Massima
L’interesse legittimo – come il diritto soggettivo (ed ammesso che se ne differenzi realmente) – proprio in quanto “interesse” giuridicamente protetto, è collegato ad un bene della vita del relativo portatore, che pretende di conservarlo (interesse oppositivo) o di ottenerlo (interesse pretensivo) dall’Amministrazione con la quale interagisce; il comportamento illecito della PA (normalmente riassunto in un atto illegittimo) sottrae il bene al privato che voleva conservarlo, o non eroga il bene al privato che voleva ottenerlo. Se tuttavia nel caso dell’interesse oppositivo la tutela in forma specifica, giusta annullamento dell’atto illegittimo, circoscrive le conseguenze dannose a quelle prodottesi nel periodo in cui il bene è stato contra ius (in forza di un inadempimento pubblico all’obbligo di non facere) sottratto al privato; nel caso dell’interesse pretensivo, la tutela in forma specifica del privato, connessa all’annullamento dell’atto illegittimo (negativo, quand’anche riconducibile ad una mera inerzia pubblica), implica un danno potenzialmente assai maggiore perché avvinto al mancato ottenimento da parte del privato del bene anelato (ancora una volta, a causa di un inadempimento pubblico, ma stavolta ad obblighi di fare o di dare); un “non-ottenimento” che può atteggiarsi a meramente temporaneo, ovvero a definitivo, con conseguente maggiore significatività in questa seconda ipotesi della tutela risarcitoria “per equivalente” la cui importanza, come è evidente, cresce vieppiù laddove la tutela in forma specifica si riveli nella specie inappagante. Non è un caso allora se la tutela risarcitoria “per equivalente” è stata sdoganata proprio quando l’interesse pretensivo (e la correlata pretesa inadempiuta ad un dare o ad un facere pubblico) si è imposto su quello oppositivo (e sulla correlata pretesa inadempiuta ad un non facere pubblico), contemporaneamente alla progressiva trasformazione dello Stato da liberale a sociale (o del welfare). Su questo orizzonte di genere si innestano poi, più in specie, le problematiche concernenti i rapporti tra Giudice ed Amministrazione, dovendo solo quest’ultima – seppure teoricamente e sempre entro determinati limiti disegnati dal principio di legalità – verificare attraverso il potere se la pretesa del privato sia o meno (soddisfacibile perché) compatibile con l’interesse pubblico, e potendo allora il giudice solo “pronosticare” se, in caso di attività legittima, la PA avrebbe o meno lasciato o dato al privato il bene, rispettivamente, sottratto od anelato, sulla scorta della concreta consistenza del potere (vincolato o discrezionale) dalla legge riconosciuto all’Amministrazione con riguardo al singolo rapporto amministrativo.
Crono-articolo
1865
Il 20 marzo viene varata la legge n.2248, allegato E, c.d. abolitrice del contenzioso amministrativo, che agli articoli 4 e 5 prevede la possibilità per il GO – l’unico giudice previsto dal sistema – di disapplicare il provvedimento amministrativo e di risarcire il danno, dovendosi poi la PA adeguare annullando per conseguenza l’atto assunto illecito/illegittimo in sede di autotutela.
1942
Il codice civile, in tema di responsabilità per l’appunto civile, conosce tradizionalmente le ipotesi di responsabilità connessa ad una obbligazione precostituita (c.d., ma in modo improprio, “contrattuale”) ex art.1218 e seguenti; le ipotesi di responsabilità aquiliana, collocantesi del tutto al di fuori da qualunque rapporto precostituito tra le parti, massime se cristallizzato in un contratto (c.d. extracontrattuale) ex art.2043 e seguenti; le ipotesi, per chi le considererà ulteriormente autonome, nelle quali un contratto non vi è ma si tratta per giungervi, ovvero vi si giunge ma si stipula un contratto invalido (c.d. precontrattuale) ex art.1337 e 1338.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede una norma esplicitamente dedicata alla responsabilità dei pubblici dipendenti: si tratta dell’art.28, onde i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, con la precisazione che in tali casi – di diretta responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici – la responsabilità civile (e non anche penale ed amministrativa) “si estende” allo Stato e agli enti pubblici medesimi. L’art.28 è peraltro collocato nella Parte prima della Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, chiudendone il Titolo I, dedicato ai rapporti civili; essa è funzionale a costituire un baluardo, un presidio per le libertà civili previste negli articoli precedenti, e dunque per i diritti fondamentali dei cittadini; da ciò la conseguenza onde la responsabilità civile degli enti pubblici è prevista esclusivamente laddove si verifichi una lesione di diritti soggettivi (massime se “assoluti”, come è tipico appunto dei diritti fondamentali), e non anche di interessi legittimi (salvo a voler considerare il riferimento ai “diritti” contenuto nell’art.28 come estensibile anche agli interessi legittimi, quali particolari “diritti” ovvero situazioni giuridiche soggettive). Inoltre, la Carta parla di “leggi civili” e di “responsabilità civile” della PA e dei relativi agenti, lasciando sullo sfondo la natura della ridetta responsabilità, che potrebbe qualificarsi come aquiliana, come contrattuale, ovvero di altra natura (precontrattuale, tertium genus e così via). Dal punto di vista soggettivo, è anche aperta la questione se quella dell’Ente si atteggia a responsabilità oggettiva, ovvero debba necessariamente essere presidiata da una componente (almeno) colposa tanto del soggetto agente quanto dell’apparato cui appartiene; se si tratta di una responsabilità parallela e sussidiaria (come parrebbe evincersi dalla dicitura “si estende”) rispetto a quella dei funzionari e dei dipendenti (responsabili in prima battuta), ovvero asimmetrica (non necessariamente parallela) e solidale. Dal punto di vista processuale, importante anche l’art.111, ultimo comma, della Carta laddove si prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato (oltre che della Corte dei conti) il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione: questo significa che per le questioni risarcitorie da fatto illecito (teoricamente) rimesse al Consiglio di Stato (e per quelle che in seguito saranno rimesse ai Tar in primo grado) – a differenza di quanto accade per quelle civilistiche “pure” rimesse al Giudice ordinario – non esiste un terzo grado di giudizio di legittimità nomofilattico della Cassazione, ma solo un eventuale giudizio (delle SSUU) sulla giurisdizione.
1980
Il 25 marzo esce la sentenza della Corte costituzionale n.35, che dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, sollevata in riferimento agli artt. 42, 24 e 113 della Costituzione, laddove tale norma, secondo l’interpretazione dominante, non consente l’esercizio dell’azione di risarcimento nei confronti della PA che abbia illegittimamente negato, sospeso o revocato una licenza edilizia, quando attraverso atti positivi o negativi si sia con ciò attuata una compressione del diritto di proprietà sul terreno da edificare, tale da produrre uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto. Secondo le significative parole della Corte, che manifesta perplessità in ordine alla perdurante non risarcibilità del danno inferto ad interessi legittimi, sono ben comprensibili le considerazioni che hanno condotto il giudice remittente – di fronte al deplorevole comportamento tenuto da una amministrazione comunale, responsabile di una serie di atti illegittimi reiterati in spregio alle decisioni del giudice amministrativo, con grave pregiudizio d’un privato proprietario – a sollevare l’arduo problema, tanto discusso in dottrina come nella giurisprudenza, della responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni per il risarcimento dei danni derivati ai soggetti privati dalla adozione di atti o provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo. Problema – segnala la Corte – di indubbia gravità e di particolare attualità in relazione alle restrizioni connesse alla moderna disciplina urbanistico-edilizia, che, anche a giudizio della Corte medesima, si impone ormai all’attenzione del legislatore, e che tuttavia di configura quale problema complesso, richiedente come tale prudenti soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze giurisdizionali: un problema di ordine generale, che non può essere risolto dalla Corte in un giudizio sulla legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge urbanistica, in relazione alla ipotesi di illegittimo diniego di licenza edilizia.
1985
Il 23 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 5813 che, inserendosi in un solco giurisprudenziale granitico e pietrificato, assume che il danno è “ingiusto” ai sensi dell’art.2043 c.c. solo quando lede un diritto soggettivo, compendiandosi ad un tempo in un danno non iure e in un danno, per l’appunto, contra ius: si tratta della c.d. concezione soggettiva dell’illecito aquiliano, onde esso è tale solo se – oltre a compendiarsi in un comportamento fuori asse rispetto al sistema ordinamentale vigente (non iure) – implica la lesione di una situazione giuridica soggettiva (contra ius) riconosciuta e garantita dal sistema nella forma del diritto soggettivo perfetto, con esclusione dunque dell’interesse legittimo.
1988
Il 21 gennaio esce la sentenza delle SSUU n. 436 che ribadisce l’orientamento consolidato onde non è risarcibile il danno inferto ad un interesse legittimo pretensivo, come accade nel caso dell’illegittimo diniego di concessione edilizia, essendosi al cospetto per l’appunto della lesione di un interesse legittimo, e non già di un diritto soggettivo.
1989
Il 21 dicembre viene varata la Direttiva del Consiglio n.89/665/CEE, c.d. Direttiva-ricorsi, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, e che prevede in caso di violazioni l’obbligo per gli Stati di introdurre anche la tutela risarcitoria per i soggetti lesi.
1992
Il 19 febbraio viene varata la legge n. 142 di recepimento della c.d. Direttiva Ricorsi del 1989 alla cui stregua (art.13), nel settore peculiare degli appalti pubblici di lavori o di forniture, laddove la PA compia atti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme interne di recepimento – ancorché ad essere lesi siano interessi legittimi, e non già diritti soggettivi (tipica l’ipotesi della partecipazione alle gare) – va garantito in ogni caso al privato che si assuma leso da tali violazioni il risarcimento del danno. Si tratta di una disposizione che si applica non a tutti gli appalti di lavori e di forniture, ma solo a quelli sopra-soglia, coinvolti come tali dall’applicazione delle norme comunitarie; inoltre, occorre sempre preventivamente chiedere ed ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo innanzi al GA, per poi procedere ad invocare la tutela risarcitoria innanzi al GO (c.d. pregiudiziale amministrativa).
Il 18 novembre esce la sentenza delle SSUU n.12316 che, con riferimento a quei particolari interessi legittimi oppositivi che si compendiano in diritti soggettivi “affievoliti”, rappresenta come ne sia predicabile il risarcimento da parte del GO in caso di lesione, previo annullamento da parte del GA del provvedimento che li affievolisce e conseguente “riespansione” dei medesimi. La pronuncia si inserisce in quel filone di sentenze che, pur non predicando espressamente ed in via generale la risarcibilità della lesione inferta ad interessi legittimi (anche per motivi di cassa: significherebbe esporre il bilancio pubblico ad un notevole esborso, collegato alla monetizzazione risarcitoria degli errori pubblici), ne avverte la sostanziale inadeguatezza dal punto di vista della tutela del privato, tentando di porvi in qualche modo riparo.
Il 19 dicembre viene varata la legge n.489 in materia di appalti nei c.d. settori esclusi, il cui art.11 prevede – come già accaduto per gli appalti di lavori e di forniture con la legge n.142 – il risarcimento dei danni eventualmente inferti ai privati dall’Amministrazione aggiudicatrice in conseguenza della violazione del diritto comunitario o delle pertinenti norme di recepimento.
