Corte Costituzionale, sentenza 11 marzo 2022 n. 66
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, in combinato disposto con il comma 684, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», nella parte in cui, per effetto dell’art. 1, comma 815, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), risultano applicabili, «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme, anche alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, il cui ramo d’azienda è stato trasferito ai sensi dell’articolo 3, comma 24, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248»;
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, come interpretato dall’art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019, in combinato disposto con l’art. 1, comma 529, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111, 114, 117, 118 e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Preliminarmente va rilevato che le suddette questioni sono sollevate in tre diversi giudizi vertenti tra le medesime parti e in relazione a disposizioni coincidenti. I giudizi di legittimità costituzionale sono perciò tra loro connessi e vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi con unica pronuncia.
3.– Esaminando partitamente le diverse questioni di legittimità costituzionale sottoposte al vaglio di questa Corte, con riferimento al primo gruppo di esse non sussistono ragioni ostative all’ammissibilità.
Innanzitutto va precisato, infatti, che i rimettenti, correttamente e in modo ampio, hanno dato conto dello ius superveniens (relativo alle ulteriori proroghe del meccanismo “scalare inverso”, basato cioè sull’esame prioritario delle annualità più recenti), motivando anche le ragioni per le quali tali modifiche non incidono ratione temporis sulla rilevanza. Essi hanno specificamente precisato che tale profilo non sarebbe intaccato nemmeno dalla sopravvenuta disciplina dello stralcio automatico fino a mille euro, di cui al censurato art. 4, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, né da quella dell’annullamento dei carichi residui fino a 5.000 euro, di cui all’art. 4, comma 4, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, residuando comunque, nelle annualità oggetto di contestazione, sia carichi di importi superiori a 5.000 euro, sia quote inferiori o pari a euro 300 in annualità dal 2010 al 2014 non interessate dai predetti sgravi.
Inoltre non sono fondate le eccezioni di inammissibilità per omesso tentativo di interpretazione conforme a Costituzione formulate, in due prospettive distinte, dal Comune di Teramo, parte costituita nel giudizio a quo, e dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.
Quanto all’eccezione del Comune, appaiono pienamente valide le ragioni al riguardo addotte dagli stessi rimettenti, secondo i quali il tenore letterale delle disposizioni censurate non lascerebbe spazio a un’interpretazione «che consenta di superare il vincolo temporale ivi stabilito». Non è infatti condivisibile l’esegesi per cui, da un lato, il differimento del termine ultimo per la presentazione della domanda di discarico non impedirebbe all’ente creditore di esercitare il controllo sull’attività del concessionario e, dall’altro, l’esclusione delle quote fino a 300 euro dall’assoggettamento al controllo sarebbe esclusivamente funzionale a esentare da responsabilità amministrativa e contabile l’ente creditore che non lo esercitasse.
Parimenti non fondata è l’eccezione dell’Avvocatura generale secondo cui dall’omesso tentativo di interpretazione conforme discenderebbe una insufficiente motivazione sulla rilevanza.
Non solo l’art. 1, comma 815, più volte citato non consente alternative in merito all’applicabilità alle cosiddette società private “scorporate” (come di seguito meglio illustrato infra al punto 4.1.), ma esso assume uno specifico significato proprio in riferimento alla motivazione della sentenza n. 51 del 2019 e, per l’effetto, alle censure oggi riproposte in relazione alle disposizioni della legge n. 190 del 2014.
4.– La complessità della vicenda rende, in effetti, opportuno ricordare, prima di procedere all’esame del merito, che questa Corte nella sentenza n. 51 del 2019 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale già sollevate dai medesimi rimettenti sull’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della citata legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., per difetto di rilevanza a causa dell’erroneo presupposto interpretativo sui soggetti destinatari della normativa denunciata.
Nelle ordinanze, infatti, si attribuiva «alla SOGET spa la qualità di agente della riscossione del Comune di Teramo, laddove risulta dagli stessi atti dei giudizi, anche di costituzionalità, che tale società è, invece, una cessionaria del ramo di azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali», cioè una “società privata scorporata”.
Si era quindi ritenuto che la società non potesse annoverarsi tra gli «agenti della riscossione», cui unicamente e univocamente il legislatore aveva inteso riferire la disciplina censurata.
A ciò la sentenza perveniva dopo un’ampia ricostruzione dell’evoluzione del complesso quadro normativo, avallata anche da argomenti di carattere sistematico, basati sulla distinzione tra «proroghe “generiche”, in quanto riguardanti tutti i concessionari della riscossione, e proroghe “specifiche” che hanno invece riguardato solo i soggetti “pubblici” della riscossione (cioè i soggetti a partecipazione pubblica ai sensi del comma 7 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005)».
