Consiglio di Stato, Sez V, sentenza 15 genaio 2025 n. 270
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’atto impugnato – ancorché formalmente denominato anche come ‘revoca’ della concessione d’uso dell’impianto sportivo comunale – integra in realtà gli estremi di un provvedimento dichiarativo della decadenza dell’Associazione dalla concessione stessa, provvedimento adottato a causa del ripetuto inadempimento di tale Associazione agli obblighi di pagamento derivanti dalla concessione’, quindi trattasi di un provvedimento avente ‘natura vincolata, dipendendo esclusivamente all’accertamento dei presupposti che ne giustificano l’emanazione (quale, per l’appunto, il grave inadempimento del concessionario agli obblighi derivanti dalla concessione), con la conseguenza che, nell’esercizio di tale potere, l’amministrazione non può esprimere alcun apprezzamento discrezionale circa l’opportunità o meno del prosieguo del rapporto concessorio.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
La revoca del contratto di concessione tra Roma Capitale e L’associazione per la gestione del dell’impianto sportivo di proprietà comunale (sito in Roma, via Nomentana n. 858), ‘per il mancato pagamento dei canoni e del debito pregresso’ è scaturita dalla condotta negligente della concessionaria, pertanto deve concludersi che Roma Capitale si è determinata, secondo ‘buona fede’ (art. 1175 e art. 1375 c.c.), a interrompere il rapporto negoziale, essendo venuto meno, a causa del mancato pagamento dei debiti maturati e in ragione delle continue e reiterate irregolarità/inadempimenti, la ‘fiducia negoziale’quale presupposto per il proseguimento del rapporto.
La ‘buona fede’ si atteggia a regola di condotta che impone ai soggetti contraenti un obbligo di reciproca lealtà e correttezza in tutte le fasi del rapporto contrattuale. A conferma di tale conclusione si pone la modifica normativa apportata all’art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241, mediante l’inserimento del c. 2-bis ad opera della l. 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, ai sensi del quale ‘i rapporti tra cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede’.
Nella specie, il provvedimento di revoca ha determinato che il provvedimento concessorio concludesse gli effetti prima della scadenza, per l’omessa ottemperanza, nei termini previsti nella concessione (o convenzione), degli obblighi imposti al concessionario.
Nella concessione – contratto il carattere pubblicistico dell’affidamento fa sì che sia garantita una gestione ottimale del bene, con il principale fine del soddisfacimento dell’interesse pubblico primario (Cons. Stato, n. 2696 del 2024), pertanto la contemporanea presenza di aspetti pubblicistici e privatistici non provoca la trasformazione del rapporto da una natura pubblica ad una paritetica.
La pubblica amministrazione, quindi, mantiene sempre un potere precettivo, finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico, che, nel caso in esame, è stato correttamente esercitato, con la conseguenza che vanno respinte le doglianze a tale riguardo prospettate dall’appellante con i mezzi di gravame.
Come precisato dal T.A.R., la Determina di cessazione della convenzione costituisce un provvedimento di decadenza avente natura vincolata, atteso che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato, essendo stato emesso sulla base degli accordi convenuti dalle parti.
Tale interpretazione si pone in linea con quanto precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con sentenza n. 18 del 2020, secondo cui: “La decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc) di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è un istituto che, pur presentando tratti comuni con il più ampio genus dell’autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente:
(a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quella prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti;
(b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione delle prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto;
(c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti”.
Con ricorso proposto avanti il Consiglio di Stato l’Unione Sportiva Romana A.S.D. ha convenuto in gudizio Roma Capitale per l’annullamneto della sentenza di primo grado resa dal T.A.R. Lazio avente ad oggetto la la revoca della concessione dell’impianto sportivo di proprietà comunale (sito in Roma, via Nomentana n. 858), ‘per il mancato pagamento dei canoni e del debito pregresso’. In particolare, con il disciplinare di concessione a canone ridotto del 12 ottobre 2007, l’appellante e il Comune di Roma avevano definitivo le specifiche condizioni del nuovo rapporto concessorio in conformità con la Deliberazione della Giunta comunale n. 371 del 3 agosto 2007, prevedendo che l’Unione Sportiva avrebbe dovuto corrispondere al Comune, in aggiunta al canone concessorio ridotto previsto per la nuova concessione, anche gli oneri economici per la regolarizzazione dell’occupazione abusiva pregressa realizzata nel periodo anteriore al 2007.