1993
Il 5 marzo esce la sentenza delle SSUU n.2667 che, in tema di mancato rilascio della concessione edilizia, dopo aver affermato come il privato non abbia – neppure di fronte a strumenti urbanistici che prevedono una determinata edificabilità del relativo suolo – un diritto soggettivo al detto rilascio, potendo comunqe la PA discrezionalmente determinare le concrete modalità di esercizio di tale “diritto” (che è dunque, secondo la dizione dottrinale, un interesse legittimo atteggiantesi a “diritto in attesa di espansione”), ribadisce poi come debba escludersi che di fronte ad una posizione soggettiva qualificabile come di interesse legittimo sia configurabile una responsabilità della PA con conseguente obbligo di risarcimento del danno, stante come l’art.2043 c.c. colleghi quest’ultimo non già ad una mera condotta contra ius, quanto piuttosto alla contemporanea presenza di una posizione di diritto soggettivo (perfetto), a nulla rilevando in senso opposto l’espressa previsione normativa contenuta nell’art.13 della legge 142.92, ed afferente in via speciale alla sola materia degli appalti pubblici di lavori e forniture.
1995
L’11 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1540 che – pur ribadendo in linea generale la non risarcibilità dei danni inferti ad interessi legittimi, massime se pretensivi – afferma tuttavia configurarsi una eccezione, con annessa configurabilità di un danno risarcibile, laddove il comportamento illegittimo della PA si sia tradotto, sul crinale penale, in un reato, e ciò atteso come in caso di lesione prodotta da un fatto di reato l’ingiustizia del danno si configura in re ipsa, senza necessità che si provi la lesione di un diritto soggettivo perfetto.
Il 17 marzo viene varato il decreto legislativo n.157 in materia di appalti di servizi, il cui art.30 prevede – come già accaduto per gli appalti di lavori e di forniture con la legge n.142.92 per gli appalti nei settori esclusi con la legge n.489.92 – il risarcimento dei danni eventualmente inferti ai privati dall’Amministrazione aggiudicatrice in conseguenza della violazione del diritto comunitario o delle pertinenti norme di recepimento.
Il 3 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4083 che – in tema di lesioni inferte ad interessi legittimi – avverte, pur confermandolo, l’inadeguatezza ormai dell’indirizzo interpretativo sul danno ingiusto, laddove appunto viene assunto non tale (non “ingiusto”) quello che coinvolge interessi legittimi e non diritti soggettivi perfetti.
1997
Il 19 marzo esce la sentenza delle SSUU n.2436 che si occupa di un ipotesi di “diritto fievole ab origine” o “in attesa di espansione” che sia stato espanso dapprima giusta provvedimento favorevole della PA ampliativo della sfera giuridica del privato, per poi essere nuovamente compresso attraverso un provvedimento di secondo grado in sede di autotutela. Secondo la Corte, innovativamente, beneficia della c.d. “riespansione” non già solo la situazione giuridica soggettiva che ab origine è di diritto soggettivo, ma anche quella che è ab origine di interesse legittimo e che – dopo essere stata espansa – viene poi nuovamente compressa con un provvedimento in sede di autotutela che venga poi annullato perché illegittimo dal GA: la originaria posizione di vantaggio ottenuta dalla PA e poi dalla medesima conculcata con un provvedimento in sede di autotutela giudicato illegittimo produce, per la Corte, un danno risarcibile connesso alla riespansione conseguente all’annullamento dell’atto di autotutela da parte del GA, con conseguente diritto risarcitorio da far valere dinanzi al GO.
Il 23 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.10453 onde, consolidando un orientamento pretorio che ha preso le mosse nei primi anni Novanta, laddove il privato invochi tutela risarcitoria innanzi al GO per lagnata lesione di interesse legittimo, assume non doversi dichiarare il difetto di giurisdizione, ma il rigetto della domanda nel merito. Si tratta di una opzione che muove dall’innovativa convinzione onde correttamente il privato chiede al GO il risarcimento dei danni che egli giudica infertigli dalla PA, dal momento che le azioni risarcitorie (a differenza di quelle di annullamento) spettano per l’appunto alla competenza giurisdizionale del GO, quanto meno in linea di principio, dovendosi tenere conto del fatto che allorché il privato agisce per il risarcimento del danno, egli fa valere proprio il “diritto” al risarcimento del danno, con conseguente giurisdizione per l’appunto del GO. E’ quest’ultimo, concretamente chiamato a decidere su tale diritto soggettivo risarcitorio, a valutare per la Corte se esso si configuri in concreto, indagando in particolare la tipologia di situazione giuridica soggettiva lesa, per trattenere la giurisdizione ed accogliere la domanda laddove sia stato leso un diritto soggettivo (con acclarata configurabilità in concreto del conseguente diritto al risarcimento del danno), ovvero per trattenere la giurisdizione ma respingere la domanda laddove sia stato leso un interesse legittimo (con acclarata non configurabilità in concreto del conseguente diritto al risarcimento del danno), stante la natura non “ingiusta” ex art.2043 c.c., in quest’ultimo caso, del pregiudizio subito. Solo laddove si invochi il risarcimento del danno “ingiusto” innanzi al GA in sede di giurisdizione esclusiva in luogo che dinanzi al GO per lesione (sempre e comunque) di un diritto soggettivo (o viceversa, davanti al GO piuttosto che davanti al GA in sede di giurisdizione esclusiva) può profilarsi per la Corte una questione di giurisdizione, e non già di merito. Quando invece, fuori dall’ambito di possibile operatività di una giurisdizione esclusiva, si discuta – tra due privati, ovvero tra privato e PA che eserciti poteri autoritativi – se esista o meno un diritto al risarcimento del danno, e si scopra a valle del processo che tale diritto non è configurabile per non essere “ingiusto” il danno subito da chi agisce in giudizio (non essendone stato vulnerato, a propria volta, un diritto soggettivo, ma un interesse legittimo), la questione non è di giurisdizione, ma di merito, dovendo il GO respingere la domanda dell’attore per insussistenza per l’appunto dell’invocato diritto al risarcimento del danno.
1998
Il 31 marzo viene varato il decreto legislativo n.80 che attribuendo ex novo – in tema di procedure per l’aggiudicazione degli appalti pubblici – la giurisdizione esclusiva al GA, prevede che anche il risarcimento del danno in tale materia spetti al GA, contestualmente abrogando le “speciali” disposizioni previste dagli articoli 13 della legge 142.92 (appalti di lavori e forniture), 11 della legge 489.92 (appalti nei settori esclusi) e 30 del decreto legislativo 157.95 (appalti di servizi). Più in specie, la giurisdizione esclusiva del GA viene ridisegnata per blocchi di materie, annoverando tra esse l’urbanistica e l’edilizia, i servizi pubblici e le procedure di aggiudicazione degli appalti, ed altre ancora, mentre contestualmente viene spostata la giurisdizione sul pubblico impiego c.d. “privatizzato” al GO. Nelle materie di “nuova” giurisdizione esclusiva del GA, elencate negli articoli 33 e 34 del decreto, l’art.35 prevede peraltro la devoluzione al GA medesimo del potere di conoscere le questioni risarcitorie e, dunque, di risarcire il danno inferto a diritti soggettivi e ad interessi legittimi.
L’8 maggio esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.165 che dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale di Isernia, laddove tale norma non prevede la risarcibilità della lesione inferta ad interessi legittimi. La Corte preliminarmente richiama quanto già affermato con la sentenza n. 85 del 1980 in ordine al problema della responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati dalla adozione di atti e provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo, quale problema di indubbia gravità e di particolare attualità — anche nel settore urbanistico-edilizio — che si é iniziato ad imporre alla concreta attenzione non solo del legislatore, ma anche della giurisdizione ordinaria di legittimità, laddove essa ha avvertito “l’inadeguatezza dell’indirizzo interpretativo sul danno ingiusto” (viene richiamata la sentenza della I sezione della Cassazione n. 4083.96). La Corte in proposito ribadisce come tale “problema di ordine generale” richieda prudenti soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze giurisdizionali e nelle scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie ed infine nella delimitazione delle utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della PA. La Corte registra poi come il legislatore nazionale non sia medio tempore rimasto inerte, avendo adottato tutta una serie di interventi settoriali, e citando in proposito, in materia di violazione del diritto comunitario degli appalti, la legge 19 febbraio 1992, n. 142, art. 13; per l’estensione ai settori esclusi la legge 19 dicembre 1992, n. 489, art. 11, comma 1; per gli appalti di servizi la legge 22 febbraio 1994, n. 146, art. 11, lettera i) e il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, art. 30; per gli appalti di opere pubbliche in genere, la legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 32 peraltro successivamente modificata dal d.l. 3 aprile 1995, n. 101 convertito nella legge 2 giugno 1995, n. 216 senza tuttavia ulteriore previsione espressa in ordine alla risarcibilità; per la responsabilità in materia di ritardo temporale sul rilascio di concessione edilizia, il decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 493; il decreto legge 26 gennaio 1995, n. 24, non convertito in legge ma i cui effetti sono stati fatti salvi dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2; in caso di procedimento su istanza di parte, la previsione di indennizzo per il mancato rispetto del termine del procedimento o degli obblighi e prestazioni a carico dell’amministrazione attraverso una delegificazione e rinvio a regolamenti, di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, comma 4, lettera h); e, in attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 11, comma 4, lettera g) della citata legge n. 59 del 1997 (prorogata con legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 7, comma 1, lettera f)), l’estensione della giurisdizione esclusiva del GA alle controversie, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, artt. 33, 34 e 35, nonché art. 45, comma 18, che mantiene ferma la giurisdizione prevista dalle norme in vigore per i giudizi pendenti al 30 giugno 1998. Per la Corte tuttavia la questione, per come prospettata dal giudice rimettente, é nel caso di specie manifestamente inammissibile per non essersi verificato il presupposto in ogni caso necessario alla configurazione di una responsabilità dell’amministrazione in conseguenza di un atto amministrativo, vale a dire l’accertamento della illegittimità dell’atto o del comportamento dell’amministrazione, che la medesima ordinanza sottolinea essere ancora all’esame del giudice amministrativo di primo grado in sede di ricorso per l’annullamento: la Corte rammenta in proposito che la previa definizione della controversia sulla illegittimità dell’atto di diniego della concessione edilizia (attività provvedimentale devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) costituisce — in mancanza di diversa regolamentazione del legislatore, anche se é stata auspicata una unificazione per evitare una duplicità di giudizi con competenza bipartita — un indispensabile antecedente logico giuridico (v. per riferimento art. 13 della legge n. 142 del 1992) dal quale dipende la decisione della causa. La conclusione che la Corte ne ritrae è che la rilevanza della questione é nel caso di specie meramente ipotetica e non attuale, essendo prematuro il dubbio di legittimità costituzionale: per applicare l’art. 295 del c.p.c. sulla sospensione del processo civile — come prospetta il giudice a quo — in attesa della risoluzione della controversia amministrativa, non deve infatti per la Corte essere necessariamente affrontato e risolto in via preliminare il dubbio sulla legittimità costituzionale dell’art. 2043 del cod. civ. (anche perchè — secondo la valutazione dello stesso giudice rimettente — si configuravano nel contempo “posizioni di diritti soggettivi coesistenti con interessi legittimi“). Si tratta di una importante pronuncia che auspica allora un definitivo (e generale) intervento del legislatore sulla questione della risarcibilità delle lesioni inferte ad interessi legittimi, dichiarando tuttavia nel caso di specie inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.2043 c.c.
