Europa – Vittime di reati violenti e obbligo di indennizzo in capo agli stati dell’Unione Europea
La questione trattata dalla sentenza in esame concerne il delicato esame della responsabilità dello Stato legislatore per mancata trasposizione del diritto unionale, ovvero la violazione “grave e manifesta” dello stesso in riferimento a quanto disposto dall’art. 12, par. 2 della Direttiva 2004/80/CE. Si tratta, infatti, di una questione riguardante la partecipazione dello Stato all’Unione Europea.
L’ordinanza in esame ha posto un punto finale all’orientamento che si andava manifestando all’interno del sistema interpretativo nazionale della normativa di riferimento per il caso di specie ed oggetto della sentenza in esame.
È doveroso specificare che la Direttiva suindicata impone a ogni Stato membro dell’Unione Europea di prevedere, qualora sia stato impossibile ottenere il risarcimento dal responsabile della condotta lesiva, un sistema indennitario, questo, valevole per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel loro territorio, non solo per i fatti avvenuti in territorio straniero, ma anche per quelli avvenuti sul territorio nazionale.
*Il fatto: Una donna aveva citato in causa, avanti il Tribunale di Torino, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in relazione all’inadempimento dell’obbligo di dare attuazione alla Direttiva 2004/80/CE, e segnatamente alla norma che impone agli Stati membri dell’Unione Europea, dal primo luglio 2005, di garantire “adeguato” ed “equo” ristoro alle vittime di reati violenti ed intenzionali, impossibilitate a conseguire dai propri offensori il risarcimento integrale dei danni subiti.
*I punti critici affrontati:
- a) Violazione e/o falsa applicazionedi norme di diritto in relazione all’interpretazione dell’art. 12, par. 2 della Direttiva 2004/80/CE;
- b) Violazione dei principi deldiritto comunitarioe delle libertà fondamentali previsti dagli artt. 49, 50 e 63 del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea, vale a dire di “fonti di diritti direttamente azionabili dai residenti nei confronti dello Stato di appartenenza“, in applicazione dei principi di cui agli artt. 18, 20 e 21 del medesimo Trattato, finalizzati ad assicurare, nel rispetto dei principi di eguaglianza e/o non discriminazione, la corretta applicazione dei principi del diritto comunitario.
I due punti sono strettamente collegati proprio in quanto, nel caso di specie, la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto europeo determina l’esclusione dell’attuazione di una norma che si può definire favorevole a soggetti che meriterebbero di esserne i destinatari, determinando, così, un problema di diseguaglianza e discriminazione.
La disamina che seguirà, enucleando il principio di diritto, affronterà entrambi gli aspetti attraverso la loro intersezione.
Con la rilevante ordinanza n. 26303/21 depositata il 29 settembre 2021, la terza sezione civile della Cassazione ha definitivamente rigettato l’interpretazione “restrittiva” della norma data, la Direttiva in esame, oltre che dal Governo italiano, da diversi giudici di merito, secondo cui i suoi scopi e le finalità sarebbero stati quelli di prevedere un indennizzo limitatamente alle cosiddette “situazioni transfrontaliere”, con esclusione, dunque, di quelle meramente interne.
Il nucleo centrale, dunque, del principio di diritto fornito dall’ordinanza in esame è proprio quello di allargare, da un punto di vista interpretativo, le maglie dell’applicazione della normativa suindicata e nello specifico, non solo ai casi avvenuti in paesi stranieri, extranazionali, ma anche a quelli che si siano verificati sul territorio nazionale, sia che si tratti di vittime straniere sia che si tratti di italiani; specificatamente con riguardo a vittime di atti violenti.
Sostanzialmente la portata applicativa della direttiva è quella di norma che non solo obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio, ma consente anche ai soggetti residenti nello Stato membro, così obbligato, di poter usufruire dell’indennizzo.
La corte di Cassazione esprime, infatti, come non sia da condividere l’interpretazione nazionale data alla Direttiva 2004/80/CE, quale norma che faccia riferimento applicativo solo ai casi di vittime di reati intenzionali e violenti per i soli episodi “transfrontalieri”, escludendo, dunque i casi avvenuti e consumatisi all’interno dello Stato italiano; trattandosi, dunque, di una interpretazione restrittiva della normativa europea.
Gli ermellini chiariscono, infatti, che l’art. 12, par. 2, della Direttiva deve essere interpretato nel senso che “non solo obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio, ma che consente anche ai soggetti residenti nello Stato membro, così obbligato, di poter usufruire dell’indennizzo, essendo, quindi, anch’essi titolari del diritto conferito, nella specie, dal diritto derivato dell’Unione.”
La questione denunciava anche la violazione dei principi del diritto comunitario e delle libertà fondamentali previsti dagli artt. 49, 50 e 63 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea, vale a dire da “fonti di diritti direttamente azionabili dai residenti nei confronti dello Stato di appartenenza“, in applicazione dei principi di cui agli artt. 18, 20 e 21 del medesimo Trattato, finalizzati ad assicurare, nel rispetto dei principi di eguaglianza e/o non discriminazione, la corretta applicazione dei principi del diritto comunitario.
La corretta applicazione di tali norme avrebbe dovuto avere come conseguenza l’estensione degli effetti di carattere indiretto della direttiva in esame, imponendo allo Stato italiano, in via immediata e diretta, il recepimento della direttiva stessa, con la previsione di un sistema indennitario generalizzato e necessariamente applicabile anche nei confronti dei residenti in Italia, qualora riconosciuti vittime di reati violenti e intenzionali nel territorio dello Stato.
Definita, dunque, la portata interpretativa della direttiva europea per quanto riguarda l’ambito della sua attuazione territoriale, la Corte specifica ulteriormente che l’indennizzo non deve garantire il ristoro completo ma nemmeno essere “simbolico”.
L’indennizzo, dunque non deve corrispondere esattamente al risarcimento del danno e dunque ad un ristoro materiale e morale del danno subito. Però il principio espresso dalla Corte è quello secondo il quale, comunque, lo Stato membro non possa eccedere i margini di discrezionalità nella quantificazione del ristoro che l’art. 12, paragrafo 2, gli accorderebbe.
Ciò significa anche che lo stesso ristoro non possa essere né simbolico né manifestamente insufficiente.
In conclusione il principio di diritto espresso dagli ermellini è quello di interpretare in modo estensivo quando disposto dalla Direttiva Europea 2004/80/CE, art. 12, paragrafo 2 per quanto riguarda le vittime di reati violenti la cui consumazione si sia verificata sul territorio italiano e ciò nel rispetto degli stessi principi fondanti non solo la nostra costituzione ma soprattutto enucleati dall’Unione Europea.
Il trattamento diverso dei cittadini dell’Unione per i medesimi fatti, nonostante vi sia una normativa europea che debba e possa essere applicata in via diretta nel sistema interno nazionale, creerebbe disuguaglianza e discriminazione.