Corte Costituzionale, sentenza 01 luglio 2022 n. 167
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 3), del codice civile e dell’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui non prevedono, in favore dell’agente che svolga una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, il privilegio generale sui mobili esteso al credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle provvigioni dovute per l’ultimo anno di prestazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili sia sul piano della rilevanza, sia su quello della motivazione della non manifesta infondatezza.
Il giudice a quo deve stabilire, al fine della formazione dello stato passivo, se il privilegio mobiliare del credito dell’agente – per provvigioni maturate nell’ultimo anno, oltre che per le indennità dovute per la cessazione del rapporto – si estenda, o no, anche al credito a titolo di rivalsa dell’IVA gravante sulle provvigioni.
A tal fine il giudice rimettente è chiamato a fare applicazione delle disposizioni censurate e tanto è sufficiente per ritenere la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale; rilevanza che va valutata in ingresso del giudizio incidentale a prescindere dalla maggiore o minore ricaduta che l’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale, in ipotesi anche solo parziale rispetto al petitum del giudice rimettente, possa avere nel giudizio principale (sentenza n. 41 del 2021).
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma, infatti, che la rilevanza delle questioni deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al momento del provvedimento di rimessione (sentenze n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020).
La rilevanza della denunciata violazione del principio di eguaglianza non è poi esclusa dalla circostanza che recentemente (dopo l’ordinanza di rimessione) il legislatore abbia posto rimedio, in termini più ampi, alle criticità denunciate dal giudice rimettente, ponendo una disciplina innovativa, operante per il futuro. Infatti, l’art. 18 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106, ha modificato la disciplina del recupero dell’IVA su crediti non riscossi nelle procedure concorsuali, novellando l’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) nel senso di consentire, nell’ipotesi di omessa riscossione dei crediti vantati nei confronti dei cessionari o contraenti coinvolti in procedure concorsuali, di effettuare le variazioni in diminuzione dell’IVA sin dall’apertura della procedura ovvero senza dover attendere la conclusione della stessa.
Né tale sopravvenienza implica la restituzione degli atti per ius superveniens.
Ampiamente sufficiente è poi la motivazione dell’ordinanza di rimessione quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
3.– All’esame delle questioni, è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si collocano le disposizioni censurate.
L’art. 2751-bis cod. civ. è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), al fine di attribuire ai lavoratori subordinati, ai professionisti e ad altri lavoratori autonomi, agli agenti, ai coltivatori diretti (e assimilati), agli artigiani e ai soci di società ed enti cooperativi di produzione e lavoro, un privilegio generale sui beni mobili del soggetto in favore del quale avevano prestato la propria attività per determinati crediti sorti entro un certo lasso temporale (individuato, in coerenza con il principio di legalità sancito dall’art. 2745 cod. civ. che presidia l’individuazione dei crediti privilegiati, per ciascuno di essi dalla stessa norma) sul modello di quanto inizialmente previsto per i lavoratori subordinati con la legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale).
In particolare, il numero 1) dell’art. 2751-bis cod. civ. – che ha riguardato il lavoro subordinato – ha previsto il privilegio generale sui mobili per «le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile».
Il numero 2) ha avuto ad oggetto il lavoro autonomo e ha previsto lo stesso privilegio generale sui beni mobili quanto alle «retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale dovute per gli ultimi due anni di prestazione».
Il numero 3) ha interessato il rapporto di agenzia e ha contemplato il privilegio sulle «provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo».
La ratio dell’art. 2751-bis cod. civ. è stata ravvisata da questa Corte nel riconoscimento di una collocazione privilegiata ai crediti ivi indicati in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa in senso ampio, svolta in varie forme contrattuali, in particolare come lavoro subordinato o autonomo e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del prestatore (sentenze n. 1 del 2020 e n. 1 del 2000).
4.– Successivamente, la legge di bilancio per l’anno finanziario 2018 (legge n. 205 del 2017) ha previsto, all’art. 1, comma 474, che «[a]ll’articolo 2751-bis, numero 2), del codice civile, dopo le parole: “le retribuzioni dei professionisti” sono inserite le seguenti: “, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto,”».