1999
Il 22 luglio esce la storica sentenza delle SSUU n.500 che si esprime in termini di responsabilità aquiliana dell’Amministrazione ex art.2043 c.c. La Corte parte dal fatto che è “ingiusto” ai sensi della ridetta norma non già solo il danno derivante dalla lesione di un diritto assoluto o di un diritto di credito, ma anche il danno inferto all’interesse legittimo, da intendersi come situazione giuridica sostanziale collegata ad un bene della vita del relativo portatore, che è ad esso sotteso. Nel momento in cui l’azione pubblica ha vulnerato l’interesse al bene della vita che è appunto sotteso all’interesse legittimo, da assumersi meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento giuridico, si assiste ad una violazione dell’art.2043 c.c. In sostanza, quando viene leso un interesse legittimo da parte dell’Amministrazione attraverso un atto illegittimo, ciò appare necessario ma non ancora sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria aquiliana: occorre anche che l’attività illegittima e colpevole dell’Amministrazione abbia leso l’interesse al bene della vita che si collega a quell’interesse legittimo, e che è interesse meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico capace di rendere il danno, per l’appunto, “ingiusto” ex art.2043 c.c. Per potersi predicare il risarcimento del danno (aquiliano) inferto all’interesse legittimo (in presenza di un atto illegittimo) occorre in primo luogo che si sia risolto in senso positivo per il privato il giudizio di spettanza in capo al medesimo del bene della vita sotteso al vantato interesse legittimo, massime in fattispecie di interesse c.d. pretensivo, con connessa necessità di un giudizio prognostico in ordine al raggiungimento del bene della vita anelato laddove la PA si fosse comportata in modo legittimo; occorre in secondo luogo che l’azione o l’omissione della PA si sia risolta, giusta nesso di causalità, in un vulnus alla ridetta situazione giuridica protetta vantata dal privato; occorre infine, sul crinale soggettivo, la prova della colpa “apparato” dell’Amministrazione, secondo appunto il parametro di cui all’art.2043 c.c., il cui onere grava ancora una volta sul privato attore. E’ importante l’affermazione della Corte onde l’art.2043 non costituisce una “norma secondaria” (capace di operare solo quando sia individuato un determinato diritto soggettivo leso), atteggiandosi piuttosto a clausola generale “primaria” alla cui stregua ogni qualvolta venga cagionato un danno ingiusto si configura un diritto al risarcimento del danno, palesandosi “ingiusto”, per l’appunto, ogni danno derivante da un fatto che leda un interesse giuridicamente rilevante, quantunque non si atteggi a diritto soggettivo perfetto. Naturalmente non è sufficiente per ottenere il risarcimento del danno che il fatto illecito sia ingiusto perché lesivo di un interesse legittimo (come tale giuridicamente rilevante), occorrendo anche la prova di tutti gli altri elementi che concorrono per l’appunto a configurare il fatto illecito, sia dal punto di vista oggettivo (danno, nesso di causalità), sia sul crinale soggettivo (colpa, da intendersi come “colpa apparato”). Per quanto più in specie concerne la lesione degli interessi oppositivi, per la Corte è danno ingiusto quello che sacrifica l’interesse alla conservazione del bene della vita, ovvero della situazione di vantaggio conseguente all’esercizio del potere: si tratta – esplicitamente (e peraltro secondo quanto già riconosciuto in passato) – delle ipotesi di un diritto soggettivo che sia stato “affievolito” dal provvedimento amministrativo illegittimo; ma si tratta anche – implicitamente ed innovativamente – delle ipotesi in cui a fronte di un provvedimento (illegittimo) ampliativo della sfera giuridica del destinatario, si ponga il bene della vita conculcato di un terzo che da quel provvedimento abbia subito un vulnus, come nel caso del vicino confinante che si opponga al permesso di costruire che la PA rilasci al proprietario limitrofo. Per la Corte peraltro, ferma la necessità di provare la colpa dell’Amministrazione – che non può assumersi in re ipsa in forza della acclarata illegittimità dell’atto amministrativo – può invece assumersi in re ipsa l’ingiustizia del danno laddove ad essere conculcato dall’Amministrazione sia per l’appunto un interesse legittimo oppositivo (o “statico”), giacché in tal caso il bene della vita precede l’azione pubblica illegittima che, una volta accertata tale (illegittima), non può non aver comportato in via immediata e diretta un vulnus al ridetto, preesistente bene della vita, non occorrendo (a differenza di quanto invece accade per gli interessi c.d. “dinamici” o “pretensivi”) alcun giudizio prognostico di spettanza con riguardo ad un bene che è già nel patrimonio del soggetto privato allorché la PA provvede. Diversamente si pone la questione al cospetto della lesione di interessi pretensivi: mentre quando il privato è titolare di un interesse oppositivo egli si palesa già direttamente collegato al bene della vita, che tende a conservare e mantenere, nel caso dell’interesse pretensivo il bene della vita è solo anelato dal privato medesimo e passa da una valutazione di compatibilità con l’interesse pubblico affidata al potere della PA. Ciò implica – per le SSUU – come in questo caso non sia sufficiente per parlare di danno ingiusto (e di connesso diritto al risarcimento del danno) acclarare la illegittimità dell’azione pubblica, la quale si sostanzia nel non provvedere o nel provvedere in ritardo sulla istanza del privato, occorrendo piuttosto un giudizio prognostico che il giudice (il GO) deve operare tenendo come punto di riferimento la normativa pubblica di settore: tale giudizio prognostico ha ad oggetto la fondatezza o meno dell’istanza del privato al fine di stabilire se, presentando tale istanza, il privato si sia palesato titolare non già di una mera aspettativa come tale non meritevole di tutela, quanto piuttosto di una diversa e più consistente situazione suscettibile di determinare in capo a lui un oggettivo affidamento in ordine alla positiva conclusione della vicenda amministrativa, e dunque di una situazione che – stando alla disciplina amministrativa applicabile e valutando la fattispecie secondo un criterio di normalità – poteva dirsi destinata ad un esito favorevole con connessa erogazione, da parte della PA, del bene della vita anelato; in ultima analisi, e proprio per questo motivo, di una situazione soggettiva giuridicamente tutelabile. Il giudice, al fine di erogare il chiesto risarcimento, verificata la illegittimità dell’azione pubblica, deve allora collocarsi ex ante rispetto all’avvio del procedimento al fine di verificare la c.d. spettanza del bene della vita anelato dal privato sulla scorta della disciplina di riferimento e secondo un canone di normalità: solo in questo caso potrà riconoscere un risarcimento del danno che non potrebbe invece semplicemente scaturire da mere e generiche aspettative del privato, né tampoco dal solo rapporto procedimentale tra privato e PA e dagli eventuali affidamenti in ordine alla correttezza dell’azione pubblica.
Il 23 dicembre esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.5049 che, in tema di risarcimento del danno connesso alla spendita di potere discrezionale da parte dell’Amministrazione, accoglie la nozione definita dalla dottrina “delimitativa” della chance, laddove quest’ultima è da considerarsi come un bene già presente nel patrimonio del danneggiato allorché si verifica l’evento lesivo, compreso il caso dell’atto amministrativo illegittimo che denega l’anelato bene della vita; conseguentemente, va riconosciuto al soggetto privato danneggiato un risarcimento del danno, ancorché ridimensionato, anche al cospetto di ridotte possibilità di conseguire il bene della vita anelato, in una prospettiva di danno emergente (e non già di lucro cessante) autonomo, per l’appunto, rispetto al conseguimento effettivo del ridetto bene. Nel caso di specie il Tar, in sede demolitoria, annulla gli atti di una gara bandita per affidare un appalto funzionale alla gestione di un servizio di pulizia; in sede risarcitoria, esclude per il ricorrente il risarcimento del danno in forma specifica (per essere stato già stipulato il contratto con il soggetto illegittimo aggiudicatario: in realtà si tratta non già del risarcimento in forma specifica, quanto piuttosto dell’adempimento tecnicamente inteso alla pretesa del privato ricorrente di aggiudicarsi il contratto stipulato con terzi); esclude la risarcibilità per equivalente del danno connesso alla mancata aggiudicazione, poiché è stata annullata l’intera gara e non è detto che, in caso di relativa ripetizione, il ricorrente si sarebbe aggiudicato il contratto; riconosce invece il danno da perdita di chance (intesa appunto in senso “delimitativo”), dal momento che – laddove non fosse stato già stipulato un contratto di appalto con il soggetto risultato illegittimo aggiudicatario – si sarebbe svolta una nuova gara alla quale avrebbe potuto partecipare il ricorrente con una qualche chance di vittoria, peraltro nel caso di specie consistente (l’impresa ricorrente era precedente affidataria del servizio e nella gara ex post giudicata illegittima è giunta seconda dopo l’aggiudicataria). In questo caso la chance viene assunta in via autonoma rispetto al (solo possibile o probabile) conseguimento del bene finale, quale posta attiva del patrimonio dell’impresa conculcata dall’azione illegittima della PA e come tale risarcibile (le concrete chance di successo nella nuova gara rilevando solo al fine di quantificare il risarcimento del danno).
2000
Il 12 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.197 che si occupa di una fattispecie di danno connesso alla mancata vittoria di un concorso pubblico, nel cui contesto la PA (commissione di concorso) opera delle valutazione tecniche notoriamente assunte insindacabili nel merito dal GA in sede di giurisdizione di legittimità perché espressione di una discrezionalità tecnica c.d. pura. Tale insindacabilità si traduce nella impossibilità di formulare giudizi alternativi da parte del GA, neppure a fini risarcitori, ed è normalmente avallata anche da quella dottrina che ammette più in generale un sindacato “forte” del GA sulla discrezionalità tecnica della PA, stante l’elevato grado di soggettività e di irripetibilità dei giudizi che esprime una commissione d’esame o di concorso pubblico.
Il 13 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Toscana n.660 che, per l’ipotesi di invocato danno da mancata aggiudicazione di una gara, chiarisce come tale danno possa avere ad oggetto anche la perdita della chance di aggiudicazione, quale perdita della possibilità di conseguire un risultato utile e come tale da assumersi quale lesione del diritto alla integrità del patrimonio la cui risarcibilità è per il Tar conseguenza del verificarsi di un danno emergente da perdita di una possibilità attuale, e non già da perdita di un futuro risultato utile (lucro cessante).
Il 21 luglio viene varata la legge n.205 il cui articolo 7 attribuisce al GA la giurisdizione in tema di risarcimento del danno tutte le volte che al detto giudice appartenga la giurisdizione, tanto esclusiva che di legittimità: in sostanza, il risarcimento del danno “consequenziale” da lesione di interesse legittimo (a valle dell’intervenuto annullamento di un atto illegittimo) – innovativamente riconosciuto dalle SSUU con la sentenza n.500 del 1999 – viene per legge attribuito alla competenza giurisdizionale del GA (e non più del GO).
