Corte di Cassazione, III sezione civile, Sentenza del 21/10/2022, n. 31136.
COMMENTO
La pronuncia in commento pone in evidenza i differenti “approdi ermeneutici” circa le due distinte tipologie di danno – consistenti nella perdita di un bene della vita e nella cd. perdita di “chance” – con riferimento al grado di correlazione (in termini di causalità o di mera probabilità) desumibile dalle emergenze istruttorie nei giudizi di responsabilità medico-sanitaria.
Nel caso in esame gli originari attori citavano in giudizio la struttura sanitaria e gli operatori sanitari per sentire accertare la loro responsabilità in relazione alla morte del proprio congiunto, in particolare, per non averlo tempestivamente ricoverato in una unità intensiva coronarica (UTIC) e per sentirli condannare al risarcimento dei danni.
Nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo infondata la correlazione tra la condotta dei sanitari e il decesso del paziente. In sede di gravame la Corte di Appello riformava la sentenza del giudice di prime cure, ritenendo sussistente la responsabilità della struttura sanitaria, del responsabile del reparto di medicina generale e di due consulenti cardiologici, in quanto costoro “avrebbero potuto e dovuto riscontrare la grave patologia cardiaca in atto e intervenire tempestivamente attivandosi per il trasferimento del paziente nel reparto di unità coronarica più vicino, il che avrebbe consentito un monitoraggio approfondito e costante e la sottoposizione precoce del paziente a rivascolarizzazione miocardica, al fine di assicurargli le terapie adeguate alla sua condizione, che solo un reparto di unità coronarica poteva fornire”. La Corte di Appello, in particolare, non condivideva l’interpretazione formulata dal Tribunale circa le risultanze della CTU medico-legale, intese come indicative “di un danno ontologicamente diverso, quale quello da perdita di chance”. Affermava che, al contrario, emergeva dalla consulenza il ruolo concausale della condotta omissiva dei tre sanitari nel provocare la morte del paziente; per l’effetto condannava questi ultimi, unitamente al presidio ospedaliero e alla locale Azienda Sanitaria al risarcimento del danno, liquidando a ciascuno dei congiunti la somma di euro 245.990,00. Ricorrevano per Cassazione avverso la cennata sentenza l’A.S.L. e uno dei sanitari, deducendo, tra l’altro, “l’omesso esame della relazione peritale del CTU nella sua interezza e in tutte le sue articolazioni”, per non aver colto nel comportamento imperito e negligente dei sanitari, non già un ruolo concausale di essi nell’evento morte, bensì una mera perdita di “chance”, consistita nella negazione di una misura terapeutica solo potenzialmente risolutiva. In accoglimento del suddetto motivo di ricorso, la Suprema Corte osservava che l’accertamento non aveva obiettivato un nesso causale tra il mancato trasferimento del paziente e l’infausto exitus ma, piuttosto, l’evidenza per cui, ove detto trasferimento fosse stato approntato, il paziente avrebbe conseguito maggiori probabilità di guarigione, vedendo negata in nuce la possibilità di ottenere un risultato migliorativo. Al lume di tali ragioni, la Corte cassava la sentenza con rinvio rimettendo alla Corte di Appello l’accertamento circa il corretto inquadramento della fattispecie alla luce dei principi di diritto espressi.
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Se il danno lamentato consiste nella perdita di un bene della vita, dovrà accertare mediante ragionamento controfattuale se, ove fosse stato tenuto un comportamento diverso, è più probabile che il danno non si sarebbe verificato; se invece il danno lamentato consiste nella perdita di “chance” dovrà accertare se il comportamento ha portato alla perdita della possibilità apprezzabile di conseguire un risultato soltanto sperato, e non già al mancato risultato stesso”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“9. – La rinuncia agli atti da parte del Dott. A.A. esime dal dover esaminare ed anche dal dover esporre i suoi motivi di ricorso. La materia del contendere si circoscrive all’esame dei quattro motivi in cui è articolato il ricorso successivo della ASL (Omissis).
- – Con il primo motivo di ricorso la Asl denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 111della Costituzione, 342 e 345 c.p.c. e l’inammissibilità dell’appello proposto dai controricorrenti.
10.1 – Sostiene infatti che la sentenza impugnata non abbia tenuto in adeguato conto che i motivi di appello fossero addirittura incomprensibili perché non adeguatamente esplicitati e quindi non compresi né comprensibili dai ben sei appellati, contrariamente ai principi affermati dalla Corte di legittimità, in quanto gli appellanti si erano limitati a riproporre le argomentazioni già svolte nei propri precedenti scritti difensivi senza svolgere alcuna critica diretta nei confronti della sentenza impugnata.
