Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 24 luglio 2024, n. 6687
PRINCIPIO DI DIRITTO
Le controversie concernenti “indennità, canoni ed altri corrispettivi” riservate alla giurisdizione dell’A.G.O. sono solo quelle a contenuto meramente patrimoniale, nelle quali cioè non assume rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione “a tutela di interessi generali”, mentre resta attratta alla giurisdizione del giudice amministrativo la lite che coinvolga l’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, venendo in rilievo provvedimenti autoritativi di questa e dei quali si chieda in via principale la valutazione al giudice adito per la disapplicazione o l’annullamento (Cass., Sez. un., ord. 17 giugno 2010, n. 14614) ovvero investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del dovuto e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali, sia sull’an che sul quantum.
Scaduta la concessione demaniale, il concessionario che rimanga nella detenzione del bene è un occupante abusivo: il mancato spossessamento o la mancata diffida a restituire il bene come pure l’eventuale riscossione dei canoni non comportano, infatti, un rinnovo tacito della concessione, essendo necessario un espresso atto formale di concessione.
La demanialità è indisponibile e non si può rinunciare ad essa in via di fatto: il mancato rinnovo della concessione demaniale e la mancanza di un provvedimento di sgombero non implicano sdemanializzazione implicita. Scaduta la concessione demaniale, il concessionario che rimanga nella detenzione del bene è un mero occupante abusivo: il mancato spossessamento non comporta, infatti, un rinnovo tacito della concessione; né successivamente l’Amministrazione ha l’obbligo di motivare la sua decisione di recuperare il possesso dell’immobile.
Le controversie aventi ad oggetto la debenza dell’indennizzo a titolo di occupazione abusiva di un’area demaniale rientrano nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario, in quanto riferite ai rispettivi diritti soggettivi delle parti nell’ambito di un rapporto paritetico.
Spetta al giudice ordinario la cognizione relativa al provvedimento con il quale venga chiesto il pagamento dell’indennizzo per l’omessa restituzione di un immobile demaniale, stante la natura privatistica del rapporto dedotto in giudizio che non coinvolge la verifica dell’azione autoritativa dell’amministrazione sul rapporto concessorio sottostante o l’esercizio di poteri discrezionali nella determinazione delle indennità o canoni stessi.
L’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Preliminarmente il Collegio deve esaminare l’appello incidentale proposto dall’Agenzia del Demanio, con il quale è stata richiesta la riforma della sentenza impugnata in ragione dell’integrale insussistenza della giurisdizione amministrativa, vertendo la controversia esclusivamente su questioni patrimoniali, inerenti alla contestata determinazione dei canoni dovuti per l’utilizzazione dell’area demaniale in questione, non integrante l’esercizio di alcun potere discrezionale da parte dell’Amministrazione.
1.1. L’appello incidentale è infondato.
1.2. Come chiarito reiteratamente dalla Corte di cassazione (cfr., ex multis, ord. n. 4803 del 2020) «la giurisprudenza di queste Sezioni Unite è consolidata nel senso che, in materia di concessioni demaniali, le controversie concernenti “indennità, canoni ed altri corrispettivi” riservate alla giurisdizione dell’A.G.O. sono solo quelle a contenuto meramente patrimoniale, nelle quali cioè non assume rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione “a tutela di interessi generali”, mentre resta attratta alla giurisdizione del giudice amministrativo la lite che coinvolga l’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, venendo in rilievo provvedimenti autoritativi di questa e dei quali si chieda in via principale la valutazione al giudice adito per la disapplicazione o l’annullamento (Cass., Sez. un., ord. 17 giugno 2010, n. 14614) ovvero investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del dovuto e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali, sia sull’an che sul quantum (così, tra molte: Cass., Sez. un., 24 giugno 2011, n. 13903; Cass., Sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20939; Cass., Sez. un., 25 novembre 2011, n. 24902; Cass., Sez. un., 19 giugno 2014, n. 13940)».
Nella fattispecie, le contestazioni formulate dalla società involgono anche la qualità dei beni insistenti sull’area demaniale, sia in relazione all’incameramento delle superfici in esito al sopralluogo espletato nel 2008 sia quanto alla consistenza effettiva delle superfici aventi destinazione commerciale, con deduzioni che ineriscono alla definizione della natura giuridica del rapporto concessorio, da cui poi discende, quale conseguenza, l’imputazione degli oneri e la loro misura, secondo le vigenti disposizioni normative.
Venendo, dunque, in rilievo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’economia dell’intero rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio potere-interesse (v. Cass. nn. 411 del 2007, 22661 del 2006).
- Il Collegio può, dunque, procedere all’esame dell’appello principale, anch’esso infondato, per le ragioni di seguito esposte, dovendo la sentenza impugnata essere confermata, sia pure con alcune integrazioni della relativa motivazione.
- Con il primo motivo di ricorso è stata censurata l’erroneità della sentenza impugnata in quanto il potere di autotutela esercitato dall’amministrazione con il ritiro dei precedenti ordini di introito e la conseguente richiesta del pagamento degli importi dovuti a titolo di occupazione abusiva dell’area demaniale, si porrebbe in contrasto con l’art. 21-nonies, comma 1 della l. n. 241 del 1990, che fissa un termine perentorio per provvedere, dovendosi escludere, contrariamente a quanto argomentato dal primo giudice, la configurabilità di false rappresentazione dei fatti ovvero delle altre circostanze previste dal comma 2-bis della medesima disposizione, derogatorie dell’operatività del predetto termine.
3.1. In disparte ulteriori considerazioni, ai fini del rigetto della censura risulta dirimente in rilievo che gli atti ritirati dall’amministrazione si sostanziano nelle richieste di pagamento dei canoni concessori e degli altri importi correlati al relativo rapporto, sicché non rientrano tra i provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici, con la conseguenza che deve escludersi l’applicazione del limite temporale di diciotto mesi (ridotto a dodici con le modifiche introdotte con la legge 20 luglio 2021, n. 108) previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
- Dalla documentazione versata in atti emerge che la concessione demaniale rilasciata nel 2002 è scaduta in data 31 dicembre 2007.
4.1. A prescindere dalle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione relativa al procedimento penale avviato nei confronti dell’appellante, tenuto conto anche la tendenziale autonomia del giudizio penale e di quello amministrativo (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, n. 10337 del 2023), il Collegio deve rilevare che, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante principale, a decorrere dal 2008 non è intervenuta alcuna proroga della concessione in questione.
4.2. Deve evidenziarsi, infatti, che, come chiaramente emerge dalla delibera della Giunta comunale n.-OMISSIS- (prodotta agli atti del giudizio di primo grado dalla stessa società in data 13 luglio 2022, all. n. 28), l’amministrazione ha escluso qualsivoglia automatismo, stabilendo, per le ragioni ivi esplicitate, “il rilascio di singole concessioni esclusivamente per la sola stagione 2008 con scadenza inderogabile al 31 dicembre 2008”, con la specificazione del previo “riscontro” da parte della competente articolazione dell’ente, “della corrispondenza dei requisiti minimi richiesti, nonché della idoneità anche sotto il profilo soggettivo in termini di continuità”.
4.3. L’appellante non ha prodotto in giudizio alcun titolo concessorio successivo a quello che ha esaurito la propria efficacia il 31 dicembre 2007, con la conseguenza che a decorrere da tale data il rapporto concessorio non poteva più ritenersi in essere, dovendosi, dunque, escludere l’operatività delle proroghe ex lege intervenute successivamente, inclusa quella prevista dalla l. n. 118 del 2022.
4.4. A quanto esposto deve, altresì, soggiungersi che, come chiarito dall’univoca giurisprudenza, scaduta la concessione demaniale, il concessionario che rimanga nella detenzione del bene è un occupante abusivo: il mancato spossessamento o la mancata diffida a restituire il bene come pure l’eventuale riscossione dei canoni non comportano, infatti, un rinnovo tacito della concessione, essendo necessario un espresso atto formale di concessione (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 3 giugno 2020, n. 3467, ove viene evidenziato che non è “configurabile un diritto di insistenza del concessionario uscente, privo di base legale e, in ogni caso, in contrasto con i principi generali di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento di derivazione europea”); né successivamente l’amministrazione ha l’obbligo di motivare la sua decisione di recuperare il possesso dell’immobile (cfr., Cons. St., Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1566, secondo cui: “La demanialità è indisponibile e non si può rinunciare ad essa in via di fatto: il mancato rinnovo della concessione demaniale e la mancanza di un provvedimento di sgombero non implicano sdemanializzazione implicita. Scaduta la concessione demaniale, il concessionario che rimanga nella detenzione del bene è un mero occupante abusivo: il mancato spossessamento non comporta, infatti, un rinnovo tacito della concessione; né successivamente l’Amministrazione ha l’obbligo di motivare la sua decisione di recuperare il possesso dell’immobile“). 4.5. Deriva da quanto argomentato, inoltre, che alla luce della cessazione del rapporto concessorio nella data del 31 dicembre 2007, risulta del tutto ininfluente che all’epoca – secondo quanto sostenuto dall’appellante –, la direttiva 2006/123/CE non fosse ancora in vigore, non potendosi revocare in discussione l’esclusione di qualsivoglia ultrattività di una concessione ormai scaduta.
