<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In forza della c.d. riserva di amministrazione, la PA – quale Stato-Apparato - è la sola a poter valutare quale sia, nel quadro della legittimità, lo strumento provvedimentale più opportuno al fine di perseguire l’interesse pubblico del quale è </em>ex lege<em> attributaria, così adempiendo (quale debitore) all’obbligo di rimuovere quegli ostacoli che - ex art.3, comma 2, Cost. - di fatto, si pongono sulla strada della libertà, dell’eguaglianza e della partecipazione effettive dei cittadini, questi ultimi da intendersi collettivamente quale Stato-Comunità titolare dell’interesse pubblico (creditorio); proprio tale riserva le consente di tenere conto di eventuali sopravvenienze capaci di impingere sull’effettivo perseguimento del ridetto interesse pubblico attraverso lo strumento della revoca di un atto precedentemente adottato: revoca che, nondimeno, massime se lontana nel tempo, deve tener conto di eventuali affidamenti ingenerati nel privato destinatario di un provvedimento favorevole, pena la sovrapposizione di una fattispecie complessa illecito-risarcitoria di tipo comportamentale su altra (quand’anche) legittima-indennitaria di tipo provvedimentale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1940</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, Corcione c. Ministero dell’educazione, onde la facoltà di revoca va assunta quale corollario del potere di autotutela spettante alla p.a., potere che - per costituire uno dei principi fondamentali dell’ordinamento vigente - non è neppure necessario che sia espressamente previsto dalle disposizioni che disciplinano l’atto da revocare, fondandosi sul potere dell’Amministrazione di revocare i propri atti e non sulla norma di legge attributiva del potere di adozione dell’atto revocato.</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia abbraccia dunque la tesi, successivamente condivisa da parte della giurisprudenza, alla cui stregua la revoca (come del resto l’annullamento) dell’atto amministrativo va intesa quale espressione di un potere “<em>rimediale</em>” o “<em>giustiziale</em>” di secondo grado, diverso dal potere di primo grado dal quale è scaturito l’atto dipoi rimosso, e che non necessita di esplicita previsione legale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio vede la luce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n. 188 che ribadisce autorevolmente la tesi “<em>rimediale</em>” o “<em>giustiziale</em>”, onde la facoltà di revoca vada assunta quale corollario del potere di autotutela spettante alla p.a., potere che - per costituire uno dei principi fondamentali dell’ordinamento vigente - non è neppure necessario che sia espressamente previsto dalle disposizioni che disciplinano l’atto da revocare, fondandosi sul potere dell’Amministrazione di revocare i propri atti e non sulla norma di legge attributiva del potere di adozione dell’atto revocato .</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, il cui art.800 prevede che la donazione può essere revocata dal donante per ingratitudine o per sopravvenienza di figli e, dunque, per motivi di sopravvenuta inopportunità della donazione stessa; fanno eccezione tuttavia la donazione remuneratoria e quella obnuziale che, ai sensi dell’art.805, non possono essere revocate neanche per i ridetti motivi.</p> <p style="text-align: justify;">Significativo anche, su altro versante, l’art.1223 onde il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3912.html">risarcimento del danno</a> per l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4835.html">inadempimento</a> o per il <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3515.html">ritardo</a> deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (c.d. principio di integralità del risarcimento del danno).</p> <p style="text-align: justify;">Su altro crinale, significative le norme sul c.d. atto lecito dannoso, quali l’art.924 in tema di sciami di api (alla cui stregua il pertinente proprietario ha diritto di inseguirli sul fondo altrui, ma deve <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1119.html">indennità</a> per il danno cagionato al fondo) o l’art.2045 (onde, quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1119.html">indennità</a>, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice).</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, in ambito contrattuale, di rilievo gli articoli 1337 e 1338 e le pertinenti specifiche ipotesi di responsabilità precontrattuale, legate rispettivamente la prima alla necessaria buona fede nelle trattative (con particolare riguardo alla pertinente, brusca interruzione), e la seconda alla conoscenza che una delle parti abbia di una causa di invalidità del contratto; significativi anche gli articoli 1372 e 1373 c.c., alla cui stregua il recesso dal contratto – stante la “<em>forza di legge</em>” ad esso riconosciuta - può attivarsi solo in ipotesi “<em>tipiche</em>” previste dalla legge o dal contratto medesimo, siccome intervenuto tra le parti in parola, e che facoltizza una di esse a farne unilateralmente cessare gli effetti.</p> <p style="text-align: justify;">In tema di contratto di appalto, rilevante l’art.1671 alla cui stregua il <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=committente">committente</a> può <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=recedere">recedere</a> dal contratto, anche se e' stata iniziata l'esecuzione dell'opera appaltata o la <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=prestazione">prestazione</a> del servizio appaltato, purché tenga <a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=indenne">indenne</a> l'<a href="https://www.ricercagiuridica.com/codici/indice.php?codice=codice%20civile&search=appaltatore">appaltatore</a> delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.97, comma 1, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il fine dell’organizzazione amministrativa è dunque quello di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, scongiurando ad un tempo sviamenti rispetto al perseguimento dell’interesse pubblico e disparità di trattamento nei rapporti con i privati cittadini: all’uopo, viene conferito alla PA il potere che le consenta (in veste di “<em>debitore</em>”), nell’interesse (“<em>pubblico</em>”) della Repubblica (e, dunque, dello Stato Comunità, in veste di “<em>creditore</em>”) di rimuovere tutti quegli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio tale impegno dell’Amministrazione impone ad essa di esercitare il potere nell’interesse pubblico e, se del caso, di agire in “<em>autotutela</em>” decisoria nei confronti di provvedimenti già adottati che siano da annullare perché illegittimi o da revocare perché inopportuni.</p> <p style="text-align: justify;">Di rilievo anche l’art.42, comma 3, onde la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo “<em>indennizzo</em>”, espropriata per motivi d'interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.334, alla cui stregua la facoltà di revoca va assunta quale corollario del potere di autotutela spettante alla p.a., potere che - per costituire uno dei principi fondamentali dell’ordinamento vigente - non è neppure necessario che sia espressamente previsto dalle disposizioni che disciplinano l’atto da revocare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varata la legge n.1034, recante istituzione dei tribunali amministrativi regionali, secondo il cui art.5 sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici (comma 1), restando tuttavia salva (comma 2) la tradizionale giurisdizione del GO per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (oltre a quella, del pari tradizionale, dei tribunali delle acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate negli articoli 140-144 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1976</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.209 che si inserisce nel filone pretorio onde tanto l’annullamento d’ufficio quanto la revoca vanno ricondotti ad una funzione di amministrazione attiva, e non già rimediale o giustiziale, spendendo la PA il medesimo potere che essa dispiega quando adotta il provvedimento oggetto di autotutela; tale funzione si palesa espressione degli stessi interessi perseguiti dal provvedimento di primo grado, fondandosi sulla medesima norma attributiva del potere di adozione dell’atto dipoi rimosso.