10.2 – Sempre all’interno del primo motivo, la ASL segnala l’inammissibilità dell’appello anche perché gli appellanti avrebbero formulato per la prima volta in appello la diversa domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, in ordine alla quale osservava, richiamando precedenti affermazioni di questa Corte di legittimità, che deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicitamente inclusa nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di tutti i danni causati dalla morte della vittima.
- – Con il secondo motivo di ricorso la Asl denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115e 116c.p.c. nonché degli artt. 2697 c.c., e in generale l’omessa applicazione dei principi giuridici in materia di responsabilità medica. Sostiene che la sentenza non avrebbe fatto buon uso dei principi giurisprudenziali che gravano l’attore dell’onere di fornire la prova del nesso causale tra il comportamento dei presunti responsabili e il verificarsi del danno, e che dalla relazione peritale non emergerebbe affatto una condotta colposa dei dottori dell’ospedale di (Omissis), né tanto meno il ruolo dei singoli sanitari nel provocare la morte del paziente.
- – Con il terzo motivo, la Asl ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 12preleggi nonché degli articoli 112,113, 61 e 62 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., ovvero l’omesso esame della relazione peritale del CTU nella sua interezza e in tutte le sue articolazioni.
Sostiene la ASL che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il passo cruciale della CTU laddove il consulente indicava il comportamento dei tre medici ritenuti poi responsabili come sicuramente imperito e negligente, fonte di un loro ruolo concausale non nella morte del paziente ma soltanto in una perdita di chance di guarigione. Sostiene la ASL che, ove avesse condiviso le conclusioni del CTU, la Corte d’appello avrebbe potuto ritenere responsabili i medici soltanto per perdita di chance, ove avesse voluto ritenere ammissibile la domanda per perdita di chance tardivamente formulata solo in appello dai familiari della vittima, come rilevato all’interno del primo motivo di ricorso, ma non avrebbe potuto ritenerli responsabili della morte del paziente, attribuendo quindi loro la responsabilità piena dell’evento infausto: essa avrebbe travisato le conclusioni del CTU alle quali pur manifesta di aderire, non comprendendone la reale portata e quindi non dando neppure conto in motivazione del perché, a fronte di una conclusione del CTU in termini di perdita di chance, abbia ritenuto di affermare la piena responsabilità dei sanitari.
- – Infine, con il quarto motivo la ASL denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218e 1223c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in ordine alla liquidazione dei danni effettuata dalla Corte d’appello di Bari. Contesta il quantum della liquidazione dei danni segnalando che la sentenza si limita ad affermare di applicare le tabelle del Tribunale di Milano (nei valori medi) ma non precisa i criteri di personalizzazione del danno rilevanti nel caso concreto ovvero non specifica il motivo per il quale a tutti e tre i prossimi congiunti, che non si trovavano nella stessa relazione di parentela con la vittima né nella stessa situazione di fatto, sia stato liquidato il danno da perdita del rapporto parentale nella stessa misura. Segnala che, consapevoli delle differenti situazioni, gli attori stessi avevano chiesto la liquidazione del danno in misure diverse l’uno dall’altro. Ritiene che sfugga completamente la giustificazione del percorso deliberativo effettuato per arrivare a un risultato economico del tutto omogeneo tra posizioni diverse.
A ciò l’ASL aggiunge che la corte d’appello ha riconosciuto in effetti l’esistenza di una responsabilità per perdita di chance e non di una responsabilità per morte del paziente e quindi avrebbe dovuto limitare la quantificazione del danno alla perdita di chance, che avrebbe portato a riconoscere come dovuti importi ben inferiori.
In memoria segnala anche che il danno da perdita da rapporto parentale avrebbe dovuto essere semmai liquidato sulla base delle tabelle di Roma, e non delle tabelle di Milano.
- – Il primo motivo è complessivamente inammissibile.
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 111 Cost., è ius receptum, come ricordato dal PG nelle sue conclusioni, che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per Cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (da ultimo Cassazione S.U. n. 25573 del 2020; Cass. 15 giugno 2018, n. 15879; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3708). Tale affermazione è stata oggetto, di recente, di una precisazione (v. Cass. S.U. n. 11167 del 2022): si è puntualizzato che il principio vale nelle ipotesi, numericamente preponderanti, in cui la materia controversa sia disciplinata da disposizioni con forza di legge. Può nondimeno accadere che la normativa costituzionale sia di immediata applicazione e che, quindi, l’oggetto del contendere sottoposto all’esame del giudice non evidenzi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale. Solo in questi casi, in cui la norma costituzionale sia di diretta applicazione, essa può assurgere a parametro del sindacato di legittimità: per modo che l’interessato possa lamentarne la violazione o la falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò detto, la norma costituzionale indicata dal ricorrente non è di immediata applicazione, né il ricorrente argomenta alcunché in proposito: sicché la deduzione da lui svolta in relazione alla violazione dell’art. 24 Cost. prospetta chiari profili di inammissibilità.