Con il primo mezzo, l’Unione Sportiva Romana A.S.D. denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Collegio di prima istanza ha erroneamente ritenuto non sussistente il difetto di motivazione e di istruttoria della Determinazione Dirigenziale numero repertorio EA/3/2018 del 19.1.2018. Secondo la ricorrente, tale Determinazione sarebbe nulla e/o annullabile non essendo plausibile che l’Amministrazione, dopo aver emesso l’atto, abbia esitato a notificarlo, senza preoccuparsi di verificare l’insussistenza di ulteriori atti, emessi nelle more, idonei a rendere inopportuna la notifica. In particolare, successivamente era stata notificata la nota prot. EA/2018/16069 del 30.11.2018 con la quale era stata disposta la rateizzazione del debito. Se l’Amministrazione avesse effettuato una congrua e completa istruttoria, non avrebbe emesso il provvedimento di decadenza, posto che, a seguito dell’accoglimento dell’istanza di rateizzazione, era venuta meno la situazione di morosità, stante il pagamento di una importante somma.
Con il secondo motivo, l’appellante denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui, apoditticamente, si sostiene la natura vincolata del provvedimento impugnato, in questo modo escludendo la necessità di comunicare all’Associazione destinataria l’avvio del procedimento, consentendo la tutela delle garanzie partecipative. Tale omissione, ad avviso dell’Unione Sportiva, avrebbe determinato l’illegittimità del provvedimento per violazione di legge nella fase procedimentale.
Con la terza censura, l’appellante deduce la violazione dei principi generali sanciti dagli artt. 3, 41 e 97 Cost. e dagli artt. 1175, 1176, 1337 e 1375 c.c., nonché dei criteri generali sull’intangibilità dei diritti quesiti e il diritto di insistenza, non potendo essere messi in discussione le garanzie e i diritti già assicurati nel corso di un procedimento, involgente autorizzazioni e/o concessioni.
Fero restando il principio di diritto sopra enunciato nonché i principi di diritto posti a base della decisione vi è da aggiungere oltremodo che l’art. 5 n. 3 del Disciplinare di concessione prot. Q A313345 del 12 ottobre 2007 espressamente ha stabilito che “In caso di morosità per oltre due mesi il concessionario è invitato ad effettuare il pagamento (oltre gli interessi al tasso legale nel frattempo maturati) entro 30 giorni. Qualora la morosità non fosse sanata entro tale termine, l’Amministrazione comunale, revocata la concessione, procede al recupero della disponibilità del bene con provvedimento di autotutela del Sindaco o del Presidente del Consiglio Municipale secondo le rispettive competenze”.
Anche l’art. 8 del suddetto Disciplinare di concessione ha precisato claris verbis che Roma Capitale avrebbe potuto procedere alla revoca/decadenza della concessione in caso di ‘mancato pagamento di tre rate consecutive di canone o di debito pregresso derivante dalla Regolarizzazione dell’impianto sportivo’.
Le parti hanno concordemente pattuito che il provvedimento di concessione sarebbe stato revocato in ipotesi di inadempimento del pagamento dei canoni di concessione da parte della concessionaria.
Si deve desumere, pertanto, che le denunce prospettate dall’appellante non possono essere condivise, posto che il grave inadempimento in cui è incorsa l’Associazione, in uno con le pattuizioni sottoscritte dalle parti, hanno rappresentato un legittimo motivo di revoca/decadenza della concessione.
Atteso che il principio di diritto sopra enunciato assume rilievo assorbente, dovendosi concludere per l’irrilevanza delle ulteriori argomentazioni difensive illustrate dall’appellante.
Pertanto l’esame delle altre censure prospettate nei mezzi, va respinto il primo motivo anche nella parte in cui si denuncia: a) la tardiva notifica del provvedimento di decadenza assunto in data 19.1.2018, ma notificato solo l’8.7.2019; b) la mancata verifica dell’attualità e persistenza della morosità prima di emanare il provvedimento di decadenza; c) l’omessa verifica della volontà del concessionario di onorare il debito pregresso.
A tale riguardo, nel corso del giudizio, Roma Capitale, con relazione prot. EA1093 del 3.2.2023, ha osservato che la notifica della Determina di decadenza è stata effettuata all’indirizzo pec della destinataria in data 8.7.2019, mentre l’Unione Sportiva ha ottenuto l’accoglimento dell’istanza di rateizzazione da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione solo in data 10.1.2020, e l’accoglimento dell’istanza e il relativo piano di rateizzazione, con la ricevuta di pagamento della prima rata prevista dal piano, sono state comunicate a Roma Capitale solo in data 11.2.2020.