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di un orientamento della giurisprudenza che, giustapponendosi alla tesi c.d. “<em>rimediale</em>” o “<em>giustiziale</em>”, assume trovarsi al cospetto di un medesimo potere tanto in sede di adozione di un atto amministrativo quanto, eventualmente, in sede di adozione della pertinente revoca (da intendersi quale “<em>contrarius actus</em>”).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.72 che si inserisce autorevolmente nel filone pretorio onde tanto l’annullamento d’ufficio quanto la revoca vanno ricondotti ad una funzione di amministrazione attiva, e non già rimediale o giustiziale, spendendo la PA il medesimo potere che essa spende quando adotta il provvedimento oggetto di autotutela.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di un orientamento della giurisprudenza che, giustapponendosi alla tesi c.d. “<em>rimediale</em>” o “<em>giustiziale</em>”, assume trovarsi al cospetto di un medesimo potere tanto in sede di adozione di un atto amministrativo quanto, eventualmente, in sede di adozione della pertinente revoca (da intendersi quale “<em>contrarius actus</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.375 che si inserisce nel filone pretorio onde tanto l’annullamento d’ufficio quanto la revoca vanno ricondotti ad una funzione di amministrazione attiva e non rimediale o giustiziale, espressione come tale dello stesso potere esercitato in primo grado per la realizzazione dei medesimi interessi (pubblici) già perseguiti dal provvedimento di primo grado (oggetto di ritiro); un potere fondato dunque sulla stessa norma che ha legittimato adozione dell’atto dipoi annullato, e che “<em>non si consuma con il primo illegittimo esercizio</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.547 che si inserisce nel filone pretorio onde tanto l’annullamento d’ufficio quanto la revoca vanno ricondotti ad una funzione di amministrazione “<em>attiva</em>” e non “<em>rimediale o giustiziale</em>”, espressione come tale dello stesso potere già esercitato in primo grado, nell’ottica del soddisfacimento dei medesimi interessi già perseguiti dal provvedimento di primo grado (che è oggetto di ritiro).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Si tratta della legge generale sul procedimento amministrativo, da lustri attesa, che tuttavia non disciplina esplicitamente il fenomeno dell’autotutela decisoria, e dunque neanche la revoca, che viene lasciata all’operatività della sola giurisprudenza, la quale pure ha contribuito a forgiarne i contorni.</p> <p style="text-align: justify;">Col silenzio <em>in parte qua</em>, il Legislatore della legge generale sul procedimento sembra aderire alla tesi, maggioritaria in giurisprudenza, che vede nella revoca (come nell’annullamento) dell’atto amministrativo una epifania del medesimo potere esercitato dalla PA in sede di adozione dell’atto ritirato, e non già come manifestazione di un potere rimediale di secondo grado.</p> <p style="text-align: justify;">Interessante l’art.11 che, in tema di accordi “<em>pubblicistici</em>” tra privato e PA, prevede come - per sopravvenuti motivi di pubblico interesse - l'Amministrazione possa recedere unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato (comma 4); e che le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi in parola – ivi compresa dunque la determinazione dell’eventuale indennizzo dovuto al privato in caso di recesso - sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (comma 5).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo viene varato il decreto legislativo n.80, recante nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59.</p> <p style="text-align: justify;">Stando al relativo art.34, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia (comma 1), agli effetti del decreto, la materia urbanistica concernendo tutti gli aspetti dell'uso del territorio (comma 2); nondimeno, nulla e' innovato in ordine: a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque; b) alla tradizionale giurisdizione del GO per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 giugno viene varato il D.p.R. n.252, regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, secondo il cui art.11, onde quando le verifiche antimafia siano di particolare complessità, il Prefetto ne da' comunicazione senza ritardo all'Amministrazione interessata e fornisce le informazioni acquisite entro i successivi 30 giorni (comma 1); decorso il termine di 45 giorni dalla ricezione della richiesta, ovvero, nei casi d'urgenza, anche immediatamente dopo la richiesta (al Prefetto), le Amministrazioni procedono peraltro anche in assenza delle informazioni richieste: in tale caso, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti ai beneficiari sotto condizione risolutiva e l'Amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Le facoltà di revoca e di recesso testé descritte si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 luglio viene varata la legge n.205, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, secondo il cui art.6 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (comma 1); le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono poi essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.10160 alla cui stregua tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto tra PA e privato – a valle della aggiudicazione del contratto stesso - danno luogo a questioni relative alla pertinente validità ed efficacia anche se dovute (o comunque correlate) all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela.</p> <p style="text-align: justify;">Con la stipula del contratto si costituisce infatti per la Corte, tra le parti pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici; il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione dell’opera (nell’appalto di opere pubbliche) si riconduce perciò all’esercizio del potere contrattuale di recesso, previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, con scelta che si riverbera sul contratto in quanto potere contrattuale del committente di recedere da esso, cosicché l’atto di revoca dell’aggiudicazione, ciò nonostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in quanto incidente sul pertinente sinallagma funzionale, con conseguente giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1613 onde il potere di autotutela della PA, finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varata la legge n.311, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), secondo il cui noto art.1, comma 136, al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso; tale annullamento, laddove abbia ad oggetto provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre 3 anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una disposizione che, laddove abbia ad oggetto provvedimenti incidenti (a valle) su rapporti contrattuali o convenzionali tra PA e privati, sembra configurare – assai più che un annullamento – una vera e propria revoca, se riguardata sul crinale pubblicistico, o un recesso in ottica più privatistica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio viene varata la legge n.15, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa, il cui art.14, comma 1, introduce nel corpo della legge n.241.90 l’art.21 <em>quinquies</em>, onde (mono-comma) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha “<em>emanato</em>” ovvero da altro organo previsto dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti: se la revoca medesima comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'Amministrazione ha tuttavia l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.