Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 31 ottobre 2022 n. 32121
PRINCIPIO DI DIRITTO
Deve assumersi rientrare nella giurisdizione del GO e non già in quella del GA – risultando non applicabile l’art. 133, comma 1, lett. b) e m), d.lgs. n. 104 del 2010 – una controversia promossa dalla RAI, Radio televisione italiana nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico (Dipartimento per le Comunicazioni, Direzione Generale per i Servizi di Comunicazione Elettronica e di Radiodiffusione), avente ad oggetto l’impugnazione in s.g. del provvedimento recante richiesta e/o avviso di pagamento, a titolo di conguaglio contributi integrativi, dovuti ex art. 38 dell’allegato 25 al d.lgs. n. 259 del 2003, per l’utilizzo temporaneo di frequenze radio correlate ad autorizzazioni ministeriali generali già rilasciate.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.1 Il ricorso è infondato.
La controversia – avente ad oggetto i contributi integrativi dovuti su autorizzazione temporanea e non su autorizzazione generale all’uso della frequenza – muove dal discrimine di fondo ‘tributo-non tributo’, in ordine al quale soccorre in primo luogo l’insegnamento del Giudice delle leggi; insegnamento secondo cui in tanto può parlarsi di tributo, in quanto si tratti di un “prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva” (Corte Cost. sent. n. 102/2008).
Queste Sezioni Unite (v. Cass. SSUU n. 10577/20 ed altre) hanno chiarito, in considerazione di quanto stabilito anche in numerose altre pronunce della Corte Costituzionale (da ultimo, Corte Cost. n. 167/2018, Corte Cost. n. 89/2018, Corte Cost. n. 269 e n. 236 del 2017) che una fattispecie deve ritenersi di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti:
– la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo;
– la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico;
– le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese.
Caratteri identificativi generali del tributo debbono pertanto essere individuati nei seguenti elementi tipizzanti (v. Cass. SSUU n. 10577/20 cit., con richiamo a Cass. SSUU n. 27074/16):
– “la matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce direttamente in forza della legge, risultando irrilevante l’autonomia contrattuale (Corte Cost., n. 58 del 2015)”;
– “la doverosità della prestazione (Corte Cost., n. 141 del 2009, n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta un’ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (Corte Cost., n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982)”;
– “la circostanza che i soggetti tenuti al pagamento del contributo non possono sottrarsi a tale obbligo e la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti (Corte Cost., n. 238 del 2009, punto 7.2.3.2, nonché, in relazione al contributo al SSN, Cass., sez. un., n. 123/07, che ne ha affermato la natura tributaria)”;
– “il nesso con la spesa pubblica, nel senso che la prestazione è destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore (Corte Cost., n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982, nonché, tra le altre, Cass., sez. un., n. 21950/15 e n. 13431/14)”.
Com’è noto, intorno a questi parametri discretivi concettuali è nel tempo maturata – indotta anche dalla genericità ed ambiguità delle categorie legislative, specie con riguardo ai prelievi costituiti proprio da ‘contributi’ – una casistica vastissima di riparto di giurisdizione che non qui possibile interamente ripercorrere ma che presenta tuttavia arresti particolarmente significativi ai fini della questione dedotta nel presente procedimento.
Cosi quanto, in primo luogo, alla tradizionale esclusione della natura tributaria del canone per la concessione di un bene demaniale (già affermata da Cass. SSUU n. 20067/06 ed altre) “trattandosi di una controversia che non ha ad oggetto un’entrata tributaria ma la riscossione di proventi derivanti dall’utilizzazione di beni pubblici”, con conseguente attribuzione della materia al giudice ordinario; a meno che non sia implicata “la verifica dei poteri autoritativi spettanti alla PA sul rapporto concessorio, nel qual caso rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo”.
Emblematica è poi l’evoluzione giurisprudenziale segnata dalle modificazioni normative che hanno in qualche modo comportato un passaggio dall’uno all’altro regime (tributario e no), come ad esempio avvenuto con riguardo alla ‘tassa’ di occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP, art.38 d.lgs. 507/1993) rispetto al ‘canone’ per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP, art.63 d.lgs 446/1997).
