<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel contesto generale delle Autorità c.d. indipendenti, l’ANAC ha assunto un ruolo decisamente peculiare sul crinale della c.d. regolazione, potendo forgiare atti di diversa natura e con diversa efficacia rispetto a privati e stazioni appaltanti; consegue la necessità di indagarne i confini e la natura giuridica anche in ottica di tutela giurisdizionale dei destinatari. Alle più tradizionali ipotesi in cui l’Autorità può essere portata in giudizio innanzi al GA si affiancano peraltro quelle, di recente foggia, in cui è essa stessa legittimata ad adire il GA a tutela di interessi un tempo diffusi, ed oggi raccolti in interesse pubblico la cui cura è ad essa demandata dal legislatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Assieme al codice civile vengono varate anche le <strong>disposizioni sulla legge in generale</strong>, c.d. <strong>preleggi</strong>, che negli articoli <strong>da 1 a 9</strong> disciplinano le <strong>fonti del diritto</strong> annoverandovi, oltre alla legge, i <strong>regolamenti</strong>, le <strong>norme corporative</strong> e gli <strong>usi</strong>. Per quanto concerne più specificamente i regolamenti, all’<strong>art.3</strong> viene previsto (comma 1) il <strong>potere regolamentare del Governo</strong> – la cui disciplina viene demandata a <strong>leggi di carattere costituzionale</strong> - ed il <strong>potere regolamentare “<em>di altre autorità</em>”</strong> (comma 2), che va esercitato nei <strong>limiti delle rispettive competenze</strong>, in conformità delle <strong>leggi particolari</strong> che lo prevedono. Al successivo art.4, dopo aver previsto che i regolamenti <strong>non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi</strong> (comma 1), il legislatore si sofferma ancora sui <strong>regolamenti “<em>di altre autorità</em>”,</strong> prevendendo che essi non possono <strong>nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo</strong>, essendovi dunque <strong>gerarchicamente subordinati</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la <strong>Costituzione</strong> repubblicana, che prevede la <strong>riserva di legge</strong> in tema di organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurarne <strong>l’imparzialità</strong> ed <strong>il buon andamento</strong> (art.97), con ciò disegnando un sistema nel quale i contratti vanno aggiudicati ai privati secondo canoni di <strong>imparzialità e trasparenza</strong>. Ad un tempo, l’art.95 demanda alla <strong>legge</strong> l'ordinamento della <strong>Presidenza del Consiglio dei Ministri</strong> e la determinazione del <strong>numero</strong>, delle <strong>attribuzioni</strong> e dell'<strong>organizzazione</strong> dei Ministeri, in tal modo riconducendo l’Amministrazione al <strong>c.d. circuito democratico</strong>, senza prefigurare Amministrazioni c.d. “<strong><em>indipendenti</em></strong>” rispetto al <strong>Governo</strong> e, quindi, al <strong>Parlamento</strong>. Sotto altro profilo, la <strong>funzione legislativa</strong> viene affidata, collettivamente, alle due <strong>Camere</strong> (art.70 e seguenti), non potendo dunque appartenere ad organi (massime se privi di rilevanza costituzionale) diversi dalle Camere stesse.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo viene varata la legge la <strong>legge n.15</strong> (legge delega) il cui articolo 4, comma 2, lettera f, prevede l’istituzione da parte del Governo di una <strong>Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche</strong> .</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre viene varato il decreto legislativo n.150, noto come <strong>riforma “<em>Brunetta</em>”</strong>, il cui art.13, in attuazione della delega, istituisce la <strong>CIVIT</strong>, ovvero la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio viene varato il <strong>decreto legge n.70</strong> che introduce nell’art.64 del codice dei contratti pubblici n.163.06 un <strong>comma 4 bis</strong>, importante perché individua una <strong>nuova ipotesi di <em>soft law</em></strong> in materia di appalti, prevedendo che i <strong>bandi di gara</strong> siano predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di <strong>modelli</strong> (bandi-tipo) <strong>approvati dall'Autorità compente (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici: AVCP)</strong>, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate, con l'indicazione delle <strong>cause tassative di esclusione</strong> di cui all'articolo 46, comma 1-bis. I bandi-tipo contengono <strong>indicazioni per l’integrazione del bando</strong> per quanto concerne i <strong>criteri ambientali minimi</strong> e le stazioni appaltanti - nella delibera a contrarre – devono <strong>motivare espressamente</strong> in ordine alle <strong>deroghe</strong> rispetto al <strong>bando-tipo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio viene varata la <strong>legge n.106</strong> che converte con modificazioni il decreto legge 70.11.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varato il <strong>decreto legge n.201</strong>, che inserisce (art.35) nella legge 287.90 in materia di concorrenza <strong>l’art.21.bis</strong>, recante poteri dell<strong>'Autorità Garante della concorrenza e del mercato</strong> sugli <strong>atti amministrativi</strong> che determinano <strong>distorsioni della concorrenza</strong>, alla cui stregua l'Autorità e' <strong>legittimata ad agire in giudizio</strong> contro gli <strong>atti amministrativi generali</strong>, i <strong>regolamenti</strong> ed i <strong>provvedimenti</strong> di qualsiasi amministrazione pubblica che <strong>violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato</strong> (si applica il rito appalti previsto dal codice del processo amministrativo); e, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia adottato (o emanato) un atto <strong>in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato</strong>, emette, entro <strong>60 giorni</strong>, un <strong>parere motivato</strong>, nel quale indica gli <strong>specifici profili delle violazioni riscontrate</strong>; laddove la pubblica amministrazione interessata <strong>non si conformi</strong> nei <strong>60 giorni successivi</strong> alla comunicazione del parere, l'Autorità viene legittimata a <strong>presentare</strong>, tramite l'Avvocatura dello Stato, il <strong>ricorso</strong>, entro i successivi <strong>30 giorni</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre viene varata la <strong>legge n.214</strong> che <strong>converte in legge</strong>, con modificazioni, il <strong>decreto legge 201.11</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 maggio esce la sentenza dell’<strong>Adunanza Plenaria</strong> del Consiglio di Stato <strong>n.9</strong> che si occupa dell’<strong>atto amministrativo generale</strong> identificandolo in quello che ha <strong>destinatari che non sono determinabili come tali <em>a priori</em></strong>, ma che tuttavia sono <strong>certamente determinabili <em>ex post</em></strong>, essendo destinato a disciplinare non <strong>una serie indeterminata di fattispecie</strong>, ma un <strong>caso particolare</strong>, una <strong>vicenda determinata</strong> dopo il cui esaurimento <strong>vengono meno gli effetti</strong> dell’atto medesimo, caratteristica che rende appunto tale atto <strong>amministrativo</strong> e <strong>non normativo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 novembre viene varata la <strong>legge n.190</strong>, recante più specificamente disposizioni per la prevenzione e la repressione della <strong>corruzione</strong> e dell'<strong>illegalità</strong> nella pubblica amministrazione (meglio nota come Legge “<strong><em>Severino</em></strong>”), il cui articolo 1 addita la <strong>CIVIT</strong> quale soggetto operante come <strong>Autorità nazionale anticorruzione</strong>, e ciò in attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla <strong>Assemblea generale dell’ONU</strong> il 31 ottobre <strong>2003</strong> e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della <strong>Convenzione penale sulla corruzione</strong>, fatta a <strong>Strasburgo</strong> il 27 gennaio <strong>1999</strong> e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110; la legge si propone di individuare anche gli <strong>altri organi incaricati di svolgere</strong>, con modalità tali da assicurare <strong>azione coordinata</strong>, attività di <strong>controllo</strong>, di <strong>prevenzione</strong> e di <strong>contrasto</strong> della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione in attuazione delle ridette norme internazionali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della II sezione della Corte EDU sul caso <strong><em>Grande Stevens</em></strong>, che afferisce alla applicabilità a <strong>procedimenti sanzionatori di natura amministrativa</strong> (nel caso di specie, attivati dalla <strong>Consob</strong>) di regole di natura “<strong><em>penale</em></strong>”, con particolare riguardo al <strong>c.d. giusto processo</strong>; si fa riferimento ai procedimenti <strong>formalmente amministrativi</strong> ma di <strong>natura sostanzialmente penale</strong> per importare - con riferimento ai medesimi - gli stessi principi basilari che regolano il c.d. giusto processo penale (<strong>contraddittorio</strong>, <strong>imparzialità</strong> del giudice, <strong>diritto di difesa</strong>). Viene stigmatizzata in particolare la violazione del principio del contraddittorio ricondotta, tra l’altro, all’assenza di una norma procedimentale che preveda la possibilità, per i soggetti sottoposti al procedimento, di presentare <strong>controdeduzioni</strong> avverso i contenuti della relazione conclusiva contenente la <strong>proposta sanzionatoria</strong>. La Corte estende poi il principio giuridico del <strong><em>ne bis in idem</em></strong>, sinora limitato alle sanzioni penali, anche a quelle amministrative: è un <strong>abuso dello Stato</strong> istruire un processo <strong>penale</strong> (poi conclusosi con l'assoluzione), contro chi è già stato condannato in via <strong>amministrativa</strong> dopo una procedura promossa dalla Consob.