</p> <p style="text-align: justify;">Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sulla scia di quanto previsto già – in tema di accordi tra privato e PA – dall’art.11 della legge 241.90, ed al contrario di quanto normalmente accade in tema di concessioni di beni pubblici e di espropri, laddove le controversie meramente patrimoniali (come quella afferente a “<em>indennità, canoni ed altri corrispettivi</em>” nelle concessioni di beni pubblici, ovvero all’indennità di espropriazione) vengono normalmente affidate alla <em>potestas iudicandi</em> del GO.</p> <p style="text-align: justify;">La esplicita disciplina della revoca (oltre che dell’annullamento) dell’atto amministrativo sembra palesarne una nuova concezione da parte del Legislatore, atteggiandosi essa ora maggiormente a “<em>rimedio</em>” quale esercizio di un potere “<em>di secondo grado</em>” rispetto a quello (di “<em>primo grado</em>”) speso in sede di adozione dell’atto dipoi revocato.</p> <p style="text-align: justify;">Viene introdotto anche un successivo art.21 <em>sexies</em>, rubricato “<em>recesso dai contratti</em>”, alla cui stregua il recesso unilaterale dai contratti della PA è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Sistematicamente rilevante anche il nuovo ’art. 1, comma 1-bis, onde la PA, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.6 che si occupa – anche sul crinale processuale della giurisdizione - dei rapporti tra revoca dell’aggiudicazione e risarcimento del danno invocato dal privato a titolo di responsabilità c.d. precontrattuale: per il Collegio infatti - definiti i due punti, rispettivamente, della operatività della revoca dell'aggiudicazione e dell'impossibilità di fare spazio nel pertinente giudizio a pretese a titolo di responsabilità contrattuale fondate su un contratto che non risulta concluso - rimane da esaminare la domanda dell'impresa con la quale si chiede nel caso di specie la condanna, a titolo di responsabilità precontrattuale, dell'amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Si deduce in sostanza dalla impresa – chiosa il Collegio - che la condotta tenuta dall'Amministrazione - dando vita alla procedura pubblicistica di cui si è resa, poi, inevitabile la revoca – avrebbe compendiato un comportamento divergente da quelle regole di buona fede e correttezza (art. 1337 cod. civ.) che vanno osservate anche dall'Amministrazione medesima nella fase precontrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">Ed invero l'Amministrazione avrebbe avviato e condotto a termine la procedura di evidenza pubblica trascurando di vigilare perché restassero ferme le risorse finanziarie necessarie per la stipula del contratto e la relativa esecuzione (rendendo così inevitabile la rimozione degli atti della fase pubblicistica).</p> <p style="text-align: justify;">Prima di passare all'esame nel merito della pretesa patrimoniale ora riferita, la Adunanza plenaria si afferma chiamata a proporsi d'ufficio - su sollecitazione dell'ordinanza di rimessione - una questione di giurisdizione: se i danni lamentati in questa sede dall'impresa a titolo di responsabilità precontrattuale, provocati dalla revoca dell'aggiudicazione e degli atti della procedura (aggravati dal ritardo con il quale la detta revoca è stata comunicata, nel caso di specie, all'impresa) debbano essere conosciuti dal GA (in sede di giurisdizione esclusiva) o - come pure si adombra nell'ordinanza con richiamo a taluni orientamenti giurisprudenziali - dal GO.</p> <p style="text-align: justify;">Non è di ostacolo ad una tale indagine per il Collegio la circostanza onde, in primo grado, è stata adottata, pur se in forma implicita, una statuizione sulla giurisdizione procedendosi alla definizione nel merito della pretesa. Ed invero (come è riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza), per il Collegio quando il giudice amministrativo di primo grado non abbia (come nella specie) espressamente statuito sulla giurisdizione, è da assumersi consentito all'organo giurisdizionale di appello - anche in assenza di gravame - ritornare <em>ex officio</em> sul punto della giurisdizione valutando se debba, o meno, ritenersi sussistente la <em>potestas iudicandi</em> del giudice amministrativo riconosciuta (seppure implicitamente) in prime cure.</p> <p style="text-align: justify;">Passando alla risoluzione della questione di giurisdizione di cui si è avanti fatto cenno, l'Adunanza plenaria assume spettare al GA il potere di conoscere della presente controversia. L'art. 6 della legge 21 luglio 2000 n. 205 ha dato vita ad una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo attribuendo a quest'ultima "<em>tutte</em>" le controversie tra privato e pubblica amministrazione riguardanti la fase anteriore alla stipula dei contratti di lavori, forniture e servizi (la fase di evidenza pubblica rivolta alla scelta del contraente privato): e ciò sia che tali controversie concernano interessi che diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Si è ampliato così, chiosa ancora l’Adunanza, il campo di azione del GA concernente, prima della nuova giurisdizione esclusiva di cui all'art. 6 della legge n. 205 del 2000 cit., solo le questioni concernenti interessi legittimi in sede di giurisdizione generale di legittimità. Il giudice amministrativo non è oggi più chiamato a conoscere delle sole controversie rivolte a garantire la tutela degli interessi legittimi (di regola pretensivi) del privato attraverso l'annullamento di atti (o di silenzi rifiuti) e la successiva attività di conformazione dell'Amministrazione (e se quest'ultima attività non risulti possibile, il ristoro per equivalente degli interessi pretensivi).</p> <p style="text-align: justify;">Al giudice amministrativo viene, infatti, dalla nuova normativa conferita - dopo la caducazione degli atti della fase pubblicistica che hanno costituito in capo all'interessato effetti vantaggiosi (dall'ammissione alla procedura all'aggiudicazione del contratto) - la cognizione, secondo il diritto comune, degli affidamenti suscitati nel privato da tali effetti vantaggiosi ormai venuti meno. Ed invero nello svolgimento della propria attività di ricerca del contraente, l'Amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell'interesse pubblico (la cui violazione implica l'annullamento o la revoca dell'attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all'art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune (regole la cui violazione assume significato e rilevanza, ovviamente, solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi siano venuti meno e questi ultimi effetti si siano trasformati in affidamenti restati senza seguito).</p> <p style="text-align: justify;">E' del tutto evidente poi, prosegue il Collegio, che nessuna influenza esercita in relazione alla giurisdizione esclusiva in tema di scelta del contraente di cui all'art. 6 della legge n. 205 del 2000 citata la decisione n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale. Va rilevato anzitutto che la detta pronuncia investe tutt'altra normativa: non l'art. 6 della legge n. 205 del 2000 ma l'art. 7 della stessa legge che ha modificato l'originaria versione negli artt. 33 e 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 relativi alla giurisdizione esclusiva in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">Né i principi, di rango costituzionale in tema di giurisdizione esclusiva enunciati dalla citata decisione della Corte – prosegue il Collegio - possono indurre a sospettare di illegittimità costituzionale il cit. art. 6 della legge n. 205 del 2000. La giurisdizione esclusiva, configurata da quest'ultima disposizione (le procedure di evidenza pubblica tese alla ricerca dell'aggiudicatario negli appalti di lavori, servizi e forniture) conduce alla identificazione di un'area nella quale sono in campo interessi legittimi e diritti soggettivi in correlazione tra di loro.