In ordine ai quali questa Corte ha stabilito (Cass. SSUU n.14864/06; 24541/19 ed altre) che solo la prima fosse devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie, rientrando invece il secondo in quella ordinaria. Ciò non in base al mero mutamento terminologico, ma all’esito di una disamina sostanziale dei due prelievi che induce a rilevare come il ‘canone’ fosse stato concepito dal legislatore come qualcosa di ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla ‘tassa’. Se quest’ultima è un tributo che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, il primo (canone) costituisce invece il corrispettivo di una concessione dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è sovrapponibile alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa.
Oppure, come è accaduto in materia di imposizione ambientale e di servizio comunale di raccolta dei rifiuti solidi urbani, segnatamente nel transito dalla ‘tariffa di igiene ambientale’ (cd.’TIA 1′, art.49 d.lgs. 22/1997, decreto Ronchi) alla ‘tariffa integrata ambientale’ (cd.’TIA 2′, art.238 l. 152/2006, Codice Ambiente; poi sostituita dalla TARES con l.214/2011 di conv. del d.l. 201/2011 e poi dalla TARI di cui alla |l.147/2013). Materia in ordine alla quale, data per acquisita la natura tributaria della TIA 1 quale mera variante della previgente Tarsu di cui all’art.58 d.lgs.507/1993 (Cass. SSUU nn. 8822/18; 5078/16 ed altre), questa Corte (Cass. SSUU n. 8631/20; 1839/20) ha poi invece concluso, quanto alla TIA 2, per il carattere non tributario. Anche in tal caso, non sotto il peso della qualificazione nominalmente offerta dal legislatore (che 2 era qui pure appositamente intervenuto in via interpretativa autentica con l’art.14 co. 33 d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010) ma alla luce della autonomia causale e funzionale ravvisata nella TIA 2 rispetto alla TIA 1, così da doversi in essa individuare un vero e proprio corrispettivo posto in rapporto di sinallagmaticità con la prestazione del servizio. E la corrispettività è stata individuata nella coincidenza del debitore con il fruitore del servizio, nella finalizzazione del prelievo alla integrale copertura del costo del servizio e nella commisurazione dell’entità dell’importo dovuto (in ragione delle tariffe prefissate con regolamento comunale) alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti dall’utente.
Dalla disamina di questa casistica – tanto più, come detto, di quella chiamata a criticamente discernere linee di continuità o discontinuità nell’intervento legislativo – emerge nitidamente come nel caso del tributo (in particolare della tassa) la correlazione tra prelievo e fruizione del bene o del servizio pubblico non si ponga sul piano della stretta corrispettività o sinallagmaticità giuridica ed economica, quanto su quello della mera messa a disposizione del bene o servizio stesso, inteso quale occasione di spesa pubblica differenziata e divisibile. Di ciò si ha riflesso anche sul piano strettamente economico, poiché non risulta essenziale, nel caso della tassa, che la misura del prelievo sia tale da garantire la integrale copertura del costo del servizio. Nel caso delle entrate non tributarie, invece, questa correlazione risponde ai caratteri di piena commutatività e sinallagmaticità, ingenerandosi nel privato un diritto soggettivo ad una ben individuata prestazione – ovvero messa a disposizione di un bene – da parte dell’ente pubblico, a fronte del pagamento di un corrispettivo tendenzialmente rapportato al costo di esercizio o al beneficio economico ritraibile dalla fruizione in un dato contesto di mercato.
Ad escludere la natura corrispettiva non è dirimente la circostanza che l’entità del ‘prezzo’ così come altre condizioni essenziali del rapporto siano predeterminate dalla PA o addirittura per legge, e non all’esito di una libera contrattazione tra le parti. Posto che ciò non esclude che il rapporto si svolga pur sempre su un piano di piena valorizzazione economica della fruizione della risorsa pubblica da parte del privato, tenuto al pagamento del ‘corrispettivo’ solo se ed in quanto intenzionato ad avvalersi della prestazione offerta dall’ente pubblico, ed in ragione del vantaggio patrimoniale che da essa si attende.