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 giugno viene varato il <strong>decreto legge n.90</strong>, il cui articolo 19 <strong>sopprime l’AVCP</strong>, Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, <strong>attribuendone le funzioni alla neo istituita ANAC</strong>, <strong>Autorità Nazionale Anti Corruzione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la <strong>legge n.114</strong> che converte in legge, con modificazioni, il <strong>decreto legge n.90</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio viene varata la <strong>legge n.11</strong> che reca la <strong>delega al Governo</strong> ad adottare il <strong>nuovo codice dei contratti pubblici</strong>. Importante in particolare, tra i <strong>principi e criteri direttivi</strong> previsti dall’art.1, comma 1, della legge, quello indicato sotto la <strong>lettera t)</strong>, recante <strong>attribuzione all'ANAC di più ampie funzioni</strong> di <strong>promozione dell'efficienza</strong>, di <strong>sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche</strong>, di <strong>facilitazione allo scambio di informazioni</strong> tra stazioni appaltanti e di <strong>vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione</strong>, comprendenti anche <strong>poteri di controllo</strong>, <strong>raccomandazione</strong>, <strong>intervento cautelare</strong>, di <strong>deterrenza</strong> e <strong>sanzionatorio</strong>, nonché di adozione di <strong>atti di indirizzo</strong> quali <strong>linee guida</strong>, <strong>bandi-tipo</strong>, <strong>contratti-tipo</strong> ed altri <strong>strumenti di regolamentazione flessibile</strong>, anche dotati di <strong>efficacia vincolante</strong> e fatta salva <strong>l'impugnabilità di tutte le decisioni e gli atti</strong> assunti dall'ANAC innanzi ai competenti <strong>organi di giustizia amministrativa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 aprile esce il <strong>parere del Consiglio di Stato</strong>, sezione consultiva Atti normativi, <strong>n.855</strong> sulla bozza di codice dei contratti pubblici, che abbraccia la tesi della natura di <strong>atti amministrativi generali</strong> delle <strong>linee guida dell’ANAC</strong>: si tratta dunque di <strong>atti amministrativi impugnabili</strong> laddove lesivi, scaturenti da una <strong>procedimentalizzazione</strong> che deve essere <strong>effettiva</strong> stante il <strong>deficit di rappresentatività dell’Autorità</strong> (indipendente) che li adotta. Per il Consiglio di Stato il riconoscimento per tali provvedimenti di una <strong>vera e propria natura normativa <em>extra ordinem</em></strong> – pure proposta in dottrina – non convince e piuttosto suscita non poche <strong>perplessità</strong> di tipo <strong>sistematico e ordinamentale</strong>, massime in difetto di un <strong>fondamento chiaro</strong> per un’innovazione così diretta del <strong>sistema delle fonti</strong> dell’ordinamento; si ritiene invece preferibile l’opzione ermeneutica che combina la <strong>valenza certamente generale</strong> dei provvedimenti in questione con la <strong>natura del soggetto emanante</strong> (l’ANAC appunto), configurantesi a tutti gli effetti quale un’<strong>Autorità amministrativa indipendente</strong>, con funzioni (anche) di <strong>regolazione</strong>, con conseguente logica riconducibilità delle relative linee guida (e gli atti ad esse assimilati) alla categoria degli <strong>atti di regolazione delle Autorità indipendenti</strong>, da assumersi <strong>non come regolamenti in senso proprio</strong> ma come <strong>atti amministrativi generali</strong> e, appunto, “<strong><em>di regolazione</em></strong>”. Tale ricostruzione consente – per il Consiglio di Stato - di chiarire e di risolvere una serie di problemi sul piano applicativo: in primo luogo, essa non pregiudica ma anzi riconferma gli <strong>effetti vincolanti ed <em>erga omnes</em></strong> delle linee guida dell’ANAC, come disposto dalla <strong>delega</strong> (in particolare dalla lett. t), laddove parla di “<strong><em>strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante</em></strong>”; in secondo luogo, prosegue il Consiglio, tale assimilazione consente di assicurare anche per questi provvedimenti dell’ANAC tutte le <strong>peculiari garanzie procedimentali</strong> e di <strong>qualità della regolazione</strong> già oggi pacificamente vigenti per le Autorità indipendenti, in considerazione della <strong>natura ‘<em>non politica</em>’</strong>, ma <strong>tecnica e amministrativa</strong>, di tali organismi, e della conseguente esigenza di <strong>compensare</strong> la <strong>maggiore flessibilità</strong> del “<strong><em>principio di legalità sostanziale</em></strong>” con un <strong>più forte rispetto</strong> di criteri di “<strong><em>legalità procedimentale</em></strong>”, con particolare riguardo: 1) all’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione ad una <strong>preventiva fase di “<em>consultazione</em>”</strong>, che costituisce ormai una forma necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al <strong><em>decision making process</em></strong> dei soggetti interessati e che ha anche l’ulteriore funzione di fornire <strong>ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti</strong> per la definizione finale dell’intervento regolatorio; 2) all’esigenza di dotarsi – per gli interventi di <strong>impatto significativo</strong> – di strumenti quali <em>ex ante</em> <strong>l’analisi di impatto della regolazione-AIR</strong> e la <strong>verifica <em>ex post</em> dell’impatto della regolazione-VIR</strong>, strumenti per i quali occorrerà – per il Consiglio di Stato - sviluppare <strong>modelli <em>ad hoc</em></strong> per l’ANAC, sulla scorta di quanto già attualmente fanno le <strong>Autorità di regolazione</strong> (e secondo quanto già prevedeva <strong>l’art. 8, comma 1</strong>, d.lgs. n. 163/2006 per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici); 3) alla necessità di adottare <strong>tecniche di codificazione</strong> delle <strong>delibere di regolazione</strong> tramite la concentrazione in “<strong><em>testi unici integrati</em></strong>” di quelle sulla <strong>medesima materia</strong> (<em>best practice</em> ormai diffusa presso le principali Autorità di regolazione, <em>in primis</em> quella per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico): tale strumento appare <strong>significativamente necessario</strong> per il settore degli appalti allo scopo di <strong>evitare il rischio di proliferazione delle fonti</strong> che si volevano ridurre e di <strong>perdita di sistematicità ed organicità</strong> dell’ordinamento di settore, violando in sede attuativa il vincolo a una “<strong><em>drastica riduzione</em></strong>” dello <strong>stock normativo</strong> imposto dalla lett. d) della delega. Ancora, per il Consiglio di Stato la ricostruzione delle linee guida ANAC quali <strong>atti amministrativi generali</strong> sul modello degli <strong>atti di regolazione delle Autorità indipendenti</strong> (e non come <strong>atti normativi <em>tout court</em></strong>) consente anche la realizzazione, per gli “<strong><em>atti di regolazione</em></strong>” dell’ANAC, di <strong>forme di adeguata pubblicità</strong>: certamente <strong>sul sito della stessa Autorità</strong>, che andrà appositamente strutturato, ma anche per una <strong>pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale</strong>, non richiesta per le autorità amministrative indipendenti ma <strong>altamente opportuna</strong>, ad avviso del Consiglio di Stato, in ragione della <strong>trasversalità della materia dei contratti pubblici</strong> e della latitudine dell’ambito applicativo dei provvedimenti <em>de quibus</em>. Una chiara previsione sulla <strong>pubblicità di tali delibere</strong> renderebbe, per il Consiglio di Stato, meno delicata (lasciandola comunque impregiudicata) la questione se debba o meno essere disposta la <strong>successiva comunicazione alle Camere</strong> (come pure sarebbe preferibile ai fini della conoscibilità del quadro regolatorio da parte degli operatori del settore), che in base allo schema di decreto sussiste solo in virtù di un <strong>requisito sostanziale di tipo rinforzato</strong> (rilevante impatto regolatorio), ancorché privo di una definizione oggettiva. Con l’opzione “<strong><em>atto di regolazione</em></strong>” <strong>di Autorità indipendente</strong>, resta poi confermata per il Consiglio di Stato la <strong>piena giustiziabilità</strong> delle linee guida dell’ANAC di fronte al <strong>giudice amministrativo</strong>, peraltro affermata chiaramente già dalla legge delega (lett. t). In conclusione, per il Consiglio di Stato quella prescelta configura una opzione ermeneutica (e, prima ancora, una ricostruzione) che appare <strong>compatibile</strong>, oltre che con il dettato della <strong>delega</strong> e con il <strong>sistema delle fonti</strong>, anche con l’esigenza inderogabile di un <strong>riformato contesto</strong> di “<strong><em>qualità</em></strong>” e “<strong><em>certezza regolatoria</em></strong>”, con valenza <em>erga omnes</em> (che le <em>Authorities</em> di regolazione già oggi garantiscono, nei loro settori, quando si attengono agli indicati principi di <strong><em>better regulation</em></strong>). Parte della dottrina critica tuttavia la presa di posizione del Consiglio di Stato in sede consultiva, sulla scorta di quello che è <strong>l’atto amministrativo generale</strong> (tipico l’esempio del bando di gara) siccome definito dallo stesso Consiglio in <strong>Adunanza Plenaria nel 2012</strong>, vale a dire un atto che ha <strong>destinatari che non sono determinabili come tali <em>a priori</em></strong>, ma che tuttavia sono <strong>certamente determinabili <em>ex post</em></strong>, essendo destinato a disciplinare <strong>non una serie indeterminata di fattispecie</strong>, ma un <strong>caso particolare</strong>, una <strong>vicenda determinata</strong> <strong>dopo il cui</strong> <strong>esaurimento</strong> <strong>vengono meno gli effetti</strong> dell’atto medesimo, caratteristica che lo rende appunto <strong>amministrativo</strong> e <strong>non normativo</strong>: nel caso delle linee guida ANAC, in effetti, alla <strong>indeterminabilità dei destinatari <em>ex ante</em></strong> non sembra potersi affiancare una <strong>relativa</strong> <strong>determinabilità <em>ex post</em></strong> ed una vicenda che si apre e si chiude <strong>in modo definitivo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile viene varato il <strong>decreto legislativo n.50</strong>, nuovo codice dei contratti