TAR Lazio, V Sezione Stralcio, sentenza 16 settembre 2024, n. 16400
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- – Il ricorso è infondato.
- – Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’Amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, nn. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).
L’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l’esplicarsi di un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “può” – e non “deve” – essere concessa.
La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre che nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistenti nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“il sacro dovere di difendere la Patria” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui si entra a far parte (artt. 2 e 53 Cost.).
A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).
È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa”).
In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999).
III. – Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
- – Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure formulate da parte attrice, volte a confutare l’operato dell’Amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di inaffidabilità del ricorrente e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale sulla base di notizie di reato emerse sul conto del richiedente, quali:
– notizia di reato, segnalata in data 25.04.2011, per i reati di cui all’art. 337 c.p. (resistenza a un pubblico ufficiale); art. 582 c.p. (lesione personale); art. 609 bis c.p. (violenza sessuale);
– notizia di reato, segnalata in data 10.09.2012 dai Carabinieri di Martinengo (BG) per i reati di cui agli artt. 624 e 625 c.p. (furto aggravato); 612 c.p. (minaccia); art. 635 c.p. (danneggiamento).
Il provvedimento impugnato – adottato nel rispetto del contraddittorio con il richiedente, dando conto dell’acquisizione delle osservazioni pervenute dall’interessato in data 8 marzo 2018, in riscontro al preavviso di diniego del 13 febbraio 2018 – si fonda dunque su pregiudizi di carattere penale, lesivi di interessi fondamentali dell’ordinamento e collocabili in ogni caso nel c.d. “periodo di osservazione” (il decennio antecedente la domanda, in cui si devono maturare i requisiti per l’acquisto dello status, compreso quello dell’irreprensibilità della condotta), che appaiono idonei a giustificare il diniego, a prescindere dagli esiti processuali, in quanto indicativi – specie in considerazione di una valutazione non atomistica degli stessi – del rischio che l’inserimento stabile del richiedente nella collettività nazionale arrechi danno alla stessa.
Le condotte addebitate all’interessato dunque sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente giudicate ostative all’acquisizione del bene della vita richiesto, in quanto rivelatrici di una “scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 15/04/2015, n. 5554) e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione” (cfr. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019), dato che si tratta in entrambi i casi di comportamenti non rispettosi delle istituzioni e contrari al dovere di solidarietà che il soggetto che intende acquisire la cittadinanza di uno Stato deve assumersi nei confronti della Comunità dei consociati, e che, per quanto riguarda specificamente i delitti contro la persona, sono capaci di mettere in pericolo i principi di civile e pacifica convivenza, attentando all’integrità fisica e morale dei singoli.
- – La significatività degli addebiti, peraltro, è da valutare con riferimento all’epoca in cui sono stati posti in essere, ricadendo entrambi i fatti addebitati nel decennio antecedente la presentazione della domanda, nel c.d. “periodo di osservazione”, determinante al fine della formulazione del giudizio prognostico di idoneità all’acquisto dello status¸ in quanto coincidente con il frangente temporale in cui devono essere maturati i requisiti per l’acquisto della cittadinanza, compreso quello dell’irreprensibilità della condotta (cfr., da ultimo, Tar Lazio, sez. V bis, n. 10636/2024: “il requisito della residenza legale da almeno di 10 anni nel territorio della Repubblica prescritto dal comma 1 lett. f) della richiamata disposizione va inteso non solo nel senso “quantitativo” della “durata minima del soggiorno” che legittima la presentazione dell’istanza, in quanto indicativo del “legame” che si è venuto a instaurato con il Paese di accoglienza, ma anche nel senso “qualitativo” del “periodo di osservazione” in cui chi aspira ad essere ammesso in una Comunità politica, per determinarne le sorti, assumendo diritti politici ed esercitato funzioni pubbliche, deve dare prova di saper mantenere – per lo meno nell’arco dell’ultimo decennio – un “comportamento senza mende” in modo da dimostrare di aver conseguito un adeguato grado di assimilazione dei valori fondanti per la nostra Comunità”).
