Corte di cassazione civile, sezione I, ordinanza interlocutoria 6 maggio 2024 n. 12339
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Si rimettono gli atti alla Prima Presidente perché valuti l’opportunità di investire le Sezioni Unite di questa Corte sulla questione al contempo di massima di particolare importanza e oggetto di contrasto, concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente — mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche — la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato.”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.1.- Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 cod.civ., 51 e 595 cod.pen. e 11 legge 8 febbraio 1948 n. 47), con riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo stampa.
Essi sostengono la erroneità della sentenza impugnata, laddove ha riformato la sentenza di primo grado che aveva escluso il carattere lesivo dell’articolo censurato.
I ricorrenti si dolgono che sia stata negata l’esimente del diritto di cronaca, in applicazione del principio espresso da Cass. n. 11769/2022, perché essenzialmente nell’articolo in parola, D. sarebbe stato indicato come “imputato”, mentre all’epoca era solamente “indagato”, e sarebbe stato prospettato a suo carico il reato “consumato” di truffa, mentre l’accusa nei confronti dell’originario attore atteneva ad una presunta “tentata” truffa.
Con riferimento al primo profilo, a discarico i ricorrenti deducono che, nell’articolo, D. non venne indicato esplicitamente come imputato, ma venne riferito che la Procura di Roma ne aveva chiesto il rinvio a giudizio. Pur convenendo che prima della pubblicazione dell’articolo era stato emesso nei confronti dell’originario attore solo l’avviso ex art. 415 bis cod.proc.pen. notificatogli nella qualità di indagato, opinano che ciò fosse sintomatico della probabile intenzione del pubblico ministero di esercitare l’azione penale.
Con riferimento all’attribuzione del reato consumato di truffa anziché del tentativo di truffa, lamentano da parte della Corte di merito l’errata applicazione dei principi giurisprudenziali relativi alla marginalità dell’errore che invece erano stati correttamente applicati dal Tribunale che aveva ritenuto l’inesattezza irrilevante e non già un “addebito falso”, di per sé capace di inficiare la carriera e la posizione del l’originario attore.
2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 cod.civ. laddove la Corte di Appello ha ritenuto provata la sussistenza del danno non patrimoniale in via presuntiva in carenza di ogni allegazione avversaria, senza avere svolto una preventiva valutazione circa la sussistenza di un nesso di causalità effettivamente immediato e diretto tra il danno non patrimoniale lamentato e l’articolo contestato.
A parere dei ricorrenti, la Corte di Appello ha ritenuto dimostrata, anche solo in via presuntiva, la sussistenza del danno non patrimoniale subito dall’originario attore, che non aveva provato nel corso del giudizio di primo e secondo grado la esistenza effettiva del danno non patrimoniale, asseritamente subito, e il nesso di causalità tra i presunti danni e la pubblicazione contestata.
Secondo i ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale risulta quindi aver violato gli artt. 1223, 2043 e 2059 cod. civ. perché non ha tenuto conto che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod.civ. partecipa della medesima struttura del danno patrimoniale ex art. 2043 cod.civ. e, quindi, è da considerarsi non come “danno evento” ma come “danno conseguenza” di talché, per la risarcibilità del danno non patrimoniale quale conseguenza della lesione di un diritto fondamentale, è indispensabile – anche per una valutazione equitativa – non solo che il presunto danneggiato abbia offerto la prova della sussistenza del lamentato danno o quantomeno abbia allegato indici specifici obiettivi e univoci per provarne l’esistenza, ma anche che il citato soggetto abbia preliminarmente dato rigorosa prova dell’esistenza di un nesso di causalità immediato e diretto tra il pregiudizio lamentato e l’articolo di cui è causa. Una prova che nel caso non sarebbe stata offerta dall’originario attore.
2.3.- Con il terzo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 legge n. 47/1948.
Il ricorrente L. sostiene, sulla scorta delle argomentazioni svolte con il primo motivo, che l’articolo in parola era pienamente corretto, e che, a seguito dell’accoglimento di tale motivo, anche la condanna alla sanzione pecuniaria dovrebbe essere caducata.
Soggiunge che essa dovrà essere rivista in ogni caso, in quanto non vi era e non v’è traccia alcuna dell’integrazione del dolo necessario affinché possa essere irrogata la sanzione ex art. 12 della legge n. 47/48.
2.4.- Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 cod.proc.civ., laddove la Corte di Appello ha accolto la domanda di pubblicazione della sentenza. I ricorrenti chiedono l’accoglimento del motivo in diretta conseguenza dell’accoglimento delle precedenti censure.