Per effetto di questo riallineamento, il credito avente ad oggetto il corrispettivo del servizio del “professionista” e il credito per rivalsa dell’IVA gravante sui compensi percepiti dallo stesso hanno lo stesso privilegio generale sui mobili.
Questa Corte (sentenza n. 1 del 2020) ha già osservato in proposito che, anche se il credito di rivalsa per IVA non può dirsi accessorio del credito retributivo, avendo stricto iure diversa natura, nondimeno l’inadempimento (o ritardato adempimento) del primo comporta, in termini sostanziali, una decurtazione di quest’ultimo; sicché si giustifica, per i «professionisti» e per «ogni altro prestatore d’opera», l’elevazione del regime del privilegio da quello degli artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ. – che risultava di fatto poco efficace, mancando quasi sempre un bene mobile o immobile al quale potesse riferirsi il servizio o l’attività prestata – a quello, di maggior favore, posto dalla disposizione censurata (art. 2751-bis, numero 2, cod. civ.).
L’estensione del privilegio mobiliare in esame trova specifica giustificazione nell’esigenza di tutela della «prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma» (ancora sentenza n. 1 del 2000).
5.– Invece, l’art. 2751-bis, numero 3), cod. civ. – che, come già ricordato, reca il privilegio generale sui beni mobili in favore dell’agente per i crediti relativi alle provvigioni dovute per l’ultimo anno di prestazione e alle indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo – non contempla l’estensione dello stesso privilegio anche al credito dell’agente per rivalsa dell’IVA gravante sulle provvigioni.
In ciò si sostanzia il vulnus denunciato dal giudice rimettente.
6.– Giova anche ricordare che nel rapporto di agenzia (art. 1742 cod. civ.) una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra e a fronte del pagamento di una retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata, potendo anche assumere la rappresentanza del preponente.
L’agente è dunque una sorta di intermediario tra l’impresa e i suoi clienti.
La peculiarità del rapporto di agenzia deriva dalla circostanza che, per un verso, l’agente impiega le proprie energie lavorative nell’ambito di una stabile collaborazione con il preponente e, per un altro, l’obbligazione di quest’ultimo di corrispondere la provvigione sorge solo con il conseguimento del risultato consistente nella conclusione di affari per conto del preponente stesso.
L’attività dell’agente può consistere in una collaborazione prestata in piena autonomia.
Per altro verso, il rapporto di agenzia non è incompatibile con la soggezione dell’attività lavorativa dell’agente a direttive e istruzioni nonché a controlli, amministrativi e tecnici, più o meno penetranti, in relazione alla natura dell’attività ed all’interesse del preponente. In alcuni casi, la pregnanza delle direttive di quest’ultimo e l’inserimento tendenzialmente stabile dell’agente nell’organizzazione del medesimo comportano che la relativa figura possa essere ricondotta a quella di un collaboratore dell’impresa altrui. Questa ipotesi è espressamente considerata dal legislatore laddove, con l’art. 409, numero 3), del codice di procedura civile, nel testo novellato dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), fa riferimento, ai fini dell’individuazione della competenza del tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro, anche ai «rapporti di agenzia […] che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa».
Peraltro l’agente può anche rivestire la qualità di imprenditore ove, per l’esercizio della sua attività, ponga in essere un’organizzazione coordinata di fattori produttivi, avvalendosi del lavoro altrui e creando un complesso aziendale materiale.
Altresì l’attività di agente può essere esercitata da una società.
In proposito, con riferimento alla spettanza del privilegio di cui all’art. 2751-bis cod. civ., questa Corte ha già chiarito, tuttavia, che l’art. 2751-bis, numero 3), cod. civ. deve essere inteso nel senso di escludere dal proprio ambito di applicazione i crediti delle società di capitali, per la diversità causale di tali crediti rispetto a quelli che il legislatore ha inteso tutelare, che devono essere identificati con quelli per lo svolgimento, in forma personale, di un’attività di lavoro, subordinata o autonoma che sia, che costituiscono crediti fondamentali per il sostentamento del lavoratore (sentenza n. 1 del 2000).
