In tema di deontologia forense, costituisce violazione del dovere di cui all’art. 50 comma 5 cod. deontl. for -che prevede il divieto per l’avvocato di rendere false dichiarazioni in ordine a fatti suscettibili di essere posti a fondamento del provvedimento giudiziale e di cui il professionista abbia diretta conoscenza- la condotta dell’avvocato che instauri una causa risarcitoria innanzi al giudice civile affermando che gli attori siano stati assolti dal procedimento penale contro i convenuti, mentre il procedimento penale in questione era stato dichiarato improcedibile per difetto di querela. Nel caso di specie l’avvocato aveva prestato la propria attività professionale anche in seno al procedimento penale.
Ai fini dell’esclusione della responsabilità disciplinare, per carenza del requisito soggettivo dell’art. 4 cod. deont. for., non è ammesso ad invocare l’errore il professionista che affermi di aver operato commistione tra il concetto tecnico di assoluzione con quello di proscioglimento per difetto di querela.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1 – Con il primo motivo il ricorrente deduce illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3 – illegittimità della sanzione disciplinare irrogata – violazione di legge – violazione degli artt. 9 e 50 in ordine alla supposta violazione dell’obbligo di verità. Rileva che il codice deontologico forense (art. 50 testo attuale, art. 14 testo previgente) prevede il dovere di verità inteso come dovere di non rendere false dichiarazioni sull’esistenza o inesistenza di fatti di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato. Ciò presuppone la consapevolezza in capo al legale circa la falsità della dichiarazione resa in ordine alla inesistenza – esistenza del fatto. Nella specie il delitto di violenza privata per il quale si era proceduto sulla base di denuncia della Monaco s.p.a. era risultato insussistente e l’errore dell’avvocato era stato solo quello di aver esperito l’azione per il risarcimento del danno patito dai suoi assistiti, rappresentando con il termine assoluzione e non proscioglimento la pronuncia su un reato meno grave che non era a fondamento dell’istanza risarcitoria avanzata, sicché l’uso errato del termine non appare finalizzato nè idoneo a trarre in errore il giudice, che ben ha rappresentato la reale situazione nella sentenza di primo grado.
- Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della sanzione impugnata, la violazione degli artt. 3e 24 Cost., la violazione dell’art. 4 codice deontologico forense, l’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’incolpazione. Osserva che l’art. 4 del codice deontologico forense richiede la coscienza e volontà dell’azione dell’incolpato, di cui non sussiste prova nella specie per avere il ricorrente chiarito di essere incorso in errore con riferimento alla ritenuta equivalenza tra assoluzione e proscioglimento circa la fattispecie derubricata. Manca, quindi, in capo al S. la volontà consapevole di commettere un illecito disciplinare.
- Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della sanzione impugnata per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 50 del codice deontologico forense con riferimento al trattamento sanzionatorio. Osserva che l’evidente errore nel quale è incorso l’incolpato, che ha fatto riferimento ad una accezione di assoluzione comprendente il proscioglimento, depriva l’addebito della violazione del dovere di verità del connotato soggettivo del dolo, talché la sanzione disciplinare non poteva eccedere i due mesi di sospensione dell’attività professionale.
- I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro intima connessione. Essi sono infondati per le ragioni già indicate dal Consiglio Nazionale Forense: la qualifica professionale dell’incolpato non consente di supportare la tesi dell’errore nell’uso dell’espressione assoluzione in luogo di proscioglimento, essendo il S. , peraltro, ben consapevole della relativa differenza, per aver prestato adesione alla derubricazione del reato che ha comportato il proscioglimento per assenza della condizione di procedibilità. La circostanza, poi, che la situazione reale sia stata ben rappresentata dal giudice nella sentenza civile che ha rigettato la domanda risarcitoria, non sta a significare di per sé irrilevanza della condotta, poiché la sentenza è stata resa all’esito del contraddittorio e alla rappresentazione della realtà dei fatti ha contribuito l’attività della controparte.
- Le argomentazioni svolte sono idonee a escludere anche la rilevanza del terzo motivo, poiché, non potendo elidersi la condotta relativa al dovere di verità, resta ferma la sanzione irrogata, essendo l’apprezzamento della gravità del fatto e della condotta addebitata all’incolpato, rilevante ai fini della scelta della sanzione opportuna ai sensi dell’art. 22 del codice deontologico forense, rimesso all’Ordine professionale e non consentendo il controllo di legittimità sull’applicazione di tale norma che la Corte di cassazione possa sostituirsi al Consiglio nazionale forense nel giudizio di adeguatezza della sanzione irrogata (Cass. n. 6967 del 17/03/2017).
- Il ricorso, pertanto, in ragione della totale infondatezza, va rigettato.
- Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine svolto attività difensiva in questa sede.
Cass. civ., unite, sent., 30.12.2021, n. 41990