pubblici, il cui art.217 <strong>abroga l’art.14</strong> del decreto legislativo 163.06. Nel relativo contesto letterale si assiste ad un <strong>potenziamento dei poteri dell’ANAC</strong> e, parallelamente, ad un <strong>frequente rinvio</strong> da parte del legislatore alle <strong>c.d. linee guida dell’ANAC</strong> stessa, con necessità di <strong>definirne pertanto natura giuridica ed eventuali ambiti di impugnabilità</strong>, stante anche la relativa <strong>funzione integrativa</strong> rispetto appunto alle <strong>disposizioni di legge primaria</strong>. Si è <strong>al di fuori</strong> dell’ambito di operatività del <strong>c.d. <em>soft law</em></strong>, già presente nel precedente codice 163.06 e riproposto anche nel nuovo codice giusta <strong>affidamento all’ANAC della predisposizione di bandi tipo o di capitolati tipo</strong> (articoli 71 e 213, comma 2), cui è possibile <strong>derogare</strong> da parte delle PPAA <strong>motivando</strong> la scelta di tale deroga. Sempre al c.d. <strong><em>soft law</em></strong> appare riconducibile il <strong>potere di raccomandazione</strong> affidato ancora ad ANAC <strong>dall’art.211, comma 2</strong>, del codice: anche in questo caso la PA destinataria <strong>può discostarsi motivando</strong>. La caratteristica delle linee guida è invece proprio quella di <strong>integrare in via “<em>imperativa</em>” le disposizioni normative primarie</strong>. Si tratta fondamentalmente – con la precisazione che la previsione di rinvio alle linee guida dell’ANAC appare decisamente in crescita, quanto a tendenza generale - degli <strong>articoli 83, comma 2</strong> (esecutori di lavori pubblici e sistemi di qualificazione: qui è prevista, in sede di predisposizione della disciplina di cui alle linee guida, la <strong>partecipazione delle Commissioni parlamentari competenti</strong>, con <strong>parere obbligatorio ma non vincolante</strong>: una fattispecie che ha sollevato in dottrina <strong>dubbi di costituzionalità</strong> sia in termini di <strong>potenziale eccesso di delega</strong>, sia in termini di possibilità per un soggetto <strong>non a rilevanza costituzionale</strong> – l’ANAC appunto – di <strong>discostarsi da pareri resi da organi certamente costituzionali</strong> come le Camere); <strong>84, comma 2</strong> (SOA, società organismi di attestazione); <strong>110, comma 5, lett. b</strong> (fallimento e requisiti di partecipazione); <strong>197, comma 4</strong> (requisiti di qualificazione richiesti al contraente generale); <strong>197, comma 3</strong> (classifiche di qualificazione del contraente generale); lo stesso <strong>art.213, comma 2</strong>, che prescrivere <strong>l’obbligo</strong> per l’ANAC di <strong>trasmettere alle Camere</strong>, <strong>immediatamente dopo la relativa adozione</strong>, gli atti di regolazione assunti <strong>maggiormente rilevanti</strong> (e dunque non di mero <em>soft law</em>) in termini di <strong>relativo impatto</strong> per <strong>numero di operatori potenzialmente coinvolti</strong>, riconducibilità a <strong>fattispecie criminose</strong>, situazioni <strong>anomale</strong> o comunque <strong>sintomatiche di condotte illecite</strong> da parte di stazioni appaltanti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 agosto esce il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n.1767, laddove il Collegio distingue tra le <strong>fattispecie</strong> in cui le <strong>linee guida Anac</strong> siano <strong>approvate con decreti ministeriali o interministeriali</strong> – e che perciò presentano una <strong>chiara efficacia innovativa</strong> dell’ordinamento, con <strong>disposizioni connotate da generalità ed astrattezza</strong>, dovendosi esse intendere quali <strong>regolamenti ministeriali ex art.17, comma 3</strong>, della <strong>legge 400.88</strong> - da quelle in cui invece sia <strong>la sola Autorità</strong> ad approvarle con <strong>carattere “<em>vincolante</em>”</strong>, che per il Collegio <strong>non presentano un carattere normativo <em>extra ordinem</em></strong>, difettando un <strong>fondamento chiaro</strong> che possa giustificare una <strong>innovazione così palmare</strong> del <strong>sistema delle fonti</strong>, configurando piuttosto <strong>atti di regolazione di Autorità indipendente</strong>, come tali riconducibili al novero degli <strong>atti amministrativi generali</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo viene varata la Determinazione ANAC n.241 e con essa le Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 33/2013 in tema di “<em>Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali</em>” come modificato dall’art. 13 del D.Lgs. n. 97/2016. Si tratta di linee guida che dunque specificano e delimitano gli obblighi di pubblicità e trasparenza gravanti sui titolari di incarichi pubblici a norma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 33/2013. La dottrina di commento rappresenta come - oltre ai profili di natura più sostanziale della disciplina introdotta, con peculiare problematicità della novella estensione anche alla dirigenza pubblica della normativa pertinente - significativa appare la conferma di un quadro di poteri di regolazione attribuiti all’ANAC che si palesa caratterizzato da tendenziale atipicità, le linee guida atteggiandosi a strumento di carattere generale utile a intervenire in tutti gli ambiti materiali rimessi alla competenza dell’Autorità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n.782, reso sullo schema di decreto correttivo del codice dei contratti n.50.16 che investe <em>ratione materiae</em> anche le linee guida Anac ribadendo principi già affermati nei propri precedenti arresti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile viene varato il decreto legislativo n.56, recante correttivo al codice dei contratti pubblici n.50 del 2016, che incide in particolare sull’art.211 del codice abrogandone il comma 2 e, dunque, elidendo il potere dell’ANAC di emanare raccomandazioni (peraltro rimasto inapplicato da ANAC stessa).</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile viene varato il decreto legge n.50 che introduce nel codice dei contratti pubblici 50.16, all’art.211, i comma 1.bis, 1.ter e 1.quater, alla cui stregua in primo luogo l'ANAC viene legittimata ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, laddove ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; sempre l'ANAC, laddove ritenga che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice dei contratti pubblici, emette, entro 60 giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, parere che viene trasmesso alla stazione appaltante la quale è tenuta a conformarvisi entro il termine assegnato dall'ANAC, comunque non superiore a 60 giorni dalla trasmissione: in difetto l'ANAC può spiccare ricorso, entro i successivi 30 giorni, innanzi al giudice amministrativo, con applicazione del rito di cui all'articolo 120 del codice del processo amministrativo. Viene poi affidato all'ANAC un potere regolamentare onde essa, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti delle stazioni appaltanti (bandi o provvedimenti di altra natura) in relazione ai quali esercita i poteri di impugnazione di cui ai commi 1-bis e 1-ter. Parte della dottrina parla, con riguardo a tale potere di impugnazione affidato all’ANAC, di un nuovo caso di giurisdizione di tipo oggettivo in cui si giunge dinanzi al GA non per la tutela di situazioni giuridiche soggettive individuali, quanto piuttosto per la salvaguardia del generale interesse alla legittimità dell’azione amministrativa di cui viene a farsi portatrice l’Autorità in una materia delicata quale è quella dei contratti pubblici; una sorta di personificazione pubblicistica dell’interesse diffuso alla regolarità degli appalti e alla lotta alla corruzione (sul modello dell’azione prevista, in materia di concorrenza, dall’art.21.bis della legge 287.90 e che vede come protagonista la AGCM).</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno viene varata la legge n.96 che converte con modificazioni il decreto legge n.50.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 ottobre esce la segnalazione congiunta AGCM - ANAC - ART in tema di procedure per l’affidamento diretto dei servizi di trasporto ferroviario regionale, che modifica l’interpretazione sino a qui invalsa del Reg. Ce n. 1370/2007 in materia, rendendo residuale l’affidamento diretto o <em>in house</em> e consentendo a terzi interessati di presentare le loro offerte anche quando l’Amministrazione affidante abbia escluso la procedura di gara. Si tratta di una segnalazione che persegue effetti di tipo “<em>normativo</em>” facendo interrogare la dottrina sul se le tre Autorità possano effettivamente esercitare un potere di tale foggia. Ci si è chiesti in particolare se sia ammissibile – solo in Italia - un’interpretazione maggiormente a favore della concorrenza di un regolamento europeo (come tale, <em>self executing</em>) che continua ad essere applicato negli altri Stati membri in modo meno concorrenziale e se la maggiore apertura concorrenziale garantita (solo) in Italia nel settore attraverso la ridetta segnalazione, pur assunta in qualche modo opportuna, possa avere luogo fuori da meccanismi di produzione normativa capaci di garantire il pieno ed omogeneo livellamento del c.d. “<em>piano di gioco</em>” nel mercato interno euronitario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Sezione I del Tar Lazio n.1735 che dichiara inammissibile<a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3dMcEVQ%26J%3d9c%260%3dZBURh%26w%3dUMcAYT%26S%3dpNFN_zuox_A5_Dyat_ND_zuox_00IU5.85PqNFMmA5S1N5Xq5.5R_zuox_000C5M_Dyat_ND9Z_Dyat_NDHdVhHbThFb_Dyat_NDKI0QqA8Gw_rwXqI09t9_bMz90Qm_Ix0tC3Fq_C0_KiN1Pq5_zG_iHFGkIDP3T5Mv9.4RuF_Dyat_OD3N9_QwODAm_Lm1X_Wzlmk_0C5M8C2N1P_zuox_0ZGRu_G1BqO9_PYwl_al999qF_Dyat_Nd3N9_AiGB9qA0_PYwl_alh1o%26l%3d%26CE%3d5w9iaBYVb"> il ricorso avverso le linee guida dell’ANAC che impongono anche al Consiglio Nazionale Forense degli obblighi in materia di anticorruzione; ciò in quanto secondo il Collegio tali linee guida debbono intendersi non immediatamente lesive.