali e fermo restando, sul piano processuale, il regime della successione a titolo particolare nel diritto controverso, laddove ne ricorrano gli estremi: come tale, essa è presupposta nelle pronunce rese in materia (per tutte, Cass., sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5054; v., fra le altre, Cass. 10 dicembre 2019, n. 32134).
1.4. – Nella trasformazione – ove il cambiamento organizzativo è più intenso, trattandosi di modificare il tipo sociale o, addirittura, di trascorrere da una struttura societaria ad un’altra che non sia tale, e viceversa – resta che l’operazione comporta soltanto il mutamento formale dell’organizzazione societaria già esistente, non la creazione di un nuovo ente che si distingue dal vecchio, sicché l’ente trasformato, quand’anche consegua la personalità giuridica di cui prima era sprovvisto (o al converso la perda), non si estingue per rinascere sotto altra forma, né dà luogo ad un nuovo centro d’imputazione di rapporti giuridici, ma sopravvive alla vicenda modificativa, senza soluzione di continuità e senza perdere la sua identità soggettiva; il patrimonio (mobile ed immobile) della società trasformata resta di proprietà della medesima società, che non cambia, pur nella sua nuova veste e denominazione (v. Cass. 3 agosto 1988, n. 4815).
Tutte le successive decisioni hanno confermato tale principio: osservandosi, ad esempio, che la trasformazione della società in nome collettivo in società in accomandita semplice comporta soltanto il mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, senza la creazione di un nuovo soggetto distinto da quello originario, onde non incide sui rapporti sostanziali e processuali che al soggetto fanno capo (Cass. 25 marzo 1992, n. 3713).
Lo stesso si reputa nelle ipotesi di trasformazione da società personale a società di capitali (Cass. 12 novembre 2003, n. 17066; Cass. 4 novembre 1998, n. 11077), da società per azioni a s.r.I (Cass. 3 gennaio 2002, n. 26; Cass. 23 aprile 2001, n. 5963), da s.r.l. a società per azioni (Cass. 13 settembre 2002, n. 13434), e così via.
Sino a ribadire costantemente che la trasformazione di una società in un altro dei tipi previsti dalla legge non si traduce nell’estinzione del soggetto e nella correlativa creazione di uno diverso, ma configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto (cfr., e plurimis, Cass., sez. un., 31 ottobre 2007, n. 23019; nonché es. Cass. 19 maggio 2016, n. 10332; Cass. 20 giugno 2011, n. 13467; Cass. 14 dicembre 2006, n. 26826; Cass. 13 settembre 2002, n. 13434; Cass. 23 aprile 2001, n. 5963, ed altre).
1.5. – Lo scioglimento della società, con la sua cancellazione dal registro delle imprese – per esplicito dettato normativo, all’evidenza volto a superare il regime di “diritto vivente” della permanenza in vita sino all’esaurimento di tutti i rapporti pendenti – comporta, invece, l’estinzione della società (art. 2495 cod. civ.), con subentro dei soci a mo’ di successori universali per le eventuali sopravvenienze o sopravvivenze non contemplate nel bilancio di liquidazione (Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4060 e Cass., sez. un., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071, 6072).
2.- Il fenomeno della fusione di società.
Con tali fenomeni deve essere, a questo punto, confrontata la fusione di società.
Ai sensi dell’art. 2501 cod. civ., la fusione si attua mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre.
La peculiarità dell’operazione, analogamente alla scissione, sta nella prosecuzione dei soci nell’attività d’impresa mediante una diversa struttura organizzativa, una volta, evidentemente, venuto meno l’interesse, l’utilità o la possibilità di perseguirla con la società dapprima partecipata.
Sebbene i soci e i patrimoni dei conferenti restino sempre i medesimi che, a suo tempo, avevano concorso all’originario progetto economico mediante la costituzione della primigenia società, si ha che, in séguito, il perseguimento delle finalità economico-patrimonial-finanziarie, nell’esercizio dell’autonomia negoziale garantita dall’art. 41 Cost., avrà indotto ad una riorganizzazione di quella intrapresa, ancora più radicale rispetto ad altre, sopra prospettate.
Diversa certamente la situazione si presenta, dunque, in paragone a quella del mero scioglimento della società: dove l’entità economica viene liquidata e cessa di operare sul mercato, senza nessun subentro di un altro soggetto o la continuazione dell’impresa.
Non si può disconoscere pertanto che – al contrario che nello scioglimento e liquidazione della società – con la fusione l’operazione economica abbia il significato opposto: non l’uscita dal mercato, ma la permanenza dei soci sul medesimo, sia pure in forme diverse.
E, tuttavia, occorre pur ragionare se la società originaria – sia essa liquidata, incorporata o fusa – a séguito della cancellazione dal registro delle imprese si estingua come organizzazione e come soggetto dell’ordinamento giuridico, oppure no.
A riguardo dell’operazione di fusione, un certo disorientamento si è creato all’interno della Corte, donde la rimessione alle Sezioni unite. La ricerca del superamento delle incertezze, a fronte di soluzioni non sistematiche, è particolarmente auspicabile, considerando che la questione può involgere non soltanto ogni tipo di giudizio in cui sia parte una società, ma che anche altri settori dell’ordinamento, diversi dal diritto societario, sono suscettibili di seguire la stessa disciplina (cfr. es. art. 42-bis cod. civ., in tema di fusione e scissione di associazioni e fondazioni).
2.1. – La tesi della natura evolutivo-modificativa con sopravvivenza della società incorporata o fusa. 2.1.1. – È stata affermata, poco dopo l’entrata in vigore della riforma introdotta dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la tesi secondo cui, ai sensi del nuovo art. 2504-bis cod. civ., la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
Si tratta della nota ordinanza Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637, la quale ha così escluso che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ.
Per vero, dall’intera motivazione dell’ordinanza, resa in sede di regolamento di giurisdizione (su contratto d’appalto di servizi di biglietteria e distribuzione pubblicitaria, relativo alle manifestazioni promosse dalla Fondazione Accademia di Santa Cecilia, e che dichiarò la giurisdizione del giudice amministrativo) – procedimento in cui la ricorrente aveva chiesto fosse dichiarata, ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., l’interruzione del processo di cassazione, in conseguenza della fusione per incorporazione della società stessa in altra società azionaria – emerge trattarsi di un’affermazione ad abundantiam, secondaria sia quanto al capo specifico, sia nel contesto della complessiva decisione. In sostanza, la corte ha affermato dapprima il principio di diritto, secondo cui l’estinzione della società, ricorrente per cassazione, dopo il ricorso non determina l’interruzione del giudizio, dominato ormai dall’impulso d’ufficio; e, poi, ha smentito anche l’esistenza della premessa minore, aggiungendo che l’incorporazione non aveva prodotto l’estinzione della società incorporata, con conseguente disapplicazione radicale dell’istituto della interruzione del processo. Se pure, pertanto, l’affermazione sulla mancata estinzione del soggetto incorporato non integri propriamente un obiter dictum quale passaggio della decisione estraneo al thema decidendum – dal momento che è almeno dubbio se, nel sillogismo giudiziario, volto in tal caso alla pronuncia processuale di interruzione del giudizio, debba costituire primario antecedente logico il presupposto di diritto (l’interruzione del processo non si applica in cassazione) o quello di fatto (la società non era estinta) – resta che l’affermazione non era necessitata.
