Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza 15 luglio 2021, n. 5333
PRINCIPIO DI DIRITTO
Dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene (il c.d. diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura. Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto “de quo”, che restano libere e riservate all’autonomia privata.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
I motivi sono fondati, nei sensi di cui appresso.
Non appare invero condivisibile, osserva la Corte, la statuizione secondo cui «la cessione del manufatto postula […] il subentro dell’acquirente nel rapporto concessorio con la PA : e ciò in quanto non è possibile separare – anche solo in termini concettuali – il suolo demaniale dall’elemento funerario sopra di esso realizzato, formando i due beni un unicum inscindibile anche in base ai principi generali che presiedono all’istituto del diritto di superficie di cui all’art. 953 Cod. civ.: si tratta del c.d. effetto devolutivo, in base al quale le opere edilizie realizzate al di sopra di beni demaniali acquisiscono anch’esse, allo scadere della concessione, la medesima natura di bene pubblico».
Occorre premettere una breve considerazione sulla natura ancipite dello ius sepulchri, nel senso che, da un canto, lo stesso ha consistenza di diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, in quanto, originando da una concessione traslativa, crea nel soggetto privato concessionario un diritto soggettivo di natura reale, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e soprattutto di trasmissione sia “inter vivos” che per via di successione “mortis causa” (separatamente – è ovvio – dalla proprietà del suolo, come precisa l’art. 952, comma 2, Cod. civ.), e come tale opponibile agli altri privati. Ciò comporta che, nei rapporti iure privatorum, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali di godimento. D’altro canto, inerendo tale facoltà un manufatto costruito su suolo demaniale, lo ius sepulchri vede concorrere anche posizioni di interesse legittimo nei confronti dell’amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongano o consiglino all’amministrazione l’adozione di particolari regole procedimentali o sostanziali (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 26 giugno 2012, n. 3739).
Detto in altri termini, precisa la Corte, dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene (il c.d. diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura. Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto “de quo”, che restano libere e riservate all’autonomia privata (Cass., II, 20 agosto 2019, n. 21489).
In questa prospettiva, occorre intendere l’esatta portata dell’art. 53, fatto oggetto di gravame unitamente all’art. 44, comma 9, del regolamento di polizia mortuaria del Comune di Napoli del 2006, il cui primo comma stabilisce che «è vietata qualunque cessione diretta tra privati».
Ed infatti le considerazioni ora esposte rendono problematica un’interpretazione restrittiva della disposizione regolamentare, che verrebbe ad assumere portata latamente espropriativa, anche alla stregua di quanto disposto dall’art. 92 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, di approvazione del regolamento di polizia mortuaria.
Anche con specifico riferimento al regolamento comunale di Napoli, giova rilevare che l’art. 44, al nono comma, dispone che la concessione può essere soggetta : «a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi». In conformità, gli artt 48 e 49 del regolamento comunale disciplinano, rispettivamente, la “revoca della concessione per esigenze di pubblico interesse” e la “decadenza della concessione e obblighi del concessionario”.
Illegittimo appare dunque il provvedimento impugnato, che dispone la “revoca decadenziale”, una sorta di genus intermedio, ma in realtà provvedimento con caratura sanzionatoria, come ritenuto anche dal primo giudice e come appare chiaro dal corredo motivazionale, ove si pone a fondamento della stessa la compravendita asseritamente realizzata in violazione della normativa regolamentare e comunque in contrasto con l’esigenza del ricorso alle procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione dei beni in concessione, tale da essere stata ritenuta integrante «grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico», in quanto adottato non solo al di fuori delle previsioni normative, ma anche in assenza di un comportamento obiettivamente qualificabile come inadempitivo o comunque suscettibile di sanzione.
Ne deriva, in via conseguenziale, l’erroneità, sul piano sistematico e su quello del diritto positivo, dell’assunto di primo grado secondo cui la alienazione del manufatto legittimi la decadenza della concessione, essendo tale evenienza collegata a differenti presupposti.
- – Ciò non esime peraltro il Collegio dal valutare se ed in che misura la cessione del diritto al sepolcro produca effetti nei confronti dell’amministrazione concedente, approfondimento tanto più necessario nella considerazione che la giurisprudenza della Sezione, da ultimo, con riguardo proprio alle cessioni che hanno interessato i cimiteri di Napoli, ha qualificato le stesse alla stregua di voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune, pervenendo dunque alla soluzione che la cessione diretta non autorizzata dal concedente del manufatto funerario costituisca inadempienza agli obblighi che gravano sul concessionario, e comporti che l’amministrazione concedente adotti nei suoi confronti un provvedimento di decadenza, consentito in qualunque momento perché di natura dichiarativa (in termini, tra le varie, Cons. Stato, V, 1 febbraio 2021, n. 935).