</p> <p style="text-align: justify;">Ed invero il legislatore del 2000, dando vita, con l'art. 6, ad una disciplina non dissimile da quella prevista per gli atti degradatori in area di urbanistica e di edilizia (l'art. 34 del D.L.vo n. 80 del 1998 nella versione di cui all'art. 7 della legge n. 205 del 2000), prevede la cognizione, da parte del GA, sia delle controversie relative a interessi legittimi della fase pubblicistica sia delle controversie di carattere risarcitorio relative a diritti soggettivi traenti origine dalla caducazione di provvedimenti della fase pubblicistica (le pretese per responsabilità precontrattuale).</p> <p style="text-align: justify;">Sussiste quindi – conclude l’Adunanza Plenaria - con riferimento alla giurisdizione ora in esame, quella situazione di interferenza tra diritti soggettivi e interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere, che si pongono come <em>conditio sine qua non</em> - secondo la Corte costituzionale - per la legittimità costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Nel merito, va poi confermata per il Collegio la condanna dell'Amministrazione a titolo di responsabilità precontrattuale (nei limiti che saranno precisati <em>ultra</em>).</p> <p style="text-align: justify;">La revoca dell'aggiudicazione e degli atti della relativa procedura è valsa a porre al riparo l'interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l'Amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti.</p> <p style="text-align: justify;">E' restato però - dopo tale revoca (caducatoria dell'aggiudicazione e degli altri atti del procedimento) - il fatto incancellabile degli "<em>affidamenti</em>" suscitati nell'impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi (affidamenti che sono perdurati fino a quando non è stata comunicata alla parte privata la revoca degli atti avanti ricordati). Ed invero l'impresa non poteva non confidare, durante il procedimento di evidenza pubblica, dapprima sulla "<em>possibilità</em>" di diventare affidataria del contratto e più tardi - ad aggiudicazione intervenuta - sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre, naturalmente che i comportamenti predetti - per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale - risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del c.c.. Sembrano, peraltro, essersi verificate, nel caso in esame, le condizioni volute dalla legge. La mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che l'Amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all'aggiudicazione ha fatto si che, con grave delusione delle aspettative della parte privata, si rendesse inevitabile la rimozione di tutti gli atti della fase pubblicistica, compresa l'aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Un comportamento - quello dell'Amministrazione - tanto più disattento ove si consideri che gli affidamenti radicatisi nell'impresa si sono lasciati perdurare al di là del tempo strettamente indispensabile, non offrendosi <em>ad horas</em> (come la situazione avrebbe imposto) notizie sulla revoca dell'aggiudicazione (la revoca disposta il 14 settembre 2002 è stata comunicata all'impresa solo il 5 novembre).</p> <p style="text-align: justify;">Quanto, infine, alla pretesa risarcitoria dell'impresa va anzitutto disposta per il Collegio una rettifica in riduzione condividendosi quanto rilevato dal Ministero. Ed invero, effettivamente, dalla somma di euro 46.984,79, liquidata dai giudici di primo grado per le spese sostenute dalla soc. X per partecipare alla gara in esame, va detratta quella di euro 2.118,38 e di euro 2.118,41 per la costituzione della cauzione provvisoria e definitiva per le quali, stante la mancata stipulazione del contratto, deve presumersi l'intervenuta restituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell'impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo suggerito dall'Amministrazione appellante (e già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa): riconoscimento al concorrente dell'utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell'ammontare dell'offerta.</p> <p style="text-align: justify;">Sicché, nel caso in esame, tenuto anche conto della facoltà per l'Amministrazione di ridurre di un quinto l'importo del contratto, per determinare l'entità del risarcimento, va calcolato il 10% dei 4/5 dell'importo della gara. E poiché il servizio di conduzione di autoveicoli, cui si riferiva la gara in esame, è stato aggiudicato per l'importo di euro 2.118.404,30, i quattro quinti dello stesso ammontano ad euro 1.694.723,44, il cui 10% è pari ad euro 169.472,34. Con la conseguenza che, complessivamente, alla X s.p.a. deve essere risarcito dal Ministero il danno di euro 212.220,34 (42.748,00 + 169.472,34), oltre agli interessi nella misura legale dalla data della sentenza al definitivo saldo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile viene varato il decreto legislativo n.163, recante codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.</p> <p style="text-align: justify;">Significativo in particolare il comma 9 dell’art. 11 del codice, laddove consente l’intervento in autotutela della PA sugli atti di gara pur quando sia divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva (e non sia ancora stato stipulato il “<em>contratto a valle</em>”); più precisamente, premesso che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta (art. 11, comma 7, primo periodo), il codice precisa che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione del pertinente contratto resta comunque salvo “<em>L’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti</em>” (art. 11, comma 9).</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 134 del codice - per gli appalti di lavori pubblici - attribuisce poi all’Amministrazione “<em>il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto</em>”, con effetto economico più oneroso, però, di quanto previsto dal comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, poiché non limitato alla dimensione indennitaria ma comprendente il ristoro dei lavori eseguiti e dei materiali utili in cantiere, oltre al decimo delle opere non eseguite; effetto quest’ultimo non dissimile da quello, previsto dall’art. 158 del medesimo codice, in caso di risoluzione per inadempimento o di revoca delle concessioni di lavori pubblici.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio, n.26, che scandaglia la fattispecie in cui la PA revochi una gara o un’aggiudicazione per mancanza di fondi utili a finanziare l’opera da appaltarsi, allorché tale circostanza (scarsezza di fondi) abbia acclarato durante la gara senza informarne i concorrenti privati.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di fattispecie in cui si profila per il Tar (sulla scia della Plenaria del 2006), al cospetto di una revoca pienamente legittima (per difetto di copertura finanziaria dell’opera appaltata), ad un tempo un contegno scorretto dal punto di vista “<em>precontrattuale</em>” da parte della PA, che la obbliga a risarcire il danno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 gennaio viene varato il decreto legge n.7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita' economiche.