Reato di appropriazione indebita aggravata – Avvocato difensore – indeterminatezza dell’ammontare professionale – diritto di ritenzione e delitto di appropriazione indebita
PRINCIPIO DI DIRITTO:
La sentenza in commento chiarisce un caso di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. Nello specifico si tratta dell’appropriazione indebita realizzata ad opera del professionista, nella specie un avvocato, che detiene, per conto del cliente, somme di denaro che sarebbero di destinazione dell’assistito. Quest’ultima qualifica, quale assistita, non vale a determinare la ritenzione dell’intero ammontare della somma risarcitoria quale compenso per l’opera professionale prestata. Vale ad aggravare la situazione anche in presenza di accordi perché si tratta di somme che non possono essere né predeterminate, né predefinite e dunque non possono essere discrezionalmente trattenute soprattutto nella decisione del quantum. Ad aggravare ulteriormente la posizione del professionista è il legame di fiducia sancito deontologicamente che impone il predetto divieto di ritenzione sine die; tale condizione potrebbe essere alla base della mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il codice deontologico forense disciplina i doveri dell’avvocato nella gestione del denaro ricevuto dal cliente o da terzi nell’adempimento dell’incarico professionale, doveri che sono collegati a quelli di probità, dignità, decoro e indipendenza della professione e al dovere di diligenza; è previsto (art. 30 codice deontologico) che l’Avvocato deve gestire con diligenza il denaro ricevuto dalla parte assistita o da terzi nell’adempimento dell’incarico professionale ovvero quello ricevuto nell’interesse della parte assistita e deve renderne conto sollecitamente (per la violazione di tale obbligo è prevista la sanzione della censura).
Qualsiasi somma corrisposta all’avvocato ed estranea al compenso professionale, deve essere custodita nel rispetto di precise regole, con la sua fatturazione o con il versamento su apposito conto che ne impedisce la libera disponibilità (Cass. sez.un., 4 dicembre 1992 n.12945).
L’avvocato non può, quindi, trattenere le somme che incassa per conto del cliente, né vi è la possibilità dell’avvocato di trattenere le somme, magari a scomputo delle sue spettanze. Infatti all’avvocato non è consentito trattenere somme di competenza del cliente neppure a titolo di compensazione con un proprio credito professionale in difetto del consenso (specifico e dettagliato, quindi consapevole) del cliente, ovvero di una liquidazione operata con sentenza a carico della controparte, ovvero ancora di una richiesta di pagamento espressamente accettata dal cliente (Cons. naz. forense 12 settembre 2018 n.102).
Il principio di diritto espresso, dunque, dalla sentenza in analisi è quella di fare un passo in avanti, oltre quello deontologico, per individuare, nel comportamento del professionista, descritto in sentenza, una condotta penalmente rilevante, e non solo più una condotta sanzionabile in termini deontologici; si configura il reato di appropriazione indebita aggravata dall’abuso della qualità di prestatore d’opera qualora l’avvocato difensore e procuratore speciale della persona offesa proceda ad incassare la somma erogata a titolo risarcitorio del danno patito dal proprio assistito a nulla rilevando il credito vantato in relazione alle competenze professionali ed al ristoro per le spese sostenute in giudizio per la difesa del proprio cliente. Infatti, si tratta di un credito privo delle caratteristiche di certezza, liquidità ed esigibilità che avrebbero consentito la riscossione e l’esercizio del diritto di ritenzione.
Nella fattispecie, l’avvocato difensore aveva incassato la somma di circa 380.000,00 euro erogati da una società di assicurazione a titolo di risarcimento per i danni patiti dal proprio assistito a seguito di un grave incidente stradale.