Ritiene il Collegio che, proprio alla stregua della ricostruzione sistematica precedentemente esposta, tale indirizzo non sia condivisibile con riguardo alla ritenuta legittimità della sanzione della revoca decadenziale, e la questione giuridica meriti, re melius perpensa, il differente approdo interpretativo prima proposto, peraltro in sintonia anche con la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione.
Ciò ribadito, soggiunge la Corte, rimane peraltro aperto il problema della effettualità (produzione di effetti) della cessione dello ius sepulchri (inteso come manufatto) nei confronti dell’amministrazione, tema sul quale, in ragione della natura ancipite del medesimo, appare coerente la soluzione negativa. Più propriamente, la vicenda traslativa tra privati del diritto di sepolcro pone in evidenza una condizione di inefficacia relativa, melius di inopponibilità (della cessione) nei confronti del Comune allorchè non ne sia stata acquisita l’autorizzazione.
Il corollario di tale soluzione è che la cessione del sepolcro non autorizzata dall’amministrazione produce effetti solo tra le parti, mentre nei confronti del Comune rimane titolare della concessione demaniale, ed al contempo responsabile (nei confronti dell’amministrazione stessa, ma anche dell’avente causa), l’originario concessionario.
Però la cessione non autorizzata del manufatto funebre non legittima l’adozione della revoca e/o della decadenza della concessione, non solo per la ragione che non ne ricorrono gli specifici presupposti normativi, ma anche perché non può postularsi un divieto assoluto di cessione tra privati idoneo a comprimere l’autonomia negoziale, dovendosi pertanto interpretare la previsione del “divieto di cessione tra privati” di cui all’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria come riferito alla concessione amministrativa, e dunque alla sua volturazione in favore di un diverso concessionario, che richiederebbe l’autorizzazione, o comunque un analogo atto permissivo dell’autorità concedente, e che, anzi, probabilmente, alla stregua del regolamento del Comune di Napoli, non sarebbe proprio consentita, imponendosi piuttosto una nuova concessione mediante procedimento di evidenza pubblica (art. 51 del regolamento n. 11 del 2006).
- – L’accoglimento degli scrutinati motivi, precisa la Corte, appare dirimente ai fini del decidere, in quanto comporta l’accertamento dell’illegittimità dell’impugnato provvedimento di revoca della concessione.
Peraltro, per completezza dell’esposizione, si procede ad una breve disamina del secondo motivo di appello (potendosi invece senz’altro dichiarare assorbiti, anche nella prospettiva conformativa, i motivi assorbiti in primo grado e qui riproposti, concernenti o vizi tralatiziamente definiti formali, di violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990, ovvero vizi già interessati dai motivi di appello supra esaminati).
In particolare, con il secondo motivo si critica la statuizione che non ha ravvisato la irrevocabilità delle concessioni c.d. perpetue dei loculi cimiteriali rilasciate in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. n. 803 del 1975 (nel caso di specie la concessione risale al 16 maggio 1960), con conseguente inapplicabilità dell’art. 92 del d.P.R. n. 285 del 1990, che ha introdotto il limite di durata non superiore a novantanove anni, salvo rinnovo.
Il motivo è infondato.
Bene ha evidenziato la sentenza che «in tale ipotesi non può parlarsi di applicazione retroattiva in senso tecnico della norma sopravvenuta, la quale si limita a regolamentare i futuri atti di cessione fra privati, onde è senza dubbio rivolta verso il futuro», escludendo altresì che sia ravvisabile una violazione dell’affidamento, anche per l’esistenza di un regime transitorio, quale è quello di cui all’art. 58 del regolamento comunale.
Si aggiunga inoltre che la norma finale di cui all’art. 57, comma 3, del regolamento comunale di polizia mortuaria del Comune di Napoli, non fatto oggetto di gravame, dispone che «le disposizioni contenute nel presente Regolamento si applicano anche alle concessioni ed ai rapporti costituiti anteriormente alla sua entrata in vigore», confermando il consolidato indirizzo sull’applicabilità dello ius superveniens nei rapporti di durata, in quanto tale idoneo ad incidere anche sulla disciplina del rapporto (Cons. Stato, VI, 7 maggio 2015, n. 2294).
Come la Sezione ha in altre occasioni evidenziato, in ragione della natura di “rapporto di durata” discendente dalla concessione, è bene possibile che lo stesso, nel suo effettivo e concreto dispiegarsi nel tempo, possa essere sottoposto anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio; infatti la normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni verificatesi dopo la medesima entrata in vigore e non riguarda le fattispecie verificatesi nel passato, il che solamente concretizzerebbe un’illegittima retroattività, andando ad incidere su effetti ormai definitivamente consolidati (così Cons. Stato, V, 7 maggio 2019, n. 2934).
- – Alla stregua di quanto esposto, l’appello va accolto, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
La complessità della controversia e le oscillazioni registratesi in giurisprudenza integrano le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.