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, Lecce, n.830 alla cui stregua l’art.21 <em>quinquies</em> della legge 241.90 è da assumersi coerente con i principi di riparto della giurisdizione, quali si sono venuti delineando a seguito dell'attribuzione al plesso giurisdizionale amministrativo del potere di condannare la PA. al risarcimento del danno ingiusto che sia conseguenza dell'illegittimo esercizio delle funzioni amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">Come è noto, precisa il Collegio, nella sentenza n. 204 del 2004 la Consulta ha ritenuto compatibile con l'attuale assetto costituzionale tale scelta del Legislatore ordinario, in quanto il risarcimento del danno costituisce misura (necessaria) di completamento della tutela di tipo impugnatorio, tradizionabmente l'unica che il GA. poteva assicurare alle controversie attribuite alla giurisdizione generale di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Tale principio appare <em>a fortiori</em> applicabile per le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo che, di sensi dell'art. 21 <em>quinquies</em>, è dovuto al privato nel caso in cui l'Amministrazione decida legittimamente di revocare un propria precedente atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile viene varata la legge n.40 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.7 e che introduce nell’art.21 quinquies della legge 241.90 un nuovo comma 1 bis, onde - ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali - l'indennizzo liquidato dall'Amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente (e non anche, dunque, al lucro cessante) e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Sicilia, n.1775, che prende posizione sul nuovo comma 1 bis dell’art.21 quinquies della legge 241.90 in termini di quantificazione dell’indennizzo dovuto al privato in caso di revoca di atti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di norma ambigua, che va interpretata come norma speciale destinata ad operare, proprio perché tale, solo allorché la revoca incida su rapporti negoziali; laddove all’opposto essa incida su rapporti “<em>amministrativi</em>”; torna ad essere operativa la previsione generale di cui al comma 1 che, col prevedere un indennizzo senza ulteriori specificazioni, deve assumersi garantire al privato il ristoro tanto del danno emergente quanto, ed anche, del lucro cessante.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, per il Collegio la circostanza onde il comma 1 bis dell’art. 21 <em>quinquies</em> sia stato espressamente dettato solo in materia di attività “<em>negoziale</em>” della P.A. parrebbe implicare che in ipotesi di attività c.d. “<em>funzionale</em>”, vale a dire in caso di revoca di provvedimenti non incidenti su rapporti negoziali, spetti al privato (eventualmente) leso, a titolo d’indennizzo, anche il c.d. lucro cessante, e dunque il mancato guadagno connesso alla cessazione dell’efficacia — naturalmente durevole — del provvedimento revocato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varato il decreto legge n.112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata la legge n.133 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.112 ed introduce nell’art.21 quinquies della legge 241.90 un ulteriore comma 21 ter – di tenore analogo al precedente comma 1 bis - onde, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'Amministrazione agli interessati e' parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.29425 che ribadisce autorevolmente come nelle procedure aventi ad oggetto l'affidamento di lavori, servizi e forniture, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, ivi compresa la revoca dell'aggiudicazione, spetta alla giurisdizione esclusiva del GA, mentre la successiva fase contrattuale, afferente all'esecuzione del rapporto, spetta alla giurisdizione del GO (con la sola eccezione del recesso dell'appaltante ai sensi dell'art. 11, commi 2 e 3 del d.P.R. n. 252 del 1998, fondato sull'acquisizione dell'informativa prefettizia per infiltrazioni mafiose nell'impresa appaltatrice, quand'anche già stipulante).</p> <p style="text-align: justify;">Conseguentemente, per la Corte una volta stipulato il contratto, la revoca dell'aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, fondati sulla diversa destinazione dei fondi assegnati, rientra nell'ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche, dall'art. 345 all. F della legge n. 2248 del 1865), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui art.14, comma 1, n.14 dell’allegato 4 modifica il testo dell’art.21 quinquies della legge 241.90, eliminandone il periodo che riguarda la giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Tale giurisdizione – analogamente a quanto accade all’art.11, comma 5, della legge 241.90 in tema di accordi tra privato e PA - resta tuttavia appannaggio del GA in sede esclusiva, essendo la disposizione abrogata “<em>assorbita</em>” dal codice del processo amministrativo medesimo (art.133, lettera a, n.4); la giurisdizione in tema di “<em>determinazione e corresponsione dell’indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo</em>” spetta dunque alla giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Significativi anche gli articoli 121 e 122 c.p.a., che disciplinano i poteri del giudice amministrativo – adito in sede caducatoria della pertinente procedura - di incidere sul contratto “<em>a valle</em>” nel prisma della eventuale declaratoria di inefficacia del medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Su un piano più generale, rilevano anche gli articoli 7, comma 1 - là dove devolve "<em>alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni</em>"; e 30, comma 2, là dove stabilisce che al GA, nei casi di giurisdizione esclusiva, "<em>può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi</em>".</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 marzo escono le ordinanze delle SSUU della Cassazione n.6594, 6595 e 6596 che affermano rientrare nella giurisdizione del GO</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela;</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento riposto nell'attendibilità della attestazione rilasciata dalla PA (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un'area (chiesta da un privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della conseguente concessione edilizia, successivamente annullata;</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo ottenuto l'aggiudicazione in una gara per l'appalto di un pubblico servizio successivamente annullata dal GA, deduca la lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta in tutti e 3 i casi di fattispecie – che potenzialmente coinvolgono anche la revoca di un provvedimento amministrativo e la connessa responsabilità “<em>precontrattuale a valle</em>” della PA, siccome via via affermata dalla giurisprudenza - in cui il fondamento della giurisdizione viene ravvisato nella circostanza onde i privati non contestano la legittimità degli atti amministrativi ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o <em>ope judicis</em>, ma lamentano piuttosto un <em>vulnus</em> al loro affidamento siccome da essi riposto sulla legittimità degli atti caducati, invocando il risarcimento dei danni subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino alla rimozione di tali atti, nella relativa legittimità (o, nel caso della revoca, opportunità dal punto di vista dell’interesse pubblico).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 settembre viene varato il decreto legislativo n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art.88 disciplina i termini per il rilascio da parte del Prefetto delle comunicazioni antimafia, mentre il successivo art.92 i termini per il rilascio delle informazioni antimafia.</p> <p style="text-align: justify;">Con riguardo a queste ultime, decorso il termine di cui al comma 2 dell’art.92 (45 giorni), ovvero, nei casi di urgenza, decorso il termine di 15 giorni dalla ricezione della richiesta, i soggetti pubblici di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell'informazione antimafia; in tale caso, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma 1 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti pubblici di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite (comma 3); la revoca e il recesso di cui al comma 3 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto (comma 4).</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore configura dunque, per i privati “<em>in odore di mafia</em>”, fattispecie di revoca e recesso obbligatorie <em>ex lege</em> a carico delle Pubbliche Amministrazioni, sulla scorta di quanto già aveva fatto il D.p.R. 252.98, sul quale pure il nuovo codice incide in ottica di coordinamento generale della pertinente disciplina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio viene varato il decreto legge n.5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, che dispone l’abrogazione del comma 1 ter dell’art.21 quinquies della legge 241.90, un “<em>doppione</em>” sostanzialmente “<em>sovrapponibile</em>” al precedente comma 1 bis e, come tale, eliminabile dal sistema.