Dopo averne illustrato le specifiche rationes e cadenze temporali, questa Corte giungeva infatti alla conclusione che «una disciplina di straordinaria eccezionalità come quella introdotta con l’art. 1, commi da 682 a 689, della legge n. 190 del 2014 può trovare applicazione […] solo relativamente a quelle fattispecie ricomprese nelle proroghe “specifiche” disposte dal comma 12 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, per le quali i termini risultavano ancora pendenti alla data di entrata in vigore della riforma», «con conseguente irragionevolezza di una interpretazione che, a dispetto del tenore letterale, la estendesse alle suddette società private “scorporate”».
Questo in quanto, da un lato, tale disciplina è stata «introdotta nell’intento di rispondere a particolari ed eccezionali esigenze derivanti esclusivamente dall’istituzione di agenti “pubblici” della riscossione» e connesse all’«ingresso, disposto a suo tempo ex lege, dei soggetti “pubblici” nell’attività di riscossione degli enti territoriali, chiamati anche a supplire, più o meno obtorto collo, alle disfunzioni nell’attività di riscossione risalenti alle precedenti gestioni private».
E, dall’altro, perché «i termini per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità da parte della società private “scorporate”, in relazione ai ruoli a queste consegnati dall’ente creditore, erano rimasti fissati dall’ultima proroga “generica” […]»; per cui «l’estensione del nuovo meccanismo “scalare inverso” anche alle società private “scorporate” sortirebbe, perciò, l’inammissibile effetto di riaprire termini ormai scaduti da molti anni (fattispecie che non si verifica per i ruoli affidati ai soggetti del sistema “pubblico” della riscossione), prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini per il controllo da parte degli enti creditori» (ancora, sentenza n. 51 del 2019).
4.1.– A meno di un anno dalla pubblicazione della suddetta sentenza, tuttavia, il comma 815 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 ha disposto che «[i] contenuti delle norme vigenti riferite agli agenti della riscossione si intendono applicabili, sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme, anche alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, il cui ramo d’azienda è stato trasferito ai sensi dell’articolo 3, comma 24, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248», cioè alle cosiddette società private “scorporate”.
È in forza di questa nuova disposizione che i giudici a quibus tornano sostanzialmente a sottoporre, in riferimento ai medesimi parametri e motivazioni, a questa Corte le questioni di legittimità, già sollevate nella precedente occasione, sulle norme relative alle comunicazioni delle quote inesigibili secondo un meccanismo “scalare inverso” e al non assoggettamento a controllo delle quote fino a 300 euro. Le questioni tuttavia vengono ora orientate non più su tali norme di per sé considerate, ma sull’estensione retroattiva – prodotta per effetto dell’art. 1, comma 815, prima richiamato – di queste ultime alle società private “scorporate”.
Più precisamente, secondo i giudici a quibus, i censurati periodi dei commi 687 e 688 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, in combinato disposto con il precedente comma 684, «come interpretati autenticamente dall’art. 1, comma 815, della legge 27 dicembre 2019, n. 160» ovverosia «con effetto anche per le società private “scorporate”», lederebbero, in particolare, l’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza. E infatti, per le «ragioni di ordine sistematico» ritraibili dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 51 del 2019, sarebbe irragionevole l’«opzione interpretativa» che conseguirebbe «alla scelta legislativa di aver esteso (ab origine, o comunque con interpretazione autentica) il meccanismo dello “scalare inverso” anche alle società private “scorporate”, ‘prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini per il controllo da parte degli enti creditori’».
In questi termini deve essere quindi circoscritto il petitum dei rimettenti, che, del resto, solo in virtù della suddetta novella normativa, possono tornare fondatamente a sostenere, rispetto al dato normativo precedentemente considerato da questa Corte nella sentenza n. 51 del 2019, la rilevanza delle questioni.
Di questa delimitazione è riprova il fatto che i rimettenti si premurano di precisare che queste specifiche questioni sono sollevate avendo «riguardo alle sole disposizioni che, effettivamente, assumono concreta ed attuale rilevanza nell’ambito del presente giudizio».
4.2.– Le questioni sono fondate in riferimento all’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza, con assorbimento di tutti gli altri profili.
L’art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019 riecheggia la terminologia dell’originaria formulazione del comma 28 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, come convertito, che disponeva che «[a] decorrere dal 1° ottobre 2006», data di soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione, «i riferimenti contenuti in norme vigenti ai concessionari del servizio nazionale della riscossione si intendono riferiti alla Riscossione S.p.a. ed alle società dalla stessa partecipate […]».
Tale formulazione ha consentito di applicare, dal 1° ottobre 2006, alla Riscossione spa e alle società dalla stessa partecipate tutti i riferimenti normativi delle previgenti disposizioni relativi ai concessionari nazionali della riscossione.