2.1.2. – La tesi è stata, da allora, seguìta da plurime decisioni, le quali hanno fatto proprio il pedissequo richiamo alla «vicenda meramente evolutivo-modificativa», con esclusione dell’effetto successorio ed estintivo.
Si tratta di pronunce che, per lo più, hanno inteso risolvere questioni processuali, senza indagare le sottese tematiche societarie, ma guidate dal non celato fine di evitare aggravio di incombenti per le parti, ritardi nel processo o formalismi, reputati dal collegio privi di valore a tutela di posizioni od interessi sostanziali e, quindi, vitandi.
Così, quanto alla posizione processuale attiva della parte, alla società incorporata è stato attribuito il potere di impugnazione (fra le altre, cfr. Cass. 16 settembre 2016, n. 18188, che ha riformato la sentenza della corte di appello, la quale aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da società già cancellata dal registro delle imprese per fusione). Con riguardo alla posizione processuale passiva, numerose pronunce hanno affermato che la società incorporata o fusa possa essere convenuta in giudizio.
Al riguardo, peraltro, una decisione (Cass., sez. un., 17 settembre 2010, n. 19698) non attiene alla fusione post riforma, ma a quella anteriormente perfezionatasi. Essa si occupa di una vicenda processuale in cui sia l’atto di citazione, sia l’appello erano stati notificati alla società incorporata, nonostante la precedente iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione, concludendo per la radicale nullità «sia della vocatio in ius che della notifica dell’atto di citazione, dirette nei confronti di un soggetto non più esistente», reputate «radicalmente nulle, non essendo stata tale nullità, rilevabile d’ufficio, neppure sanata dalla costituzione in giudizio del soggetto incorporante. Ne consegue l’inesistenza delle sentenze di primo e di secondo grado». Dunque, la decisione non costituisce precedente, ai fini della questione in esame, in quanto attiene a vicenda ante riforma del 2003, pur avendo reputato necessario confutare, in presenza di estinzione, l’effetto interruttivo del processo a séguito di fusione.
Quanto all’essere la società incorporata destinataria dell’atto di impugnazione, una sentenza di poco posteriore alle citate Sezioni unite del 2006 ritenne ammissibile il ricorso per cassazione, in presenza della notificazione alla società parte del giudizio di merito, ma ormai incorporata in altra prima della notificazione del ricorso (Cass. 23 giugno 2006, n. 14526). La sentenza richiama due precedenti, in tema di mutamento dei soci e di trasformazione (Cass. 13 agosto 2004, n. 15737; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24089), assimilando tali fenomeni, per vero diversi, alla fusione; inoltre, come questa Corte ha già rilevato (v. Cass. 15 febbraio 2013, n. 3820), la pronuncia espressamente intese solo tutelare l’affidamento dell’impugnante nella sopravvivenza della società estinta.
La successiva sentenza delle Sezioni unite del 14 settembre 2010, n. 19509 ha affermato, ancora però in una fusione anteriore al 2004, che la società incorporata si estingue, e, ciò nonostante, non è nullo l’atto d’appello indirizzato alla società estinta e notificato presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado, enunciando il principio per cui l’impugnazione è valida, se l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento modificatore della capacità della giuridica mediante la notificazione dello stesso; l’accento, qui, è posto sull’affidamento dell’altra parte processuale.
Nello stesso filone si iscrivono – stavolta con riguardo al testo come modificato nel 2003 – le ordinanze del 18 novembre 2014, n. 24498 e del 12 febbraio 2019, n. 4042, le quali hanno reputato ammissibile l’appello proposto nei confronti della società incorporata.
Altre recenti sentenze richiamano il principio dell’effetto c.d. evolutivo-modificativo, quando, però, ciò non sarebbe stato necessario: l’una, in quanto non occorreva negare l’estinzione dell’incorporata, per reputare che, a seguito della fusione, si abbia la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato o incorporante, essendo ciò il lineare portato della disposizione ex art. 2504-bis cod. civ. (Cass. 16 maggio 2017, n. 12119); l’altra, avendo invero reputato ammissibile il ricorso per cassazione da parte di società che aveva, sì, deliberato la fusione per incorporazione prima del ricorso, ma a quel momento non era stata ancora cancellata dal registro delle imprese, evento occorso solo dopo la notificazione del ricorso (Cass. 10 dicembre 2019, n. 32208); la terza, perché reputa collegati fra di loro in modo necessario due concetti, che in realtà non lo sono, quando afferma che «L’art. 2501 cod. civ., proprio perché nulla prevede in termini di estinzione della società incorporata, induce a ritenere che la società incorporante, in quanto centro unitario di imputazione dei rapporti preesistenti, cioè di tutte le posizioni attive e passive già facenti capo all’incorporata, abbia anche la legittimazione attiva e passiva della prima come soggetto che prosegue l’attività della seconda», ai soli fini della diversa questione dell’attribuzione alla società incorporante della qualifica di responsabile dell’inquinamento ai sensi dell’art. 253 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Codice dell’ambiente (Cass. 10 dicembre 2019, n. 32142).
Non possono rinvenirsi dei precedenti, invece, in quelle pronunce in materia tributaria (cfr. Cass. 4 marzo 2021, n. 5953; Cass. 23 luglio 2020, n. 15757; Cass. 17 luglio 2019, n. 19222), dove vigono, a quei fini, i principi della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società (artt. 172 e 173 t.u.i.r.), i quali perseguono l’obiettivo di evitare che si pervenga alla incorporazione di società inattive a fini elusivi e alla fusione di “scatole vuote” o piene solo di perdite da portare “in dote” all’incorporante, esigendosi che la società abbia una residua efficienza, nell’ambito della c.d. disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale di cui all’art. 10-bis I. 27 luglio 2000, n. 212, inserito dall’art. 1 d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
2.2. – La tesi dell’estinzione con effetto devolutivo-successorio.
Di contro, una pluralità di decisioni ha mostrato una certa difficoltà a seguire la tesi opposta, distaccandosene gradualmente.
Di recente, così, si è enunciato il principio (Cass. 19 maggio 2020, n. 9137) secondo cui, ove la società sia incorporata in altra, la legittimazione attiva all’impugnazione spetta alla società incorporante.
Altra di poco anteriore decisione (Cass. 2 marzo 2020, n. 5640, non massimata) conclude per l’inammissibilità della domanda proposta dalla società incorporata, in quanto reputa legittimata all’azione la sola società incorporante; peraltro, in motivazione contiene un richiamo al dictum delle Sezioni unite del 2006, in concreto disatteso.
Già in precedenza, si era cominciato ad affermare che solo la società incorporante, non l’incorporata estinta per incorporazione, possa essere la destinataria dell’atto di impugnazione: premesso che il nuovo art. 2504-bis cod. civ. ha sancito il subentro in tutti i rapporti preesistenti anche processuali «all’evidente fine di evitare irragionevoli interruzioni del giudizio, contrarie, peraltro, ai principi del giusto processo», essa ha confermato la sentenza di merito, che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto contro società già incorporata in altra (Cass. 15 febbraio 2013, n. 3820).
Nello stesso senso ha ragionato una successiva decisione, la quale ha ritenuto necessaria destinataria dell’impugnazione, in quanto esclusiva legittimata processuale passiva, la società incorporante, e non la incorporata, soggetto non più esistente a séguito della fusione: perché l’art. 2504-bis cod. civ. prevede «la legittimazione attiva e passiva della prima come soggetto che prosegue l’attività della seconda, non già la permanenza in vita della società incorporata fino alla cessazione dei rapporti che la riguardano, che implicherebbe anche una anomala e non prevista prorogatio sine die dei suoi organi rappresentativi» (Cass. 24 maggio 2019, n. 14177, pur richiamando, in motivazione, precedenti di orientamento vario ed ancora il tema dell’affidamento dell’altra parte del processo).