La giurisprudenza di legittimità si è conformata a tale principio (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 16 dicembre 2013, n. 27986). Ha tuttavia al contempo precisato che, invece, alle società personali, che esercitino l’attività propria dell’agente, il privilegio generale sui mobili per le provvigioni e le indennità derivanti dal rapporto di agenzia, previsto dall’art. 2751-bis, numero 3), cod. civ. può trovare applicazione ove venga accertato, in concreto, che questa ultima è svolta direttamente dagli agenti-soci e che il lavoro ha funzione preminente sul capitale (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 30 settembre 2015, n. 19550).
7.– Inoltre, sempre ai fini dell’inquadramento delle questioni sollevate dal giudice a quo, è opportuno ricordare, come ha fatto di recente questa Corte, che, a differenza del credito fiscale, il quale rinviene la propria causa in una prestazione patrimoniale posta dall’ordinamento a carico di un soggetto in base a uno specifico indice di capacità contributiva e destinata a sovvenire a pubbliche spese, quello per rivalsa trova titolo nel potere accordato, a determinate condizioni, dalla legge al soggetto obbligato all’assolvimento del tributo di recuperarne l’onere economico (sentenza n. 101 del 2022).
Nel sistema dell’IVA, il credito di rivalsa, autonomo rispetto a quello per la prestazione, è ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso in maniera particolarmente pregnante (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 17 gennaio 2017, n. 1034). Invero, il soggetto passivo (cedente di un bene o prestatore di un servizio) che effettua un’operazione imponibile ed emette fattura, e diviene così debitore dell’imposta nei confronti dell’Erario, ha diritto di rivalersi verso il cessionario o il committente e, in tal modo, il debito tributario è neutralizzato dalla rivalsa, che costituisce un credito del soggetto passivo dell’IVA nei confronti della controparte contrattuale che si aggiunge, per effetto di legge, al corrispettivo pattuito.
Proprio la peculiare valenza del credito di rivalsa aveva comportato, sin dall’istituzione dell’IVA nel nostro ordinamento, la previsione, da parte dell’art. 18 del d.P.R. n. n. 633 del 1972, in favore di colui il quale aveva posto in essere l’operazione imponibile, non solo di un “privilegio speciale” sui beni immobili oggetto della cessione, ovvero della prestazione di servizi, ma anche di un privilegio generale mobiliare, con lo stesso grado di quello previsto per i crediti dello Stato (cui era tuttavia posposto).
La predetta norma era rimasta formalmente in vigore anche dopo che la legge n. 426 del 1975, nel riordinare la disciplina civilistica dei privilegi, era intervenuta sugli artt. 2758 e 2772, terzo comma, cod. civ., prevedendo due privilegi speciali per il credito di rivalsa IVA.
In particolare, l’art. 2758 cod. civ. contempla, al secondo comma, un privilegio speciale per «i crediti di rivalsa verso il cessionario ed il committente previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio». Inoltre, l’art. 2772, terzo comma, cod. civ. stabilisce che «[e]guale privilegio hanno i crediti di rivalsa, verso il cessionario ed il committente, previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, sugli immobili che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio».
Questa Corte ha chiarito che il privilegio generale, di cui al predetto art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972, era in realtà stato abrogato da quello speciale successivamente introdotto poiché la disciplina inserita negli artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ. dalla predetta legge n. 426 del 1975, aveva previsto una nuova complessiva disciplina della materia dei privilegi (sentenza n. 25 del 1984).
Il credito di rivalsa IVA è stato tutelato così esclusivamente, per lungo tempo, dai due privilegi speciali regolati dagli artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ.
Tuttavia, in tale assetto, il credito di rivalsa di fatto resta, il più delle volte, mero credito chirografario perché di solito la prestazione del professionista o del lavoratore autonomo non riguarda un bene, mobile o immobile, oggetto di cessione o al quale si riferisce il servizio o l’attività prestati (sentenza n. 1 del 2020).
Di qui l’art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017 – attinto anch’esso dalle questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’ordinanza di rimessione – è intervenuto sull’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., estendendo al credito di rivalsa per l’IVA maturato nei due anni precedenti il privilegio generale mobiliare in favore dei professionisti e, secondo quanto precisato da questa Corte, di ogni altro prestatore d’opera (sentenza n. 1 del 2020). La distinzione tra tali categorie era stata già da lungo tempo superata da una precedente decisione con la quale questa Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., limitatamente alla parola «intellettuale», eliminando così la diversità di disciplina che l’originaria formulazione della disposizione operava tra prestatori d’opera, secondo che quest’ultima fosse «intellettuale» (come per i «professionisti») o no (come era possibile per altri prestatori d’opera), stante l’omogeneità delle categorie di soggetti (e, dunque, di crediti), riconducibili allo stesso tipo contrattuale delineato dall’art. 2222 cod. civ. (sentenza n. 1 del 1998).