Esaminando i motivi d’appello, attività non solo consentita ma doverosa attesa la natura di errore in procedendo del vizio denunciato, rispetto al quale la Corte è anche giudice del fatto processuale con facoltà di accesso diretto agli atti del giudizio (Cass. n. 20716 del 2018), emerge che gli stessi contenevano una critica adeguata della decisione di primo grado, atta a superare il vaglio di ammissibilità. In particolare, come affermato anche dalla sentenza impugnata, nell’atto di appello la specificità del motivo di gravame si evidenzia nella prospettata, errata valutazione da parte del giudice di primo grado delle risultanze probatorie in atto sia con riferimento alle conclusioni del CTU sia con riferimento alla dedotta antinomia tra l’accertata imprudenza, negligenza ed imperizia del comportamento dei tre medici di reparto e il rigetto della domanda risarcitoria pur in presenza di un esito mortale per il paziente.
Anche con riferimento al diverso profilo della prospettata tardività della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, il motivo è inammissibile, perché non richiama le originarie conclusioni dei danneggiati né indica con precisione in quale atto, depositato in questa sede, esse siano rinvenibili, né indica l’atto del giudizio di appello in questa in cui questa domanda sarebbe stata esplicitamente e per la prima volta formulata, non consentendo a questo giudice di verificare la fondatezza della censura di tardività.
- – Il secondo motivo, appena abbozzato, è in sé infondato, mentre è fondato il terzo.
Infatti, come la ricorrente stessa ricorda, vi è un passo espresso della sentenza impugnata in cui si accerta l’esistenza del nesso causale tra il comportamento omissivo dei medici, consistente nel non aver trasferito il paziente, pur consapevoli della gravità delle sue condizioni, presso un’adeguata unità coronarica e nell’averlo trattenuto per quattro giorni presso il reparto di medicina generale dove comunque, a prescindere dalle concrete probabilità di superare la crisi, non avrebbe potuto ricevere cure adeguate, e la morte del paziente. La corte d’appello ritiene tale comportamento non solo imperito e imprudente ma anche negligente, perché tradottosi nella mancanza di esecuzione dei necessari accertamenti clinico strumentali sul paziente, impossibili all’interno appunto di un reparto di medicina generale. E lo valuta nel suo complesso come dotato di rilevanza causale sulla morte del paziente, ritenendo con ragionamento probabilistico che, se sottoposto agli interventi adeguati alla situazione, in una struttura specializzata in grado di assisterlo, avrebbe potuto avere delle possibilità di superare la crisi.
- – Va invece accolto il terzo motivo, per le ragioni che seguono.
Le considerazioni della corte d’appello sul comportamento inadeguato, imprudente e imperito dei medici non si accompagnano ad un rigoroso ragionamento controfattuale, volto all’accertamento del nesso di causalità tra il comportamento da questi tenuto e il decesso del paziente, da porre alla base dell’affermazione, seppur in termini probabilistici e non di assoluta certezza, che ove spostato in un reparto in grado di fornire le cure adeguate il paziente si sarebbe salvato. La sentenza afferma che ” la preclusione di tali interventi sanitari, operabili esclusivamente in un reparto UTIC, ascrivibile all’omissione contestata, ha indubbiamente concorso, alla stregua del criterio di probabilità relativa (…) al tragico epilogo determinatosi” per poi aggiungere ” le probabilità di sopravvivenza del I.I. in un reparto specializzato sarebbero state sicuramente superiori a quelle che allo stesso venivano concesse in un reparto inidoneo in quanto sprovvisto della necessaria strumentazione, quale quello di medicina legale”.
Data questa premessa, conclude però, incoerentemente, con l’accoglimento della domanda risarcitoria ritenendo provata l’esistenza del nesso causale tra il comportamento dei medici e il danno consistente nella morte del paziente.