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile viene varata la legge n.35 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.5.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.4116 alla cui stregua, nel giudizio volto ad ottenere l'indennizzo conseguente ad una revoca, la <em>causa petendi</em> deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto amministrativo di revoca adottato dalla P.A. che ha causato il pregiudizio, mentre nel giudizio risarcitorio tale (diversa) <em>causa petendi</em> si compendia nel fatto o nell’atto produttivo del danno; il <em>petitum</em> per il Collegio è limitato al danno emergente con riferimento all’indennizzo, laddove invece si estende al ristoro integrale nella diversa ipotesi di risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Soggiunge la Sezione che il giudice - pena la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. - non può trasformare la domanda di indennizzo in quella distinta di risarcimento, mutando quindi d’ufficio il <em>petitum</em> o la <em>causa petendi</em>, con conseguente introduzione in giudizio di un titolo diverso da quello posto dal ricorrente a fondamento della propria domanda, in quanto al più gli è consentito di interpretare e qualificare le domande avanzate dalle parti, ma non già anche di trasformarle.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.2432 onde mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all'annullamento in autotutela, di sensi dell'art. 21 nonies, legge n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell'atto – in tal modo incidendo, per la relativa efficacia “<em>ex tunc</em>”, sul momento genetico del rapporto e quindi sui rapporti negoziali che a quell'atto siano legati da un nesso di presupposizione - lo stesso non può dirsi per l'esercizio del potere di revoca di cui all'art.21 quinquies, legge n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò in quanto – precisa il Collegio - la revoca, avendo efficacia “<em>ex nunc</em>”, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul relativo momento genetico e, come tale, presuppone che l'efficacia dell'atto oggetto di revoca (nel caso di specie, l’aggiudicazione definitiva) continui a sussistere al momento della pertinente adozione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n.4998 che, con riguardo alla questione della sussistenza del potere di revoca in capo alla PA dopo la conclusione del c.d. contratto a valle, nel caso di specie a seguito di trattativa informale (senza, dunque, evidenza pubblica), si chiede se, una volta concluso il ridetto contratto a valle, sia ancora possibile procedere alla revoca della determina con la quale la PA si è risolta nel senso di stipulare il ridetto contratto, rimettendo la pertinente questione all’Adunanza Plenaria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.9992 alla cui stregua l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, nel sancire l'obbligo dell’amministrazione di provvedere all’indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, ha riguardo ai provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole.</p> <p style="text-align: justify;">Tra questi, per il Collegio pacificamente non può assumersi rientrare il bando di concorso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Quello stesso giorno esce la sentenza della Sezione I del Tar Molise n.669, alla cui stregua il diritto all’indennizzo previsto dalla legge può essere legittimamente escluso <em>ex ante</em> dall’Amministrazione in seno ad un proprio atto, come il bando di gara, in tutti casi in cui la pretesa patrimoniale del privato non si ricolleghi a un fatto illecito dell’Amministrazione, come accade nelle ipotesi di revoca e di annullamento di ufficio.</p> <p style="text-align: justify;">Quando tale diritto si avvinca invece ad un fatto illecito, come accade nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale ex att. 1337 c.c., l'Amministrazione non può legittimamente imporre ai privati di formalizzare una preventiva rinuncia al pertinente diritto patrimoniale, ed è del pari illegittima la clausola del bando con la quale la stazione appaltante introduce, in via preventiva, una modalità limitativa della responsabilità per fatti illeciti dalla stessa eventualmente posti in essere nello svolgimento del procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 dicembre esce l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n.5876 che, con riguardo alla questione della sussistenza del potere di revoca in capo alla PA dopo la conclusione del c.d. contratto a valle, si chiede – registrato un contrasto di giurisprudenza sul punto - se, una volta concluso il ridetto contratto a valle, sia ancora possibile procedere alla revoca dell’aggiudicazione definitiva, rimettendo la pertinente questione all’Adunanza Plenaria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza della II sezione del Tar Campania, Salerno, n.946 alla cui stregua la revoca del provvedimento amministrativo senza previsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies, L. 7 agosto 1990, n. 241 non può assumersi illegittima, poiché tale omissione non ha efficacia viziante o invalidante dell'atto di ritiro, ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pertinente pretesa patrimoniale innanzi al G.A., che può scrutinarne i presupposti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.14 in tema di revoca dell’aggiudicazione, che premette come la pertinente questione - portata allo scandaglio del Collegio dalla sezione V - sia dalla medesima esposta nei termini dappresso sintetizzati, riportando il quadro della normativa rilevante e delle posizioni della giurisprudenza al riguardo, con l’indicazione, su questa base, dell’ipotesi interpretativa ritenuta preferibile.</p> <p style="text-align: justify;">Nella normativa si riscontra anzitutto, afferma la Sezione, un elemento di contraddittorietà tra i comma 1 e 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché per il primo la revoca può incidere soltanto su atti “<em>ad efficacia durevole</em>”, mentre per il secondo l’atto revocato può anche essere “<em>ad efficacia istantanea</em>” se incidente su “<em>rapporti negoziali</em>”, con un possibile effetto retroattivo che avvicina l’istituto a quello dell’annullamento d’ufficio per illegittimità, convergendo, in questo senso, anche l’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per il quale l’annullamento volto a “<em>conseguire risparmi o minori oneri finanziari</em>” regola il caso in cui incida “<em>su rapporti contrattuali o convenzionali con privati</em>”; potere quest’ultimo che, al di là del <em>nomen</em> dell’atto, appare peraltro per il Collegio vicino allo schema della revoca, sul presupposto della rivalutazione della convenienza di contratti già stipulati.</p> <p style="text-align: justify;">La normativa richiamata – precisa ancora il Collegio - deve essere a propria volta esaminata insieme con quella dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, per cui è possibile “<em>il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal contratto</em>”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Emerge da ciò la questione se con il potere attribuito dall’art. 21-quinquies e dalla legge n. 311 del 2004 si possa incidere sul contratto stipulato (a valle) e come ciò si concilii con il carattere paritetico delle posizioni fondate su di esso, di cui è espressione la generalizzazione dell’istituto del recesso ex art. 21-sexies, cui si correla la previsione specifica dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici che, per gli appalti di lavori pubblici, attribuisce all’amministrazione “<em>il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto</em>”, con effetto economico più oneroso, però, di quanto previsto dal comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, poiché non limitato alla dimensione indennitaria ma comprendente il ristoro dei lavori eseguiti e dei materiali utili in cantiere oltre al decimo delle opere non eseguite (effetto non dissimile da quello, previsto dall’art. 158 del medesimo codice dei contratti pubblici, in caso di risoluzione per inadempimento o di revoca delle concessioni di lavori pubblici).