Possono ricordarsi, all’interno dei presupposti logico-giuridici di tale orientamento, anche le recenti decisioni (Cass. 21 febbraio 2020, n. 4737; Cass. 19 giugno 2020, n. 11984) che, nel ragionare sulla fallibilità della società scissa nella scissione totalitaria, hanno respinto la tesi della scissione come fenomeno operante solo una modificazione dell’atto costitutivo, invece che successorio ed estintivo della società scissa.
Si tratta, dunque, di precedenti alquanto sporadici ed occasionali.
2.3. – Ricostruzione del sistema. Come è noto, il legislatore interno non ha dettato una disposizione specifica volta alla qualificazione giuridica della fusione societaria, né ha indicato i suoi effetti sul piano soggettivo.
La ricostruzione del sistema positivo esige l’esame, condotto mediante i criteri ermeneutici imposti dall’art. 12 delle preleggi, della disciplina complessiva della fusione e degli elementi normativi evincibili dal sistema del codice civile e delle leggi speciali, in una col diritto interno dovendosi, altresì, tenere conto delle direttive comunitarie ed eurounitarie, trattandosi di materia armonizzata.
2.3.1. – Come sopra esposto, le tesi sono state ispirate dal testo letterale – ante e post riforma del diritto societario, introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003 – dell’art. 2504-bis cod. civ.
L’art. 2502, comma 4, del codice civile del 1942 prevedeva che «la società incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte».
Si affermava dunque senz’altro – sul solco dell’elaborazione risalente al codice di commercio del 1882, che faceva riferimento, in tema di fusione, alle società che «cessano di esistere» (art. 194, comma 2) ed alle «società estinte» (art. 196) – che la fusione societaria realizza un fenomeno di successione a titolo universale, in virtù del quale si determina l’estinzione della società incorporata (in caso di fusione per incorporazione) o di tutte le società fuse (in caso di fusione propria) e la successione, rispettivamente della società incorporante o della nuova società risultante dalla fusione, in tutti i rapporti giuridici.
Nella successiva evoluzione, l’art. 2504-bis, comma 1, cod. civ., introdotto dall’art. 13 d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, dispose, sugli effetti della fusione, che «[ha società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte».
Il legislatore, peraltro, in tale occasione ritenne che non fosse suo compito prendere posizione sulla natura giuridica della fusione. Afferma, invero, la Relazione del Ministro di grazia e giustizia, concernente il d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, che una più analitica descrizione degli effetti della fusione «è sembrata da un lato superflua, dall’altro inopportuna, in base all’assunto che il compito del legislatore è quello di disciplinare il procedimento di fusione, piuttosto che quello di definire la natura giuridica dell’istituto, prendendo posizione sul dibattito fra coloro che ravvisano nella fusione un fenomeno di successione in universum ius e coloro che invece lo considerano alla stregua di una peculiare modificazione dell’atto costitutivo» (art. 13).
La disposizione attuale, introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003, recita sugli «Effetti della fusione»: «La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione».
Su tale diversa formulazione, taluni studiosi, seguìti dai precedenti sopra ricordati, hanno ritenuto di fondare la tesi della natura non estintiva della società incorporata o fusa in forza della fusione.
Può rilevarsi sin d’ora come si è trattato, da un lato, della migliore individuazione e descrizione dei soggetti fusi o incorporati; dall’altro lato, della più esplicita precisazione che tutti i rapporti proseguono, sia sostanziali, sia processuali, in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione; resta il riferimento ai diritti ed obblighi assunti.
Orbene, la detta modifica letterale è alquanto anodina allo scopo di fondare una tesi così radicale, qual è quella della vita sempiterna della società incorporata o fusa, che permarrebbe ad aeternum nonostante la irreversibile riorganizzazione – materiale e giuridica – operata.
A ben vedere, poi, questa tesi potrebbe ritenersi in contrasto con lo stesso dettato letterale della nuova disposizione: che, se è vero abbia eliminato la parola «estinte», ha però, nel contempo, ed in modo assai meno equivoco, anche stabilito che tutti i rapporti, sia sostanziali, sia processuali, proseguono in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione: “proseguono”, in quanto ne muta appunto il titolare, sebbene l’oggettivo rapporto resti il medesimo.
Ciò in piena coerenza, pertanto, con le varie forme di successione di un soggetto ad un altro come controparte contrattuale o nel singolo rapporto obbligatorio; mentre la «prosecuzione» dei rapporti processuali è disposizione del tutto coincidente con quella dell’art. 110 cod. proc. civ., il quale prevede che il processo prosegue nei confronti del successore universale e che presuppone, tutto all’opposto, l’estinzione della parte originaria del processo.
Insomma, è perfettamente condivisibile l’idea che l’espressione «proseguendo in tutti i rapporti» non autorizzi a ritenere che il soggetto incorporato non sia estinto; ed, anzi, in forza del diritto positivo, in particolare processuale, è proprio il contrario, laddove la norma del codice di rito sancisce che «il processo è proseguito» ad opera o nei confronti di chi ha assunto tutti i rapporti della parte venuta meno: il quale, nell’usuale linguaggio giuridico, viene denominato successore universale.
2.3.2. – È, altresì, singolare che di tale pretesa dirompente novità la legge delega o la Relazione alla riforma del diritto societario non facciano parola, né altro emerga dai lavori preparatori e dalle stesse riunioni della commissione ministeriale, incaricata della stesura dei decreti legislativi delegati, richiamandosi, piuttosto, nella Relazione al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, il «rispetto dei vincoli di derivazione comunitaria».
2.3.3. – Ma ancor più stridente, sul piano sistematico, è la conclusione della mancata estinzione e permanenza, come soggetto giuridico, della società incorporata, se si considera l’innovativa – questa sì – soluzione sancita nel contempo dall’art. 2495, comma 2, cod. civ., in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese.
È la nota questione degli effetti della cancellazione: prima della riforma del 2003 ritenuta non costitutiva dell’estinzione, reputandosi la società in vita sino all’integrale estinzione di tutti i rapporti attivi e passivi; dopo la riforma, in espressa contrapposizione a quel “diritto vivente”, voluta quale spartiacque definitivo tra la vita e la scomparsa della persona giuridica, che non può esistere dopo la cancellazione, ma si estingue definitivamente.
Non è qui il luogo per indagare il tema della possibile applicazione dell’art. 2191 cod. civ., ove l’iscrizione della cancellazione fosse stata disposta, per avventura, al di fuori delle condizioni previste dalla legge o dell’effettivo esaurimento di tutti i rapporti giuridici.
Il punto qui di rilievo è un altro: ovvero che, nel mentre la scelta del legislatore della riforma societaria è stata quella, drastica, dell’estinzione dell’ente dopo la cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., per la fusione si pretenderebbe il contrario, quanto alla società incorporata o fusa, che pur abbia provveduto – a séguito dell’iscrizione dell’atto di fusione ai sensi dell’art. 2504 cod. civ. – alla cancellazione dal registro delle imprese.