Il comma 815 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, seppure in forma poco cristallina, appare quindi diretto a estendere “ora per allora” anche alle società “scorporate” la qualificazione di agenti della riscossione in senso stretto, in riferimento agli adempimenti cui tali società erano tenute.
In tale prospettiva, per quanto qui rileva, l’esplicita precisazione nella disposizione «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme» ha la puntuale funzione di saldare la sorte dei controlli delle quote delle società scorporate a quella dell’agente della riscossione, neutralizzando così la fondamentale distinzione tra proroghe “generiche” e proroghe “specifiche” invece evidenziata come elemento caratterizzante lo sviluppo dell’ordinamento da questa Corte nella ricordata sentenza n. 51 del 2019.
4.3.– Questo effetto viene prodotto da una disposizione che non si autoqualifica espressamente come di interpretazione autentica, ma che evoca senz’altro una formula tipica («si intendono applicabili») di siffatte leggi, al punto da indurre i rimettenti a qualificarla tale. Tuttavia, al contempo, la medesima disposizione, a dispetto del naturale effetto retroattivo dell’interpretazione autentica, si premura di assicurare tale efficacia attraverso un’esplicita previsione: «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme».
Si tratta di ambiguità che possono però essere sciolte considerando che tale disposizione è stata emanata non solo in mancanza di un contrasto giurisprudenziale o di dubbi manifestati dalla dottrina, ma proprio a ridosso della più volte citata sentenza n. 51 del 2019, la quale, come si è sopra riportato, aveva in radice escluso la possibilità di ricavare dall’ordinamento allora in vigore un’interpretazione che estendesse il «nuovo meccanismo “scalare inverso” anche alle società private “scorporate”».
In particolare, in tale pronuncia, dalla richiamata distinzione tra proroghe “generiche” (riguardanti tutti i concessionari della riscossione) dei termini per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità e proroghe “specifiche” (riguardanti solo i soggetti “pubblici” della riscossione), nonché dalla constatazione che solo per le prime si è verificata una soluzione di continuità, si è tratta la necessaria conclusione che non rientra tra i possibili significati attribuibili alla littera legis l’applicabilità alle società “scorporate” delle norme che avevano introdotto il nuovo meccanismo “scalare inverso”.
Il citato comma 815, pertanto, nonostante l’espressione utilizzata («[i] contenuti delle norme vigenti riferite agli agenti della riscossione si intendono applicabili»), assume senz’altro il carattere di una norma dalla natura innovativa e dall’efficacia retroattiva, poiché “impone” una scelta che non è ascrivibile in alcun modo alle possibili varianti di senso delle norme che hanno introdotto il meccanismo “scalare inverso”.
4.4.– Una volta precisata la natura innovativa della suddetta disposizione, va accertato se la prevista «retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza […] e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 39 del 2021).
Procedendo quindi nello scrutinio di costituzionalità, va rilevato che l’equivoco utilizzo della terminologia tipica delle leggi di interpretazione autentica, sebbene non sfociato in un’autoqualificazione, porta in ogni caso a identificare, quanto alla retroattività del novum introdotto dal suddetto comma 815, un primo indice di irragionevolezza (ex plurimis sentenza n. 39 del 2021), che però concorre con quelli, ben più decisivi, che vengono alla luce considerando la precipua genesi del meccanismo “scalare inverso”.
Del resto già nella sentenza di questa Corte n. 51 del 2019 si era rilevato che il menzionato meccanismo, infatti, era stato introdotto nello specifico intento di rispondere a particolari ed eccezionali esigenze riferibili solo ed esclusivamente agli agenti “pubblici” della riscossione e per i quali i termini per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità erano, al momento della sua entrata in vigore, ancora aperti, a differenza di quelli riferibili alle società private “scorporate”, che erano, invece, ormai scaduti.
Nella medesima sentenza si era altresì rimarcato che l’estensione del nuovo meccanismo “scalare inverso” anche alle società private “scorporate” «sortirebbe […] l’inammissibile effetto di riaprire termini ormai scaduti da molti anni (fattispecie che non si verifica per i ruoli affidati ai soggetti del sistema “pubblico” della riscossione), prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini per il controllo da parte degli enti creditori».
Non è dato, perciò, rinvenire alcuna ragionevole giustificazione della disposizione censurata, che inoltre, rispetto alla «linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore» (sentenza n. 39 del 2021), si presenta, anzi, irrimediabilmente contraddittoria, nonché inidonea a radicare alcun affidamento tutelabile.