</p> <p style="text-align: justify;">Il quadro normativo deve essere completato infine, chiosa ancora il Collegio, con il richiamo dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, che fa salvo il potere di recesso dell’amministrazione “<em>per sopravvenuti motivi di pubblico interesse</em>” in caso di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, e degli articoli 121 e 122 c.p.a. quanto ai poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto.</p> <p style="text-align: justify;">La Sezione rimettente – chiosa a questo punto il Collegio - riferisce:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) che il Consiglio di Stato ha da un lato affermato la legittimità del potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato stipulato il contratto, con il conseguente diritto del privato all’indennizzo; ciò emerge in particolare dalle sentenze della Sezione VI n. 1554 del 2010 e n. 5993 del 2012 e della Sez. IV, n. 156 del 2013 (nella quale si richiama anche, con il comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, il comma 9 dell’art. 11 del codice dei contratti pubblici che consente l’intervento in autotutela sugli atti di gara pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva), apparendo parzialmente difforme la sola sentenza della Sez. III n. 2291 del 2011, poiché la legittimità della revoca degli atti di una gara vi è affermata anche perché intervenuta prima della stipulazione del contratto;</li> <li>b) che la Corte di Cassazione ha affermato dall’altro, al contrario, che tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto danno luogo a questioni relative alla pertinente validità ed efficacia anche se dovute all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela. Con la stipula del contratto si costituisce infatti tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici; il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione dell’opera si riconduce perciò all’esercizio del potere contrattuale di recesso, previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, con scelta che si riverbera sul contratto in quanto potere contrattuale del committente di recedere da esso, cosicché l’atto di revoca dell’aggiudicazione, ciò nonostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in quanto incidente sul sinallagma funzionale (Sez. unite, n. 10160 del 2003 e n. 29425 del 2008).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">La Sezione rimettente – prosegue il Collegio - prospetta l’esigenza di riconsiderare l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa ritenendo che, intervenuta la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica, l’Amministrazione non possa esercitare il potere di revoca ma debba agire attraverso il recesso.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, prosegue ancora l’Adunanza, la Sezione osserva che:</p> <p style="text-align: justify;">- nonostante la sussistenza della norma generale dell’art. 21-quinquies, sono state previste norme specifiche che, attraverso il potere di revoca per pubblico interesse, attribuiscono all’amministrazione la facoltà di incidere unilateralmente sui contratti stipulati con i privati, come è per l’art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990 (dove il potere, pur nominato di “<em>recesso</em>”, è in sostanza di revoca) e per il citato art. 158 del codice dei contratti pubblici;</p> <p style="text-align: justify;">- ne emerge sul piano normativo la categoria dei contratti di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) che, fermo il ricorso alle regole civilistiche per la disciplina generale del rapporto contrattuale tra Amministrazione e privati, si distingue da quella dei contratti di diritto privato per il mantenimento di una posizione di supremazia dell’amministrazione;</p> <p style="text-align: justify;">- in relazione a ciò la parallela previsione dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, sulla facoltà dell’Amministrazione di incidere sul contratto con il recesso, deve ritenersi propria dei contratti in cui essa non è in posizione supremazia, cioè di quelli di diritto privato, considerate: l’analogia della norma con quelle di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.; la relativa coerenza con il principio di cui all’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 del 1990, per il quale “<em>La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente</em>”; l’inutilità della previsione, altrimenti, se l’Amministrazione potesse sempre incidere sul contratto con la revoca, peraltro più conveniente per il profilo economico;</p> <p style="text-align: justify;">- essendo quindi corretta la valutazione del primo giudice per la quale la revoca può essere ammessa solo nelle concessioni, dove il contratto è accessivo al provvedimento concessorio e ne dipende direttamente, fondandosi su ciò anche la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia, considerato che nelle concessioni il modulo consensuale è sempre sostitutivo di poteri autoritativi (Cass. Sez. un. ord. n. 8094 del 2007).</p> <p style="text-align: justify;">Tanto rilevato – prosegue il Collegio - le previsioni dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990 e dell’134 del codice dei contratti pubblici portano a non riferire i contratti ad evidenza pubblica al contesto dei rapporti negoziali distinti dal potere autoritativo di revoca, essendo avvalorata questa conclusione dalle seguenti considerazioni:</p> <p style="text-align: justify;">- la riconosciuta scissione tra aggiudicazione e stipulazione del contratto, che emerge sul piano funzionale poiché, con la prima, si conclude la fase pubblicistica del perseguimento dell’interesse pubblico alla selezione della migliore offerta, mentre la seconda si colloca nel diverso quadro del rapporto paritetico tra i contraenti con predominanza del diritto privato, riflettendosi questa scissione anche sul piano strutturale, poiché, ai sensi dell’art. 11 del codice dei contratti pubblici, “<em>l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta</em>” (comma 7), essendo poi previsto un termine per stipulare successivamente il contratto, soltanto entro il quale l’amministrazione può agire in autotutela (comma 9);</p> <p style="text-align: justify;">- ciò che porta alla distinzione fra l’atto di aggiudicazione e il consenso contrattuale dell’Amministrazione e a far escludere che questo possa essere ritirato in via unilaterale, e tanto meno perciò mediante il riesame dell’aggiudicazione in autotutela, essendo il detto consenso confluito con quello della parte privata nell’accordo di cui all’art. 1325, n. 1), c.c., essendo in seguito possibile soltanto il mutuo dissenso di cui all’art. 1372 c.c., ed operando la altresì prevista facoltà di recesso non sull’atto contrattuale ma sul rapporto.</p> <p style="text-align: justify;">Sarebbe peraltro ingiustificato, si soggiunge, che l’Amministrazione possa, attraverso i propri poteri di autotutela decisoria, ottenere un risultato in ipotesi superiore a quello ottenibile dal contraente privato in sede giurisdizionale ai sensi della normativa sull’inefficacia del contratto per l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, di cui agli articoli 121 e 122 c.p.a..