Ancora – ed a contrario – si è affermata (Cass. SSUU n. 10577/20, ma la questione era stata già esaminata da C. Cost. sent. n. 269/17) la natura tributaria dei contributi di funzionamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (art.10, comma 7 ter e quater, l. 287/90), in quanto imposti dalla legge; privi di un vincolo di sinallagmaticità con l’operatore di mercato che pure si avvantaggia dell’azione generale di tutela svolta dall’Autorità indipendente antitrust; mirati alla copertura di una pubblica spesa (quella di funzionamento dell’Autorità); riferiti ad un presupposto economicamente rilevante, in quanto commisurati al fatturato della società di capitali soggetta a vigilanza, assunto quale indice di capacità contributiva.
Sulla base degli stessi parametri discretivi si è poi adottata analoga soluzione (devoluzione alle Commissioni Tributarie) per i contributi di funzionamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ex art.2 co. 14 d.lgs 261/99 e s.m. (Cass. SSUU n. 21961/21, citata anche nell’ordinanza di rimessione).
2.2 Orbene, in base all’art.107 del d.lgs.259/03 (Codice Comunicazioni Elettroniche) il soggetto interessato a conseguire un’autorizzazione ministeriale generale è tenuto, tra il resto, a rendere “una dichiarazione di impegno ad osservare specifici obblighi, quali il pagamento dei contributi di cui all’allegato n. 25”; contributi richiamati, per i criteri di quantificazione, anche dall’art.116 del Codice.
L’art.1 del menzionato Allegato n.25 stabilisce: “Tipologia dei contributi 1. Per il conseguimento di autorizzazioni generali per reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso privato, nonche’ per le richieste di variazione, e’ dovuto il pagamento di contributi: a) per l’istruttoria delle pratiche; b) per la vigilanza, ivi compresi le verifiche ed i controlli, sull’espletamento del servizio e sulle relative condizioni. 2. Il soggetto titolare di autorizzazione generale, al quale sono stati concessi diritti d’uso delle frequenze, e’ tenuto, oltre a quanto previsto dal comma 1, al pagamento di un contributo per l’utilizzo di risorsa scarsa radioelettrica. (…)”.
La specifica disciplina dei contributi per autorizzazioni temporanee, con la relativa quantificazione, è contenuta nell’art.38 del medesimo Allegato n.25: “Autorizzazioni generali temporanee con concessione del diritto d’uso delle frequenze.
- In caso di richiesta di autorizzazione generale temporanea per servizi mobili, che deve avere durata inferiore all’anno, il soggetto e’ tenuto al pagamento di un contributo complessivo, per l’uso di ogni canale ad una o due frequenze superiori a 30 MHz, di larghezza fino a 12,5 kHz e per ogni quindici giorni o frazione di durata della autorizzazione generale temporanea, pari a:
- a) euro 300,00 per lunghezza del collegamento fino a 15 km;
- b) euro 500,00 per lunghezza del collegamento fino a 30 km;
- c) euro 800,00 per lunghezza del collegamento fino a 60 km;
- d) euro 1.500,00 per lunghezza del collegamento fino a 120 km;
- e) euro 2.800,00 per lunghezza del collegamento superiore a 120 km.
- Nel caso di impiego di larghezza di canale superiore a 12,5 kHz, determinazione dei contributi di cui al comma 1 si applica il comma 4 dell’articolo 16.
- In caso di richiesta di autorizzazione generale temporanea per servizio fisso o mobile, ove applicabile, anche a supporto delle richieste di cui al comma 1, l’interessato e’ tenuto al pagamento di un contributo, per ogni quindici giorni o frazione, pari a un decimo del contributo di cui agli articoli 10, 11, 12, 13 e 14 , comprese le relative applicazioni, a seconda delle fattispecie.
- In caso di richiesta di autorizzazione generale temporanea per i 2 collegamenti di cui agli articoli 16, comma 1, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30 e 31 si applica un contributo, per ogni quindici giorni o frazione, pari a | un decimo del contributo fissato nei medesimi articoli.
- In caso di dichiarazione intesa a conseguire un’autorizzazione generale temporanea di durata massima inferiore all’anno, il soggetto interessato e’ tenuto al versamento dei contributi di istruttoria e per l’attività di vigilanza e mantenimento pari a quelli previsti per le autorizzazioni generali ordinarie”.