Il citato art. 1, comma 815, nella misura in cui si salda alle disposizioni che disciplinano il meccanismo “scalare inverso” ampliandone retroattivamente la portata, non supera pertanto, per tutte queste ragioni, il controllo di ragionevolezza.
Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., con assorbimento delle ulteriori censure, dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, in combinato disposto con il comma 684, della legge n. 190 del 2014, nella parte in cui, per effetto dell’art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019, risultano applicabili «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme, anche alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, il cui ramo d’azienda è stato trasferito ai sensi dell’articolo 3, comma 24, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248».
5.– Le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate hanno ad oggetto l’art. 4 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in relazione all’«art. 6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE»), 114, 117, 118 e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost. «nella parte in cui prevede anche agli effetti dei rapporti pendenti tra enti territoriali e società private “scorporate” (ex art. 1, comma 815, della legge 27 dicembre 2019, n. 160)», l’automatico annullamento dei debiti di importo residuo fino a mille euro, stabilendo altresì, mediante rinvio all’art. 1, comma 529, della legge n. 228 del 2012, l’inapplicabilità delle procedure di invio delle comunicazioni di inesigibilità e del relativo controllo e, fatti salvi i casi di dolo, l’improcedibilità del giudizio di responsabilità amministrativo e contabile.
5.1.– Le questioni sono inammissibili per plurimi motivi.
Innanzitutto sono state sollevate senza prendere una chiara posizione sulla portata normativa del combinato disposto dell’art. 4 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e dell’art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019. Infatti i rimettenti non sciolgono le alternative tesi sull’ambito di estensione da attribuire al citato art. 1, comma 815, ovvero se sia necessario seguire una «interpretazione restrittiva», limitata ai soli carichi affidati ante scorporo (incentrata su una equiparazione di carattere oggettivo, che pone al centro i ruoli), oppure un’esegesi più ampia (incentrata su una equiparazione di carattere soggettivo) per cui sarebbero interessati tutti i carichi affidati tra il 2000 e il 2010 e quindi, «in linea di principio», «anche i carichi affidati successivamente allo scorporo».
In tal modo, non risulta adeguatamente circoscritto «il thema decidendum del giudizio incidentale» (sentenza n. 168 del 2020).
Inoltre i rimettenti non hanno chiarito se l’oggetto delle loro censure sia, per effetto del menzionato art. 1, comma 815, il citato art. 4 nella sua interezza (ovvero il meccanismo dello stralcio automatico delle cartelle fino a mille euro, in sé considerato) o piuttosto il suddetto art. 4 solo nella parte in cui è applicabile anche alle società scorporate.
La prima ipotesi trova riscontro in diversi passaggi delle ordinanze, in cui, dopo aver considerato il menzionato art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019 al fine di motivare la rilevanza, esse rivolgono in realtà le loro doglianze alla disciplina dello stralcio in quanto tale.
Ciò si verifica in particolare nelle censure formulate «in aggiunta» (rispetto a quelle individuate per rinvio ai parametri della prima questione) in riferimento agli artt. 114, 117 e 118 Cost. per «lesione dell’autonomia – anche finanziaria – dell’ente locale interessato, il quale si vede annullare con legge statale, in via di straordinaria urgenza e necessità, crediti “residui” per un ingente valore complessivo […]». Nello stesso senso conducono i lamentati vulnera agli artt. 3, 24 e 53 Cost. tutti finalizzati a denunciare l’illegittimità costituzionale dello stralcio in sé, anche quindi in riferimento al sistema pubblico di riscossione.
La seconda ipotesi trova invece riscontro nel richiamo alla più volte citata sentenza n. 51 del 2019 che, «nel ricostruire minuziosamente e sistematicamente il quadro normativo stratificatosi nel corso del tempo, aveva tenuto ben distinta […] la posizione delle società pubbliche (subentrate agli ex concessionari) rispetto alla posizione delle società private “scorporate” operanti per gli enti territoriali».
Ne segue il carattere ancipite delle questioni, perché i rimettenti non si sono limitati a una presentazione sequenziale della medesima questione, ma hanno chiesto a questa Corte due diversi interventi, in rapporto di alternatività irrisolta (ex plurimis sentenze n. 152 e n. 95 del 2020), il che impedisce di identificare il verso delle censure, ridondando nella loro inammissibilità anche sotto questo profilo.
5.2.– Resta però fermo che, nel nuovo contesto della riforma del sistema della riscossione pubblica, inaugurata nel segno di una maggiore efficienza, anche a seguito del monito contenuto nella sentenza n. 120 del 2021 di questa Corte, dall’art. 1, commi da 14 a 23, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), dovranno essere evitati interventi di “rottamazione” o “stralcio” contrari al valore costituzionale del dovere tributario e tali da recare pregiudizio al sistema dei diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione (sentenza n. 288 del 2019).