8.– Inquadrate nel contesto normativo di cui si è finora detto, le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono fondate nei limiti di seguito precisati.
9.– Come noto, i privilegi costituiscono, come le altre cause legittime di prelazione, una deroga al principio della par condicio creditorum sancito dal primo comma dell’art. 2741 cod. civ.
Proprio la valenza derogatoria delle cause legittime di prelazione rispetto al fondamentale principio di eguale concorrenza dei creditori sui beni del comune debitore implica che le norme attributive dei privilegi abbiano natura eccezionale.
In particolare, i privilegi – a differenza del pegno e dell’ipoteca – non dipendono da un peculiare vincolo su un bene del debitore, ma sono attribuiti dal legislatore a determinati crediti in ragione (e nella misura) della meritevolezza della relativa causa.
Ne deriva, pertanto, che «[l]’efficienza di un sistema siffatto è garantita dall’equilibrio tra la regola della parità dei creditori e l’eccezione del regime preferenziale, giacché l’indiscriminata proliferazione dei privilegi potrebbe vanificare la stessa funzionalità del trattamento privilegiato» (sentenza n. 101 del 2022). Vi è dunque che solo la legge può incidere, in base ad una nuova valutazione, sull’ordine di valori espresso dalla regola della par condicio creditorum, selezionando le cause del credito che, ai sensi dell’art. 2745 cod. civ., costituiscano la ragione giustificatrice della creazione di nuovi privilegi (sentenze n. 101 del 2022 e n. 326 del 1983).
Nell’esercizio delle relative valutazioni è riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità (da ultimo, ancora sentenza n. 101 del 2022), e ciò anche in ordine alla scelta sulla natura, generale o speciale, del privilegio mobiliare e sulla graduazione all’interno dei crediti privilegiati.
Questa Corte ha più volte ribadito che, in materia di privilegi, anche in considerazione del carattere politico-economico delle scelte che presiedono al riconoscimento della natura privilegiata di dati crediti, non è possibile utilizzare lo strumento del giudizio di legittimità costituzionale per introdurre, sia pur in considerazione del rilievo di un determinato credito, una causa di prelazione ulteriore, con strutturazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio e il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti, mentre è solo possibile sindacare – all’interno di una specifica norma attributiva di un privilegio – la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa, di fattispecie identiche od omogenee a quella cui la causa di prelazione è riferita (sentenze n. 101 del 2022, n. 1 del 2020, n. 113 del 2004, n. 451 e n. 1 del 1998, n. 40 del 1996, n. 84 del 1992; ordinanze n. 435 del 2005 e n. 163 del 1999).
10.– Non di meno è talora possibile individuare la ratio di specifiche ipotesi di privilegio previste nell’ordinamento per verificare la legittimità costituzionale della mancata inclusione in esse di fattispecie omogenee a quelle cui la causa di prelazione è riferita e, dunque, compiere un’estensione resa necessaria dal principio di eguaglianza.
11.– Questa Corte (sentenza n. 326 del 1983) – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 1), cod. civ. nella parte in cui non muniva del privilegio generale il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti a infortunio sul lavoro, del quale era responsabile il datore di lavoro per la parte non indennizzata da prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie – ha sottolineato «l’esigenza di attribuire trattamenti equipollenti ad identiche situazioni».
Secondo quanto ritenuto parimenti con la sentenza n. 1 del 1998, la «disparità di trattamento che, quanto alla garanzia della retribuzione, si viene […] a determinare tra prestatori d’opera intellettuale e non intellettuale, risulta […] palesemente irragionevole» e ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., limitatamente alla parola «intellettuale». Si è avuta, per l’effetto, l’estensione del privilegio generale sui mobili a tutta l’area del lavoro autonomo, quanto non solo alle «retribuzioni», ma anche al credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (sentenza n. 1 del 2020).