L’11 dicembre esce la sentenza della III sezione del Tar Lombardia n. 7772 che si colloca nel filone pretorio onde – in tema di gare pubbliche – il GA adito in sede di risarcimento del danno (in genere da mancata aggiudicazione) può ripetere la valutazione tecnica necessaria al fine di verificare la spettanza al ricorrente del bene della vita (l’aggiudicazione del contratto appunto) denegatogli dall’Amministrazione.
2001
Il 30 novembre esce la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia n.697 che si occupa – respingendola – di una domanda di risarcimento del danno connessa all’annullamento di provvedimenti adottati dalla PA in materia di concorsi ed esami, con dispendio di discrezionalità tecnica e dunque formulando un giudizio; è l’ipotesi del provvedimento che assume un candidato inidoneo a ricoprire il ruolo di professore associato, fattispecie nella quale – specie se l’annullamento è per vizi formali (difetto di istruttoria e di motivazione) – l’annullamento giurisdizionale non è idoneo ad intaccare l’essenza del potere amministrativo, non dovendo l’Amministrazione necessariamente optare per un predeterminato assetto di interessi in gioco, residuando un certo margine di libertà per le relative scelte (e, verrebbe da dire, per il relativo giudizio).
Il 18 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 6281 che si colloca nel filone pretorio onde – in tema di gare pubbliche – il GA adito in sede di risarcimento del danno (in genere da mancata aggiudicazione) può ripetere la valutazione tecnica necessaria al fine di verificare la spettanza al ricorrente del bene della vita (l’aggiudicazione del contratto appunto) denegatogli dall’Amministrazione. Per il Consiglio, laddove vi sia stata una pubblica gara, vi è stata una offerta, quella dell’impresa esclusa o rimasta non aggiudicataria, suscettibile di essere comparata con le altre offerte, ed in particolare con quella risultata aggiudicataria, onde è ben possibile verificare – in via virtuale – quale sarebbe stato l’esito della gara in caso di partecipazione dell’impresa esclusa, ovvero di corretta valutazione della relativa offerta (che sia stata mal valutata dalla PA aggiudicatrice), e laddove dalla ridetta verifica affiori che l’impresa ricorrente sarebbe risultata aggiudicataria, è a quel punto agevole per il Collegio quantificare il danno da risarcire in termini di mancato utile (o lucro cessante). Diverso invece il caso laddove, in luogo di una pubblica gara, la PA si sia avvalsa della trattativa privata, giacché in tal caso non vi è stata per l’appunto nessuna gara, non è stata confezionata un’offerta da parte dell’impresa non affidataria dell’appalto e non è pertanto possibile fare luogo ad una valutazione di tipo virtuale e prognostico su quale sarebbe stato l’esito di una gara che per l’appunto non si è mai celebrata, anche perché non è possibile sapere quante e quali offerte sarebbero state presentate se in luogo della trattativa privata si fosse fatto luogo ad una gara, quale tipologia di offerta avrebbe in tal caso presentato l’impressa ricorrente e se attraverso tale offerta si sarebbe aggiudicata la gara: per il Consiglio di Stato, in presenza di una trattativa privata l’unica situazione giuridica tutelabile (se del caso, in via risarcitoria) è allora solo la chance – vale a dire l’astratta possibilità di un esito favorevole dell’eventuale competizione, laddove si fosse espletata – che è stata persa proprio perché la PA ha fatto luogo ad una trattativa privata e non già ad una gara.
2002
Il 7 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.686 che, in un caso di impugnazione di un atto espressione di discrezionalità amministrativa pura, e di connessa richiesta di risarcimento del danno, assegna alla nozione di chance una funzione dalla dottrina definita “esplicativa”, utilizzando (in un’ottica di lucro cessante assai più che di danno emergente) la ridetta nozione al fine di verificare l’adeguatezza del nesso di causalità tra illegittima spendita di potere discrezionale e danno; si tratta nella sostanza di un bilanciamento di probabilità, onde – per dimostrare il nesso eziologico tra fatto illecito (atto amministrativo illegittimo) e danno consistente nella perdita dell’anelato bene finale – è sufficiente provare che in difetto del primo avrebbero prevalso le probabilità favorevoli al conseguimento del bene anelato rispetto a quelle sfavorevoli. Per il Consiglio di Stato per risarcire il danno da perdita di chance occorre che sussista una probabilità di successo superiore al 50%, alfine di scongiurare che divengano risarcibili anche mere possibilità statisticamente non significative. Nel caso di specie il Consiglio accoglie il ricorso demolitorio avverso un provvedimento di sospensione per 3 mesi di una impresa dall’Albo regionale di preselezione per non essere la stessa asseritamente in regola con il versamento dei contributi Inail, annullando il ridetto provvedimento per violazione dell’art.7 della legge 241.90 (mancata comunicazione di avvio del procedimento) oltre che per difetto di istruttoria e di motivazione; respinge nondimeno la domanda risarcitoria che l’impresa ha motivato con l’impossibilità di partecipare, durante il periodo di sospensione, a tutta una serie di gare bandite per l’affidamento di appalti, e ciò proprio per l’indimostrata prevalenza delle chance di successo in dette gare rispetto a quelle di insuccesso. In sostanza il Consiglio di Stato distingue non solo la chance di conseguire il bene anelato dal bene anelato ma, più a monte, la chance risarcibile, intesa quale probabilità di riuscita e dunque di ottenimento del ridetto bene, e chance non risarcibile, intesa quale mera possibilità di conseguire l’utilità sperata: per operare in concreto tale distinzione occorre fare ricorso alla teoria probabilistica (nesso causale) osservando il grado di successione tra azione ed evento e verificare se l’evento è conseguenza dell’azione secondo un giudizio di certezza, di probabilità relativa (quale rilevante grado di possibilità) e mera possibilità: soltanto nelle prime due ipotesi può essere ammesso il risarcimento del danno, dopo aver dunque verificato la concretezza della probabilità, statisticamente valutabile con un giudizio sintetico che ammetta, ex ante e secondo l’id quod plerumque accidit, sulla base degli elementi di fatto forniti dal danneggiato, che il pericolo di mancata verificazione dell’evento favorevole, indipendentemente dalla condotta illecita della PA, sarebbe stato superiore al 50%.
Il 18 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n.1569, che definisce il c.d. danno “da disturbo”: si tratta di un danno strettamente connesso al diritto di proprietà ed alle facoltà di godimento del bene che la legge riconosce al proprietario, compendiandosi quale pregiudizio affiorante dalla lesione di un interesse legittimo oppositivo: la PA vara un procedimento (e fa eventualmente luogo ad un provvedimento) che è legittimo in una prima fase, ma che diventa illegittimo per il protrarsi dei relativi effetti – a causa dell’inerzia della PA medesima – oltre il torno temporale che può assumersi ragionevolmente tollerabile dal privato, oltre che normalmente necessario con riguardo alla specifica serie procedimentale divisata, così conculcando il libero esplicarsi delle facoltà dominicali, prima fra tutte quella coincidente con godimento incondizionato del bene proprio. In dottrina si richiama l’emblematico esempio di chi abbia ottenuto un titolo edilizio, ma si sia visto poi sospendere l’attività costruttiva a cagione di accertamenti disposti dalla Soprintendenza e protrattisi sine die oltre il normale ed il tollerabile. In queste ipotesi, per il Tar la illegittimità del ritardo (la PA ha agito non iure) implica ex se ingiustizia del danno per il privato (la PA ha agito anche contra ius), onde l’illegittimità dell’azione pubblica comporta danno “in re ipsa”, secondo quanto già affermato in genere per gli interessi oppositivi dalle SSUU con la sentenza 500 del 1999, senza necessità per il privato vulnerato di alcuna prova di tale danno.
Il 24 aprile esce la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, n.419, che si occupa del caso in cui – rilasciata una concessione edilizia – il proprietario limitrofo si opponga a tale titolo edilizio impugnandolo dinanzi al GA: in tali ipotesi, per il Tar, è ormai invocabile anche il risarcimento del danno in ipotesi di acclarata illegittimità (e conseguente annullamento) del gravato titolo edilizio in parola.
Il 27 aprile esce la sentenza del Tar Veneto n. 1605 che si colloca nel filone pretorio onde – in tema di gare pubbliche – il GA adito in sede di risarcimento del danno (in genere da mancata aggiudicazione) può in linea teorica ripetere la valutazione tecnica necessaria al fine di verificare la spettanza al ricorrente del bene della vita (l’aggiudicazione del contratto appunto) denegatogli dall’Amministrazione. In questi casi tuttavia appare al Collegio preferibile far ricorso alla liquidazione della c.d. perdita della chance di esito favorevole (danno emergente), piuttosto della ripetizione virtuale della gara orientata, come tale, a verificare che esito la gara stessa avrebbe avuto laddove la PA avesse agito in modo legittimo, e dunque ad eventualmente risarcire il lucro cessante connesso alla mancata aggiudicazione. Nel caso di specie si tratta di affidare da parte di un Comune un servizio di assistenza domiciliare: il Tar annulla la delibera di affidamento sul piano demolitorio mentre, su quello risarcitorio, distingue la richiesta di danno da mancata aggiudicazione (lucro cessante) – per il quale occorre la rigorosa prova della illegittimità della procedura, da un lato, e del conseguimento dell’aggiudicazione del servizio in caso di attività pubblica legittima, dall’altro (con conseguente necessità di una ripetizione virtuale della gara); dalla richiesta del danno (emergente) da perdita di chance, per il quale è sufficiente che il ricorrente provi la non trascurabile probabilità di conseguire il risultato utile perso a cagione della condotta antigiuridica tenuta dalla PA aggiudicatrice: in questo caso non occorre un accurato giudizio tecnico di tipo sostitutivo e virtuale, ma è sufficiente una sommaria valutazione tecnica dalla quale affiorano significative probabilità di vittoria (e non già la certezza della vittoria medesima), come nel caso di specie in cui il Tar accerta una idoneità del ricorrente a svolgere le prestazioni richieste peraltro confermata, quanto al servizio di assistenza domiciliare, dalla attività precedentemente svolta dall’impresa ricorrente, tenuto anche conto di come il progetto sottoposto al Comune presenti, anche ad un esame sommario ed atecnico, completezza di contenuti e puntualità espositiva.
Il 29 aprile esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2280 che si occupa di una richiesta risarcitoria conseguente ad assunta lesione di interessi legittimi oppositivi da parte dei proprietari di aree interessate da una occupazione pubblica illegittima per conferire rilievo anche ai meri vizi procedimentali affettanti l’atto amministrativo illegittimo, come nell’ipotesi – di specie – della mancata comunicazione di avvio del procedimento la quale, laddove operata, avrebbe potuto imprimere alla vicenda amministrativa un diverso contenuto e cagionare un minor danno (o non cagionarlo affatto).
