Cass. pen., sez. III, sentenza 21 settembre 2021, n. 34881
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non sussiste specialità tra il delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) e la bancarotta fraudolenta documentale (L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2), stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo la fattispecie tributaria la sola omissione della presentazione della dichiarazione, mentre, la fattispecie fallimentare, si può anche verificare a seguito della sottrazione di scritture meramente facoltative, ben potendosi apprezzare la lesione del bene protetto dall’intero corredo documentale. Inoltre, in quest’ultima ipotesi, la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nel delitto di omessa dichiarazione; in particolare, in tale ultimo delitto, il dolo specifico di evasione è desumibile dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è inammissibile perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Deve confermarsi la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ha rilevato come l’entità del superamento della soglia di punibilità e la conoscenza dell’ammontare dell’imposta evasa costituiscono elementi di prova del dolo specifico di evasione: “In tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta” (Sez. 3 -, Sentenza n. 18936 del 19/01/2016 Ud. – dep. 06/05/2016 – Rv. 267022 – 01). Nel caso in giudizio, la soglia di punibilità è stata superata per i due anni di imposta nella piena consapevolezza dell’importo da parte del ricorrente. La migliore convenienza (sotto il profilo delle sanzioni penali) tra il presentare le dichiarazioni e evadere le imposte e non presentarle affatto, non risulta determinante per escludere il dolo specifico. La sentenza sul punto, anche se in sintesi, risulta motivata adeguatamente con il richiamo pertinente alla giurisprudenza in materia di questa Corte di Cassazione, rilevando, peraltro, che la presentazione delle dichiarazioni per gli anni precedenti non esclude la valutazione della sussistenza del dolo specifico per i successivi anni. E, comunque, sul punto non risultavano neanche rilevanti le questioni di insolvenza della società poi fallita.
- Il ricorrente pone, poi, una questione di ne bis in idem relativamente alla precedente condanna per il reato fallimentare. La Corte già si è pronunciata sull’insussistenza della specialità (e quindi del “ne bis in idem” sostanziale, in fattispecie analoghe alla presente, tra il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 e la bancarotta documentale): “Non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 c.p.p.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”. (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 – dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501; vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 – dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301; vedi anche da ultimo Sez. 3, n. 18927 del 24/02/2017 RV 269910). Anche per l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, si tratta di oggetto giuridico e di condotta completamente distinti da quelli che vengono in considerazione nella bancarotta documentale. Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Non sussiste specialità, ex art. 15 c.p., tra la bancarotta fraudolenta documentale, L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2 e l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la sola omissione della presentazione della dichiarazione (chiunque… non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali); diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi dei creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”.
- Manifestamente infondato e generico anche l’ultimo motivo sulla violazione dell’art. 81 c.p., relativo alla continuazione tra i due reati. La valutazione del medesimo disegno criminoso è una questione di merito sindacabile solo se la motivazione fosse assente o manifestamente illogica o contraddittoria (“In tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione” Sez. 1, Sentenza n. 12936 del 03/12/2018 Cc. – dep. 25/03/2019 – Rv. 275222 – 01). Nel caso in giudizio la Corte di appello evidenzia la mancanza di allegazioni di elementi concreti per rilevare il medesimo disegno criminoso tra il reato fallimentare già giudicato e quello in giudizio. L’unico elemento prospettato era quello del dissesto finanziario, non sufficiente per la valutazione di un medesimo disegno criminoso per due reati a contenuto diverso, con condotta e oggetto distinti. Del resto, l’imputato non aveva neanche effettuato uno specifico motivo di appello, ma nelle sole conclusioni aveva richiesto l’applicazione della continuazione, senza ulteriori specificazioni sul medesimo disegno criminoso. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p..