<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza 18 maggio 2021, n. 19611</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>PRINCIPIO DI DIRITTO</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>L’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 <em>bis</em> c.p. può compendiarsi tanto nella violenza fisica in senso stretto quanto nella intimidazione psicologica, che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, nonché nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Peraltro, ai fini della configurabilità del reato in esame, occorre che la violenza o la minaccia siano in grado di coartare la volontà della vittima, nel senso non di annullarla totalmente, bensì di forzarla o comprimerla, in relazione alle peculiari specificità del caso concreto.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em> </em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> Va evidenziato che ci si trova di fronte ad una "<strong>doppia conforme</strong>" affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente ammissibile la <strong>motivazione</strong> della sentenza di appello <strong>per relationem</strong> a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 1, 22/11/19934/2/1994, n. 1309, Albergamo, riv. 197250; Sez. 3, 14/2- 23/4/1994, n. 4700, Scauri, Riv. 197497; Sez. 2, 2/3- 4/5/1994, n. 5112, Palazzotto, Riv. 198487; Sez. 2, 13/11-5/12/1997, n. 11220, Ambrosino, Riv. 209145; Sez. 6, 20/113/3/2003, n. 224079).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ne consegue, precisa la Corte, che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall’appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà alla verifica della congruità e logicità delle risposte fornite alle predette censure.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Va, poi, ricordato che le <strong>dichiarazioni della persona offesa</strong> possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della <strong>credibilità soggettiva</strong> del dichiarante e dell’<strong>attendibilità intrinseca</strong> del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv.253214; Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014).</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>A tal fine, soggiunge la Corte, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va, inoltre, ribadito che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale <strong>giudizio di tipo fattuale</strong>, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la <strong>dialettica dibattimentale</strong>, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr., Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv. 235578). Invero, l’attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, <strong>salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va anche ricordato, chiosa ancora la Corte, che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione del giudice di appello; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo <strong>sindacato di legittimità</strong>, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 del 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri).</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Sulla base di tali di principi di diritto va esaminato il motivo di ricorso, che involge, in sostanza, doglianze afferenti omissioni e vizi logici della motivazione relativi alla valutazione della attendibilità delle persone offese e del materiale probatorio sul quale si fonda l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La doglianza è manifestamente infondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1. La Corte territoriale ha motivato congruamente, in maniera logica ed adeguata, in ordine alla attendibilità delle persone offese, richiamando e condividendo la valutazione del primo giudice e spiegando che le imprecisioni del racconto accusatorio rappresentate dalla difesa erano del tutto marginali, in quanto non incidenti sulla ricostruzione del fatto, ed espressione della genuinità della deposizione; ha, quindi, esaminato anche i riscontri esterni al narrato dei dichiaranti, costituiti dalla documentazione sanitaria in atti, che descriveva situazioni patologiche compatibili con i fatti narrati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In particolare, con riferimento alla condotta di violenza sessuale, la Corte territoriale, rispondendo alle censure della difesa, ha specificamente analizzato la ricostruzione dei fatti ed ha rimarcato che la persona offesa era stata chiara nel riferire che i <strong>rapporti sessuali non consenzienti</strong> avevano avuto inizio circa quattro/sei anni prima della cessazione della convivenza; ha, poi, chiarito che la circostanza che la donna, negli ultimi tempi, aveva deciso di dormire nella camera dei figli non aveva impedito il perpetrarsi delle violenze sessuali, in quanto la donna aveva chiaramente riferito che l’imputato era solito bussare alla porta per costringerla a consumare dei rapporti sessuali e che ella, soggiogata dal <strong>timore della reazione violenta</strong> che sarebbe seguita se si fosse rifiutata, lasciava i figli addormentati e cedeva alle pressanti richieste del marito. La violenza, quindi, secondo i Giudici di merito, risultava integrata dal <strong>dissenso della persona offesa</strong> al compimento dei rapporti sessuali, dissenso del quale era certamente consapevole l’imputato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La motivazione, afferma la Corte, è congrua ed esente da vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Essa, inoltre, è in linea con i principi espressi da questa Corte di legittimità in subiecta materia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, infatti, rammentarsi, che, in tema di violenza sessuale, l’<strong>elemento oggettivo</strong> consiste sia nella <strong>violenza fisica in senso stretto</strong>, sia nella <strong>intimidazione psicologica</strong> che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia anche nel c<strong>ompimento di atti di libidine subdoli e repentini</strong>, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso (Sez.3, n. 6945 del 27/01/2004, Rv.228493; Sez.3, n. 46170 del 18/07/2014, Rv.260985).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha, inoltre, affermato che, in tema di reati sessuali, l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva (Sez. 3, n. 14085 del 24/01/2013, Rv. 255022; Sez.3, n. 967 del 26/11/2014, dep.13/01/2015, Rv.261637).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Perciò, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma <strong>è sufficiente che la volontà risulti coartata</strong>. Neppure è necessario, chiosa ancora la Corte, che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’inizio fino al congiungimento: è sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta (Sez. 3, n. 3141 del 25/02/1994 Ascari, Rv. 198709). E il dissenso della vittima <strong>può essere desunto</strong> da una molteplicità di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Sez.3, n. 24298 del 12/05/2010, Rv.247877).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2. A fronte di tale <strong>adeguato e logico percorso argomentativo</strong>, il ricorrente si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.</em></li> <li><em> Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>