È singolare, anzi, che l’itinerario degli interpreti abbia seguìto, al riguardo, un filo logico opposto a quello adoperato per la fusione: qui si passa, dalla ricostruzione giurisprudenziale di una permanenza in vita della società cancellata sino all’esaurimento di tutti i rapporti pendenti (allo scopo di risolvere le ardue questioni delle sopravvivenze e sopravvenienze attive e passive), alla smentita dal legislatore del 2003 con la nota frase «[f]erma restando l’estinzione della società», posta in esordio del secondo comma dell’art. 2495 cod. civ.; là, dalla natura estintiva della fusione, tratta dal testo originario dell’art. 2504-bis cod. civ., si sarebbe passati ad un effetto solo modificativo senza estinzione, sebbene la società fusa o incorporata sia stata cancellata dal registro delle imprese.
È noto, inoltre, che l’effetto estintivo derivante dall’iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese si produce non soltanto quando essa segua al procedimento di scioglimento e liquidazione, ma anche quando alla cancellazione si pervenga per altre vie: come, ad esempio, quando la società non abbia depositato i bilanci per tre esercizi, ai sensi dell’art. 2490, comma 6, cod. civ., o, per le società partecipate pubbliche, dell’art. 20 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175.
Sarebbe, dunque, distonico con il sistema ordinamentale delle società escludere l’effetto estintivo, nonostante la nuova situazione del registro delle imprese, ed ipotizzare un’eccezione così radicale, come quella della permanenza in vita della società incorporata o fusa, dalle parole della nuova disposizione, non sorrette da nessun altro elemento di sistema.
2.3.4. – Ulteriori spunti si traggono da altre norme in tema di procedimento di fusione.
L’art. 2504, comma 2, cod. civ. dispone che l’atto di fusione debba essere depositato per l’iscrizione nell’ufficio del registro delle imprese di ciascuna delle società partecipanti alla fusione; gli effetti giuridici si producono dal momento dell’adempimento delle formalità pubblicitarie, concernenti il deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione previsto dalla norma, avente efficacia costitutiva.
Ma l’art. 2504, comma 3, cod- civ. stabilisce che il «deposito relativo alla società risultante dalla fusione o di quella incorporante non può precedere quelli relativi alle altre società partecipanti alla fusione»: ciò conferma, secondo logica giuridica, che il definitivo ente societario – sia quello preesistente in tal modo riorganizzato, sia il soggetto nuovo – non possa “convivere” con la perdurante personalità giuridica ed autonoma soggettività delle società fuse o incorporate, le quali debbono quindi, come struttura formale, estinguersi prima.
È vero che il momento di produzione degli effetti della fusione può non coincidere con la pubblicità dell’atto di fusione, atteso che può non esservi coincidenza, anche per volontà delle parti, fra il momento di espletamento della pubblicità di cui all’art. 2504, comma 2, cod. civ. e quello della produzione degli effetti della concentrazione.
Ciò, però, non vuol dire altro che, per volontà delle parti assecondata dalle disposizioni normative, l’estinzione della società incorporata sarà rinviata a quel momento.
2.3.5. – È appena il caso di rilevare che la questione dell’assoggettabilità a fallimento della società incorporata o fusa (ma lo stesso ordine di concetti vale per la società interamente scissa) solo in parte interseca quella della sua esistenza: dal momento che ivi vige il disposto speciale dell’art. 10 l. fall., il quale, in perfetta equiparazione al debitore persona fisica, sancisce la fallibilità degli imprenditori, individuali come collettivi, alle condizioni che sia trascorso non oltre un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese e che l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o nel termine détto; la ratio generale di tale disposizione è nota, onde non necessita discornerne in questa sede.
In tal modo, per quanto riguarda le società, può fallire un “ente” che non è più tale, entro un anno dall’evento estintivo.
Si richiama il principio per cui «un fenomeno di riorganizzazione societario… come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsualí»; ed il tema della soggezione della società fusa o scissa alle procedure concorsuali «non risulta propriamente attenere al piano dell’organizzazione societaria dell’impresa… Attiene, piuttosto, al piano dell’operatività dell’impresa e dei suoi rapporti coi terzi, contraenti e creditori» (cfr. Cass. 21 febbraio 2020, n. 4737).
Dunque, che la società possa essere assoggettata a fallimento dopo la fusione o la scissione, ancorché cancellata dal registro delle imprese, non è elemento normativo a favore della tesi della sua sopravvivenza alla cancellazione; se proprio se ne voglia trarre un indizio, è allora piuttosto elemento in senso contrario, atteso che solo una norma speciale come quella dell’art. 10 l. fall. ha potuto sancire un simile precetto.
Ed al riguardo, si noti, si è stabilito il principio di diritto che, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio ex art. 15 l. fall., il ricorso per la dichiarazione di fallimento di una società già incorporata per fusione ed il relativo decreto di convocazione debbano essere notificati all’ente incorporante, che ne prosegue tutti i rapporti anche processuali anteriori alla fusione, pur conservando la suddetta società la propria identità per l’eventuale dichiarazione di fallimento (Cass. 11 agosto 2016, n. 17050; e v. Cass., 18 febbraio 2007, n. 2210).
2.3.6. – Appaiono anodine, ai fini in discorso, tutte quelle disposizioni dell’ordinamento positivo, che prevedono il subentro e la continuità dei rapporti a séguito delle operazioni di fusione per incorporazione: ciò, al pari di quanto esposto circa la scarsa significanza del regime di traslazione dei rapporti, enunciato dallo stesso art. 2504-bis cod. civ.
Invero, nessun indizio contrario all’estinzione potrebbe rinvenirsi in quelle disposizioni sparse, dell’ordinamento positivo o del “diritto vivente”, in cui si sancisce la prosecuzione di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società incorporata, fusa o scissa.
Al riguardo, si possono considerare l’art. 1902 cod. civ., sulla fusione tra imprese assicuratrici, secondo cui il contratto di assicurazione «continua con l’impresa assicuratrice che risulta dalla fusione o che incorpora le imprese preesistenti»; le regole che, ad integrazione di quanto previsto dalla citata disposizione, dètta l’art. 168 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private, stabilendo che il trasferimento di portafoglio «non è causa di risoluzione dei contratti, ma i contraenti … possono recedere», a talune condizioni; l’art. 2112 cod. civ., il cui quinto comma dispone che il rapporto di lavoro continua in caso di fusione, al pari che nel trasferimento d’azienda.
Altresì, usualmente gli interpreti enumerano l’art. 29 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità delle persone giuridiche, secondo cui, nel caso di fusione, «l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione»; l’art. 32 d.lgs. n. 231 del 2001, il quale, ove la società risultante dalla fusione sia responsabile per reati da essa commessi, consente al giudice di ritenere la reiterazione nell’illecito anche in relazione alle condanne pronunciate nei confronti degli enti partecipanti alla fusione, per i reati commessi anteriormente ad essa.
Vi si aggiunge, per i profili processuali, l’art. 42 d.lgs. n. 231 del 2001, che, nel caso di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, dispone che «il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti da tali vicende modificative o benefìciari della scissione, che partecipano al processo, nello stato in cui lo stesso si trova» (Cass. pen. 22 giugno 2017, n. 41768 ha ritenuto l’ente incorporante destinatario, a fini della corretta instaurazione del contraddittorio, della citazione a giudizio, contenente le ragioni da cui inferire il titolo di responsabilità, restando valida la contestazione dell’imputazione formulata con riferimento alla persona giuridica originariamente responsabile dell’illecito); mentre l’art. 70 d.lgs. n. 231 del 2001 intende espressamente chiarire che, nel caso di fusione o scissione dell’ente responsabile, «il giudice dà atto nel dispositivo che la sentenza è pronunciata nei confronti degli enti risultanti dalla trasformazione o fusione ovvero beneficiari della scissione, indicando l’ente originariamente responsabile» e che la «sentenza pronunciata nei confronti dell’ente originariamente responsabile ha comunque effetto anche nei confronti degli enti indicati».