- – Ritiene il Collegio che in relazione alla questione posta dal primo motivo — concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente (mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche) la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato —, vada disposta la rimessione del ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto, dalla disamina delle pronunce di legittimità civili e penali in merito, appare emergere un contrasto interpretativo tra plessi giurisdizionali (quello penale e quello civile) e che, per il rilievo mediatico e le ricadute pratiche sull’esercizio del diritto (di e) all’informazione, costituente un’importante funzione della vita pubblica, acquista al contempo anche le caratteristiche di una questione di rilievo, e cioè una questione di massima di particolare importanza.
4.1.- Secondo consolidati arresti della giurisprudenza civile di legittimità, in tema di responsabilità civile per diffamazione, l’esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva (o anche solo putativa) della notizia sicché, secondo la distribuzione degli oneri probatori disciplinata dall’art. 2697 cod.civ., una volta provato dall’attore, che assume di essere stato leso da una notizia di stampa, il fatto della pubblicazione diffamatoria, spetterà al convenuto dimostrare, a fondamento dell’eccezione di esercizio del diritto di cronaca e della sussistenza della relativa esimente, la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa, laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione alla attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all’attore dimostrarne l’inattendibilità […].
[…] Il legittimo esercizio del diritto di cronaca esonera il giornalista dall’obbligo di verificare l’attendibilità della fonte informativa nel caso in cui questa provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria o da un procedimento disciplinare interno a una P.A., valido ed efficace al momento della sua divulgazione, trattandosi di un atto di investigazione interna, di rilievo pubblico sul quale il giornalista può fare legittimo affidamento; tuttavia l’applicabilità della esimente del diritto di cronaca di cui all’art. 59, ultimo comma, cod.pen., impone al giornalista di verificare e di accertare la verità quantomeno putativa del fatto pubblicato, e gli impone di verificare in modo completo e specifico, mediante un necessario aggiornamento temporale, la veridicità della notizia al momento della sua divulgazione, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che provi la sua buona fede […].
A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo — con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all’urgenza di informare il pubblico — della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati e dovendo la verosimiglianza del fatto essere valutata al momento in cui ne è fatta divulgazione (Cass. civile n. 29265/2022).
È stato, quindi, chiarito che il giornalista, nel narrare un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, può anche riferire una notizia inesatta, a condizione che tale discrasia non sia in grado di offendere l’altrui reputazione (Cass. civile n. 11233/2017) e che la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie che non alterino, nel contesto dell’articolo, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili, con la puntualizzazione che «Sono da considerare marginali le imprecisioni che non mutano in peggio l’offensività della narrazione e, per contro, sono rilevanti quelle che stravolgono il fatto “vero” in maniera da renderne offensiva l’attribuzione a taluno, all’esito di una valutazione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatorio.» (Cass. civile n. 7757/2020). È stato, inoltre, precisato che, nel caso di attribuzione al danneggiato di una pluralità di fatti lesivi della sua reputazione, ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, il requisito della verità della notizia deve sussistere con riguardo a ciascuno di essi, non potendo un fatto diffamatorio perdere tale valenza per la sua “portata offensiva marginale”, vale a dire solo perché affiancato da altro più grave (Cass. civile n. 11769/2022).
4.2.- Con riferimento allo specifico tema in esame – concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente — mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche — la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che tentato, la Corte di legittimità in sede civile si è espressa con orientamento che appare consolidato, affermando che integra diffamazione a mezzo stampa, per l’insussistenza dell’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l’attribuzione ad un soggetto nell’ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato ex art.60 cod.proc.pen., anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415 bis cod.proc.pen., non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest’ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell’azione penale e risponde allo scopo di consentire all’indagato l’esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini (Cass. civile n.12370/2018).
In tal modo si è data continuità ad un precedente in termini, che ha ritenuto corretta la decisione di merito circa la natura diffamatoria della notizia, inesatta, relativa alla richiesta del p.m. di rinvio a giudizio degli indagati, in luogo della notifica agli stessi dell’avviso di cui all’art. 415 bis cod.proc.pen. (Cass. civile n. 18264/2014); in base allo stesso principio, è stata esclusa la diffamazione, allorché dal contesto dell’articolo era percepibile, da parte del lettore, che la richiesta di rinvio a giudizio non fosse riferita a tutti gli indagati, lasciandosi quindi comprendere l’esistenza del mero avviso per altri […].