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Sardegna n.357 alla cui stregua è da assumersi illegittimo per violazione del principio del <em>favor partecipationis</em> il provvedimento con il quale la P.A. appaltante abbia annullato in autotutela l’aggiudicazione di un appalto di forniture, laddove motivato con esclusivo riferimento al fatto che i prodotti offerti hanno caratteristiche lievemente differenti da quelle richiesta dal bando di gara, nel caso in cui prodotti offerti siano in comunque in possesso del Certificato EN 14175 espressamente richiesto dalla <em>lex specialis</em>, a nulla rilevando che l’ANAC, su richiesta di un solo concorrente, abbia espresso parere favorevole alla revoca dell’aggiudicazione; in tal caso infatti, per il Tar trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 3 del <em>“Regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso di cui all’art. 211, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. 50/2016</a>”</em>, a mente del quale <em>“quando l’istanza è presentata singolarmente dalla stazione appaltante o da una parte interessata, il parere reso è da intendersi non vincolante”.</em></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile esce l’importante pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4, alla cui stregua da un lato l’operatore del settore che non ha presentato domanda di partecipazione alla gara non può assumersi legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei relativi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione; dall’altro anche con riferimento al vigente quadro legislativo (art.120, comma 5, del c.p.a.), deve assumersi trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (e dunque assieme all’aggiudicazione a terzi), considerato come la postergazione della tutela avverso le ridette clausole non escludenti del bando al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione - secondo quanto peraltro già stabilito dalla <a href="http://www.lexitalia.it/private/cds/cdsadplen_2003-1.htm">decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003</a> - non si ponga certamente in frizione con il principio di concorrenza di matrice europea, giammai obliterandolo, ma piuttosto adattandolo alla realtà dell’incedere del procedimento nella relativa connessione con i tempi del processo. Della pronuncia appare particolarmente importante <em>ratione materiae</em> il punto 19.3.4. e seguenti della motivazione in diritto, laddove per il Collegio una approfondita riflessione si impone in punto di disamina del disposto di cui all’art. 211 del d.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sia nel testo originario interpolato dal d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.L. 24 aprile 2017, n. 50. Il riferimento è all’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione previsto dall’art. 211, comma 2 del d. Lgs. 50/2016 e, dopo la relativa abrogazione, alla legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora l’Autorità ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Si tratta invero – precisa il Collegio - del conferimento all’ANAC di una legittimazione processuale straordinaria al pari di quanto disposto da altre previsioni normative (si rammentano in proposito gli artt. 14 comma 7, 62, 110 comma 1, 121 comma 6 e 157 comma 2 del d. Lgs. n. 58 del 1998 con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’art. 52, comma 4 del d. lgs. n. 446 del 1997 che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della l. n. 168 del 1989, che ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 in tema di poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, l’art. 37 del d.L 6 dicembre 2011, n.201 in tema di poteri attribuiti all’ Autorita’ di regolazione dei trasporti e l’art. 70 del decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale). Orbene, chiosa ancora il Collegio, che la “concorrenza per il mercato” compendi un interesse di rango costituzionale ed europeo è circostanza nota, e non stupisce pertanto che il legislatore abbia sentito l’esigenza di attribuire all’Autorità di vigilanza in materia poteri “<em>propri</em>” da esercitare in sede giurisdizionale: la commissione speciale del Consiglio di Stato chiamata a rendere il parere sullo schema del decreto legislativo (Consiglio di Stato comm. spec., 28/12/2016, n. 2777) soffermandosi sull’ormai abrogato istituto di cui al comma 2 del citato art. 211 ( le c.d. “<em>raccomandazioni vincolanti</em>”) ha fatto riferimento ad un “<em>rafforzamento dei poteri dell’ANAC mediante l’attribuzione, in particolare, di un potere finalizzato all’emissione di raccomandazioni vincolanti nei confronti delle stazioni appaltanti, per l’annullamento in autotutela di atti della procedura di gara illegittimi</em>”(considerazioni, queste, certamente estensibili alla disposizione oggi vigente di cui al comma 1 bis del citato articolo 211). Nondimeno, appare necessario al Collegio sottolineare l’inassimilabilità della ratio della innovazione legislativa suddetta alle “<em>esigenze</em>” che militerebbero a sostegno dell’obbligo di immediata impugnazione delle clausole non escludenti del bando di gara, la legittimazione dall’ANAC venendo esercitata a presidio dell’interesse pubblico alla concorrenza in senso complessivo (di qui, anche, la limitazione ai “<em>contratti di rilevante impatto</em>” contenuta nella citata disposizione) e postulando un interesse “<em>certo</em>” e prioritario (quello alla rimozione del bando); il partecipante alla gara, invece, ha un interesse del tutto distinto da quello pubblicistico: ha l’interesse primario ed immediato ad aggiudicarsi la gara medesima; è quindi ravvisabile un interesse dell’offerente a proseguire la gara, funzionale ad ottenere il bene della vita cui esso aspira, rappresentato dall’aggiudicazione; soltanto laddove l’aggiudicazione divenga impossibile assume rilievo l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara; ma non è certo che - nella fase embrionale della procedura (chè è questa la fase in cui egli dovrebbe proporre l’impugnazione avverso il bando) - l’interesse all’aggiudicazione venga con certezza frustrato. L’Autorità agisce dunque nell’interesse della legge; il partecipante alla gara, invece nel proprio esclusivo e soggettivo interesse che, ripete ancora il Collegio, primariamente è quello di aggiudicarsi la gara, e solo subordinatamente quello della riedizione della gara medesima che non sia alfine riuscito ad aggiudicarsi. Non sembra pertanto all’Adunanza plenaria che la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse (non, come si è prima chiarito, dell’operatore del settore, ma neppure del partecipante alla procedura) a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: tale norma ha piuttosto subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 26 aprile esce il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, n.1119 avente ad oggetto lo schema di Regolamento sull’esercizio dei poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di cui all’art. 211, commi 1 bis e 1 ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, e dunque sulla legittimazione dell’Autorità ad impugnare i bandi di gara e sul potere di emettere pareri motivati nei quali l’ANAC indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, con possibilità di ricorso in caso di scostamento dai ridetti pareri da parte della stazione appaltante.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 maggio esce la sentenza della Sezione III quater del Tar Lazio n. 4793 alla cui stregua l’elencazione contenuta nell’art. 80, comma 5 lett. c) del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">decreto lgs. n. 50/2016</a>, riguardante le cause di esclusione dalle gare per “<em>gravi illeciti professionali</em>” è da assumersi tassativa e non integrabile al di fuori delle fattispecie in essa elencate, siccome sviluppate dalle Linee Guida dell’ANAC; a tal fine occorre che la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la relativa integrità o affidabilità, quali le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero che abbiano dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o all’irrogazione di altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; l’avere fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’avere omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la delibera ANAC recante Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter del decreto legislativo n.50 del 2016, che disciplina la legittimazione dell’Autorità all’impugnazione degli atti amministrativi con c.d. “<em>ricorso diretto</em>” (art.211, comma 1.bis: atti relativi a contratti di rilevante impatto) e con “<em>ricorso previo parere motivato</em>” (art.211, comma 1.ter: gravi violazioni in materia di contratti pubblici, parere motivato dell’Autorità e, in caso di esito negativo, ricorso al GA).</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 ottobre esce la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n.6026 alla cui stregua e <a href="http://www.lexitalia.it/n/3253">linee guida dell’ANAC n. 2 del 21 settembre 2016</a> (in tema di “<em>Offerta economicamente più vantaggiosa</em>”) costituiscono delle linee guida “<em>non vincolanti</em>”, le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del nuovo Codice dei contratti, non risultando pertanto idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il Consiglio di Stato, Commissione Speciale, rende il parere 28 novembre 2018 n. 2781, con riferimento alla relazione del 2 maggio 2018, con cui l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) aveva chiesto a questo Consiglio di Stato il parere sullo schema di Regolamento recante modifica del Regolamento del 5 ottobre 2016 per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’articolo 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in considerazione del carattere di novità delle modifiche introdotte alla disciplina attualmente in vigore, nonché del significativo impatto che le modifiche produrranno sul procedimento per il rilascio di tali pareri. Nella relazione di accompagnamento alla richiesta di parere l’Anac aveva chiarito che le modifiche e integrazioni al Regolamento del 5 ottobre 2016 si erano rese necessarie, alla luce di quanto emerso nei circa diciotto mesi di operatività, al fine di garantire una maggiore tempestività, adeguatezza e, conseguentemente, efficacia dei pareri resi ai sensi del comma 1 del citato articolo 211 del Codice dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Con delibera del 9 gennaio 2019, in G.U. n. 22 del 26 gennaio 2019, viene pubblicato il <a href="http://www.lexitalia.it/a/2019/110538">Regolamento in materia di pareri di precontenzioso dell’ANAC</a>, di cui all’articolo 211 del