A ciò si aggiunga, seguendo l’ormai consolidata giurisprudenza in materia (vedi, in tal senso, già in tempo risalente Cons. Stato, n. 3907/2008, TAR Lazio, II quater, n. 292/2010), che il valore sintomatico è tanto maggiore quanto più il fatto riprovevole è temporalmente vicino alla presentazione della domanda di cittadinanza [cfr., ex plurimis, Tar Lazio, V bis, sent. n. 9037/2022: “La prossimità temporale del comportamento antigiuridico … evidenzia invero la mancata acquisizione del senso di consapevolezza e desiderio che deve caratterizzare la richiesta di cittadinanza italiana”; sent. n. 8854/2024: “deve riconoscersi particolare rilevanza alla “prossimità temporale del comportamento antigiuridico” posto in essere “a ridosso” (in pendenza o in prossimità) della presentazione della domanda, dato che il valore sintomatico della condotta “è tanto maggiore quanto più a ridosso della domanda di cittadinanza” (Cons. Stato, sez. I par. 305/2023; TAR Lazio, sez. V bis, n. 6609/2022, 9037/2022, 13766/2022, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2022/2023, 3673/2023; 3919/2023, 4263/2023, 11068/2023; 10883/2023)”]; e nel caso che ci occupa le due condotte illecite contestate all’istante, in quanto poste in essere nel 2011 e nel 2012, risalgono rispettivamente a soli tre e due anni prima dell’istanza di cittadinanza, presentata il 22 maggio 2014.
- – Sicché l’Amministrazione, nonostante la dichiarazione di non doversi procedere e l’archiviazione, poteva comunque prendere in considerazione le condotte contestate – che non vengono meno per via dell’esito sul piano penale – quali indicatori ai fini della formulazione del giudizio prognostico ad essa demandato, in quanto espressive di una particolare “indole” dello straniero, che denota tendenze caratteriali della persona da cui traspare un particolare disvalore rispetto ai principi di una ordinata e pacifica convivenza civile all’interno dello Stato (Cons. Stato, sez. III, n. 4122/2021; in senso analogo, di recente, Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; nello stesso senso, TAR Lazio, sez. I ter, n. 7619/2021, TAR Lazio, sez. V bis, n. 3527/2022); a tal fine le condotte addebitate non vanno considerate isolatamente ma devono essere fatte oggetto di una valutazione globale che, ai fini della formulazione della prognosi di ottimale inserimento del richiedente in maniera stabile nell’ordinamento italiano, non può prescindere da una configurazione delle stesse nella loro interrelazione reciproca (cfr TAR Lazio, sez. V bis, nn. 1930/2024, 2622/2024; nn. 13816/2023, 13380/2023; nn. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22, 8206/22, 8127/22, , 9291/2022: “come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto”).
In altri termini, gli esiti non sfavorevoli sul piano penale non sollevano dalla valutazione del fatto storico in ipotesi riconducibile al soggetto, specie quando non isolato, come nel caso in esame. In particolare per quanto riguarda la prima vicenda penale del 25 aprile 2011, anche se commessa in minore età, bisogna evidenziare che dalla lettura della sentenza del Tribunale dei minorenni competente emerge l’avvenuto accertamento della responsabilità del ricorrente per i fatti oggetto del giudizio, integranti gli estremi dei reati di resistenza a p.u., lesioni personali e violenza sessuale e che la dichiarazione di non doversi procedere in ordini ai reati ascritti, estinti per concessione del perdono giudiziale, non annulla la condotta tenuta dall’interessato, non conforme alle leggi e alle regole di civile convivenza e non equivale all’accertamento dell’insussistenza dei fatti, con conseguente rilevanza della condotta ai fini della valutazione della personalità del soggetto che ambisce a conseguire lo status di cittadino.
Analoghe considerazioni possono essere fatte in relazione anche alla seconda vicenda penale del 10 settembre 2012, che si è conclusa con un’archiviazione per insufficienza degli elementi di prova raccolti e impossibilità di esperire ulteriori attività di indagine nei tempi previsti per la fase delle indagini preliminari, senza quindi alcuna pronuncia sulla responsabilità del richiedente.
Tale conclusione rappresenta il precipitato applicativo del noto fenomeno della “pluriqualificazione” dei fatti giuridici, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, etc. a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite, invocato dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione alla circostanza dell’estinzione e della riabilitazione pronunciata dal giudice penale. Difatti, sul piano amministrativo, visto che la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento, la condotta comunque posta in essere dall’interessata rileva per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057; id. 28 maggio 2021, n. 4122; id., 16 novembre 2020, n. 7036; id., 23 dicembre 2019, n. 8734; id., 21 ottobre 2019, n. 7122; id., 14 maggio 2019, n. 3121; sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010; T.A.R. Lazio sez. V bis, nn. 2944, 4469 e 4651 del 2022; sez. II quater, n. 10590/12; 10678/2013).