Norme, quelle degli artt. da 29 a 33 d.lgs. citato, ritenute manifestamente non incostituzionali in relazione agli artt. 27, 29, 76 e 117, in riferimento all’art. 7 della Cedu, Cost., nonché coerenti con l’orientamento della Corte di giustizia (Corte di giustizia dell’Unione europea 5 marzo 2015, C-343/13, Modelo Continente Hipermercados SA), la quale, in materia di responsabilità amministrativa ed in presenza di fusione con incorporazione della società responsabile, ha osservato che il trasferimento della responsabilità amministrativa alla società incorporante deriva dalla direttiva comunitaria 78/855/CEE relativa alle fusioni delle società per azioni (Cass. pen. 12 febbraio 2016, n. 11442).
Nell’ambito delle leggi speciali, l’art. 57, comma 4, d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385, t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, prevede che i privilegi e le garanzie esistenti «a favore di banche incorporate da altre banche, di banche partecipanti a fusioni con costituzione di nuove banche ovvero di banche scisse conservano la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, a favore, rispettivamente, della banca incorporante, della banca risultante dalla fusione o della banca beneficiaria del trasferimento per scissione».
In tema di sistemi di garanzia per i depositanti, l’art. 96-quater.3 d.lgs. n. 385 del 1993 dispone che, in caso di fusione o scissione, se «alcuni depositi della banca cedente divengono protetti da un sistema di garanzia diverso rispetto a quello a cui aderisce la banca cedente, il sistema cui aderisce la banca cedente trasferisce all’altro í contributi ricevuti.., in proporzione all’importo dei depositi protetti trasferiti».
Mentre l’art. 127-quater d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, t.u. dell’intermediazione finanziaria, stabilisce che, quando gli statuti contemplano la c.d. maggiorazione del dividendo a favore degli azionisti stabili, se la cessione delle azioni comporta la perdita del beneficio, non così «in caso di successione universale, nonché in caso di fusione e scissione del titolare delle azioni»; del pari, in caso di «fusione o scissione della società che abbia emesso le azioni.., i benefici si trasferiscono sulle azioni emesse dalle società risultanti».
Analogamente, per la figura della c.d. maggiorazione del voto, secondo l’art. 127-quinquies d.lgs. n. 58 del 1998 il diritto di voto maggiorato di regola «è conservato in caso di successione per causa di morte nonché in caso di fusione e scissione del titolare delle azioni», passando alla società incorporante.
Regole ispirate agli stessi concetti prevede l’art. 127-sexies d.lgs. n. 58 del 1998, quanto alle azioni a voto plurimo preesistenti della società quotata.
In materia tributaria, l’art. 172, comma 4, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, t.u. sulle imposte dirette, stabilisce che «dalla data in cui ha effetto la fusione la società risultante dalla fusione o incorporante subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi»: dove, si noti, il comma 10 del medesimo art. 172 compie un espresso riferimento ai «soggetti che si estinguono per effetto delle operazioni medesime».
Affine la ratio dell’art. 15 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che dètta disposizioni in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie: in caso di fusione o scissione, la «società o l’ente risultante dalla trasformazione o dalla fusione, anche per incorporazione, subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse relativi al pagamento delle sanzioni».
E si potrebbe continuare.
Ma quel che qui si vuol dire è che si tratta di disposizioni speciali, rispetto al quadro generale disegnato dall’art. 2504-bis cod. civ., le quali palesano null’altro che la continuità nei rapporti giuridici: non certamente, invece, la contestuale sopravvivenza del loro originario titolare.
2.3.7 – L’interpretazione sistematica secondo il diritto comunitario ed eurounitario conduce a risultati ancora più univoci.
Trattandosi di un’area armonizzata del diritto societario sul piano europeo, l’interprete nazionale non può che tenerne conto: il principio dell’interpretazione conforme comporta invero il dovere di scegliere, tra le diverse interpretazioni possibili di un enunciato del diritto interno, quella che sia maggiormente idonea ad allinearla al dettato della norma comunitaria, anche orientando la lettura della disciplina nazionale in modo che essa non conduca a scelte di fondo radicalmente differenti rispetto a quelle compiute in altri Stati membri. Ciò perché il fenomeno della fusione è unitario, onde la disciplina finale non può non essere omogenea, nelle sue linee essenziali e portanti, avendo una comune radice: sarebbe, invero, distonico sostenere in teoria (e gestire in pratica) effetti delle fusioni societarie diversi, a seconda che essi si producano nell’ordinamento italiano o in altri ordinamenti dell’Unione, come avverrebbe ove una società fosse esistente per il primo ed estinta per i secondi.
Dunque, indipendentemente dall’avere il legislatore interno del 2003 ripreso il dato testuale delle direttive comunitarie, queste esercitano il loro vincolo sull’interpretazione, alla stregua del principio secondo cui le norme interne devono essere interpretate conformemente al diritto comunitario, alla luce della sua lettera e finalità, per raggiungere il risultato previsto da questo.
In tal senso, vale appena ricordare, è la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, la quale afferma il reiterato principio secondo cui «dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione» (e plurimis, Corte di giustizia dell’Unione europea 7 agosto 2018, cause riunite C-61/17, C-62/17 e C-72/17, Bichat, punto 29; 11 maggio 2017, C-59/16, The Shirtmakers BV, punto 21; 1° dicembre 2016, C-395/15, Daouidi, punto 50; 29 ottobre 2015, C-174/14, Saudagor, punto 52; 5 marzo 2015, n. 343/13, Modelo Continente Hipermercados SA, punto 27).
- a)Orbene, iniziando dalla terza direttiva 78/855/CEE del consiglio del 9 ottobre 1978, relativa alle fusioni tra società per azioni, l’art. 3 definisce la fusione come «l’operazione con la quale una o più società, tramite uno scioglimento senza liquidazione, trasferiscono ad un’altra l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli azionisti della o delle società incorporate di azioni della incorporante…».
E l’art. 19 dispone: «La fusione produce ipso iure e simultaneamente i seguenti effetti: a) il trasferimento universale, tanto tra la società incorporata e la società incorporante quanto nei confronti dei terzi, dell’intero patrimonio attivo e passivo della società incorporata alla società incorporante; b) gli azionisti della società incorporata divengono azionisti della società incorporante; c) la società incorporata si estingue».
Compare dunque, a partire dalla III direttiva, sia l’effetto traslativo successorio, sia l’effetto estintivo per la società incorporata.
La direttiva 78/855/CEE è stata abrogata, a far data dal 10 luglio 2011, dalla direttiva 2011/35/Ue del parlamento europeo e del consiglio, del 5 aprile 2011, relativa alle fusioni delle società per azioni. Come risulta dal suo considerando 1, quest’ultima direttiva è intesa, per motivi di chiarezza e razionalizzazione, a procedere alla codificazione della direttiva 78/855, che era stata modificata più volte in modo sostanziale. L’art. 19, par. 1, della direttiva 2011/35 riprende l’art. 19, par. 1, della direttiva 78/855 in termini identici.
