<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Differenza tra corruzione e traffico di influenze nel caso del commercialista che elargisca mazzette ai finanzieri nell'interesse del cliente </strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La sentenza in esame si pone il fine di trovare un criterio per distinguere chiaramente i reati di corruzione (artt. 318 s.s. c.p.) e traffico di influenze (art, 346 bis c.p.). </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sebbene tali reati possano apparire prima facie molto simili e quasi sovrapponibili nel caso in cui vi sia al tempo stesso uno sfruttamento delle relazioni esistenti con il pubblico ufficale e un’elargizione di denaro o altra utilità allo stesso, “</em><em>la fattispecie del traffico d'influenze illecite non è configurabile allorchè sia stato accertato un rapporto alterato e non paritario fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato, appunto integrante il più grave delitto di corruzione”.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il delitto di traffico di influenze inoltre si caratterizza per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di mediazione e non potendo essere destinato all'agente pubblico, diversamente da quanto accade nella corruzione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI PENALE, Sent., (ud. 24/06/2020) 06-08-2020, n. 23602 </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</strong></p> <p style="text-align: justify;">2.1. Con il primo motivo, eccepisce la violazione di legge con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto evidenziando che, come risulta dalle emergenze processuali, G. si era limitato a tentare di convincere i finanzieri, in ragione dei suoi buoni rapporti da tempo esistenti con la G.d.F., ad addivenire a una preventiva operazione di ravvedimento operoso per evitare la denuncia penale, con successivo "regalo" per il piacere ottenuto, di tal che il fatto andrebbe qualificato nella fattispecie meno grave del traffico di influenze illecite. 2.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 165 c.p., per avere il giudice subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento - da parte tanto del G., quanto del coimputato T. - della somma di 4.000,00 Euro ciascuno. Evidenzia il ricorrente l'illegittimità dell'imposizione di tale condizione sia perchè realizza una duplicazione dell'obbligo finanziario, finendo per raddoppiare il limite patrimoniale previsto dalla norma; sia perchè risulta ingiustificata stante l'assenza in capo al ricorrente di un qualunque vantaggio (patrimoniale o morale). E ciò a prescindere dal fatto che dal "favore concesso indebitamente" non è derivato alcun danno per la P.A., essendo stata interamente versata la somma detratta dalla dichiarazione ai fini della riduzione delle imposte dovute attraverso l'utilizzo di fattura per operazione inesistente, con le relative sanzioni, attraverso l'istituto del ravvedimento operoso. Conclude il ricorrente che, a tutto voler concedere, l'importo della dazione avrebbe dovuto essere proporzionalmente diviso tra i due imputati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">1.1. Occorre premettere che, secondo quanto dispone l'art. 448 c.p.p., comma 2 bis, (come novellato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50), "Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza".</p> <p style="text-align: justify;">1.2. La doglianza mossa dal ricorrente concernente la qualificazione giuridica del fatto - sia pure correttamente incanalata dell'alveo delle questioni scrutinabili delimitato dall'art. 448 c.p.p., comma 2 bis, - si appalesa all'evidenza destituita di fondamento.</p> <p style="text-align: justify;">1.3. Occorre innanzitutto ribadire il principio di diritto secondo cui, <strong>in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti,</strong> anche successivamente all'introduzione della previsione dell'art. 448 c.p.p., comma 2 bis, <strong>la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai soli casi di qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione,</strong> <strong>con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato</strong> (v. da ultimo, Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, EI Zitouni, Rv. 27597102).</p> <p style="text-align: justify;">1.4. Siffatta situazione non ricorre certamente nella specie. Giova rammentare come il <strong>delitto di traffico di influenze di cui all'art. 346 bis c.p</strong>., così come introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 75, e poi integrato con L. 9 gennaio 2019, n. 3 - <strong>punisca la condotta di chi "sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite" con un funzionario pubblico "indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro od altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita" "ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri".</strong> Detta condotta certamente <strong>ingloba quella contemplata dall'art. 346 c.p., abrogato </strong>con la stessa L. n. 3, là dove sanziona(va) la condotta di chi "millantando credito" presso un funzionario pubblico (con la differenza quanto all'impiegato di cui si è già detto) "riceve o fa dare o fa promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione" (comma 1) ovvero "col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare" (comma 2). Anche all'esito della <strong>novella del 2019</strong>, rimane fermo, giusta l'espressa clausola di riserva contenuta nella disposizione ("fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319 ter"), la fattispecie del tr<strong>affico d'influenze illecite non è configurabile allorchè sia stato accertato un rapporto alterato e non paritario fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato, appunto integrante il più grave delitto di corruzione </strong>(Sez. 6, n. 11808 del 11/02/2013, Colosimo, Rv. 254442).<strong> Il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346 bis c.p., si differenzia</strong> difatti, dal punto di vista strutturale, dalle fattispecie di corruzione <strong>per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di mediazione e non potendo, </strong>quindi, <strong>neppure in parte, essere destinato all'agente pubblico </strong>(Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016 - dep. 27/01/2017, Rigano, Rv. 269736).</p> <p style="text-align: justify;">1.5. Sulla scorta delle coordinate ermeneutiche teste tracciate, nel caso sub iudice, non v'è materia per la derubricazione del fatto nell'ipotesi di cui all'art. 346 bis c.p., là dove secondo la contestazione e la ricostruzione in fatto compiuta dal Giudice a quo - risulta accertato il versamento di una somma di denaro al fine di remunerare il mercimonio dell'atto d'ufficio dei due appartenenti alla Guardia di Finanza e si appalesa, pertanto, perfezionata l'ipotesi corruttiva contestata.</p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li>Risulta, di contro, fondata la seconda doglianza in punto di subordinazione della sospensione condizionale della pena "al pagamento della somma di Euro quattromila quale indebitamente percepita dai pubblici ufficiali", sebbene per una ragione in parte diversa da quella delineata dal ricorrente.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">2.1. Mette conto di rammentare che, con la L. 27 maggio 2015, n. 69, nel corpo dell'art. 165 c.p., è stato inserito il comma 4, con cui si è expressis verbis <strong>subordinata la concessione della sospensione condizionale nei confronti di chi sia condannato per i reati ivi previsti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320 e 322 bis c.p., "al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta"</strong>. Come non si è mancato di rilevare anche in dottrina, <strong>stante il mancato richiamo all'art. 321 c.p., la previsione dell'art. 165 c.p., comma 4, non è applicabile al privato corruttore nei casi di corruzione per l'esercizio della funzione, propria ed in atti giudiziari. </strong>E' coerente con tale impostazione il disposto dell'art. 444 c.p.p., comma 1 ter, là dove subordina l'ammissibilità dell'applicazione della pena su richiesta alla "restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato" per coloro i quali siano imputati dei delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 bis c.p., ancora una volta non menzionando fra le incriminazioni in relazione alle quali vale tale condizione quella di cui all'art. 321 c.p., escludendo dunque dall'ambito di applicabilità della condizione de qua il corruttore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ludovica Fiaschetti </em></p>