Si tratta dunque di oneri economici dovuti sulla fruizione temporanea di frequenze accessorie e supplementari rispetto a quelle già rientranti nell’autorizzazione generale; come tale, anch’essa comportante, sebben marginalmente e per un tempo limitato, il godimento esclusivo, da parte del privato, di una risorsa pubblica scarsa.
Nell’applicazione dei su ricordati criteri distintivi di fondo, concorrono per escluderne la natura tributaria i seguenti elementi:
– la natura prettamente opzionale e tecnico-funzionale, rispondente non all’erogazione di un servizio di interesse generale, bensì alla messa a disposizione di ulteriori frequenze in funzione meramente strumentale ed agevolativa della diffusione da parte di soggetto già autorizzato, e sulla base dell’organizzazione imprenditoriale e dell’articolazione aziendale interna da quest’ultimo predisposta (nella concretezza del caso, si tratta di frequenze di collegamento in ponte radio fra alcuni studi televisivi detenuti in Roma da RTI);
– la finalizzazione non già a fronteggiare una spesa pubblica indistinta o di funzionamento generale dell’ente pubblico ma, in parte, a tenere indenne quest’ultimo dei costi strettamente afferenti alla pratica di erogazione (istruttoria e vigilanza) e, in maggior parte, a fungere da corrispettivo o canone (prezzo) sinallagmaticamente commisurato ai parametri tecnico-dimensionali dell’erogazione supplementare stessa (per larghezza, lunghezza e distanza di banda o canale: art. 38 cit.);
– l’estraneità della prestazione economica a parametri riconducibili ad una specifica capacità contributiva, esattamente all’opposto di quanto da questa Corte osservato, come detto, con riguardo alla natura effettivamente tributaria dei contributi di funzionamento delle Autorità indipendenti, ragguagliati al volume d’affari degli amministrati. Non si ritiene che la natura giuridica (non tributaria) dei contributi per frequenza temporanea in esame risenta del passaggio dal regime concessorio di cui alla l. 223/1990 (art.16) a quello autorizzativo di cui al d.lgs 259/03 ed al d.lgs. n. 177/05 (Testo unico della radiotelevisione, artt.15 e 16).
La predisposizione legislativa di un diverso regime giuridico (amministrativo) di utilizzo non ha inciso infatti sul carattere prettamente corrispettivo del contributo in questione secondo quanto si è appena osservato.
Da un lato, si tratta di un contributo dotato di una sua specificità funzionale ed autonoma capacità di valorizzazione economica in rapporto sia alle peculiarità delle frequenze accessorie temporanee di cui costituisce la contropartita, sia ai criteri della sua quantificazione tariffaria.
Per altro verso, pure nella vigenza del regime anteriore a quello autorizzativo (l. 223/90 cit.) – regime sulla base del quale vennero qui rilasciate le concessioni di frequenza a RTI – la remunerazione economica del godimento della risorsa pubblica veniva perseguita attraverso la previsione di un sistema che non si esauriva affatto nella sola imposizione di una ‘tassa’ di rilascio o rinnovo annuale, ma prevedeva anche e principalmente la corresponsione di un canone concessorio annuo dimensionato sull’ambito locale o nazionale della radiodiffusione sonora o televisiva e, all’interno di questo, sul criterio dei bacini di utenza.
Sicchè del tutto chiara appariva anche in quel sistema – ex art.16 co. 1 e 6 l. 223/90 e relativo Allegato – la presenza di un contributo-canone in funzione corrispettiva e non tributaria.
Elementi di segno contrario (cioè nel senso della natura tributaria dei contributi in questione) non si evincono dal diritto UE.
Obietta RTI che in varie occasioni la Corte di Giustizia UE (sent. in cause C-764/18 del 27.1.2021 Orange Espana; C-443/19 del 6.10.2020 Vodafone Espana ed altre) ha espressamente qualificato come ‘tassa’ o ‘imposta’ il contributo richiesto dagli ordinamenti nazionali per il diritto d’uso delle frequenze radio e per l’assegnazione di concessioni amministrative sulle stesse in quanto beni del demanio pubblico (in attuazione della Direttiva 2002/20/CE ‘Autorizzazioni’, e della Direttiva 2002/21/CE ‘Quadro’).