I riferimenti contenuti nella sentenza impugnata al comportamento dei medici, che non hanno sottoposto il paziente che già presentava una estesa ischemia miocardica alle cure necessarie e al monitoraggio diagnostico adeguato, conseguibili solo con lo spostamento del paziente in un reparto di terapia intensiva, fanno intendere, conformemente alle risultanze della c.t.u. pure riportate in sentenza, che gli sia stata negata la possibilità di ottenere un risultato migliorativo, che avrebbe avuto qualche chance di conseguire (conformemente alla nozione di perdita di chance, da valutarsi non in relazione alla concreta possibilità del I.I. di guarire, cioè in relazione non al risultato atteso, ma in relazione alla perdita della possibilità di conseguire il risultato utile e sperato: infatti, non è il risultato perduto, ma la perdita della possibilità di realizzarlo l’oggetto della pretesa risarcitoria nella perdita di chance (Cass. n. 2261 del 2022; Cass. n. 12906 del 2021; Cass. n. 28993 del 2019). Nel momento di trarre le fila del proprio ragionamento, però, la corte d’appello confonde i due piani, quello della chance, ovvero della perdita della possibilità del conseguimento di un risultato utile soltanto sperato, e quello dell’accertamento del nesso causale pieno in relazione alla perdita del bene vita, ovvero dell’accertamento, come più probabile che non, che il comportamento corretto e tempestivo dei sanitari, ovvero l’immediato trasferimento del paziente nell’unità specializzata, avrebbe potuto evitare il danno (la morte) e far conseguire il risultato sperato (la guarigione del paziente) e predica, a quella che descrive in fatto come mera perdita della possibilità di conseguire un miglior risultato, le conseguenze risarcitorie proprie dell’accertamento diretto del nesso di causa tra il comportamento omissivo dei medici e la morte del paziente con l’integrale risarcimento, a carico dei medici e della ASL, del danno da perdita del rapporto parentale subito dalla moglie e dai figli del I.I..
- – Il quarto motivo di ricorso, che contesta la violazione di legge in ordine alla liquidazione equitativa del danno, eseguita senza tener conto che si trattava di un danno da perdita di chance e non di un danno da perdita del rapporto parentale, e inoltre senza distinguere le diverse posizioni degli aventi diritto, è assorbito dall’accoglimento del terzo: la Corte d’Appello (Omissis) dovrà procedere, previa rinnovazione dell’accertamento in fatto, a verificare se un danno è stato subito e a quale categoria esso sia riconducibile, e nell’eventualità a liquidarlo. Dovrà comunque tenere conto, ove ritenga di ricostruire i fatti, nel rispetto dei principi sopra enunciati, in termini di perdita del rapporto parentale, delle più recenti affermazioni di legittimità secondo le quali, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, e una adeguata personalizzazione, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi (v. Cass. n. 26300 del 2021).
- – Il ricorso principale è quindi rinunciato, ed il giudizio è parzialmente estinto, nei rapporti tra A.A. e i signori D.D. e I.I., con compensazione delle spese tra le parti in ragione dell’accettazione della rinuncia.
Quanto al ricorso successivo proposto dalla ASL, il primo motivo è inammissibile, il secondo è infondato, il terzo è fondato e va accolto, con cassazione della sentenza impugnata, il quarto motivo rimane assorbito.
La corte d’appello dovrà rinnovare il giudizio in relazione al terzo motivo, accolto, e dovrà quindi accertare se il comportamento omissivo dei medici dell’Ospedale di (Omissis), consistente nel non aver disposto il trasferimento del paziente in altro ospedale munito di unità coronarica, possa considerarsi, alla stregua del ragionamento controfattuale fondato sul criterio del più probabile che non, in rapporto di causalità con la morte del paziente, qualora si reputi più probabile che, se trasferito immediatamente, sarebbe sfuggito all’esito mortale, o se esso rilevi solo in termini di probabilità di perdita della concreta possibilità di un risultato soltanto sperato, o ancora se non possa ritenersi provato il nesso causale neppure in riferimento alla perdita di chance; e in caso di accoglimento della domanda in relazione all’una o all’altra voce, provvederà poi alla liquidazione del danno in favore degli aventi diritto.
Nel farlo, si atterrà ai seguenti principi di diritto:
– in materia di risarcimento del danno alla persona, il giudice deve preliminarmente qualificare la domanda, se volta ad ottenere il risarcimento integrale del danno per il verificarsi dell’evento infausto, o se volta ad ottenere il danno da perdita di chance;
– dovrà quindi, in entrambi i casi, provvedere alla verifica dell’esistenza del nesso causale, il cui onere probatorio grava sull’attore, tra condotta e danno, tramite ragionamento probabilistico;
– se il danno lamentato consiste nella perdita di un bene della vita, dovrà accertare mediante ragionamento controfattuale se, ove fosse stato tenuto un comportamento diverso, è più probabile che il danno non si sarebbe verificato;
– se invece il danno lamentato consiste nella perdita di “chance” dovrà accertare se il comportamento ha portato alla perdita della possibilità apprezzabile di conseguire un risultato soltanto sperato, e non già al mancato risultato stesso.
La sentenza è cassata in relazione al terzo motivo e la causa è rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio nei rapporti tra la ASL e le altre parti costituite, alla Corte d’Appello (Omissis) in diversa composizione.”.