Ne consegue l’infondatezza delle critiche, dovendosi ribadire quanto precisato dal Collegio di prima istanza e, in particolare, che l’indugio di Roma Capitale nella notifica dell’atto non ha alcun effetto sulla legittimità del provvedimento di decadenza, in quanto il termine di conclusione del procedimento, anche se ad iniziativa d’ufficio, ha natura meramente ordinatoria od acceleratoria, laddove, anche con riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 2 bis della l. n. 241 del 1990, l’inosservanza del termine finale determina conseguenze sul piano della responsabilità civile dell’Amministrazione per danno da ritardo e non, come pretende l’appellante, in relazione alla legittimità dell’atto tardivamente adottato.
Né si può ritenere apprezzabile l’argomento difensivo sostenuto dall’Unione Sportiva con il quale si ripropone la rilevanza del sopravvenuto accordo di rateizzazione del debito ai fini della illegittimità della provvedimento di decadenza, tenuto conto che, non solo, come sopra precisato, tale accordo è intervenuto successivamente alla emanazione dell’atto, ma anche che tale accordo non sposta l’incidenza della negligente condotta della concessionaria sulla ‘fiducia negoziale’ nella stessa riposta dall’Amministrazione, e quindi, non rappresenta un ‘contrarius actus’ rispetto al provvedimento di decadenza impugnato, assumendo, come precisato dal T.A.R., eventualmente, rilievo con riferimento ai futuri rapporti di debito e di credito tra le parti.
Invero, l’eventuale estinzione dell’obbligazione non incide, di per sé, sul presupposto della decadenza del rapporto concessorio per morosità. La morosità ha implicato il venire meno del rapporto di fiducia da parte del concedente a prescindere dall’eventuale e futuro esito estintivo di un accordo di rateizzazione, il quale dipende da circostanze ulteriori ed esterne al rapporto obbligatorio.
Da siffatti rilievi consegue l’insussistenza di qualsiasi vizio procedimentale riferibile ad un difetto motivazionale o di istruttoria del provvedimento gravato.
Con riferimento al secondo mezzo, con il quale si lamenta la violazione delle garanzie partecipative della concessionaria, va rammentato che la natura vincolata del provvedimento di decadenza, emesso a seguito della notifica di atti di ingiunzione del debito pregresso (prot. EA10513 del 13.10.2017, prot. EA951 del 25.1.2018, prot. EA11001del 25.10.2017), non impugnati dalla concessionaria, ha correttamente determinato l’Amministrazione, la quale si è fondata su circostanze, quali i ripetuti inadempimenti, non smentite dagli esiti processuali.
La natura vincolata del provvedimento determina l’irrilevanza della comunicazione di avvio del procedimento, stante il chiaro tenore dell’art. 21 octies, secondo comma della legge n. 241 del 1990, il quale dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
La comunicazione di avvio del procedimento, infatti, appare superflua quando l’adozione del provvedimento finale è, come nella specie, doverosa, oltre che vincolata, e i presupposti fattuali dell’atto risultano assolutamente incontestati dalle parti. Il quadro normativo di riferimento, rappresentato dagli accordi sottoscritti da Roma Capitale e dalla concessionaria, e dai Regolamenti comunali, non ha consentito margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; anzi il reiterato inadempimento dell’appellante, i numerosi atti di ingiunzione precedentemente notificati, sovrapponibili nei contenuti, hanno sempre reso la stessa pacificamente edotta delle conseguenze della propria omissione.
In definitiva, in ragione delle esposte argomentazioni, va respinto anche il terzo motivo, in quanto non può essere rilevata nessuna violazione da parte di Roma Capitale dei canoni e dei principi di correttezza, buona fede e imparzialità, essendo stata doverosa l’emanazione dell’atto gravato in virtù del perseguimento dell’interesse pubblico, stante l’insussistenza di affidamento incolpevole in capo all’Associazione, la quale ha tenuto una condotta inadempiente nel corso del rapporto.
Né si può configurare un diritto di insistenza (o un diritto quesito) della concessionaria uscente, stante la negligente condotta posta in essere dalla stessa nella fase esecutiva del rapporto che, come si è detto, ha pregiudicato la ‘fiducia’ e il rapporto di leale collaborazione delle parti.
L’appello va pertanto respinto, e la sentenza impugnata va confermata.
Le ragioni della decisione e la peculiarità della vicenda processuale giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite del grado tra le parti.