Si è però già osservato che il mero criterio terminologico non è esauriente perché il discrimine in questione deve muovere da una valutazione sostanziale e contenutistica dell’onere economico richiesto al privato.
Va poi qui aggiunto che le modalità e le caratteristiche del prelievo – pur sempre nell’ambito delle indicazioni della Direttiva – sono liberamente stabilite dai singoli ordinamenti nazionali, il che fa salvo che determinati Stati membri possano effettivamente disciplinare alla stregua di tasse ed imposte i contributi in questione (la giurisprudenza UE citata si riferisce, in particolare, alla normativa spagnola di attuazione delle Direttive), senza che questo induca necessariamente ad una generalizzata tributarizzazione del contributo d’uso delle frequenze; e nemmeno – va detto – emergono dalla giurisprudenza UE richiamata elementi che inducano ad obbligatoriamente equiparare, nella concreta disciplina interna, i contributi su autorizzazione generale a quelli su autorizzazione temporanea per uso tecnico interno, ovvero a sovrapporre la natura giuridica dei ‘diritti amministrativi’ a copertura delle spese di gestione del regime a quella dei ‘contributi d’uso’ delle radiofrequenze.
Risulta invece dirimente che, su questi ultimi, la Direttiva Autorizzazioni cit. si limiti a stabilire (art.13): “Contributi per la concessione di diritti d’uso e di diritti di installare strutture. Gli Stati membri possono consentire all’autorità competente di riscuotere contributi sui diritti d’uso delle frequenze radio o dei numeri o sui diritti di installare strutture su proprietà pubbliche o private, al di sopra o sotto di esse al fine di garantire l’impiego ottimale di tali risorse. Gli Stati membri fanno sì che tali contributi siano trasparenti, obiettivamente giustificati, proporzionati allo scopo perseguito e non discriminatori e tengano conto degli obiettivi dell’articolo 8 della direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro).”
Con ciò delineandosi un sistema incentrato sulla riscossione di contributi variamente modulati dai singoli ordinamenti intorno all’esigenza sostanziale, non del loro obbligato inserimento nell’ambito del sistema tributario ed impositivo, bensi della trasparenza, obiettiva giustificazione, proporzione allo scopo e non discriminazione. Ed in tal senso va letto il considerando n.32 della Dir.2002/20, secondo cui i contributi d’uso non devono ostacolare “lo sviluppo dei servizi innovativi e la concorrenza sul mercato. (…)”.
Si tratta di caratteri ed obiettivi che ben possono essere perseguiti anche mediante la previsione di un onere economico di natura contrattuale o comunque corrispettiva; concretante un’entrata patrimoniale extratributaria e correlata all’economia del rapporto.
E neppure in tal senso mancano elementi interpretativi nella stessa giurisprudenza UE citata da RTI, là dove la Corte di Giustizia (in causa C- 443/19 cit., §§ 52 e 53) ha osservato che: “Per quanto riguarda, più in particolare, le modalità di determinazione dell’importo del contributo per l’uso delle frequenze radio, l’autorizzazione ad utilizzare un bene pubblico che costituisce una risorsa rara consente al suo titolare di realizzare rilevanti profitti economici e gli conferisce vantaggi rispetto agli altri operatori che intendano parimenti utilizzare e gestire tale risorsa, il che giustifica l’imposizione di un contributo che rifletta, segnatamente, il valore dell’utilizzo della risorsa rara di cui trattasi (sentenza del 21 marzo 2013, Belgacom e a., C-375/11, EU:C:2013:185, punto 50 e giurisprudenza ivi citata)” e, inoltre, che “In tali circostanze, il fine di assicurare che gli operatori utilizzino in modo ottimale le risorse rare alle quali hanno accesso comporta che l’entità di tale contributo sia fissata ad un livello adeguato in grado di rispecchiare, appunto, il valore dell’utilizzo di tali risorse, e ciò esige di prendere in considerazione la situazione economica e tecnologica del mercato interessato (sentenza del 21 marzo 2013, Belgacom e a., C-375/11, EU:C:2013:185, punto 51 e giurisprudenza ivi citata)”.