Anche la più recente Cass. civile n. 11769/2022, in linea con Cass. civile n.12370/2018, ha ribadito in motivazione che «… integra diffamazione a mezzo stampa, per l’insussistenza dell’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l’attribuzione ad un soggetto nell’ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato, anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest’ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell’azione penale e risponde allo scopo di consentire all’indagato l’esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini»; di contro, ha ritenuto che integra un’inesattezza secondaria e marginale, insuscettibile di assumere valenza diffamatoria, la falsa attribuzione della qualità di indagato ad un soggetto che sia stato sentito come persona informata dei fatti, trattandosi di figure pur sempre afferenti alla fase delle indagini preliminari (anteriore all’esercizio dell’azione penale), e non potendosi pretendere da un giornalista l’uso tecnicamente ineccepibile dei corretti termini tecnici processuali.
5.1.- In tema, si contano numerose pronunce emesse dalla Corte di legittimità in sede penale, con riferimento alla fattispecie della diffamazione a mezzo stampa ex art.595 cod.pen.
In ambito penale, nel ricostruire la fattispecie di reato, si è affermato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l’attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell’oggetto dell’imputazione, sia sotto il profilo dell’astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (Cass. penale n. 13782/2020); si è così confermato il precedente indirizzo, secondo cui, non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, nei confronti del direttore responsabile di un quotidiano nel quale sia pubblicato un articolo non firmato che affermi, contrariamente al vero, che nei confronti di un presidente dei revisori dei conti di una banca, si svolgano indagini per il reato di appropriazione indebita anziché per il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, ex art. 2638 cod. civ.; non è, infatti, irrilevante per la reputazione di un soggetto l’attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga (Cass. penale n.5760/2013).
È stato, inoltre, rimarcato che, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l’assoluzione dell’accusato (Cass. penale n. 21703/2021). È stato altresì precisato che, in ordine alla sussistenza della scriminante del diritto di cronaca nella ipotesi in cui una serie di fatti venga attribuita ad un gruppo di persone, perché possa dirsi soddisfatto il principio del rispetto della verità obiettiva occorre che sia specificato a quali di tali persone i singoli episodi vengono attribuiti per intero ed a quali in modo parziale, determinandosi altrimenti nel destinatario della notizia la falsa impressione che ad ognuno dei soggetti indicati i fatti sono stati attribuiti nel loro insieme (Cass. penale n. 43483/2001).
5.2.- Pur potendosi rilevare una sostanziale coerenza di massima tra i principi espressi in tema di diffamazione a mezzo stampa nei settori che trattano la materia civile e quella penale, si ravvisano punti di divergenza significativi proprio sul tema che interessa questo procedimento, concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente — mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche — la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato.
È stato affermato, infatti che in tema di cronaca giudiziaria, non integra un’ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d’agenzia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l’effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d’indagine funzionale alla sua progressione; al contrario, secondo la Corte non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell’erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice (Cass. penale n. 15093/2020).
6.1.- Il recente approdo di Cass. penale n. 15093/2020 sembra porsi in contrasto con i principi espressi dalle decisioni civili n.12370/2018 e n. 11769/2022. Sembra, inoltre, allontanarsi sensibilmente anche dal più rigoroso precedente di legittimità penale che, sia pure in relazione alla posizione dell’indagato, ha ritenuto configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa nel caso in cui un organo di stampa abbia diffuso la falsa notizia del coinvolgimento dell’indagato in un procedimento in quanto destinatario di una informazione di garanzia, laddove lo stesso era stata solo iscritto, nella qualità di indagato, nel registro delle notizia di reato: in proposito, la Corte ha affermato che, attesa l’avvenuta sensibilizzazione dell’opinione pubblica, resasi oramai avvezza a valutare il differente grado di coinvolgimento dell’indagato in un procedimento a seconda che egli sia soltanto iscritto nel registro delle notizie di reato o sia anche destinatario di una informazione di garanzia, la falsa notizia circa quest’ultima ricorrenza integra il reato di diffamazione (Cass. penale n.34544/2001).
6.2.- Anche il profilo attinente al rilievo o meno diffamatorio, da riconoscere alla propalazione di una notizia riguardante un reato consumato, piuttosto che un reato tentato non appare divisato in maniera uniforme: invero, in sede penale si è affermato che non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l’attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo — alla luce degli elementi costitutivi — la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato; in sede civile la valutazione delle “imprecisioni”, al fine dell’accertamento dell’offensività tende ad esprimersi come una valutazione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatorio.
7.- Ritiene dunque il Collegio di rimettere gli atti alla Prima Presidente perché valuti l’opportunità di investire le Sezioni Unite di questa Corte sulla questione al contempo di massima di particolare importanza e oggetto di contrasto, concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente — mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche — la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato.