Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 16 settembre 2021 n. 25039
PRINCIPIO DI DIRITTO
Le prescrizioni che, in sede di VIA, finalizzata al rilascio di concessione di derivazione di acque ad uso irriguo, impongano, in caso di rilevato superamento dei limiti di concentrazione, di adottare tecniche di rimozione degli inquinanti e di attivare procedure di abbattimento dei contaminanti, anche laddove esse si rivelino solo, successivamente, in caso di rilevato superamento, necessarie al ripristino delle concentrazioni soglia di contaminazione, non possono avere come destinatario il concessionario richiedente, poiché, in quanto implicanti misure di riparazione primaria, debbono far carico unicamente al responsabile della contaminazione, ove individuato, in forza del principio “chi inquina paga”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente Consorzio denuncia «[v]iolazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, c. 1, n. 3), in relazione agli artt. 26 e 28 D. Lgs. n. 152/2006 (TU Ambiente) sulle condizioni per l’esercizio della derivazione idrica ad uso irriguo e sugli obblighi di nnonitoraggio», lamentando l’illegittimità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha affermato che le prescrizioni adottate nell’ambito della VIA per il rilascio del decreto concessorio, inerenti all’attività di monitoraggio della qualità delle acque di falda contaminate da fattori inquinanti provenienti da terzi, costituendo misure in sé giustificate dall’esigenza di tutelare la salute pubblica, legittimamente si pongono come obblighi cedenti a carico del Consorzio, che deriva le acque non per sua colpa contaminate.
- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia «[v]iolazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, c. 1, n. 3), in relazione agli artt. 3-ter, 239, 242 e 245 D. Lgs. n. 152/2006 (TU Ambiente) sui principi dell’azione ambientale, sulle procedure e sugli obblighi in materia di bonifica dei siti inquinati, nonché in relazione al principio comunitario “chi inquina paga” (art. 9 Direttiva “Acque” 2000/60/CE e art. 191 TFUE». Assume il Consorzio che l’affermazione del TSAP – secondo cui le prescrizioni adottate, in quanto aventi finalità cautelare, intesa ad evitare di compromettere la salute e l’incolumità della fauna e delle persone, nulla hanno a che vedere con la bonifica del sito, già accollata all’azienda farmaceutica – collide tanto con la prescrizione diretta all’adozione di tecniche di riduzione degli inquinanti, concordate con ARPA, fino al rispetto dei limiti, in caso di accertato superamento delle concentrazioni di carbamazepina e dimetridazolo indicate dall’ISS, quanto con l’obbligo di attivazione di procedure di abbattimento dei contaminanti, prima di riprendere l’utilizzo a scopo irriguo, ponendosi in contrasto con il principio di matrice eurounitaria “chi inquina paga”, che avrebbe dovuto portare ad individuare nell’azienda farmaceutica la destinataria di detti obblighi, o, in subordine, la Regione Lombardia quale proprietaria degli impianti.
- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta «[o]messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, c.1, n. 5) in relazione all’impugnazione del decreto di concessione, nella parte in cui prescrive l’obbligo, per il Consorzio, di “adottare tecniche di rimozione degli inquinanti, concordate con ARPA” e di “attivare procedure di abbattimento dei contaminanti, prima di riprendere l’utilizzo a scopo irriguo, fino a mostrarne il rispetto dei limiti”», lamentando che la decisione del TSAP non faccia in realtà minima menzione dell’obbligo di rimozione e di abbattimento delle concentrazioni di inquinanti, che integrano, in termini oggettivi, interventi di bonifica. Ciò, secondo il ricorrente, evidenzia altresì il carattere perplesso della motivazione, laddove la decisione impugnata afferma che non vi sia violazione del principio “chi inquina paga”, perché, se il convincimento del TSAP era nel senso di dover escludere qualsiasi obbligo di bonifica a carico del Consorzio, avrebbe dovuto accogliere il ricorso almeno nella parte in cui censurava le prescrizioni imposte di «adottare tecniche di riduzione degli inquinanti, concordate con ARPA» e di «attivare procedure di abbattimento dei contaminanti, prima di riprendere l’utilizzo a scopo irriguo, fino a mostrarne il rispetto dei limiti».
- Infine, con il quarto ed ultimo motivo, il Consorzio lamenta «[v]iolazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, c. 1, n. 3) in relazione all’art. 119 D. Lgs. n. 152/2006 (TU Ambiente) sul carattere onnicomprensivo dei canoni concessori anche in ordine ai costi ambientali», rilevando che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che non fossero stati accollati al Consorzio concessionario ricorrente i costi di bonifica, omettendo di considerare l’incidenza dei costi, gravanti sul Consorzio, relativi agli obblighi di controllo e d’intervento in caso di superamento delle concentrazioni dei fattori inquinanti ai fini del loro abbattimento e rimozione, finisce obiettivamente col porsi in contrasto con la norma di cui in rubrica, laddove stabilisce che i canoni di concessione per le derivazioni delle acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali.
- Il primo motivo è inammissibile o comunque infondato.
5.1. Premesso che il provvedimento di VIA è sempre integrato nel titolo abilitativo alla realizzazione dei progetti sottoposti a VIA, che ne recepisce le eventuali condizioni ambientali (art. 26 del d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152), stabilendo, tra l’altro, il successivo articolo 28 (Monitoraggio) del citato decreto che il proponente è tenuto a ottemperare alle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o nel provvedimento di VIA, va osservato che la sentenza impugnata, dopo aver esposto i fatti a monte del procedimento amministrativo in oggetto, ha tenuto, in parte qua, sufficientemente distinti il procedimento e le prescrizioni relativi al sito contaminato dai fattori contaminanti provenienti dall’azienda farmaceutica, conclusosi con D.d.u.o. 7 settembre 2007 (essendo erroneamente indicato in sentenza l’anno come 2009) n. 9725 d’approvazione del progetto di bonifica ambientale a carico della società farmaceutica, riguardanti una vicenda sostanzialmente definita, dalle prescrizioni, rivolte al futuro, riguardanti l’esercizio in concreto della derivazione d’acqua per uso irriguo.
5.2. Essendo l’attività del Consorzio concessionario, in virtù dell’assentita derivazione, diretta all’approvvigionamento dei campi coltivati a foraggio per il bestiame, l’obbligo di monitoraggio della qualità delle acque per la verifica del non superamento dei limiti di concentrazione delle sostanze inquinanti è strumentale, come rilevato correttamente dalla sentenza impugnata, a preservare la salute e della fauna nutrita dagli anzidetti foraggi e del consumatore finale, l’uomo, nella relativa catena alimentare.
5.3. Deve escludersi pertanto che la sentenza impugnata sia incorsa nella denunciata violazione di norme di diritto, essendo piuttosto il motivo diretto, sub specie della dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto, a sollecitare alla Corte una rivalutazione dei fatti storici in difformità da quella operata dal giudice di merito, ciò che, come è noto, è precluso in questa sede (cfr., ex multis, Cass., SU, 27 dicembre 2019, n. 34776; Cass. sez. 1, ord. 4 marzo 2021, n. 5987).
- Il secondo motivo è, invece, fondato.
6.1. Giova definire, nei suo tratti essenziali, il quadro delle norme (si veda supra, par. 2) indicate nella rubrica della censura in esame. Viene in primo luogo in rilievo nella fattispecie in esame il disposto dell’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Acque), ai sensi del quale «[g]li Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’allegato III e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga”», di cui all’art. 191, paragrafo 2, TFUE. Detto principio ha trovato dunque attuazione, attraverso successive modifiche normative, volte all’adeguamento, a seguito di duplice procedura d’infrazione, della disciplina nazionale a quella europea di riferimento, in conseguenza dell’entrata in vigore della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, nell’ambito del succitato d. Igs. n. 152/2006, affinché venisse definitivamente chiarito che in tema di danno ambientale il principio cardine è quello della riparazione in forma specifica.
6.2. Richiamato, dunque, dall’art. 3 – ter del d. Igs. n. 152/006, il principio “chi inquina paga”, tra i principi basilari in tema di tutela dell’ambiente, unitamente ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente, sul piano procedimentale – con specifico riferimento agli interventi di bonifica e ripristino di siti contaminati – il medesimo principio “chi inquina paga” è ribadito dall’art. 239, primo comma, del citato d. Igs. n. 152/2006, disciplinando quindi rispettivamente l’art. 242 di detto decreto gli obblighi del responsabile della contaminazione e riferendosi invece l’art. 245 agli obblighi d’intervento e notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale.
In particolare, l’art. 245, secondo comma, nel fare espressamente salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione, di cui all’art. 242, impone al proprietario o gestore dell’area che rilevi il superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), di darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti, attuando le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242.
6.3. Così ricostruito nei suoi tratti essenziali il quadro normativo di riferimento, se, tra i compiti specificamente attribuibili al Consorzio quale titolare della concessione di derivazione di acque ad uso irriguo, legittimamente, nell’ambito dell’attività di prevenzione, possono attribuirsi le attività, con i correlativi costi, di monitoraggio della qualità delle acque nonché di attivazione della procedura di sospensione della captazione, ove fosse rilevato il superamento della CSC, deve escludersi che allo stesso, in quanto sicuramente non responsabile del potenziale inquinamento, possa prescriversi, come invece fatto dalla Regione Lombardia nel provvedimento impugnato, «di adottare tecniche di rimozione dei fattori inquinanti».
6.4. Si tratta, infatti, d’interventi di riparazione primaria (cfr. Cass. sez. 3, 6 maggio 2015, n. 9012; Cass. sez. 3, 13 maggio 2015, n. 16806), in relazione alla relativa definizione contenuta nell’allegato II alla citata direttiva 2004/35/CE, che, con specifico riferimento alla riparazione ambientale, per quanto qui rileva, in relazione all’acqua, si identificano in qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle o verso le condizioni originarie. Riportare, pertanto, nel caso di specie, la risorsa idrica compromessa dai fattori inquinanti alle condizioni originarie, implica necessariamente attività di bonifica, cui, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE 4 marzo 2015, n. 534, causa C-534/13), deve essere tenuto soltanto il responsabile della contaminazione, in forza del nesso di causalità tra l’attività dell’operatore ed il danno ambientale.
6.5. La sentenza impugnata – sul presupposto che una pregressa attività di bonifica era stata già realizzata, e conclusa, nell’ambito del procedimento amministrativo definito dal succitato decreto n. 9725 del 2007, con relativi costi a carico, dall’azienda farmaceutica, che lo stesso TSAP individua come unico potenziale agente inquinante, anche per il futuro, in relazione alla vicinanza del sito aziendale ed alla qualità delle sostanze chimiche sopra indicate – ha escluso nella fattispecie in esame la violazione del principio “chi inquina paga”, assumendo non gravare affatto in capo al Consorzio i costi di bonifica, «ivi compresi quelli che si dovessero manifestare, in epoca successiva al rilascio della concessione, nelle acque derivate (in ipotesi ancora) contaminate dai fattori inquinanti» provenienti dall’azienda farmaceutica, odierna controricorrente.
6.6. Con tale affermazione la sentenza impugnata non risulta, dunque, avere fatto corretta applicazione del concetto di bonifica ambientale di derivazione eurounitaria, nei termini innanzi delineati, dovendosi affermare pertanto il seguente principio di diritto: «Le prescrizioni che, in sede di VIA, finalizzata al rilascio di concessione di derivazione di acque ad uso irriguo, impongano, in caso di rilevato superamento dei limiti di concentrazione, di adottare tecniche di rimozione degli inquinanti e di attivare procedure di abbattimento dei contaminanti, anche laddove esse si rivelino solo, successivamente, in caso di rilevato superamento, necessarie al ripristino delle concentrazioni soglia di contaminazione, non possono avere come destinatario il concessionario richiedente, poiché, in quanto implicanti misure di riparazione primaria, debbono far carico unicamente al responsabile della contaminazione, ove individuato, in forza del principio “chi inquina paga”».
- Il terzo motivo resta per l’effetto assorbito. 8. Il quarto motivo è invece inammissibile, per carenza di specificità della censura, non avendo il ricorrente chiarito, in alcun modo, struttura ed entità del canone, segnatamente, per quanto qui rileva, in relazione all’incidenza sugli oneri di concessione delle prescrizioni imposte riguardanti gli interventi futuri di adozione delle tecniche di rimozione dei fattori inquinanti, in caso di superamento dei limiti di concentrazione.
- Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione, che, nell’uniformarsi al principio di diritto sopra indicato, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.