Così, anche l’art. 23 di tale direttiva, con riferimento alla fusione mediante costituzione di una nuova società, afferma che «le espressioni “società partecipanti alla fusione” o “società incorporata” indicano le società che si estinguono».
- b) Indicazioni ancor più stringenti si traggono dalla disciplina delle fusioni transfrontaliere, dove l’interesse alla omogeneità degli effetti in tutti i Paesi è il presupposto, essendo la possibilità di operare al di là dei confini nazionali parte delle alternative di sviluppo offerte alle società.
L’art. 14 della direttiva 2005/56/CE, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali, dispone per la fusione per incorporazione che «la società incorporata si estingue» e che nella fusione mediante costituzione di nuova società «le società che partecipano alla fusione si estinguono».
Ulteriore indizio si trae dalla stessa nozione di «fusione», contenuta nell’art. 2: la quale è definita volta a volta (indipendentemente dalla forma per incorporazione o per costituzione di una società nuova) come l’operazione mediante la quale le società trasferiscono «all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del loro patrimonio attivo e passivo ad altra società»: la prima, in sostanza, automaticamente si scioglie, pur senza seguire il procedimento di liquidazione, proseguendo altrove i propri rapporti e titolarità, e poi scompare.
La direttiva 56/2005/CE è stata attuata dal d.lgs. 30 maggio 2008, n. 108, il cui art. art. 16, sul punto, si limita a stabilire che «La fusione transfrontaliera produce gli effetti di cui all’art. 2504-bis, primo comma, del codice civile», con rinvio dunque a norma già parte del diritto interno.
La direttiva 2017/1132/UE, pubblicata il 30 giugno 2017 ed entrata in vigore il successivo 20 luglio 2017, come da ultimo novellata dalla direttiva 2019/2121/UE del 27 novembre 2019, ha offerto una codificazione del diritto europeo societario, mediante l’unificazione in un unico testo delle precedenti direttive in materia societaria. Per quanto qui interessa, sia gli artt. 105 e 109, sia l’art. 131, rispettivamente sugli «Effetti della fusione » e sugli «Effetti della fusione transfrontaliera», continuano dunque a prevedere che «la società incorporata si estingue» e «le società che partecipano alla fusione si estinguono», per le prime precisandosi «ipso iure e simultaneamente».
Anche l’art. 29 del reg. (CE) n. 2157/2001 del Consiglio dell’8 ottobre 2001, in materia di costituzione di una società europea per fusione, e l’art. 33 del reg. (CE) n. 1435/2003 del Consiglio del 22 luglio 2003, in materia di costituzione di una società cooperativa europea per fusione, prevedono espressamente l’estinzione delle società incorporate o che si fondono «ipso iure e simultaneamente».
In particolare, si fa notare in dottrina che la formula utilizzata nelle direttive recepisce quella impiegata nell’art. 236-3 del Code de Commerce francese, nella circolarità che contraddistingue la formazione della normativa europea; la giurisprudenza e la casistica europee confermano come la società incorporata viene meno sotto un profilo formale.
Se ciò avviene negli ordinamenti armonizzati, non può dunque che favorirsi la medesima interpretazione nel diritto interno.
Tutto ciò, pur in presenza del caveat con riguardo ai concetti delle fonti sovranazionali, nonché del noto pragmatismo che impronta le relative decisioni – basti pensare al contenuto della sentenza Corte di giustizia 5 marzo 2015, C-343/13, cit., dove la Corte riconosce che la società incorporata si estingue dal punto di vista formale per effetto della fusione, tuttavia valorizzando lo scioglimento senza liquidazione e senza dissoluzione della realtà economica, al fine di affermare, a fini antielusivi, che la società incorporante non rimane uguale a sé stessa e che si verifica «la trasmissione, alla società incorporante, dell’obbligo di pagare l’ammenda inflitta con decisione definitiva successivamente a tale fusione per infrazioni al diritto del lavoro commesse dalla società incorporata precedentemente alla fusione stessa» – fornisce dunque un imprescindibile dato interpretativo.
2.4. – Conclusioni.
Gli aspetti «sostanziali» della vicenda della fusione societaria – che si possono riassumere in quelli della concentrazione, della successione e dell’estinzione – non possono essere disgiunti da quelli «processuali»: occorre, infatti, stabilire una coerenza fra di essi, derivando peraltro i profili processuali dalla questione concreta che venga all’esame nel giudizio.
- a) Concentrazione.
Non vi è dubbio che la fusione, dando vita ad una vicenda modificativa dell’atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano, determini un fenomeno di concentrazione giuridica ed economica (ve n’è traccia espressa nel diritto positivo: v. l’art. 5 I. 10 ottobre 1990, n. 287) o “integrazione” o “compenetrazione”, dal quale consegue che i rapporti giuridici, attivi e passivi, di cui era titolare la società incorporata o fusa, siano imputati ad un diverso soggetto giuridico, la società incorporante o la società risultante dalla fusione.
L’operazione è connotata da irreversibilità, secondo il chiaro disposto dell’art. 2504-quater cod. civ., che vieta la pronuncia d’invalidità della fusione, una volta eseguite le iscrizioni ai sensi dell’art. 2504, comma 2, cod. civ.
La fusione comporta un’ampissima riorganizzazione aziendale.
Beni, persone e capitali vengono diversamente destinati, secondo il programma economico per tempo approfonditamente elaborato nel progetto di fusione, nessun elemento formale rimanendo uguale a se stesso. Solo i soci mantengono tale veste (salvo il loro diritto di recesso): dal momento che essi divengono titolari di una quota del capitale della incorporante o della società risultante dalla fusione, secondo quel rapporto matematico e proporzionale che è il “rapporto di cambio”, richiamato dall’art. 2501-ter cod. civ.
Che la fusione sia inquadrabile tra le vicende modificative dell’atto costitutivo delle società partecipanti è senz’altro corretto, ma questo non è, tuttavia, l’unico effetto della fusione: il fatto che la (diversa) società, incorporante o risultante dalla fusione, assuma i diritti e gli obblighi delle società interessate sta in sé ad indicare che gli effetti sono certamente più pregnanti di quelli riconducibili ad una semplice modificazione dell’atto costitutivo.
Tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, vengono ormai imputati ad un diverso soggetto giuridico, la società incorporante, e la società incorporata viene cancellata dal registro delle imprese.
- b) Estinzione.
Onde, se tutti i rapporti passano ad altro soggetto, con cancellazione dal registro delle imprese, quello primigenio non li conserva, ma si estingue.
Se, quanto ai rapporti giuridici, provvede l’art. 2504-bis cod. civ., chiarendo che essi proseguono tutti in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione, quale successore per legge esplicitamente identificato, si ha, nel contempo, che le persone fisiche (soci, esponenti aziendali, dipendenti) perdono il loro ruolo originario (derivando la loro sorte dal progetto di fusione) e le persone giuridiche – diverse dalla incorporante o risultante dalla fusione – si estinguono. Cessano, infatti, per la società incorporata, la sede sociale, la denominazione, gli organi amministrativi e di controllo, il capitale nominale, le azioni o quote che lo rappresentano, e così via; in una parola, la primigenia organizzazione di dissolve e nessuna situazione soggettiva residua.