del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il giorno 11 marzo 2019 esce la sentenza n. 1622 del Consiglio di Stato, sez. VI, che si pronuncia sulla possibilità di impugnativa “diretta” o “immediata” del parere non vincolante dell’ANAC. Il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa riconosce che ai sensi dell’articolo 211 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. n. 50/2016</a>, rubricato “Pareri di precontenzioso dell’ANAC”, deve ritenersi che l’impugnabilità del parere non vincolante dell’ANAC non sia da escludersi in assoluto. Tali pareri, infatti, assumono connotazione lesiva tutte le volte in cui, riferendosi ad una fattispecie concreta, sia fatto proprio dalla stazione appaltante, la quale, sulla base di esso, abbiano assunto la relativa determinazione provvedimentale. Ne consegue che l’impugnazione del parere facoltativo deve riconoscersi possibile, ma essa è consentita unitamente al provvedimento conclusivo della Stazione appaltante che ne abbia fatto applicazione, poiché solo in tale momento si realizza la sua lesività per la posizione del privato (interesse legittimo pretensivo), con il sorgere dell’interesse all’impugnazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo 2019 esce la sentenza n. 344 del TAR VENETO, SEZ. II, che sancisce che è legittima la previsione relativa ad una procedura negoziata senza pubblicazione del bando, in forza della quale la P.A. appaltante ha stabilito che “<em>in ossequio ai principi di concorrenza e rotazione, come sostenuto dalle Linee Guida ANAC n. 4, non dovrà essere invitato l’operatore economico uscente”, </em>a nulla rilevando che il precedente affidamento sia stato disposto a seguito all’espletamento di una gara e che sul mercato non vi sarebbe un numero di operatori sufficiente a garantire la concorrenza; infatti, il principio di rotazione, nell’accezione accolta sia dalle Linee Guida ANAC, sia dalla giurisprudenza allo stato maggioritaria, sebbene non inderogabile, costituisce la regola negli affidamenti a trattativa privata, volta ad evitare il consolidarsi di rendite di posizione degli affidatari uscenti</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza del TAR PUGLIA – LECCE, SEZ. II, n. 519, che si pronuncia in merito all’illegittimità di un provvedimento di esclusione da una gara pubblica, disposto dalla stazione appaltante, giustificato solo in base alle disposizioni contenute nelle linee guida ANAC. Argomenta il giudice amministrativo che “in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia U.E., deve ritenersi che non sia possibile procedere all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. Non è possibile disporre l’esclusione da una gara di appalto sulla base di una disposizione che non è contemplata da alcuna disposizione né della <em>lex generalis </em>(il <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d. lgs. n. 50/16</a>), né della <em>lex specialis</em> (bando e disciplinare di gara), ma che si fa discendere dalle Linee Guida Anac pubblicate nella G.U. n. 2 del 3.1.2017 (nella specie si invocavano le suddette linee guida nella parte in cui affermano la rilevanza delle penali che abbiano superato l’1% del valore lordo di appalto; sicché il non avere dichiarato dette penali – secondo i ricorrenti – avrebbe integrato l’ipotesi espulsiva di cui all’art. 80 co. 5 lett. c) <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. n. 50/16</a>). Infatti le suddette Linee Guida Anac non sono state approvate con decreto ministeriale o interministeriale; pertanto, come condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato (2), esse non possiedono la forza normativa dei regolamenti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 17 comma 3 l. n. 400/88, con tutto ciò che ne deriva in termini di forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sottordinate e disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce la sentenza del Tar Lazio – Sez. I, n. 7934, che si pronuncia in tema di limiti di impugnabilità dei provvedimenti amministrativi adottati dall’ ANAC. I principi di diritto sostenuti dal giudice amministrativo sono evincibili in motivazione, ove si chiarisce che: Le “linee guida non vincolanti” dell’ANAC (le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del nuovo “Codice dei contratti”), lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggiano soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, con funzione ricognitiva di princìpi di carattere generale e di ausilio interpretativo alle amministrazioni cui sono rivolte. Dunque, le “linee guida non vincolanti” non presentano una portata immediatamente lesiva, assolvendo allo scopo, al pari delle circolari interpretative, di supportare l’amministrazione e favorire comportamenti omogenei. L’art. 177, comma 3, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D.L.vo 50/2016</a>, nel demandare all’Anac l’individuazione delle “modalità” di “verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1”, ha inteso affidare a tale Autorità il (solo) compito di precisare, con norme di carattere pratico e prima che si avviasse l’adeguamento delle concessioni, le basi per il calcolo delle percentuali, il momento cui fare riferimento per il rilievo dei parametri di calcolo e la cadenza delle verifiche, ed eventuali altri aspetti concernenti, in via diretta, solo le modalità di rilievo delle c.d. “situazioni di squilibrio”. Il legislatore, invece, nulla ha disposto, nell’ambito dell’art. 177, circa il fatto che l’ANAC potesse emanare direttive interpretative del comma 1 o riguardanti l’ammontare della sanzione, sulla quale pure il legislatore è intervenuto direttamente. Per tale ragione si deve escludere che tutta la parte I delle Linee Guida n. 11, approvate dal Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione con deliberazione n. 614 del 4 luglio 2018 e pubblicata nella <em>Gazzetta Ufficiale</em> – Serie Generale n. 178 del 2 agosto 2018, deputata a delimitare l’ambito oggettivo e soggettivo nonché l’ambito temporale di applicazione delle nuove percentuali di esternalizzazione, possa ritenersi espressione del potere regolatorio effettivamente demandato all’ANAC dall’art. 177, comma 3, cit.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 2627 secondo cui, in applicazione dell’art. 213 del Codice dei contratti, l’Anac può adottare linee guida non vincolanti nella specifica materia di cui all’art. 32 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (recante “Misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione”), atteso che le misure straordinarie che il Prefetto può disporre hanno come presupposto l’esistenza di un contratto in corso tra l’impresa e la pubblica amministrazione. In altri termini, è vero che l’art. 32 cit. si trova in un corpo legislativo diverso dal codice degli appalti, ma è altrettanto vero che tale disposizione si occupa di un aspetto, seppur particolare, dell’esecuzione dei contratti già stipulati con le pubbliche amministrazioni e conseguentemente non vi sono ostacoli all’adozione di linee guida non vincolanti da parte dell’Anac.</p> <p style="text-align: justify;">Le linee guida non vincolanti dell’ANAC nei confronti delle amministrazioni pubbliche eventualmente coinvolte nell’azione amministrativa, in ragione dell’autorevolezza dell’autorità emanante, impongono alle amministrazioni di motivare congruamente sulle ragioni per cui eventualmente decidano di non seguire la soluzione interpretativa proposta con le più volte richiamate linee guida Anac non vincolanti. Ferma l’imprescindibile valutazione del caso concreto, quindi, le amministrazioni potranno non osservare le linee guida se la peculiarità della fattispecie giustifica una deviazione dall’indirizzo fornito dall’Anac ovvero se, sempre la vicenda puntuale, evidenzi eventuali illegittimità delle linee guida nella fase attuativa. Al di fuori di queste ipotesi, la violazione delle linee guida può essere considerata come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, applicando i principi giurisprudenziali sperimentati con riguardo alla violazione delle circolari</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 7539 che, in tema di principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, afferma come alla stregua delle Linee guida n. 4 A.N.A.C., nella versione adottata con delibera 1 marzo 2018 n. 206 (v. in part. il punto 3.6), debba ritenersi che il principio di rotazione sia inapplicabile nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti; diversamente opinando, stridente ed inconciliabile sarebbe il contrasto contenuto nelle citate Linee guida laddove è precisato che “<em>il principio di rotazione comporta, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 7805 che si pone in continuità con il filone giurisprudenziale secondo cui le linee-guida ANAC n. 2 del 2016 non sarebbero vincolanti, atteso che le stesse traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del d.lgs. n. 50 del 2016, di talché le medesime non risulterebbero idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara. Esse, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggerebbero soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della I sezione del TAR Toscana n. 288 onde anche in presenza di pareri di precontenzioso non vincolanti dell’A.N.A.C., tali pareri sono da ritenere impugnabili unitamente alla determinazione di autotutela della stazione appaltante, nel caso in cui i contenuti del parere stesso abbiano individuato il vizio di legittimità, presupposto necessario per disporre l’annullamento della procedura di gara.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, un parere di precontenzioso dell’A.N.A.C. deve essere qualificato in termini di non vincolatività ai sensi dell’art. 211, 1° comma del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici) e 4, 1° comma della delib. 