4.6. Ed è appena il caso di soggiungere che, in assenza di un valido titolo concessorio, l’occupazione resta connotata da abusività, non essendo neppure configurabile in capo alla società un affidamento meritevole di tutela a fronte di una situazione di contrasto alla disciplina legale di riferimento.
- Si evidenzia, inoltre, che, come correttamente affermato nella sentenza appellata con argomentazioni condivise dal Collegio e rimaste insuperate, l’amministrazione comunale, a seguito della rilevata occupazione sine titulo dell’area demaniale ha proceduto all’adozione dell’atto impugnato, non rivestendo l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela portata invalidante, posto che la determinazione non avrebbe potuto comunque essere diversa da quella in concreto assunta.
- Del pari correttamente, il primo giudice ha rilevato che le controversie aventi ad oggetto la debenza dell’indennizzo a titolo di occupazione abusiva di un’area demaniale rientrano nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario, in quanto riferite ai rispettivi diritti soggettivi delle parti nell’ambito di un rapporto paritetico (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 15 giugno 2018, n. 196; T.A.R. Marche, 23 gennaio 2017, n. 55; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 8 ottobre 2013, n. 623; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2948).
In particolare, con riguardo ad una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, la giurisprudenza ha affermato che spetta al giudice ordinario la cognizione relativa al provvedimento con il quale venga chiesto il pagamento dell’indennizzo per l’omessa restituzione di un immobile demaniale, stante la natura privatistica del rapporto dedotto in giudizio che non coinvolge la verifica dell’azione autoritativa dell’amministrazione sul rapporto concessorio sottostante o l’esercizio di poteri discrezionali nella determinazione delle indennità o canoni stessi (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 15 maggio 2017, n. 11988).
- Le argomentazioni che precedono rivestono valenza assorbente, con conseguente esclusione dello scrutinio delle deduzioni articolate con il ricorso originario e con i primi sei motivi aggiunti del giudizio di primo grado, riproposte, peraltro, dall’appellante principale solo subordinatamente all’accoglimento delle censure sopra esaminate (pag. 16, punto 141 dell’atto introduttivo del giudizio di appello).
- E’, dunque, esclusivamente per completezza, che si osserva che, con argomentazioni condivise dal Collegio, il primo giudice ha escluso la pertinenza rispetto alla fattispecie oggetto del giudizio – incentrata sulla pretesa dell’amministrazione alla corresponsione da parte dell’appellante degli importi dovuti a titolo di occupazione sine titulo dell’area demaniale e sulla relativa quantificazione –, dei dubbi di conformità unionale dell’art. 49 cod. nav., oggetto dell’ordinanza di questa Sezione n. 8010 del 15 settembre 2022, di rimessione alla Corte di Giustizia.
Al riguardo, sempre per completezza, si rileva che i verbali di consistenza del 1982 e quello del 2008 non constano aver costituito oggetto di alcuna tempestiva contestazione.
Inoltre, con sentenza dell’11 luglio 2024, causa C-598/22, la Corte di Giustizia ha concluso nel senso che l’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che «esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione».
- In conclusione, per le ragioni sopra esposte, sia l’appello principale sia quello incidentale vanno respinti in quanto infondati, con integrale conferma della sentenza appellata, esaurendo le questioni sopra vagliate la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c..
- L’esito complessivo del giudizio e le peculiarità della fattispecie, come emergenti dalla documentazione in atti, giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.