Ora, se nessuna posizione giuridica soggettiva residua in capo alla società incorporata, non ha significato affermare la permanenza di un soggetto, privo di rapporti o situazioni soggettive di sorta nella propria sfera giuridica, ivi compreso quello con chi lo rappresenti o determini; la sua permanenza nell’ambito dell’ordinamento giuridico, senza poter essere titolare di posizioni giuridiche soggettive attive e passive, si ridurrebbe a quella di un’entità astratta.
Le società incorporate o fuse non restano, pertanto, soggetti del mercato, non le si vede ciononostante proporre cause civili o esservi convenute.
Se così non fosse, si potrebbe ad esempio giungere ad ammettere in giudizio una difesa duplice, ed anche contraddittoria, in relazione alle medesime posizioni soggettive, da parte dell’incorporata e dell’incorporante: come potrebbe ben accadere sul piano degli interessi sostanziali, visto che i soci della prima resterebbero, allora, quelli che tali erano al momento dell’atto di fusione, mentre i soci dell’incorporante sarebbero anche altri e sempre variabili, potendo quindi rappresentare posizioni di interesse difformi rispetto ad uno stesso rapporto giuridico.
Non ha dunque pregio sostenere che, nonostante la completa “rivoluzione” o, come recitano la direttive, “dissoluzione” aziendale – con la chiusura o l’inglobamento di uffici o filiali, le riassegnazioni di personale, la cessazione dalla carica di tutti gli esponenti aziendali, l’annullamento delle azioni, la consegna di altre azioni secondo il rapporto di cambio, e molto altro – l’ente, come soggetto giuridico, permanga sul mercato e sia titolare di diritti ed obblighi.
Occorre, in definitiva, tenere distinto il profilo negoziale del contratto di società da quello giuridico-formale dell’originario soggetto di diritto dal primo scaturito, distinguendo tra la società come insieme di rapporti, che prosegue in una diversa organizzazione, dalla società come ente, che si estingue.
Come, al momento della stipulazione dell’atto costitutivo anche di società personale e, per le persone giuridiche, subordinatamente alla iscrizione della costituzione nel registro delle imprese, si distinguono – da un lato – il contratto di società concluso tra i soci fondatori, quale esercizio dell’autonomia negoziale privata ex art. 1322 cod. civ., che con lo statuto fissa e regolamenta gli aspetti della futura comune intrapresa economica, e – dall’altro lato – la contestuale nascita di un nuovo soggetto di diritti, autonomo centro d’imputazione di tutti i rapporti attivi e passivi afferenti quella attività: così, specularmente, al momento della stipula dell’atto di fusione, iscritto nel registro delle imprese delle diverse società partecipanti e seguìto dalla cancellazione dell’iscrizione delle società incorporate o fuse, i soci – da un lato – modificano l’originario contratto sociale mediante la delibera di fusione ed i successivi adempimenti, ma – dall’altro lato – provocano, nel contempo, la “scomparsa” dalla scena giuridica dell’originario soggetto di diritto, quale autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, ossia la sua estinzione.
Alla successione dei soggetti sul piano giuridico-formale si affianca, sul piano economico-sostanziale, una continuazione dell’originaria impresa e della sottostante organizzazione aziendale, benché secondo nuovi assetti e piani industriali.
L’estinzione riguarda solo la società incorporata, la quale non sopravvive quale flatus, ma si estingue; resta, invece, come soggetto giuridico l’incorporante, dal momento che la modificazione soggettiva attiene soltanto alla titolarità dei rapporti giuridici, che facevano capo alla prima.
Certamente quindi, sotto il profilo strutturale, la fusione si presenta come una modificazione degli statuti sociali delle società interessate, mediante le rispettive deliberazioni di approvazione del progetto di fusione (art. 2502 cod. civ.): destinate però ad apportare, all’originario regolamento di interessi fra i soci di ciascuna società fusa o incorporata, una innovazione decisamente radicale, posto che scompare quella “forma” di esercizio dell’impresa, a favore di altro involucro formale.
Occorre in definitiva concludere che, dal momento dell’iscrizione della cancellazione della società incorporata dal registro delle imprese, questa si estingue, quale evento uguale e contrario all’iscrizione della costituzione di cui all’art. 2330 cod. civ.; restano le persone fisiche – amministratori, sindaci, dipendenti, soci – che perdono, però, tale veste, ove non vengano riassorbiti nella società incorporante o risultante dalla fusione.
- c) Successione.
Non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio.
La fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati. La successione universale, come vicenda giuridica, ben si attaglia invero anche a quella fra enti, avente ad oggetto un patrimonio unitariamente considerato e non soltanto elementi che lo compongono.
La fusione non è, in sé, operazione che mira a concludere tutti i rapporti sociali (come la liquidazione), né unicamente a trasferirli ad altro soggetto con permanenza in vita del disponente (come il conferimento in società, la cessione dei crediti o dei debiti, la cessione di azienda, etc.), quanto a darvi prosecuzione, mediante il diverso assetto organizzativo: ma ciò non può essere sminuito ed artificiosamente ridotto ad una vicenda modificativa senza successione in senso proprio in quei rapporti.
Riorganizzazione e concentrazione, da un lato, ed estinzione e successione, dall’altro lato, non sono concetti incompatibili ed antitetici. In sostanza, si verificano entrambi gli effetti, l’estinzione e la successione, senza distinzione sul piano cronologico, derivando entrambe dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2504 cod. civ. (salva la possibilità di stabilire una data diversa ex art. 2504-bis, commi 2 e 3, cod. civ.).
- d) Legittimazione processuale.
Alla stregua di quanto esposto, la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato fonda la legittimazione attiva dell’incorporante ad agire e proseguire nella tutela dei diritti e la sua legittimazione passiva a subìre e difendersi avverso le pretese altrui, con riguardo ai rapporti originariamente facenti capo alla società incorporata; viceversa quest’ultima, non mantenendo la propria soggettività dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva.
- e) Fusione in corso di causa.
Le ragioni sottese al precedente orientamento furono, come si è visto, in primis quelle di evitare l’interruzione del processo, che è ripetutamente sembrato opportuno evitare, attese le peculiarità di una fusione societaria (cfr. Cass., sez. un., 17 settembre 2010, n. 19698; Cass., sez. un., 14 settembre 2010, n. 19509; e v. Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637): l’argomento di fondo è incentrato sugli interessi tutelati e l’assenza di pericolo per il diritto alla difesa nel processo.
Tali ragioni non possono essere disconosciute e ciò induce il Collegio ad una precisazione al riguardo.
In ragione del subentro omnicomprensivo in tutte le situazioni giuridiche attive e passive delle società, incorporate o fuse, da parte della società in esito della fusione, questa va assimilata alla successione universale fra persone fisiche. In via di principio, perciò, alla fusione, divenuta efficace in corso di causa, in mancanza di disposizioni derogatorie troverebbe applicazione il regime degli artt. 110 e 300 cod. proc. civ., con l’interruzione del processo e la sua prosecuzione dal successore universale o in suo confronto, previa riassunzione, quale fenomeno riconducibile al «venir meno» della parte, di cui all’art. 110 cod. proc. civ.
Tuttavia, in presenza di fusione sopraggiunta nel corso del giudizio, la dizione dell’art. 2504-bis cod. civ. – secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle società incorporate «anche processuali» vi è una «prosecuzione» dell’incorporante – vale ad evitare ex lege l’interruzione stessa, dato che l’incorporata ne prosegue senza soluzione di continuità i rapporti, anche processuali.