9 gennaio 2019, n. 10 (regolamento in materia di pareri di precontenzioso), nel caso in cui sia stato reso ad iniziativa di una sola ditta e non avendo le altre parti acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, dal punto di vista processuale, afferma il TRA che, nel caso in cui, per una gara indetta da un ente regionale, sia stato emesso un parere precontenzioso ANAC impugnato assieme all’atto conclusivo della gara, la competenza territoriale appartiene al T.A.R. avente sede nella Regione interessata dalla gara, operando in tal caso la previsione dell’art. 133, 1° comma lett. l) del c.p.a. (richiamata dall’art. 135, 1° comma lett. c) del codice, ai fini della competenza territoriale) un riferimento letterale ai soli “provvedimenti” adottati anche da varie Autorità amministrative indipendenti (tra cui oggi anche A.N.A.C.) e non all’impugnazione (peraltro solo come atto presupposto) di atti che non assumono valore provvedimentale, ma solo di apporto consultivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 che, intervenendo in un giudizio sull’accesso agli atti di un appalto, ha modo di affrontare diverse questioni problematiche e in particolare:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.</li> <li>b) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;</li> <li>c) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Ritiene il Collegio che l’istanza di accesso documentale ben possa concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva possa essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.</p> <p style="text-align: justify;">Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.</p> <p style="text-align: justify;">La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) – di qui in avanti, per brevità, Linee guida – l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti.</p> <p style="text-align: justify;">Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà.</p> <p style="text-align: justify;">Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.</p> <p style="text-align: justify;">L’ANAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta.</p> <p style="text-align: justify;">Con ciò essa ha inteso dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti.</p> <p style="text-align: justify;">Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato fermi restando i limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d. lgs. n. 33 del 2013, limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità.</p> <p style="text-align: justify;">A fronte di una istanza che non fa riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza.</p> <p style="text-align: justify;">A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test.</p> <p style="text-align: justify;">In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 6 giugno 2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) – di qui in avanti, per brevità, Circolare FOIA n. 2/2017 – laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato».</p> <p style="text-align: justify;">Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.</p> <p style="text-align: justify;">A questo punto, l’Adunanza Plenaria ritiene di esaminare anche la questione circa il campo di indagine della PA a fronte di un’istanza che faccia esclusivo riferimento alla l. 241/90.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, ritiene il Collegio che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente, infatti, la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo “in prevenzione”, su una istanza, quella di accesso civico generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Ne discende che al giudice amministrativo, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire, in sede di ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente rappresentato all’amministrazione sotto l’uno o l’altro profilo.</p> <p style="text-align: justify;">In altri termini, electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti. Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo quesito posto a questa Adunanza plenaria consiste nel chiarire se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria ritiene che gli operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio.</p> <p style="text-align: justify;">L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.</p> <p style="text-align: justify;">Questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato dell’Adunanza.</p> <p style="text-align: justify;">Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza»: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.</p> <p style="text-align: justify;">Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile – applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016) – e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, del d. lgs. n. 159 del 2011.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">LLa trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.</p> <p style="text-align: justify;">Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione, ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.</p> <p style="text-align: justify;">La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.</p> <p style="text-align: justify;">Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Ci si riferisce in particolare, tra le ipotesi che consentono il recesso facoltativo –contemplate, rispettivamente per i contratti e le concessioni, dall’art. 108, comma 1, e dall’art. 176, commi 1 e 2, del codice – alle eventuali modifiche sostanziali del contratto, che avrebbero richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 106 (art. 108, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016); al manifestarsi di una delle cause di esclusione dalla gara, previste dall’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, al momento dell’aggiudicazione; alla violazione di gravi obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE.</p> <p style="text-align: justify;">Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016).</p> <p style="text-align: justify;">E deve qui ricordarsi, peraltro, che i gravi e persistenti inadempimenti dell’operatore economico nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, costituiscono, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, causa di esclusione dalla gara e tali circostanze assumono particolare rilievo ai fini della partecipazione alla gara.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, più radicalmente, peraltro, la rilevanza della vicenda contrattuale anche nella fase di esecuzione è confermata dalle ipotesi di recesso obbligatorio dal rapporto contrattuale, previste dall’art. 110, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, che in realtà configurano forme di autotutela pubblicistica c.d. doverosa (con la conseguente, pacifica, giurisdizione del giudice amministrativo: Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2212), per l’intervenuta decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci o per il sopraggiungere di un provvedimento definitivo, che dispone l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal d. lgs. n. 159 del 2011, con effetto interdittivo antimafia; o per l’intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per uno dei reati di cui all’art. 80 (art. 108, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016); o, ancora, per il recesso di cui all’art. 88, comma 4-ter, del d. lgs. n. 159 del 2011, in seguito a comunicazione o informazione antimafia adottata dal Prefetto (art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016).</p> <p style="text-align: justify;">In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».</p> <p style="text-align: justify;">La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate – e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura di gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna – non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).</p> <p style="text-align: justify;">L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.</p> <p style="text-align: justify;">L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.</p> <p style="text-align: justify;">Diversamente, infatti, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Invero, la situazione dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini dell’accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Se l’accesso documentale soddisfa un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica, che peraltro non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa), questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più, motivare l’accesso stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Né giova opporre che l’accesso documentale è proprio finalizzato a fornire la prova di questo riattualizzato interesse perché altro è il bisogno di conoscere per tutelare una interesse collegato ad una situazione competitiva già esistente o chiaramente delineatasi, laddove il principio di concorrenza già opera in fase di gara e al fine eventuale di impugnare il provvedimento di aggiudicazione, e altro, evidentemente, il desiderio di conoscere per sapere se questa situazione possa crearsi per l’occasione, del tutto eventuale, di un inadempimento contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">E proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta del resto il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (c.d. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria, proprio con riguardo all’accesso documentale, ha precisato che essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi «diretto, concreto e attuale», poiché è anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio passa a esaminare l’ultimo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione, e cioè se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 97 del 2016, prevede testualmente che il diritto di accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 33 del 2013, «è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, a sua volta, che «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">In proposito l’Adunanza Plenaria delinea le due posizioni giurisprudenziali contrastanti.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’orientamento espresso dalla sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019 (condiviso, anche nella giurisprudenza di primo grado, da numerose pronunce), il richiamo dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui rinvia agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, non può condurre alla generale esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò non implicherebbe, però, che intere materie siano sottratte all’accesso civico generalizzato, se è vero che l’ambito delle materie sottratte deve essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa, dovendosi distinguere, nell’ambito delle eccezioni assolute previste dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, tra materie sottratte interamente e singoli casi sottratti nell’ambito di materie altrimenti aperte all’accesso generalizzato. Mentre il riferimento alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 costituirebbe il mero frutto di un mancato coordinamento del legislatore tra le due normative.