Il 4 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4435, che – laddove venga chiesto dal privato partecipante ad una gara il danno da mancata aggiudicazione, che coinvolge dunque una discrezionalità c.d. “tecnica” della PA aggiudicatrice – assume preferibile per il giudice scongiurare, anche solo a fini risarcitori, la ripetizione da parte del CTU delle valutazioni tecniche già operate dalla PA (e che hanno condotto all’aggiudicazione a terzi rispetto al ricorrente), dovendo il detto giudice in simili ipotesi – laddove possibile – rinunciare al c.d. giudizio prognostico finalizzato al risarcimento del danno ed affidare tale giudizio all’Amministrazione medesima, la quale procederà – annullati gli atti di gara dal GA – alla relativa rinnovazione reale, e non già meramente virtuale. Si tratta di una presa di posizione ancora poco propensa a riconoscere sindacabile dal GA la discrezionalità tecnica della PA, seppure meramente a fini risarcitori. E’ evidente tuttavia che la ripetizione degli atti di gara ha un senso solo laddove vengano caducati gli effetti del contratto stipulato a valle dell’aggiudicazione, con possibilità per il ricorrente di ottenere, alfine, lo stesso contratto anelato e non già solo il mero risarcimento del danno.
2003
*Il 12 febbraio esce la sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano n. 48 che si colloca nel filone pretorio onde – in tema di gare pubbliche – il GA adito in sede di risarcimento del danno (in genere da mancata aggiudicazione) può ripetere la valutazione tecnica necessaria al fine di verificare la spettanza al ricorrente del bene della vita (l’aggiudicazione del contratto appunto) denegatogli dall’Amministrazione.
2004
Il 12 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1261, che si occupa di un caso di c.d. danno da disturbo, ponendosi il problema se, nel caso di specie – di assunta lesione di un interesse oppositivo (o “statico”) da parte di un atto amministrativo illegittimo – sia configurabile un danno ingiusto sulla base del semplice accertamento della ridetta illegittimità del provvedimento. Per il Consiglio, innovativamente rispetto alle SSUU del 2009, la natura oppositiva o “statica” dell’interesse legittimo assunto leso dal privato non può implicare in via immediata e diretta (automatica) un giudizio di spettanza del bene della vita ad esso sotteso in capo al privato: in realtà un giudizio prognostico è necessario tanto in caso di interessi pretensivi (e qui si tratta di indagare se l’istanza del privato è fondata ed accoglibile dalla PA, onde l’atto che la disattende si atteggia ad illegittimo diniego della ridetta spettanza) quanto in caso di interessi oppositivi, laddove in quest’ultimo caso occorre indagare se, annullato l’atto lesivo appunto dell’interesse legittimo oppositivo, tale atto non possa dalla PA essere ri-adottato previa emenda dei relativi vizi, con effetti sostanziali del pari pregiudizievoli per il privato che invochi il risarcimento del danno. Non basta dunque che il provvedimento amministrativo che ha conculcato l’interesse legittimo oppositivo sia stato accertato illegittimo, occorrendo – affinché si possa predicare un danno ingiusto – che esso sia stato acclarato affetto da ingiustizia sostanziale, non potendo pertanto, proprio in quanto sostanzialmente ingiusto, la PA riproporlo giusta nuovo esercizio del potere pubblico; ed occorrendo, su altro crinale, che dalla acclarata illegittimità dell’atto sia scaturito per il privato attore un pregiudizio effettivo e concreto. La tesi viene applicata ad una peculiare ipotesi di lesione dell’interesse pretensivo, vale a dire al c.d. danno da disturbo, onde anche laddove le facoltà di godimento del privato proprietario siano state compresse da un’attività inerte illegittima della PA, spetta comunque al privato provare in concreto che si è verificato un pregiudizio effettivo al proprio, libero esercizio delle facoltà inerenti al proprio diritto di proprietà.
2006
Il 31 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5323 che, in tema di atto illegittimo e di connessa lesione (illecita) dell’interesse pretensivo del privato, abbraccia la tesi favorevole a riconoscere al privato medesimo un risarcimento del danno da perdita di chance (in funzione c.d. “delimitativa”). In primo luogo il Collegio precisa il rapporto tra perdita di chance e violazione dell’interesse pretensivo nelle ipotesi in cui la PA sia titolare di un potere discrezionale, laddove – richiamando sul punto la sentenza delle SSUU n.500.99 – solo dal nuovo esercizio del potere da parte della PA medesima possono scaturire delle certezze in ordine alla concreta spettanza al privato del bene cui anela. In ipotesi simili, per il Collegio il risarcimento dei danni dovrebbe essere negato fino alla riedizione del potere discrezionale (o comunque tecnico-discrezionale) ed alla rinnovazione degli atti di gara; tale riedizione del potere pubblico e tale rinnovazione degli atti di gara avviene tuttavia in un altro momento e in un altro contesto storico, e non è detto che possa coinvolgere nuovamente le parti in causa nello stesso modo e sulla base dei medesimi presupposti che sono stati a base dell’azione amministrativa giudicata illegittima; proprio per questo l’unico pregiudizio risarcibile in simili ipotesi è quello connesso alla perdita di chance, da intendersi quale modello di tutela risarcitoria per equivalente. Per il Consiglio si Stato, più in specie, la chance si pone quale bene patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e va distinta, sul crinale ontologico, dagli obiettivi ai quali essa risulta teleologicamente orientata (il bene della vita anelato, ed oggetto proprio di una chance di ottenimento) e dei quali essa possa costituire la condizione o il presupposto “in potentia”; dacché si evince per il Collegio che la lesione della “entità patrimoniale chance” forma oggetto di valutazione ai fini del riconoscimento di un risarcimento del danno in termini di probabilità, definitivamente perduta, a causa di una condotta illecita altrui, senza dover fare alcun riferimento al risultato auspicato e non più realizzabile ed alla consistenza del relativo assetto potenziale.
2009
Il 30 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4237 che – in tema di danno da disturbo, e dunque di lesione di interessi oppositivi del privato – assume affiorare in caso di attività illegittima pubblica una colpa in re ipsa, o comunque una automatica ingiustizia del danno per il privato, spettando dunque alla PA dimostrare, eventualmente, che nessun danno il privato ha subito.
2010
Il 23 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4326 che ribadisce come – diversamente da quanto accade in materia di interessi oppositivi – il problema dell’eventuale risarcimento del danno assume connotati diversi al cospetto della lesione di interessi pretensivi: mentre quando il privato è titolare di un interesse oppositivo egli si palesa già direttamente collegato al bene della vita, che tende a conservare e mantenere, nel caso dell’interesse pretensivo il bene della vita è solo anelato dal privato medesimo e passa da una valutazione di compatibilità con l’interesse pubblico affidata al potere della PA. Ciò implica – per le SSUU – come in questo caso non sia sufficiente per parlare di danno ingiusto (e di connesso diritto al risarcimento del danno) acclarare la illegittimità dell’azione pubblica, la quale si sostanzia nel non provvedere o nel provvedere in ritardo sulla istanza del privato, occorrendo piuttosto un giudizio prognostico che il giudice (il GO) deve operare tenendo come punto di riferimento la normativa pubblica di settore: tale giudizio prognostico ha ad oggetto la fondatezza o meno dell’istanza del privato al fine di stabilire se, presentando tale istanza, il privato si sia palesato titolare non già di una mera aspettativa come tale non meritevole di tutela, quanto piuttosto di una diversa e più consistente situazione suscettibile di determinare in capo a lui un oggettivo affidamento in ordine alla positiva conclusione della vicenda amministrativa, e dunque di una situazione che – stando alla disciplina amministrativa applicabile e valutando la fattispecie secondo un criterio di normalità – poteva dirsi destinata ad un esito favorevole con connessa erogazione, da parte della PA, del bene della vita anelato; in ultima analisi, e proprio per questo motivo, di una situazione soggettiva giuridicamente tutelabile. Il giudice, al fine di erogare il chiesto risarcimento, verificata la illegittimità dell’azione pubblica, deve allora collocarsi ex ante rispetto all’avvio del procedimento al fine di verificare la c.d. spettanza del bene della vita anelato dal privato sulla scorta della disciplina di riferimento e secondo un canone di normalità: solo in questo caso potrà riconoscere un risarcimento del danno che non potrebbe invece semplicemente scaturire da mere e generiche aspettative del privato, né tampoco dal solo rapporto procedimentale tra privato e PA e dagli eventuali affidamenti in ordine alla correttezza dell’azione pubblica.
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui articolo 30 sembra – dalla terminologia nel complesso impiegata – abbracciare la tesi tradizionale della responsabilità aquiliana della PA. Secondo il comma 1 infatti l’azione di condanna verso la PA può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al medesimo articolo, anche in via autonoma, mentre stando al comma 2 può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno “ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’attivita’ amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, con evidente richiamo alla terminologia sull’ingiustizia del danno di cui all’art.2043 c.c.. Nei casi di giurisdizione esclusiva – prosegue la norma – può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi e, sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica, con ulteriore richiamo ad una norma, l’art.2058 c.c. appunto, inserita tra le norme sul fatto illecito extracontrattuale. Dopo aver previsto al comma 3 che la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e’ proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e’ verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, il legislatore del codice afferma che, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, con un richiamo – seppure implicito – all’art.1227 c.c. in tema di responsabilità c.d. “contrattuale” che, tuttavia, è a propria volta richiamato, in tema di responsabilità aquiliana, dall’art.2056 c.c.. Anche al comma 4 – onde per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 (120 giorni) non decorre fintanto che perdura l’inadempimento, iniziando tuttavia comunque a decorrere (in caso appunto di silenzio c.d. inadempimento) dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere – il riferimento al dolo e alla colpa riportano all’art.2043 c.c., mentre il riferimento all’inadempimento sembra riferirsi all’art.1218 c.c. e dunque alla natura “contrattuale” della responsabilità pubblica da silenzio (omesso provvedimento) illegittimo, ma solo nel particolare caso in cui per l’appunto la PA abbia omesso di pronunciarsi sull’istanza del privato, cagionandogli un danno. La norma prosegue (comma 5) affermando come nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza; e precisando (comma 6) che di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo. La presenza – sia nelle ipotesi di azione risarcitoria autonoma che di azione risarcitoria agganciata all’azione demolitoria (di annullamento) – di un termine decadenziale di 120 giorni (seppure con diversa decorrenza) fa grandemente scemare l’importanza fino a questo momento assunta dalla questione del termine prescrizionale applicabile, decennale se si sottopone la responsabilità della PA all’egida precettiva dell’art.1218 c.c., e quinquennale se invece la norma di riferimento è l’art.2043 c.c. Va rilevato che la possibilità di spiccare domande di risarcimento del danno in via autonoma, e dunque senza aver previamente attivato la tutela demolitoria, comporta che nel momento in cui scade il termine per invocare dal GA l’annullamento dell’atto (decorsi i noti 60 giorni) è ancora aperto (per ulteriori 60 giorni, 120 in tutto) il termine per chiedere il risarcimento del danno, per l’appunto, in via autonoma, con la conseguenza onde in queste ipotesi diventa molto rilevante il giudizio prognostico affidato al GA, il quale deve virtualmente valutare a fini risarcitori se – annullato il provvedimento (ormai non più aggredibile) – il privato avrebbe o meno conservato il proprio bene giuridico (interesse oppositivo) ovvero ottenuto quello anelato (interesse pretensivo).
*Il 6 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4237 che – in tema di danno da disturbo, e dunque di lesione di interessi oppositivi del privato – assume affiorare in caso di attività illegittima pubblica una colpa in re ipsa, o comunque una automatica configurabilità del danno (ingiusto) per il privato, spettando dunque alla PA dimostrare, eventualmente, che nessun danno il privato ha subito.