In tal modo è dato leggere la modificazione operata nel 2003, al più limitato, ma opportuno fine di superare gli inconvenienti prodotti dall’interruzione del processo in caso di fusione di società, evitando l’applicazione dell’istituto, allora non congruente allo scopo.
Onde, sul punto, il precedente orientamento che escludeva l’interruzione del processo va confermato con riguardo alla fusione delle società post riforma del 2003, dovendo in tal modo ricostruirsi il portato dell’art. 2504-bis cod. civ., attesa l’esigenza di ragionevole durata del processo e l’assenza della lesione di interessi di qualsiasi parte.
Nel caso della fusione, dunque, è la legge stessa a disporre, mediante l’art. 2504-bis cod. civ., che il processo non debba essere interrotto: ma ciò non perché la società incorporata, fusa o scissa sia ancora esistente, ma semplicemente perché la incorporante, la società risultante dalla fusione o le società beneficiarie sono, di volta in volta, i soggetti divenuti titolari sia di quel rapporto sostanziale, sia del corrispondente c.d. rapporto processuale, ossia del giudizio che quello abbia ad oggetto.
La ratio degli artt. 299 ss. cod. proc. civ. conferma tale ricostruzione: posto che, se l’istituto dell’interruzione del processo mira a tutelare sia la parte colpita dall’evento interruttivo, sia la controparte, ai fini della migliore esplicazione del diritto di difesa di entrambe (art. 24 Cost.), tale esigenza non si avverte, o in ogni caso è ex lege recessiva, a fronte della superiore esigenza di continuità nei rapporti sostanziali e processuali, a fini di certezza.
In tal modo, l’esclusione dell’interruzione del processo limita le conseguenze della fusione sul processo, dovendosi allora, ad onere della incorporante, provare soltanto tale sua qualità ai fini della legittimazione, ove intenda compiere atti processuali.
III. – Introduzione della causa da parte di società estinta per incorporazione con successivo intervento della incorporante. Principio di diritto.
1.- In conseguenza di quanto esposto, non sussiste la facoltà di intraprendere un giudizio in capo al soggetto estinto per fusione.
Una società ormai estinta non è soggetto di diritti e neppure ha la capacità e la legittimazione processuale per farli valere, essendo stati trasferiti alla società incorporante o risultante dalla fusione.
Ne deriva che, ove essa intraprenda un giudizio, ciò avviene sulla base di una valutazione operata dai precedenti organi, i quali però non sono ormai più tali, spettando una simile valutazione all’esclusiva titolare, la società incorporante, per mezzo del suo legale rappresentante. Se la perduranza di quei rapporti giuridici nel soggetto incorporante o unificato giustifica, da un lato, il medesimo ad agire per tutelarli, al fine di vedere realizzate le sue pretese, dall’altro lato non autorizza però la società incorporata o fusa a farle valere essa stessa.
Non si dà dunque applicazione dell’istituto della ratifica degli atti compiuti dal falsus procurator, perché qui non è tale il rappresentante, ma diverso è l’effettivo titolare del diritto.
- – Quest’ultimo, però, ha la facoltà di intervenire in giudizio, una volta che il medesimo sia stato ormai instaurato dal non legittimato.
Si è già affermato dalla Corte che la facoltà concessa ad ogni interessato di intervenire nel processo, pendente tra altri soggetti, per far valere un diritto proprio nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse, sussiste indipendentemente dalla effettiva esistenza, nel soggetto che ha inizialmente proposto la domanda giudiziale, delle condizioni necessarie all’esperimento di essa, sicché il soggetto legittimato ad intervenire può sostituirsi al non legittimato, anche nel corso del processo, nell’esercizio dell’azione giudiziale.
Ciò in quanto il rapporto processuale, che si costituisce mediante l’intervento della parte legittimata a far valere la pretesa avanzata in giudizio da un soggetto carente della legittimazione attiva, non dipende dalla sorte dell’originario rapporto costituito dall’attore, poiché il vero legittimato rispetto all’oggetto della lite, della quale è parte il non legittimato, ha una posizione sostanziale autonoma, con la conseguenza che la sorte del rapporto processuale posto in essere mediante l’intervento non è subordinata a quella dell’originario rapporto su cui si è innestato (cfr. Cass. 26 marzo 2010, n. 7300; Cass. 24 dicembre 1993, n. 12777; Cass. 13 dicembre 1990, n. 11828).
In tal modo, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., si realizza l’intervento volontario del legittimato e la conseguente sua sostituzione nel processo da questi promosso e che esiste come struttura formale, secondo le regole proprie dell’intervento in giudizio.
L’azione a tutela di un diritto già facente capo alla società fusa, e poi trasferito alla società incorporata, può dunque essere da questa proposta nelle forme dell’intervento in giudizio.
Ove il nuovo ente intenda esperire tale intervento, dovrà rilasciare mandato al difensore ai fini del conferimento dello ius postulandi, secondo le regole generali di cui agli artt. 82 ss. cod. proc. civ., trattandosi di un soggetto giuridico diverso.
3.- Va, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: «La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., nel rispetto delle regole che lo disciplinano».
4.– Decisione sui motivi di ricorso.
5.- Alla luce del principio predetto, il primo motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ.
Nella specie, la Spinone s.r.I., essendosi fusa per incorporazione nella Zinconia s.r.l. il 23 luglio 2004, con contestuale cancellazione dal registro delle imprese, era priva di capacità e legittimazione processuale nel marzo del 2008, quando ha intrapreso il presente giudizio, essendosi già estinta ed avendo, da lungo tempo, cessato i suoi organi amministrativi dalle funzioni di legale rappresentanza.
Sorti dubbi di legittimazione al riguardo, nel corso del primo grado la società incorporante si è costituita, facendo proprio il giudizio.
Nel prosieguo, quindi, è stata accolta la domanda di simulazione proposta, come azionata anche dall’interventore in giudizio: il giudice di primo grado ha dichiarato la simulazione del contratto ed il giudice d’appello ha espressamente escluso ogni nullità del processo, sia per la natura meramente modificativo-evolutiva della fusione, sia per l’avvenuta costituzione in causa della società incorporante.
Ne deriva che, mutata la motivazione alla stregua del principio enunciato, il primo motivo va respinto.
- – Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.
La corte del merito ha condiviso l’accertamento, in punto di fatto operato dal tribunale, relativo alla volontà delle parti di non trasferire affatto la proprietà del bene oggetto delle due compravendite consecutive, dunque reputate simulate in via assoluta.
La ratio decidendi, espressa nella decisione impugnata, si fonda su di una triplice valutazione: la proposizione dell’azione di simulazione con riguardo alla compravendita nella sua interezza e non pro quota, la mancata censura circa la consapevole partecipazione della comproprietaria Marino alla simulazione e l’irrilevanza, in tale situazione, dell’insussistenza di una posizione debitrice in proprio della medesima. Valutazioni che, però, il secondo motivo non censura.
Il terzo motivo, dal suo canto, non individua l’errore di giudizio o la regola di diritto che sarebbe stata male applicata.
Onde entrambi si scontrano con le valutazioni fattuali, compiute dai giudici di merito, in una inammissibile contestazione sull’esito della valutazione nel merito delle prove in atti, mentre il vizio di omesso esame di fatto decisivo è dedotto in termini inosservanti del relativo paradigma.
In conclusione, il ricorso va respinto.
V.- Spese.
Le spese vengono interamente compensate, attesa la novità del principio enunciato.