Con ciò, se mai, ribadendosi (con affermazione valevole tanto per il ‘canone’ di concessione quanto per il ‘contributo’ di autorizzazione) il criterio-principe di commisurazione, volto ad evitare effetti distorsivi, dato non dalla capacità contributiva dell’operatore economico richiedente, ma dal valore di utilizzo della risorsa pubblica secondo l’andamento economico e tecnologico di mercato.
- Le Amministrazioni controricorrenti hanno insistito, soprattutto in memoria, per l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.
La deduzione, che investe questione rilevabile d’ufficio, deve reputarsi processualmente ammissibile, non essendosi ancora formato un giudicato interno sull’individuazione del giudice dotato di giurisdizione né, in particolare, sul fatto che, una volta esclusa la giurisdizione tributaria, la lite debba necessariamente essere demandata al giudice ordinario.
Essa è tuttavia infondata.
L’art. 133 co. 1 lett. b) cod. proc. amm. attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ma “ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (…)”, dunque proprio ad eccezione, secondo quanto si è detto, della materia in esame.
E’ vero che l’art.9 del d.lgs.259/03 cit. stabilisce che: “Ricorsi avverso provvedimenti del Ministero e dell’Autorita’. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e’ disciplinata dal codice del processo amministrativo”, e che lo stesso art.133 cod.proc.amm. reca una disposizione attributiva (lett.m) espressamente dedicata alla materia delle comunicazioni elettroniche.
E tuttavia, questo combinato disposto conferisce al giudice amministrativo la giurisdizione sulle controversie aventi riguardo ai “provvedimenti” ed ai “giudizi riguardanti l’assegnazione di diritto d’uso delle frequenze” e le relative gare e procedure di evidenza; là dove nel presente giudizio non di questo si controverte, quanto del mancato pagamento del conguaglio dei contributi d’uso già dalla società versati a titolo di acconto.
Dunque, quand’anche si voglia individuare, tra la lettera b) e la lettera m) dell’articolo 133 cod.proc.amm., un rapporto di specialità inversa (cioè nel senso che il criterio della materia delle comunicazioni elettroniche prevalga su quello dei canoni e corrispettivi concessori indistintamente considerati), resta che il caso di specie sfugge comunque a questo rapporto, non vertendosi di controversia di contenuto provvedimentale o sulle procedure di assegnazione dei diritti d’uso.
Nella necessaria considerazione del criterio fondamentale di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, costituito dal c.d. petitum sostanziale (che prescinde dalla prospettazione di parte, per attingere alla causa petendi ossia ai fatti dedotti a
fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo del giudizio ed al rapporto giuridico di cui sono espressione: tra le molte, di recente: Cass. SSUU nn. 25480/21, 10244/22, 23436/22), va rilevato come la controversia origini dalla contestazione di ventisette avvisi di pagamento emanati dal Ministero in recupero di un asserito credito a conguaglio di contributi concessori già da RTI versati a titolo provvisorio in base al D.M. 30.1.2002; ed i motivi di opposizione mossi da RTI (come da questa ricostruiti in ricorso) non implicavano il coinvolgimento della sfera autoritativa e provvedimentale (men che meno quella di selezione dei beneficiari delle frequenze), quanto aspetti pienamente compatibili con la natura sinallagmatica della prestazione richiesta e comunque rientranti nella giurisdizione ordinaria. Così quanto a decadenza dalla facoltà di richiedere i contributi in questione; a lesione dei doveri di buona fede e 2 collaborazione (da RTI riferiti all’art.10 l. 212/00, ma in realtà pertinenti anche al rapporto obbligatorio); a non debenza (in subordine) delle maggiorazioni e penalità da ritardo.
La lite non esulava dunque dai limiti della realizzazione di una pretesa di tipo creditorio.
- Posto che la Commissione Tributaria Regionale non si è discostata da quei principi, il ricorso va rigettato.
L’assenza di un pregresso indirizzo di legittimità sul punto, in una con il rigetto altresì dell’istanza proposta dalle Amministrazioni controricorrenti, depone per la compensazione delle spese di lite.