2012
Il 23 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.265 alla cui stregua – seguendo un consolidato indirizzo – è necessaria e sufficiente la illegittimità del provvedimento lesivo di interesse oppositivo per consentire al proprio titolare di invocare il risarcimento dei danni: egli mira infatti a conservare un bene della vita che si colloca ex ante rispetto al provvedimento lesivo che lo conculca, onde dimostrare che il provvedimento è illegittimo, ed ottenerne l’annullamento, significa ex se dimostrare di aver subito un danno, che si configura dunque “in re ipsa”.
2013
*Il 28 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1220 alla cui stregua è necessaria e sufficiente la illegittimità del provvedimento lesivo di interesse oppositivo per consentire al proprio titolare di invocare il risarcimento dei danni: egli mira infatti a conservare un bene della vita che si colloca ex ante rispetto al provvedimento lesivo che lo conculca, onde dimostrare che il provvedimento è illegittimo, ed ottenerne l’annullamento, significa ex se dimostrare di aver subito un danno, che si configura dunque “in re ipsa”.
Il 7 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1403 secondo la quale, se è da assumersi ammissibile la successione nella posizione processuale del giudizio di annullamento – atteso come la trasmissibilità della posizione afferente al patrimonio giuridico “intercettata” dal potere amministrativo, che si presenta sovente quale diritto soggettivo (nel caso di specie, il diritto di proprietà del suolo oggetto di pianificazione urbanistica) determina anche l’assunzione della correlata titolarità della posizione di interesse legittimo (pretensivo) – e ciò fin tanto che il giudizio non definisce la natura, il contenuto e gli esiti di entrambe le posizioni giuridiche, non altrettanto può predicarsi in relazione alla legittimazione alla azione risarcitoria; ciò in quanto, per il Consiglio, la “perdita di chance” individuale, collegata come essa è alla “personalità” dell’interesse legittimo al momento in cui esso è intercettato dall’esercizio del potere amministrativo, afferisce ad una posizione giuridica non trasmissibile che, come tale, non può formare oggetto né di trasferimento mortis causa, né di conferimento in società, per il tramite di regolarizzazione della comunione incidentale ereditaria in società in nome collettivo. In sostanza dunque, per il Collegio, la tutela risarcitoria, in particolare se collegata ad una perdita di chance, appare in qualche modo “soggettiva” e come tale intrasmissibile né per atto tra vivi né mortis causa, mentre è trasmissibile (perché più “oggettiva”) la tutela demolitoria, laddove connessa con un diritto soggettivo. Il Collegio aggiunge poi che il mero interesse procedimentale – vale a dire l’interesse alla correttezza della complessiva gestione della sequenza procedimentale da parte della PA, secondo le regole che la governano – si pone come situazione meramente strumentale alla tutela di una posizione di interesse legittimo, dovendosi pertanto, come tale, assumere – ove lesa – non risarcibile in sé, (in quanto, diversamente opinando, si costruirebbe l’interesse legittimo come generica pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa), rifluendo piuttosto nella più generale considerazione dell’interesse legittimo pretensivo (al quale è strumentale) e dei mezzi di tutela – compresa ovviamente quella risarcitoria – per questo esperibili.
2014
*Il 28 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.2187, che si pone il problema se nel caso di specie – di assunta lesione di un interesse oppositivo (o “statico”) da parte di un atto amministrativo illegittimo – sia configurabile un danno ingiusto sulla base del semplice accertamento della ridetta illegittimità del provvedimento. Il Consiglio ribadisce in proposito che la natura oppositiva o “statica” dell’interesse legittimo assunto leso dal privato non può implicare in via immediata e diretta (automatica) un giudizio di spettanza del bene della vita ad esso sotteso in capo al privato: in realtà un giudizio prognostico è necessario tanto in caso di interessi pretensivi (e qui si tratta di indagare se l’istanza del privato è fondata ed accoglibile dalla PA, onde l’atto che la disattende si atteggia ad illegittimo diniego della ridetta spettanza) quanto in caso di interessi oppositivi, laddove in quest’ultimo caso occorre indagare se, annullato l’atto lesivo appunto dell’interesse legittimo oppositivo, tale atto non possa dalla PA essere ri-adottato previa emenda dei relativi vizi, con effetti sostanziali del pari pregiudizievoli per il privato che invochi il risarcimento del danno. Non basta dunque che il provvedimento amministrativo che ha conculcato l’interesse legittimo oppositivo sia stato accertato illegittimo, dovendo – affinché si possa predicare un danno ingiusto – che esso sia stato acclarato affetto da ingiustizia sostanziale, non potendo pertanto, proprio in quanto sostanzialmente ingiusto, la PA riproporlo giusta nuovo esercizio del potere pubblico.
2015
Il 22 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.252 che si occupa del risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento di un atto amministrativo, affermando che tale diritto al risarcimento può predicarsi solo allorché l’annullamento sia avvenuto per vizi di carattere sostanziale, dal momento che solo in tal caso risulta comprovata la spettanza del bene della vita oggetto della pretesa del ricorrente; quando invece il vizio riguardi la sola forma, ovvero il procedimento di formazione del provvedimento, il danno non può essere invocato, il che accade allorché la PA conservi – a valle dell’annullamento del provvedimento – il potere di rinnovare il procedimento emendandolo dal vizio formale riscontrato dal GA. Per il Collegio è importante in proposito un richiamo all’art.34, comma 3, del c.p.a. 104.10, laddove si prevede che quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori: ciò significa che non sempre ad un atto illegittimo consegue giocoforza un risarcimento del danno, ma solo in determinati casi (quelli appunto, è da intendersi, in cui l’atto sia affetto da vizi sostanziali) laddove permane appunto la presenza di un interesse ad agire a fini risarcitori.
2017
Il 6 aprile esce la sentenza sezione III ter del TAR Lazio n. 3855 che, intervenendo su un caso in cui il ricorrente chiedeva, tra l’altro, il risarcimento per le mancate retribuzioni a causa di un errore nella graduatoria di un concorso, afferma che l’approvazione di una nuova graduatoria con ricostruzione della carriera agli effetti giuridici è già pienamente satisfattiva per il privato. Invero, Una ricostruzione della carriera anche agli effetti economici esula dalla stretta esecuzione della sentenza, in quanto, in mancanza della prestazione lavorativa, non matura il diritto alla retribuzione (fatto salvo il particolare caso di atti illegittimi che interrompano un sinallagma già in essere, come nel caso di licenziamento illegittimo da una posizione già ricoperta dal ricorrente), mentre le differenze retributive non conseguite possono essere chieste solo a titolo di risarcimento del danno.
Il 4 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.94 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30,comma 3, c.p.a. nella parte in cui stabilisce che la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi va proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Per la Corte in primis il legislatore, nel perseguire l’obiettivo di una sistemazione complessiva del processo amministrativo, ha dettato ai comma 2, 3, 4 e 5 dell’art. 30 c.p.a., un’articolata disciplina anche dell’azione risarcitoria dei danni derivanti dalla lesione di interessi legittimi; in quest’ottica, in particolare i comma 3 e 5 del detto articolo prevedono che il risarcimento del danno cagionato per effetto della illegittima attività della PA possa essere conseguito dal privato attraverso l’azione di condanna esercitata in via autonoma (comma 3), oppure spiccata contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento illegittimo o finanche successivamente al passaggio in giudicato della relativa sentenza (comma 5), prevedendo peraltro un termine di decadenza di 120 giorni per la proponibilità delle domande risarcitorie (sia pure decorrenti da momenti differenti). Per la Corte peraltro, sulla scorta del proprio consolidato orientamento sul punto, il legislatore gode di ampia discrezionalità in tema di disciplina degli istituti processuali (vengono mentovate tra le tante le sentenze n. 121 e n. 44 del 2016), ciò valendo anche con specifico riferimento alla scelta di un termine decadenziale o prescrizionale a seconda delle peculiari esigenze del procedimento (vengono rammentate, tra le tante, la sentenza n. 155 del 2014 e ordinanza n. 430 del 2000), fatto salvo il solo limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte compiute, onde la previsione del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria non può ritenersi il frutto di una scelta viziata da manifesta irragionevolezza, ma costituisce l’espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato di vedersi riconosciuta la possibilità di agire anche a prescindere dalla domanda di annullamento (con eliminazione della regola della pregiudizialità), con l’obiettivo, di rilevante interesse pubblico, di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria, secondo una logica di stabilità degli effetti giuridici ben conosciuta in rilevanti settori del diritto privato ove le aspirazioni risarcitorie si colleghino al non corretto esercizio del potere. Peraltro, come la Corte lascia affiorare, a contrapporsi all’interesse del privato danneggiato si stagliano anche interessi pubblici di rango costituzionale, quali più in specie la stabilità dei bilanci delle pubbliche amministrazioni. Per quanto poi concerne la ventilata violazione del principio di uguaglianza per il relativo, diverso trattamento riservato dal legislatore alla lesione dell’interesse legittimo rispetto a quella del diritto soggettivo, la Corte rappresenta come le due situazioni giuridiche soggettive poste in comparazione sono differenti atteggiandosi entrambe a meritevoli di tutela, ma non necessariamente della stessa tutela donde, secondo la costante giurisprudenza della Corte medesima, l’infondatezza appunto della censura di violazione del principio di uguaglianza (vengono richiamate, tra le tante, le sentenze n. 43 del 2017, n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004). Per quanto poi concerne la presunta incostituzionalità del «brevissimo» termine di 120 giorni, con particolare riguardo alla tutela del diritto di difesa del privato ricorrente ed al principio del giusto processo, per la Corte va rammentato – ancora una volta sulla scorta della propria precedente giurisprudenza – che l’incongruità del termine rilevante sul piano della violazione degli indicati parametri costituzionali si registra solo qualora esso sia non idoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e di conseguenza tale da rendere inoperante la tutela accordata al cittadino (vengono richiamate, tra le tante, le sentenze n. 44 del 2016, n. 117 del 2012 e n. 30 del 2011; ordinanze n. 417 del 2007 e n. 382 del 2005), ma atteso come nel caso di specie il termine di 120 giorni introdotto dalla norma censurata sia anche significativamente più lungo di molti dei termini decadenziali previsti dal legislatore sia nell’ambito privatistico che in quello pubblicistico, l’ipotesi di incostituzionalità non appare per la Corte predicabile. Infine, la Corte analizza l’ulteriore profilo dedotto nell’ordinanza di rimessione ed inerente la presunta violazione degli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli artt. 6 e 13 della CEDU, sotto il profilo della violazione del principio del giusto processo, rappresentando in primis come secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, siano gli Stati membri a dover disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi, compresi quelli per risarcimento danni, l’unico limite dovendosi compendiare nella circostanza onde le modalità di ricorso debbono atteggiarsi a non discriminatorie rispetto alla tutela offerta per posizioni riconosciute dal diritto interno, oltre che tali da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, secondo un prisma ermeneutico al quale si ispira anche la Corte EDU; attesa allora l’evidente non riconoscibilità, nel caso di specie, di una effettiva discriminazione fra tutela offerta a diritti di ascendenza sovranazionale e diritti di derivazione interna, per la Corte il ridetto termine di 120 giorni previsto dalla norma censurata, per le ragioni già esposte in precedenza, di per sé ed in difetto di problemi legati alla conoscibilità dell’evento dannoso, non rende praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Solo l’incertezza dunque in ordine alla conoscibilità dell’evento dannoso – nel singolo caso di specie e per come pare ombreggiare la Corte – potrebbe conculcare la tutela (risarcitoria) del privato ricorrente, laddove quegli non sia posto in grado di riconoscere il dies a quo per spiccare domanda risarcioria.
