Cassazione penale, Sez. I, sentenza 20 ottobre 2023, n. 42877
PRINCIPIO DI DIRITTO
il giudice dell’esecuzione ha correttamente argomentato sulla impossibilità di ritenere i reati di cui alle menzionate sentenze legati dal medesimo disegno criminoso, evidenziando che, seppure si volesse considerare provata la condizione di ludopatia del Gar a all’epoca di consumazione dei reati, non risulta dimostrato che tale condizione abbia concretamente inciso sulla insorgenza di una determinazione originaria ed unitaria a commettere detti reati, rilevando in aggiunta il difetto totale di ogni altro indice di continuazione, ed anzi ravvisando in senso contrario la notevole distanza cronologica tra le varie violazioni. Pertanto, lungi dall’avere trascurato la ludopatia dedotta dal ricorrente, l’ordinanza impugnata ne ha escluso il ruolo di indicatore specifico e sostanzialmente unico ad essa attribuito, con impostazione erronea in diritto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità.
In punto di diritto, invero, l‘esegesi di legittimità di questa Corte non riconosce alcuna assimilazione tra la ludopatia ed altre forme di dipendenza, invece rilevanti in tema di riconoscimento della continuazione, come la tossicodipendenza. Infatti, si è affermato che “L’estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l’assimilazione alla tossicodipendenza, nè consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all’analogia” (Sez. 1, n. 2136 del 13/7/2018, Petrocco, n. m.; Sez. 1, n. 18162 del 16/12/2015, dep. 2016, Bruno, n. m.). E si è specificato che “anche se il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 5 coordinato con la legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 novembre 2012 n. 263, ha introdotto un programma di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dalla Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)’, la ludopatia, pur potendo avere in comune con la tossicodipendenza la dipendenza dal gioco d’azzardo, non diversamente peraltro da altre situazioni che creano dipendenza come il tabagismo, l’alcolismo e la cleptomania, affonda le proprie radici in aspetti della psiche del soggetto e non presenta, al momento attuale, quegli aspetti di danno, che l’esperienza ha dimostrato essere alla base dei comportamenti devianti cui, nell’ambito della discrezionalità legislativa, la modifica normativa sopra indicata ha inteso porre un rimedio”, pervenendosi al rilievo conclusivo che ” in definitiva, l’estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l’assimilazione alla tossicodipendenza, nè consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all’analogia” (Sez. 1, n. 866 del 20/04/2017, dep. 2018, Fiore, n. m.).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Corte di cassazione sez. I penale – 20 ottobre 2023 n, 42877
1.L’impugnazione è manifestamente infondata.
1.1.Vanno ricapitolati alcuni principi fondamentali fissati dall’esegesi di legittimità in tema di reato continuato per l’inquadramento generale dell’istituto.
Questa corte ha costtituzionalmente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez, 4 n. 16066 del 17/12/2008, dep 2009, Di Maria, Rv 243632).
Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti e altro, Rv. 266413) L’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, Natali e altro, Rv. 254793). Si è altresì specificato che la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sè il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Infine, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
1.3. Va ancora sottolineato che il ricorrente mostra di confondere il concetto di movente, o collante, attribuito alla ludopatia come situazione predisponente alla commissione di reati con quello, differente, di medesimezza del disegno criminoso, tratto caratterizzante la continuazione nel reato e che indica la genetica ed unitaria programmazione delittuosa, tale da rivelare minor disvalore complessivo dell’agente e giustificare il trattamento sanzionatorio mitigato che ne deriva.
- Per le considerazioni che precedono, il ricorso risulta inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè di una congrua somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., non risultando cause di esonero da responsabilità a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore delle Ammende. L’impugnazione è manifestatamente infondata. Vanno ricapitolati alcuni principi fondamentali fissati dall’esegesi di legittimità in tema di reato continuato, per l’inquadramento generale dell’istituto. Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, Di Maria, Rv. 243632).