Il privilegio generale sui mobili è stato, altresì, esteso al credito del lavoratore subordinato, sia quello per danni conseguenti a malattia professionale della quale sia responsabile il datore di lavoro (sentenza n. 220 del 2002), sia quello per danni da demansionamento subiti a causa dell’illegittimo comportamento di quest’ultimo (sentenza n. 113 del 2004).
La ratio di maggior tutela, in particolare del lavoro subordinato e di quello autonomo, sottesa all’introduzione della particolare fattispecie di privilegio generale sui mobili di cui all’art. 2751-bis, numeri 1) e 2), cod. civ. ha giustificato che situazioni omogenee avessero lo stesso trattamento quanto alla garanzia del credito.
12.– Anche con riferimento alla figura dell’agente è possibile ricavare una fattispecie più specifica che consente di identificare una situazione normativamente comparabile con le ipotesi di lavoro autonomo, per le quali – come si è già detto – il privilegio generale sui mobili è esteso anche al credito di rivalsa IVA.
Infatti, il lavoro autonomo e quello dell’agente – pur riconducibili a diversi tipi contrattuali (rispettivamente agli artt. 2222 e 1742 cod. civ.) – hanno un punto di convergenza, un’intersezione connotata dalla comunanza di una disciplina legale di speciale tutela che consente, per identità della ratio ad essa sottesa, quella comparazione che nelle altre ipotesi, sopra ricordate, ha condotto all’estensione del privilegio mobiliare.
Fin dalla legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie), difatti, sono stati collocati nello stesso numero 3) dell’art. 409 cod. proc. civ. i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, i quali possono rivestire la forma giuridica del lavoro autonomo, ma anche del rapporto di agenzia.
Si è fatto riferimento, a tal proposito, alla categoria unificante del lavoro parasubordinato.
La già richiamata legge n. 81 del 2017, nel dettare norme generali sul lavoro autonomo, ha ulteriormente specificato – e attualizzato – le fattispecie accomunate nel richiamato numero 3) dell’art. 409 cod. proc. civ., prevedendo che la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.
Queste figure di lavoratore autonomo, diretto collaboratore del datore di lavoro, e di agente, anch’egli diretto collaboratore del preponente, condividono quindi una disciplina che è innanzi tutto processuale, ma per alcuni versi anche sostanziale, e che comunque esprime la scelta del legislatore di approntare una stessa speciale tutela.
Ciò apre la strada a quel raffronto che è eccezionalmente possibile anche in materia di privilegi del credito e di cause di prelazione quando vi è omogeneità delle situazioni comparate.
Si deve allora ritenere che, se il credito per il compenso del lavoro autonomo è assistito da privilegio mobiliare esteso anche alla rivalsa IVA, e ciò vale in particolare nel caso di prestazione di opera continuativa e coordinata, analoga estensione non può non esserci per il credito per le provvigioni maturate, nei confronti del preponente, dal “piccolo” agente, tale per il fatto di svolgere anch’egli una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, pur sotto la veste giuridica del rapporto di agenzia.
È infatti ingiustificato – e costituisce violazione del principio di eguaglianza – che il credito di quest’ultimo per l’attività svolta (per le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione) debba correre il rischio di una possibile falcidia ove il credito per rivalsa IVA, calcolata su tali provvigioni, risulti, di fatto, insoddisfatto in mancanza di un privilegio dello stesso grado di quello che la disposizione censurata riconosce al credito per provvigioni.
In questi limiti, più contenuti rispetto al petitum del giudice rimettente, vanno accolte le sollevate questioni di legittimità costituzionale.
La ritenuta violazione del principio di eguaglianza non è esclusa dalla circostanza che recentemente – come già rilevato – il legislatore abbia innovato la disciplina del recupero dell’IVA su crediti non riscossi nelle procedure concorsuali novellando l’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972.
13.– In conclusione, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate – sia dell’art. 2751-bis, numero 3), cod. civ., sia dell’art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017 – nella parte in cui non prevedono, in favore dell’agente che svolga una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, il privilegio generale mobiliare esteso al credito di rivalsa per l’IVA sulle provvigioni dovute per l’ultimo anno di prestazione.