Il 27 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5546 secondo la quale, in primis, al fine di potere ottenere il risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, occorre dedurre e provare che il provvedimento amministrativo in ipotesi illegittimo abbia impedito di conseguire il bene della vita ad esso sotteso ed anelato dal privato. Proprio sulla scorta di tale principio appare al Collegio inammissibile la domanda proposta da una ditta che ha partecipato ad una gara di appalto ed intesa a conseguire il “risarcimento di ogni danno subito e subendo”, relativo “tanto al lucro cessante, quanto al danno emergente”, senza fornire ulteriori specificazioni, limitandosi ad instare per una relativa liquidazione in via equitativa, trattandosi per giunta – nel caso di specie – di domanda che si pone in frizione con la regola generale espressa dall’art. 124 cod. proc. amm., secondo il quale il risarcimento del danno per equivalente da illegittima privazione dell’appalto deve essere “subito e provato” (comma 1). Il Collegio soggiunge che il ricorso all’equità per la determinazione del quantum risarcitorio può essere ammesso soltanto in caso di impossibilità, o di estrema difficoltà, di fornire una precisa prova in ordine all’ammontare del pertinente danno, e non anche in caso di mancata allegazione imputabile alla parte che lo invoca.
Il 29 novembre esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.28524 alla cui stregua, in tema di rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso intimato da una delle parti all’altra attribuisce alla parte che subisce il recesso (normalmente, l’agente) il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e ciò indipendentemente dall’effettiva sussistenza del pregiudizio che l’indennità in questione è destinata a ristorare, posto che tale indennità è prevista quale conseguenza automatica e predeterminata del recesso con effetto immediato, intimato dalla controparte, non assistito da giusta causa: è una fattispecie assimilabile a quella del provvedimento amministrativo che lede interessi oppositivi, con riconoscibilità di un danno automatico ed in re ipsa.
Il 15 dicembre esce la sentenza delle S.U. n. 30221 che riconosce la giurisdizione del GA sulla domanda di risarcimento del danno derivante dalla gestione dell’istruttoria di un procedimento sulla domanda di erogazione di aiuti finanziari latamente discrezionali in quanto, implicando valutazioni di opportunità e convenienza circa la meritevolezza dell’impresa richiedente, onde garantire l’impiego oculato di risorse pubbliche ed evitare che l’agevolazione concretizzi una perdita certa per l’erario, non si risolve in una sequenza di singoli comportamenti dei funzionari investiti del relativo potere ma integra una condotta tipica amministrativa di impostazione di contatti ed interlocuzioni con la richiedente volti, anche con provvedimenti formali, a conseguire le condizioni migliori affinché l’impegno delle risorse pubbliche possa valutarsi vantaggioso o quanto meno non destinato ad una prognosi sicuramente sfavorevole.
2018
Il 22 gennaio esce la sentenza della II sezione del TAR Lazio n. 788 che accoglie la domanda di risarcimento del danno derivante dalla revoca di un provvedimento autorizzatorio in quanto l’atto di secondo grado, non fondato su valide ragioni di pubblico interesse, impedisce, ingiustificatamente, l’attività del commercio su area pubblica, e, causa, conseguentemente, un danno ingiusto, costituito dalla perdita, per l’interessato, della possibilità di guadagno correlata all’esercizio della medesima attività
Il 2 marzo esce la sentenza delle S.U. n. 4996 che riconosce la giurisdizione del GO sulla domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo, non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della sua integrità patrimoniale ex art. 2043 c.c., rispetto alla quale l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole.
Il 6 marzo esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 1409 in tema di risarcimento del danno derivante dall’adozione di informative antimafia. Ricorda il Collegio che la colpa dell’amministrazione ai fini del riconoscimento del risarcimento dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure; andrà, in particolare, riconosciuto il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione. Non può dimenticarsi, infatti, che il risarcimento del danno dovuto per lesione di interessi legittimi non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.
Il 1° giugno esce la sentenza della III sezione del TAR Lombardia n. 1407 che riconduce alla giurisdizione del GO una controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno avanzata da una società nei confronti della P.A., nel caso in cui il thema decidendum attenga alla pretesa risarcitoria derivante dall’incolpevole affidamento del privato su un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi annullato in quanto illegittimo. Secondo il TAR, infatti, la controversia riguarda non l’illegittimo esercizio del potere pubblico e la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì la lesione della integrità patrimoniale della società istante, ovvero di una situazione di diritto soggettivo; in particolare, la copa dell’Amministrazione è da rinvenirsi nell’aver indotto il privato a sostenere spese nel ragionevole convincimento della legittimità dell’atto.
L’8 giugno esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia-Palermo n. 1291 che solleva un conflitto negativo di giurisdizione avendo il GO declinato la propria giurisdizione in un caso in cui il privato chiedeva il risarcimento per aver l’amministrazione leso una legittima aspettativa alla ricezione di un finanziamento pubblico – cui era stato già ammesso – sulla base di un provvedimento poi revocato in autotutela per mancanza di fondi, pur essendo la PA a conoscenza di tale mancanza di fondi da molto tempo prima rispetto all’adozione del provvedimento di secondo grado.
Il 13 dicembre esce la sentenza delle SU n. 32365 che, risolvendo il conflitto negativo di giurisdizione sollevato dal TAR Sicilia, ribadisce – ancora una volta – la validità del criterio della domanda (e quindi del petitum sostanziale) al fine del riparto della giurisdizione tra GO e GA. Viene ricordato che il petitum deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti allegati. Di conseguenza, prosegue la Corte, l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al GA può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto che agisce nei confronti della PA sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato, mentre si è al di fuori della giurisdizione amministrativa se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un provvedimento favorevole, che venga successivamente annullato in quanto illegittimo, si configura solo come uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda altresì sulla capacità del provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del suo patrimonio, che consegue a tale affidamento e alla sopravvenuta caducazione del provvedimento favorevole. Spetta quindi al GO la giurisdizione su un’azione risarcitoria proposta dal titolare di una impresa ittica nei confronti della Regione Siciliana a seguito della revoca del contributo per le nuove costruzioni di natanti da pesca disposta a distanza di alcuni anni dal decreto di approvazione della graduatoria e di sua comunicazione.
Il 28 dicembre esce la sentenza del TAR Calabria n. 780 che, giudicando in un caso di illegittima adozione di un’interdittiva antimafia, si concentra sull’onere probatorio dell’azione risarcitoria a tutela degli interessi legittimi. In particolare, secondo il TAR, non è possibile pervenire ad alcuna deroga alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c. in quanto si tratta di provare fatti che ricadono nella sfera giuridica dell’interessato e, pertanto, non è necessario riequilibrare l’asimmetria informativa tra Pubblica Amministrazione e privato, che contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione: spetta quindi a colui che fa valere il diritto in giudizio dare prova di tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria.
2019
Il 3 gennaio esce la sentenza della I sezione del TAR Liguria n. 11 in tema di onere probatorio della pretesa risarcitoria. Secondo il TAR, in caso di annullamento in sede giurisdizionale di un atto che sospendeva i lavori di ristrutturazione di una piazza, è indubbio che il provvedimento sia stato foriero di danno in quanto comportante un rallentamento dei lavori e, di conseguenza, un danno per la ditta esecutrice.
Questioni intriganti
Dal punto di vista processuale, cosa impedisce il risarcimento del danno inferto ad interessi legittimi prima del 1999?
Il sistema di giustizia amministrativa appare caratterizzato da una struttura bifasica, che – facendo luogo ad una sorta di corto circuito – impedisce ad entrambi i giudici coinvolti, GA e GO, di procedere al risarcimento del danno, e ciò in quanto:
- il GA è il giudice dell’interesse legittimo, ma è fornito di sola tutela demolitoria, potendo esclusivamente annullare il provvedimento illegittimo che ne sia lesivo, senza poter condannare al risarcimento dei danni (salvi i diritti patrimoniali c.d. “consequenziali” in sede di giurisdizione esclusiva);
- il GO è il giudice del diritto soggettivo e può procedere al risarcimento dei danni ad esso inferti, ma non può conoscere dell’interesse legittimo, dal momento che – stante il riparto di giurisdizione fondato sulla c.d. causa petendi o “petitum sostanziale”, vale a dire sulla situazione giuridica soggettiva assunta lesa dal privato che agisce – laddove quegli invochi tutela per un interesse legittimo, il detto giudice deve giocoforza declinare la propria giurisdizione a beneficio del GA (che tuttavia, come visto, può annullare ma non risarcire).
Quali questioni “di danno” pone la lesione dell’interesse legittimo oppositivo da parte di un atto amministrativo illegittimo?
Si tratta di una problematica rilevante in specie da quando è possibile accedere alla tutela risarcitoria anche senza aver previamente attivato quella demolitoria, e dunque anche nel caso in cui l’atto lesivo e produttivo di danno sia rimasto legittimo ed efficace, non sia più aggredibile (per ottenere tutela in forma specifica) ma sia per l’appunto ancora possibile chiedere il risarcimento del danno (tutela per equivalente):
- è necessaria e sufficiente la illegittimità del provvedimento lesivo di interesse oppositivo per consentire al proprio titolare di invocare il risarcimento dei danni: egli mira infatti a conservare un bene della vita che si colloca ex ante rispetto al provvedimento lesivo, sicché dimostrare che il provvedimento è illegittimo, ed (eventualmente) ottenerne l’annullamento, significa ex se dimostrare di aver subito un danno, che si configura dunque “in re ipsa” e strettamente avvinto appunto alla illegittimità del provvedimento amministrativo;
- si rappresenta tuttavia in senso critico che, qualora il provvedimento sia illegittimo (e sia annullato) per meri vizi formali o procedimentali, esso potrebbe essere ri-adottato conculcando stavolta secundum legem, dal punto di vista sostanziale, il bene della vita del privato portatore dell’interesse oppositivo; del resto si rammenta la valorizzazione che proprio le SSUU con la svolta del 1999 hanno inteso imprimere al bene della vita che è sottostante all’interesse giuridicamente rilevante leso dall’azione pubblica, onde laddove la pretesa a tale bene della vita (al relativo mantenimento e conservazione) si riveli infondata dal punto di vista sostanziale, non può configurarsi un danno da illegittimità meramente formale del provvedimento amministrativo che ha tuttavia correttamente (dal punto di vista sostanziale) sottratto il bene della vita al privato titolare (come quando un permesso di costruire andava annullato in sede di autotutela, anche se in un primo momento l’atto di autotutela è risultato viziato dal punto di vista meramente formale); su questo crinale, solo laddove il vizio dell’atto amministrativo sia sostanziale l’ingiustizia del danno da lesione di interesse oppositivo deve intendersi in re ipsa in costanza di annullamento dell’atto stesso, mentre in caso di vizio meramente formale si rischierebbe – adottando la medesima soluzione “automatica” – una iperprotezione degli interessi legittimi oppositivi, del tutto sganciata dalla pretesa al (mantenimento del) bene della vita sottostante (configurantesi peraltro come pretesa ad un “non facere” dell’Amministrazione);
- in via ancora più specifica, si ritiene insoddisfacente anche un riferimento generico ai vizi meramente formali, potendo darsi in determinati casi che la presenza di certi vizi formali che affettano il provvedimento sia tale da non implicare la certezza che, emendato l’atto da simili vizi formali, il provvedimento rimarrebbe comunque sfavorevole per il privato (con conseguente non configurabilità di pretesi danni); mentre infatti in caso di potere vincolato è certo che emendare il vizio formale da parte della PA significa dare al provvedimento (ormai formalmente ineccepibile) quel contenuto (sfavorevole) che non può non avere, laddove la PA goda di potere discrezionale è ben possibile che l’emenda del vizio formale sospinga verso un provvedimento favorevole per l’interessato, con conseguente amplificarsi della portata lesiva del primo provvedimento, formalmente illegittimo, che ha conculcato il bene alla cui conservazione il privato medesimo legittimamente anelava; in questa ipotesi, secondo una certa opzione dottrinale, il privato può essere ammesso a provare di aver subito un danno da perdita di chance anche invocando in via autonoma il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un atto illegittimo (senza averne tuttavia chiesto la demolizione), potendo provare che in caso di annullamento tempestivo e di successiva riedizione del potere discrezionale da parte della PA, egli avrebbe avuto delle chance di conservare il bene della vita alfine sottrattogli dall’azione pubblica, ancorando tuttavia tali chance non già al mero caso, quanto piuttosto al contenuto precettivo specifico delle norme violate: si fa l’esempio di un atto illegittimo per incompetenza, laddove mentre se si tratta di incompetenza per territorio appare più difficile assumere configurabili chance di diverso (e più favorevole) esito della vicenda amministrativa per il privato, se si tratta invece di incompetenza per materia, la discrezionalità affidata all’organo pubblico competente, in possesso di maggiore esperienza e di un più ampio e dettagliato novero di elementi conoscitivi rispetto a quello incompetente può far ragionevolmente ritenere possibile (o probabile) l’eventuale ipotetica adozione di un provvedimento diverso e più favorevole per il privato destinatario;
Quali questioni “di danno” pone la lesione dell’interesse legittimo pretensivo da parte di un atto amministrativo illegittimo?