</p> <p style="text-align: justify;">Un diverso orientamento ha seguito invece la V sezione di questo Consiglio di Stato, insieme con numerose altre pronunce dei giudici di primo grado.</p> <p style="text-align: justify;">Anzitutto, sul piano della interpretazione letterale, questo secondo orientamento ritiene che l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2016, ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, e che l’eccezione non riguardi quindi soltanto le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto o relativo di pubblicazione o di divulgazione «se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratterebbe, insomma, di effettuare un coordinamento volta per volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’Adunanza plenaria ritiene che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Come è stato esattamente osservato, l’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d. lgs. n. 33 del 2013 dal d. lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013).</p> <p style="text-align: justify;">L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990).</p> <p style="text-align: justify;">Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016, il Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d. lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».</p> <p style="text-align: justify;">Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155).</p> <p style="text-align: justify;">Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento del Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel citato parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Il FOIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.</p> <p style="text-align: justify;">Bene si è osservato che il diritto di accesso civico è precondizione, in questo senso, per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà.</p> <p style="text-align: justify;">La luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall’altro, anche al soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona, se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati.</p> <p style="text-align: justify;">La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le Circolari FOIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3).</p> <p style="text-align: justify;">Ricostruita così la natura del c.d. accesso civico generalizzato, quale “terza generazione” del diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla l. n. 241 del 1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione del d. lgs. n. 33 del 2013, occorre interrogarsi sulle c.d. eccezioni assolute, previste dal già richiamato art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, con particolare riferimento alla materia qui controversa.</p> <p style="text-align: justify;">Nella disciplina delle c.d. eccezioni relative ed assolute, infatti, il nostro ordinamento ha seguito una soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che distingue tra absolute exemptions e qualified exemptions.</p> <p style="text-align: justify;">Questa disposizione detta, a ben vedere, tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Le eccezioni assolute sono state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di Stato, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">In questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria, pur consapevole della infelice formulazione della disposizione, ne ritiene preferibile una lettura unitaria – a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante.</p> <p style="text-align: justify;">La disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Verrebbe meno così, radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e generalizzato – che, per quanto problematico, è fatto salvo dall’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».</p> <p style="text-align: justify;">Ma in linea generale il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali – si pensi, tra le più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 195 del 2005 – non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre, cioè, indagare circa la portata e il senso di tali limiti per verificare, caso per caso (la disposizione, appunto parla di “casi”) e non per interi ambiti di materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Un diverso ragionamento interpretativo, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza – frutto anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum – ove è risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che – fatta salva la disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza (ipotesi straordinarie sicuramente rientranti tra le eccezioni accesso di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 per il divieto assoluto di divulgazione e accesso) – il diritto di accesso sia semplicemente differito, in relazione al nominativo dei soggetti che nelle procedure aperte hanno presentato offerte o, nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito e che hanno manifestato il loro interesse e in relazione alle offerte stesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime offerte; in relazione alle offerte e al procedimento di verifica dell’anomalia, fino all’aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Questi atti, fino alla scadenza di termini indicati, «non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti» (art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016) e la trasgressione di tale divieto è presidiata dalla sanzione penale di cui all’art. 326 c.p..</p> <p style="text-align: justify;">È questa una esclusione assoluta del diritto di accesso, per quanto temporalmente limitata, incompatibile con il diritto di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, perché finalizzata a preservare la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della procedura di gara da indebite influenze, intromissioni, e turbamenti, e quindi dalla conoscenza di tali atti, prima della gara, da parte di chiunque, uti singulus ed uti civis.</p> <p style="text-align: justify;">Viene qui in rilievo una disciplina speciale, il cui nucleo centrale è costituito dalla conoscibilità progressiva della documentazione di gara, regolata da precise scansioni temporali volte a contemperare le ragioni dell’accesso con l’esigenza di assicurare il regolare svolgimento delle procedure selettive.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53, comma 5, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, parimenti, una esclusione assoluta del diritto di accesso in relazione:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali;</li> <li>b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per la soluzione delle liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;</li> <li>c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;</li> <li>d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">L’unica deroga a queste eccezioni assolute è prevista, nel comma 6 dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, per l’accesso documentale c.d. difensivo del concorrente in ordine alle informazioni contenute nell’offerta o nelle giustificazioni di altro concorrente per la tutela in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in linea, del resto, con quanto prevede in generale l’art. 23, comma 6, della l. n. 241 del 1990 per la prevalenza dell’accesso documentale c.d. difensivo.</p> <p style="text-align: justify;">La portata limitata anche temporalmente e motivata di questi casi, peraltro di stretta interpretazione, non può comportare ex se l’esclusione dell’intera materia dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, che riacquista la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Le conclusioni sin qui raggiunte si rinvengono sostanzialmente anche nella delibera ANAC n. 317 del 29 marzo 2017 nella quale l’Autorità ha chiarito che, se è esatto che tra i limiti all’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 ci sono le pertinenti disposizioni del codice dei contratti pubblici, deve per converso ritenersi che, una volta venute meno le condizioni che sorreggevano quei limiti, e quindi successivamente all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Con specifico riferimento alla materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato, assumono, a ben vedere, una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica, in quanto che ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere pubblicamente conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di legge, per le ragioni già esposte.</p> <p style="text-align: justify;">È vero che la l. n. 190 del 2012 ha previsto, nel comma 32, numerosi obblighi di pubblicazione degli atti di gara e l’art. 37 del d. lgs. n. 33 del 2013, in attuazione di tale delega, stabilisce un generale regime di pubblicità per tali atti. E l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, come si è già accennato, ha disciplinato in modo analitico la pubblicazione di tali atti. Ma la sussistenza di obblighi di pubblicazione di numerosi atti in materia di gara non può condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato sul rilievo che gli obblighi “proattivi” di pubblicazione soddisferebbero già, in questa materia, il bisogno o, comunque, il desiderio di conoscenza che contraddistingue il principio di trasparenza.</p> <p style="text-align: justify;">Una siffatta lettura, ancora una volta, sconta una logica di separatezza anzi che di integrazione tra le diverse tipologie di accesso che il legislatore ha inteso lasciar coesistere nel nostro ordinamento. Per contro, è proprio questa logica ermeneutica di integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini previsti per l’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali.</p> <p style="text-align: justify;">Non è più possibile affermare, in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e convenzionali, che l’accesso agli atti di gara costituisca un microcosmo normativo compiuto e chiuso.