In tale prospettiva nelle premesse motivazionali è condivisibilmente precisato che “le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo con possibilità di valutazioni sfavorevolmente, in sede amministrativa, e risultanze fattuali oggetto della vicenda penale a prescindere dagli esiti processuali” (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I ter, sent. n. 823 del 22.01.2020; idem, sez. II quater, n. 7723 del 2012).
Peraltro, la parte non tiene conto che nella vicenda in esame non emerge tanto un giudizio di pericolosità, che potrebbe comportare anche la revoca del titolo di soggiorno, ma una valutazione di non adeguatezza del ricorrente ad uno stabile inserimento nella comunità nazionale, non avendo potuto accertare una condotta irreprensibile, in ragione del dubbio di una ripetuta violazione di norme poste a presidio della tenuta dell’ordinamento.
In proposito, si consideri altresì che, mentre nel giudizio penale vale il principio in dubio pro reo, dato che si tratta di punire con la privazione della libertà, nel caso della concessione della cittadinanza si tratta di conferire in modo irrevocabile un quid pluris, che può compromettere la comunità intera, per cui l’azione amministrativa deve essere ispirata al principio di precauzione (semel cives, semper cives), la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.
In proposito, di recente, al riguardo questa Sezione nella sentenza n. 8204 del 20 giugno 2022, ha affermato: “Infatti, il giudice penale, titolare di un potere punitivo, agisce con l’intento di accertare se il comportamento contestato abbia arrecato al bene giuridico protetto dall’ordinamento un livello di offesa tale da giustificare la compressione della libertà personale del soggetto agente, nel rispetto del principio dell’habeas corpus e del principio dell’inviolabilità personale (art. 13 Cost.).
Nel caso del procedimento concessorio, invece, l’autorità pubblica ha un potere di ampliamento – non già di restrizione – della sfera giuridica del soggetto, un potere di costituire una posizione giuridica soggettiva ex novo, non preesistente neanche in capo alla stessa p.a., ma di cui è ad essa riservata la disponibilità, attesa l’esigenza di valutare se l’interesse della richiedente a far parte in maniera stabile della comunità nazionale sia conciliabile con il giustapposto interesse pubblico ad ammettere un nuovo individuo nel novero dei cittadini nel rispetto della sicurezza, della stabilità economico-sociale, dell’identità nazionale”.
L’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, n. 12568 del 2009). E in tal senso nell’impugnato provvedimento viene chiarito che l’Amministrazione è tenuta ad accertare la coincidenza tra l’interesse pubblico da tutelare e quello vantato dalla richiedente “mediante una valutazione complessiva degli elementi emersi nel corso dell’istruttoria, che possano dare fondamento all’opportunità della concessione medesima e siano tali da poter escludere che l’inserimento stabile del richiedente nella collettività nazionale arrechi danno alla stessa”.
Si tratta di una valutazione che rientra nel potere discrezionale dell’Amministrazione circa il completo inserimento dello straniero nella comunità nazionale, che, come detto, impedisce al giudice – tenuto conto dei caratteri del sindacato, estrinseco e formale, esercitabile in subiecta materia – di spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio e della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione (cfr. Cons. Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; Tar Lazio, sez. seconda quater, 19 giugno 2012, n. 5665) nonché della logicità e ragionevolezza della stessa.
VII. – In tale prospettiva, nella ponderazione dei contrapposti interessi in gioco nel procedimento di naturalizzazione, occorre considerare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro. Mentre, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva – con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche. In quest’ottica non può ritenersi sproporzionato, ove si consideri la gravità delle conseguenze per la generalità dei consociati, il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato (TAR Lazio, Sez. V, n. 2944/2022).
Da questo punto di vista non può trovare positivo riscontro nemmeno la lamentata omessa considerazione dell’integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessato. Questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato: esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).
L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere sussistente l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.
In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.
VII. – Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso e che quindi il ricorso deve essere respinto perché infondato.
VIII. – In conclusione, per quanto osservato, il Collegio respinge il ricorso.
- – Le spese, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, possono essere compensate tra le parti.