Il giudice che risarcisce il danno lo fa a valle di uno scandaglio dell’azione amministrativa, col rischio di sostituirsi ad essa ed alle relative valutazioni, seppure nell’ottica della tutela “per equivalente” (risarcimento del danno), che tuttavia – proprio come tale – presuppone la mancata erogazione al privato (“in forma specifica”) – da parte della PA – del bene della vita anelato dal privato medesimo ed assunto “dovutogli” dall’Amministrazione; si tratta ancora una volta di una problematica divenuta vieppiù rilevante in specie da quando è possibile accedere alla tutela risarcitoria anche senza aver previamente attivato quella demolitoria, e dunque anche nel caso in cui l’atto lesivo e produttivo di danno sia rimasto legittimo ed efficace, non sia più aggredibile (per ottenere tutela in forma specifica) ma sia per l’appunto ancora possibile chiedere il risarcimento del danno (tutela per equivalente); il mentovato rischio di sostituzione del giudice alla PA:
- è elevatissimo allorché la PA disponga di consistenti margini di discrezionalità in ordine alla valutazione di compatibilità con l’interesse pubblico della concreta erogazione al privato di un bene della vita da questi “preteso”; in questo caso il giudizio prognostico è difficile, dacché in difetto di azione pubblica illegittima non è detto che il privato avrebbe ottenuto il bene della vita anelato, non potendo dunque essere risarcito per una mancata utilità l’interesse all’ottenimento della quale non si presentava tutelato in via incondizionata dall’ordinamento; in questa fattispecie, risarcire il danno potrebbe infatti voler dire “erogare” al privato “per equivalente” ciò che solo la PA (e non il giudice) potrebbe discrezionalmente valutare dovuto “in forma specifica” ovvero non dovuto, perché incompatibile con l’interesse pubblico anche solo per motivi di opportunità (merito amministrativo); in queste ipotesi, solo se la PA – annullato il relativo provvedimento discrezionale da parte del GA – riconosce al privato il bene della vita anelato, si fa luogo al risarcimento del danno al privato ricorrente medesimo, sub specie di danno da ritardo; si osserva tuttavia dalla dottrina più critica che proprio il fatto che scatta il risarcimento del danno (da ritardo) può sospingere la PA verso un nuovo provvedimento di diniego del bene anelato, diversamente motivato, non potendosi poi pretermettere la circostanza onde in ogni caso (e dunque anche allorché il secondo provvedimento sia positivo) la tutela risarcitoria si proietta più avanti nel tempo, e precisamente al momento in cui la PA – che in una prima fase lo ha negato – eroga al privato, su sollecitazione del GA, il bene da questi anelato; peraltro, ancorare il risarcimento del danno per il privato sempre e comunque ad un nuovo e positivo provvedimento tardivo significa imporre al privato di chiedere l’erogazione di tale provvedimento anche allorché esso non sia più utile, per esempio per essere intervenuto medio tempore uno ius superveniens sfavorevole, che lo rende non eseguibile; una soluzione proposta è quella di legittimare il privato – anche in presenza di discrezionalità pura della PA – all’azione risarcitoria dinanzi al GA, dovendo l’Amministrazione che ha già negato in sede sostanziale l’erogazione dell’anelato bene della vita giustificare, questa volta in sede processuale (risarcitoria) e giusta riedizione della propria attività discrezionale, tale mancata erogazione pur al cospetto della illegittimità della prima determinazione negativa, così negando il conforto al giudizio prognostico positivo operato prima facie dal GA medesimo in sede risarcitoria; si tratta di una riedizione virtuale del potere discrezionale amministrativo in sede processuale che andrebbe però poi bissata in sede reale e sostanziale dalla PA nel bacino di un apposito procedimento a valle del giudizio innanzi al GA; in questo ambito può allora essere rilevante l’eventuale tecnica risarcitoria avente ad oggetto la chance di provvedimento favorevole, proprio tutte le volte in cui, annullato dal GA (o non impugnato) un provvedimento espressione di un potere discrezionale puro dell’Amministrazione, residua ancora potere discrezionale da spendere in capo alla PA, che potrebbe (o avrebbe potuto, in caso di tempestiva impugnazione e conseguente annullamento dell’atto) nuovamente esitare in un diniego al privato dell’anelato bene della vita: questi può essere risarcito laddove dimostri che, pur non essendo certo che avrebbe ottenuto il bene della vita in parola, ha comunque perso – a causa dell’illegittimo contegno pubblico – una seria chance di raggiungerlo, compendiandosi la chance proprio nella concreta possibilità di conseguire un risultato utile che va a braccetto con l’indimostrato (e indimostrabile) futuro raggiungimento del ridetto bene; ci si trova nel contesto di una successione di eventi potenzialmente idonei a consentire il raggiungimento di un risultato vantaggioso ed interviene un fatto (nel caso si specie, l’atto illegittimo della PA) che interrompe questa successione talvolta con carattere di assoluta immodificabilità (l’atto non è stato impugnato nei termini) consolidando la situazione negativa con impossibilità di verificare compiutamente se la probabilità di realizzazione del risultato sperato (ottenimento del bene della vita) si sarebbe poi tradotta o meno nel relativo conseguimento effettivo.
- è pari a zero quando l’attività della PA è vincolata: in questo caso la PA, al cospetto di dati presupposti di fatto, deve erogare al privato il bene della vita “preteso”, essendo ciò previsto: 1) dalla legge (che disegna appunto una attività amministrativa vincolata); a.2) dal giudice (allorché l’attività nasca ex lege come discrezionale, ma avendo la PA denegato il bene della vita una prima volta con provvedimento illegittimo, e poi una seconda con un nuovo provvedimento illegittimo diversamente motivato a valle dell’annullamento da parte del GA del primo diniego, tale sentenza passi in giudicato, con trasformazione dell’attività discrezionale in attività vincolata); a.3) dalla stessa Amministrazione che si sia auto-vincolata in modo penetrante, riducendo in modo totalizzante la propria discrezionalità valutativa, come nella fattispecie della erogazione di sussidi, contributi e vantaggi finanziari, laddove la legge prevede appunto che la stessa PA detti criteri e modalità che specificamente ne definiscano i presupposti di erogazione (art.12 della legge 241.90); in questo caso il giudizio prognostico è semplice, dacché in difetto di azione pubblica illegittima il privato avrebbe ottenuto il bene della vita anelato, dovendo dunque essere risarcito per tale mancata utilità, l’interesse all’ottenimento della quale si presentava tutelato dall’ordinamento;
- è più o meno elevato quando l’erogazione al privato del bene della vita dipenda dalla d. “discrezionalità tecnica”: in questa ipotesi – la più rilevante delle quali si presenta in materia di gare e di concorsi, laddove il bene della vita anelato dal privato titolare dell’interesse legittimo pretensivo è appunto il contratto che la PA che bandisce intende affidare o comunque stipulare, dovendo all’uopo individuare l’interlocutore privato – risarcire il danno significa assumere “tecnicamente” dovuto dalla PA un bene della vita preteso dal privato e che tuttavia la PA, nell’interesse pubblico, ha assunto non dovuto proprio sulla base di un giudizio “tecnico”; in simili fattispecie: c.1) chi assume non sindacabile dal GA la discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, assimilando quest’ultima al merito amministrativo (e dunque alla discrezionalità pura), correlativamente esclude la possibilità per il GA medesimo di formulare un giudizio prognostico ex ante a soli fini risarcitori, non potendo il giudice medesimo, neppure al solo fine di condannare la PA a risarcire il danno, sostituirsi alla PA medesima in una valutazione tecnica che solo essa può operare (tesi più remota); c.2) chi assume sindacabile dal GA la discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, in modo più o meno profondo (sindacato forte in caso di attività tecnicamente del tutto vincolata, o sindacato debole in caso di attività tecnicamente in parte vincolata), ritiene al contrario che il GA possa – in modo del pari più o meno profondo – operare il giudizio prognostico finalizzato al risarcimento del danno (per equivalente) al privato che si sia visto illegittimamente denegare il bene della vita anelato (che avrebbe inteso ottenere in forma specifica) sulla base di un giudizio tecnico che è stato compiuto in modo valutato errato.
Cosa distingue il danno da ritardo dal danno c.d. “da disturbo”?
- entrambi hanno a presupposto una inerzia della PA fuori asse rispetto al quadro ordinamentale vigente;
- il danno da ritardo si risolve nella lesione di un interesse pretensivo del privato, che a causa dell’inerzia pubblica non si vede erogato il provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica nel termine divisato per la conclusione del procedimento; il privato non ottiene nei termini quello che dovrebbe (o vorrebbe) ottenere;
- il danno da disturbo si risolve nella lesione di un interesse oppositivo del privato, che a causa dell’inerzia pubblica vede procrastinarsi oltre il normale ed il tollerabile gli effetti di un provvedimento (o di un procedimento) che conculca le proprie facoltà di godimento in quanto proprietario di un determinato bene; il privato ha già, ma non può pienamente godere di quello che ha.