Con il primo motivo il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, ratione temporis vigente, dell’art. 2495 c.c., dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alle erronee deduzioni del giudice regionale sulla coobbligazione del socio rispetto alle obbligazioni fiscali e sanzionatorie accertate in capo alla società; con il secondo motivo, in subordine, il contribuente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2495 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto al riparto dell’onere probatorio in merito alla distribuzione tra i soci del capitale e del patrimonio della società cancellata; con il terzo motivo, in ulteriore subordine, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2495 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto al riparto dell’onere probatorio e alla imputazione della metà del debito iva e dell’intera sanzione comminata; con il quarto motivo, ancora in subordine, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, nonchè del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alla erronea imputazione di responsabilità anche con riguardo alle pretese sanzionatorie. I motivi possono essere trattati congiuntamente perchè tra loro connessi, traducendosi in critiche, per taluni aspetti sovrapponibili, indirizzate al rovesciamento sul socio di una società cancellata dell’addebito a quest’ultima delle pretese fiscali relative all’iva e delle relative sanzioni comminate. I motivi trovano accoglimento nei limiti delle ragioni appresso chiarite. Risulta intanto incontestato che successivamente alla verifica, ma anteriormente alla notifica dell’avviso d’accertamento, la società Incomarbo Srl si estinse e fu cancellata dal registro delle imprese. Altrettanto incontestato è che l’atto d’accertamento, oltre che alla società (estinta) fu correttamente notificato ai due -unici – soci e al liquidatore. Ebbene, costituisce principio consolidato quello secondo cui l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate (Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070; cfr. anche, ex multis, Cass., 30 luglio 2020, n. 16362). Nel caso di specie dunque correttamente l’Amministrazione finanziaria notificò l’avviso d’accertamento a tutti i soci, quali successori della società estinta (nonchè del liquidatore, notifica quest’ultima che non incide tuttavia nel presente giudizio). Altrettanto incontestato, perchè riferito nel medesimo ricorso del contribuente, è che quell’atto impositivo non fu impugnato dai soci per la parte relativa all’iva pretesa dall’Agenzia delle entrate (pag. 6, penultimo capoverso). E poichè il fenomeno successorio verificatosi comportava necessariamente una diretta imputazione dell’imponibile non dichiarato ai soci -non più coobligati d’imposta rispetto alla società, ma obbligatitout court-, non vi era neppure necessità di notificare a questi un distinto avviso d’accertamento con cui addebitare espressamente un reddito di partecipazione per i ricavi (e l’iva su di essi dovuta) occultati dalla società. L’iscrizione a ruolo ela relativa cartella ora al vaglio della Corte sono pertanto conseguenza della (parziale) non opposizione avverso l’avviso d’accertamento ritualmente notificato e non impugnato quanto all’iva. A fronte della stabilità raggiunta dall’atto impositivo relativamente al credito iva vantato dall’Amministrazione finanziaria, vengono meno le ragioni del ricorso avverso la cartella di pagamento, che il contribuente pretende di supportare con l’invocazione del D.P.R. n. 602 del 1972, art. 36 (evidentemente il comma 3), che afferisce a distinta fattispecie, o dell’art. 2495 c.c., in forza del quale si prospetta un preventivo accertamento delle responsabilità del socio, così offrendo una chiave di lettura non pertinente, laddove la norma regola un principio generale di tutela creditoria. Diverse conclusioni vanno invece raggiunte in merito alle sanzioni amministrative, per le quali il ricorrente ha formulato specifiche contestazioni sui presupposti applicativi, presupposti che non possono ricondursi alla disciplina regolatrice dei crediti impositivi.
Deve intanto rammentarsi che a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l’intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall’art. 2, comma 2, del detto decreto, nonchè, in materia societaria, con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003, che ha introdotto la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094), salvo ipotesi di corresponsabilità.
A tale principio vanno peraltro aggiunte alcune considerazioni.
E’ infatti necessario premettere che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, a quasi settant’anni dalla prima legge generale sulle sanzioni fiscali – L. 7 gennaio 1929, n. 4 – aveva introdotto un innovativo sistema organico, attento alle condizioni soggettive del trasgressore, più vicina dunque ai principi penalistici, così valorizzando criteri di personalizzazione della sanzione, con abbandono di quelli automatici. Va anche evidenziato che la disciplina è stata ulteriormente innovata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, in vigore dal 2 ottobre 2003. Ma anche volendo prescindere da tale novella, già con riferimento alle regole dettate dal D.L. n. 472 del 1997, art. 11, occorreva comunque verificare la corretta applicazione della sanzione al caso concreto, atteso che persino il ruolo di vertice rivestito nell’organizzazione sociale non comportava il sistematico riconoscimento di responsabilità sanzionabile in capo al medesimo soggetto, per violazioni incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo (cfr. Cass., 25 febbraio 2021, n. 5164).
Il principio è tanto più significativo se rapportato alla posizione del mero socio, del quale non emerge che abbia mai assunto in seno alla società alcuna posizione di responsabilità. Ne discende che l’estinzione della società prima della notifica dell’avviso d’accertamento perfeziona un fenomeno successorio nei riguardi dei soci quanto alle imposte, non invece alle sanzionì. Nessun rilievo poteva pertanto assumere la mancata impugnazione dell’avviso d’accertamento da parte del contribuente ai fini della applicabilità delle sanzioni. Il giudice regionale, riconoscendo l’applicazione delle sanzioni al ricorrente, non si è attenuto al principio di diritto illustrato. Il ricorso va dunque accolto nei termini chiariti e la sentenza va cassata nei limiti dell’accoglimento. Non essendo peraltro necessario alcun accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c.. A tal fine, tenuto conto del fenomeno successorio rispetto alla società estinta, al socio non potevano essere comminate le sanzioni relative al mancato pagamento dell’iva.La cartella di pagamento va in conclusione annullata nei termini di cui in motivazione. L’esito del giudizio, con il solo parziale fondamento del ricorso, giustifica la compensazione delle spese processuali.
Cassazione civile, Sez. V, ordinanza 13 ottobre 2022, n. 30011