</p> <p style="text-align: justify;">La lettura unitaria, armonizzante, integratrice tra le singole discipline, divenuta predominante nella giurisprudenza di questo Consiglio già nel rapporto tra l’accesso agli atti di gara e l’accesso documentale della l. n. 241 del 1990 in termini di complementarietà, deve essere estesa a tutte le tipologie di accesso, ivi incluso quello civico, semplice e generalizzato, come suggerisce condivisibilmente l’ordinanza di rimessione, senza peraltro dover fare riferimento alla pur raffinata tecnica del rinvio “mobile” dell’art. 53 alla l. n. 241 del 1990, per le ragioni tutte esplicitate, alle disposizioni della l. n. 241 del 1990 siccome integrate/combinate con il complesso normativo del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019 della V sezione hanno ben richiamato l’essenziale ruolo di vigilanza svolto dall’ANAC in questo settore, ma non va trascurato il ruolo che un controllo generalizzato sull’aggiudicazione e sull’esecuzione del contratto svolge proprio l’accesso civico generalizzato, come ridisegnato dal d. lgs. n. 96 del 2017, con la conseguente possibilità di effettuare segnalazioni documentate da parte di terzi, una volta ottenuta la relativa documentazione con l’accesso, anche all’ANAC, che può esercitare il suo potere di raccomandazione ai sensi dell’art. 213 del d. lgs. n. 50 del 2016 anche nella fase esecutiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il vigente Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, adottato dall’ANAC e pubblicato sulla G.U. del 16 ottobre 2018, prevede, all’art. 12, comma 1, lett. b), che il procedimento di vigilanza possa concludersi, infatti, con «l’accertamento di atti illegittimi o irregolari della procedura di gara o dell’esecuzione del contratto, eventualmente accompagnato da raccomandazioni, rivolte alle stazioni appaltanti interessate, a rimuovere le illegittimità o irregolarità riscontrate, ovvero ad adottare atti volti a prevenire, per il futuro, il ripetersi di tali illegittimità e irregolarità». E particolare attenzione a sua volta l’art. 24 del Regolamento, dedica, sempre in relazione alla fase esecutiva, alle varianti in corso d’opera.</p> <p style="text-align: justify;">Risulta così confermato che, nel nostro ordinamento, l’esecuzione del contratto non è una terra di nessuno, lasciata all’arbitrio dei contraenti e all’indifferenza dei terzi, ma sottoposta all’attività di vigilanza da parte dell’ANAC, trattandosi di una fase rilevante per l’ordinamento giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo previste, nella cui cornice trova spazio, in funzione si direbbe complementare e strumentale, anche l’accesso generalizzato dei cittadini.</p> <p style="text-align: justify;">Questo, invero, non solo non è escluso dall’attività di vigilanza dell’ANAC, ma anzi può ben porsi rispetto alla stessa in funzione, come si è appena ricordato, strumentale; può consentire, infatti, che, tramite l’accesso civico generalizzato, siano valutate «le segnalazioni di violazione della normativa in materia di contratti pubblici presentate da terzi, compatibilmente con le esigenze organizzative e di funzionamento degli uffici, tenendo conto in via prioritaria della gravità della violazione e della rilevanza degli interessi coinvolti dall’appalto» (art. 4, comma 4, del Regolamento) e che l’apposito modulo della segnalazione, predisposto dall’ANAC, sia «corredato della eventuale documentazione» (art. 5, comma 2, del Regolamento) acquisita in occasione dell’accesso generalizzato, essendo altrimenti di fatto impossibile per il cittadino “contribuente” segnalare eventuali violazioni all’Autorità di settore, come invece auspica il considerando n. 122, in maniera consapevole e documentata.</p> <p style="text-align: justify;">Argomenti di carattere letterale, teleologico e sistematico come quelli esposti depongono, dunque, nel senso di una accessibilità totale degli atti di gara, seppur sempre nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">A questo punto, secondo il Collegio occorre però tener conto di ulteriori importanti questioni.</p> <p style="text-align: justify;">La prima questione concernente il delicato bilanciamento tra il valore, fondamentale dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale, della riservatezza, la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione dell’accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE, sez. I, 7 febbraio 2018, in T-851/16), in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto.</p> <p style="text-align: justify;">È vero, infatti, che escludere dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi, costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">E tuttavia questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari.</p> <p style="text-align: justify;">Va ribadito – concludendo sul punto – che ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti..</p> <p style="text-align: justify;">La seconda questione riguarda il notevole aumento dei costi di gestione del procedimento di accesso, da parte delle singole pubbliche amministrazioni, aumento che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato anche ai contratti pubblici, necessiterebbe di apposita disposizione di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Se il nostro ordinamento ha ormai accolto il c.d. modello FOIA non è l’accesso pubblico generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo, fondamento nella legge.</p> <p style="text-align: justify;">Non deve nemmeno essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, che possa condurre a una sorta di eccesso di accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Innanzi tutto, va rilevato che l’esperienza applicativa del FOIA nei primi tre anni dalla sua introduzione, come emerge dai dati pubblicati dal Dipartimento della funzione pubblica, rivela un uso “normale” delle istanze di accesso civico; infatti, le istanze pervenute ai ministeri sono aumentate da 1146 nel 2017 a 1818 nel 2018, con una media, nel secondo anno, di 11 richieste mensili per ministero, assolutamente in linea con la media europea e con un tasso di risposte evase da parte dei ministeri nel termine di legge (trenta giorni), in aumento, dal 74% nel 2017 all’83% nel 2018.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, è ovvio che l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.).</p> <p style="text-align: justify;">Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso, in modo – come è stato efficacemente detto – da «contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla tendenza […] a manipolare i dati di realtà».</p> <p style="text-align: justify;">Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">La terza questione riguarda la possibilità che l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato, in questa materia, verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">La circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale.</p> <p style="text-align: justify;">Non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che va tutelato è l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere negata.</p> <p style="text-align: justify;">Conclusivamente, vengono enunciati i seguenti principi di diritto:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;</li> <li>b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;</li> <li>c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che natura giuridica hanno le linee guida dell’ANAC?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="50"> <li>hanno <strong>natura normativa</strong>, e dunque possono essere <strong>disapplicate</strong> ove in <strong>contrasto con la normativa primaria</strong> che le prevede: hanno alla base una <strong>disposizione di legge primaria</strong> contenuta nel codice 50.16, onde dal punto di vista della <strong>legalità sostanziale</strong> non presentano problemi di sorta, prendendo il posto dei <strong>regolamenti governativi</strong> (come nel caso dell’<strong>abrogato D.p.R. 207.10</strong>, attuativo della precedente disciplina dei contratti pubblici e fondato sull’<strong>17 della legge 400.88</strong>); sono forgiate attraverso un <strong>procedimento di adozione</strong> ricalcato su quello degli <strong>atti normativi puri</strong>; è previsto talvolta <strong><em>ex ante</em> il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari</strong> ovvero, <strong><em>ex post</em>, l’obbligo di trasmissione alle Camere</strong>; possono contenere <strong>norme generali ed astratte</strong> che <strong>integrano la normativa primaria</strong> che le richiama e – a differenza di quanto accade per il c.d. <strong><em>soft law</em></strong> (bandi-tipo) e simili – <strong>non possono essere derogate, neppure motivatamente</strong>; ne è prevista la <strong>raccolta</strong> ed il <strong>consolidamento</strong> in <strong>testi unici integrati</strong>, <strong>organici ed omogenei</strong> <strong>per materia</strong> cui va data <strong>adeguata pubblicità</strong> anche in Gazzetta Ufficiale;</li> <li>hanno natura di <strong>atti amministrativi generali</strong>, e vanno dunque <strong>impugnate nei termini ove immediatamente lesive</strong> per i soggetti cui sono destinate (ed in particolare per le imprese, specie se afferenti ai <strong>procedimenti sanzionatori</strong> ed alla connessa <strong>irrogazione di sanzioni</strong>): difficile parlare per le linee guida di <strong>atti normativi puri</strong> senza entrare in <strong>frizione con il principio di legalità</strong>, specie laddove con esse si disciplini un <strong>procedimento sanzionatorio</strong> che non trova nella legge se non <strong>vaghi addentellati</strong>, come appunto accade con <strong>l’art.213, comma 13</strong>, del decreto legislativo 50.16, che sembra entrare in rotta di collisione tanto – <strong>a livello interno</strong> – con <strong>l’art.23 della Costituzione</strong> sulla necessità di una <strong>base di legge</strong> per le <strong>prestazioni personali e patrimoniali imposte</strong>, quanto con <strong>la CEDU</strong>, che annovera (secondo la giurisprudenza convenzionale) gli <strong>illeciti amministrativi</strong> tra quelli “<strong><em>sostanzialmente penali</em></strong>”, con tutto quanto ne consegue in termini di <strong>chiarezza di disciplina</strong> e di necessarie <strong>garanzie procedimentali</strong> per il soggetto che è potenziale destinatario delle corrispondenti sanzioni. Per chi abbraccia questa tesi, si tratta di capire <strong>che effetti</strong> le linee guida ANAC producono nei destinatari e quali sono le conseguenze dell’eventuale, relativa <strong>violazione</strong> da parte dei medesimi.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>