</p> <p style="text-align: justify;">La Sezione rimettente – registra ancora l’Adunanza - conclude osservando che:</p> <p style="text-align: justify;">- la normativa posta con il comma 1-bis dell’art. 21–quinquies della legge n. 241 del 1990, così come con l’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, si inserisce nel quadro delineato se si circoscrive il potere di revoca ivi previsto soltanto alle concessioni amministrative, con ciò erigendo a <em>ratio</em> della normativa il relativo puntuale scopo originario, dell’intervento sulle concessioni di lavori pubblici a favore della TAV, e risultando in essa presupposto l’effetto di incidenza sul contratto in coerenza con l’assenza di deroga all’art. 21-sexies e all’art. 134;</p> <p style="text-align: justify;">- il divieto di revoca quando sia stato stipulato il contratto si fonda sulla fondamentale ragione dell’affidamento del privato negli impegni reciproci consacrati nell’accordo, sulla cui base egli ha maturato aspettative di profitto e assunto impegni organizzativi che l’art. 21-quinquies non impone di considerare (a differenza dell’art. 21-nonies per l’annullamento d’ufficio) e il cui ristoro è ivi previsto soltanto con l’indennizzo, mentre, ad esito del recesso consentito per i contratti di diritto privato, l’amministrazione è obbligata, come visto, ad una più adeguata compensazione del pregiudizio sofferto dalla controparte;</p> <p style="text-align: justify;">- ciò non comporta, peraltro, un’automatica svalutazione dell’interesse pubblico, di cui la PA è sempre portatrice, al quale è comunque strumentale il diritto di recesso nell’ampia configurazione dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, potendo l’Amministrazione valorizzare, ai fini del recesso, circostanze che porterebbero alla revoca, con il corollario di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue.</p> <p style="text-align: justify;">Fatte queste premesse, l’Adunanza passa ormai all’esame del quesito sottopostole precisando, in via preliminare, che si prescinde da questioni attinenti alla giurisdizione, che pure possano essere connesse al quesito stesso, considerato che nel caso di specie la questione di giurisdizione è stata espressamente decisa in primo grado con pronuncia confermata in secondo grado, essendosi perciò formato al riguardo il giudicato.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza plenaria afferma subito di ritenere, per le ragioni che seguono, che, intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, l’Amministrazione non può esercitare il potere di revoca, dovendo piuttosto operare con l’esercizio del diritto di recesso.</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (in seguito anche “<em>codice</em>”), la fase della scelta del contraente, conclusa con l’aggiudicazione definitiva, risulta distinta da quella, successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone il necessario presupposto funzionale, considerato che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta (art. 11, comma 7, primo periodo, del codice) e che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo “<em>L’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti</em>” (art. 11, comma 9).</p> <p style="text-align: justify;">Il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il separato e distinto atto della stipulazione del contratto quando, essendo stata fino a quel momento irrevocabile soltanto l’offerta dell’aggiudicatario (art. 11, comma 7, secondo periodo), l’Amministrazione a sua volta si impegna definitivamente.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò considerato – prosegue il Collegio - la giurisprudenza ha affermato che la fase conclusa con l’aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente a tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme civilistiche (Corte costituzionale, sentenze n. 53 e n. 43 del 2011; Cassazione, Sez. un. civ. n. 391 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 450 del 2009).</p> <p style="text-align: justify;">Nella fase privatistica l’Amministrazione si pone quindi con la controparte in posizione di parità che però, è stato anche precisato, è “<em>tendenziale</em>” (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del 2011 citate), con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’Amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen. n. 6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l’attività dell’Amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte.</p> <p style="text-align: justify;">Nel codice dei contratti pubblici sono peraltro previste norme con tratti di specialità riguardo specificamente alla fase dell’esecuzione del contratto per la realizzazione di lavori pubblici, cui attiene la questione all’esame. Ci si riferisce – prosegue il Collegio - a norme collocate nella Parte II, Titolo III del codice (Disposizioni ulteriori per i contratti relativi ai lavori pubblici) relative alla disciplina del recesso dal contratto e della relativa risoluzione, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 134 - 136 del codice (collocate nel Capo II del Titolo III e perciò riferite agli appalti di lavori pubblici ex art. 126 del codice), della risoluzione per inadempimento e, specificamente, della revoca delle concessioni di lavori pubblici in finanza di progetto ai sensi dell’art. 158 del medesimo codice, ovvero della sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 158 e seguenti del regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).</p> <p style="text-align: justify;">In questo contesto – prosegue l’Adunanza - la specialità della disciplina del recesso emerge non soltanto perché, a fronte della generale previsione civilistica (art. 1373 c.c.), il legislatore ne ha ritenuto necessaria una specifica nella legge sul procedimento (art. 21-sexies) ma in particolare perché l’art. 134, nel concretare il caso applicativo di tale previsione, lo regola in modo diverso rispetto all’art. 1671 c.c., prevedendo il preavviso all’appaltatore e, quanto agli oneri, la forfetizzazione del lucro cessante nel dieci per cento delle opere non eseguite e la commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori eseguiti, al “<em>valore dei materiali utili esistenti in cantiere</em>” mentre, per il citato art. 1671 c.c., il lucro cessante è dovuto per intero (“<em>il mancato guadagno</em>”) e per il danno emergente vanno rimborsate tutte le spese sostenute.</p> <p style="text-align: justify;">Su questa base, la Plenaria ritiene di poter affermare che la posizione dell’Amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’Amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le relative posizioni di specialità, essendo l’Amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò rilevato, ne consegue per il Collegio che deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità (Cass. n. 391 del 2011 cit.; Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2008, n. 4455); la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca.</p> <p style="text-align: justify;">Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente, nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’Amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione <em>ex nunc</em> del rapporto negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “<em>per motivi di pubblico interesse</em>” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice).</p> <p style="text-align: justify;">In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate (in qualche modo) ad operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’Amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata; fermo restando, come anche richiamato dalla V Sezione, che per l’Amministrazione la maggiore onerosità del recesso è bilanciata dalla mancanza dell’obbligo di motivazione e del contraddittorio procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto sopra – prosegue il Collegio - vale in riferimento alla possibilità della revoca nella fase aperta con la stipulazione del contratto nel procedimento per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, che è l’oggetto specifico del quesito all’esame. Resta perciò impregiudicata, nell’inerenza all’azione della PA dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto;</li> <li>b) dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, oltre che concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso (Cass. sezioni unite, 8 agosto 2012, n. 14260; Cons. Stato: sez III, 23 maggio 2013, n. 2802; sez. V: 7 settembre 2011, n. 5032; 4 gennaio 2011, n. 11, 9 aprile 2010, n. 1998).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Così come, pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza (Cass. n. n. 391 del 2011 cit.) ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa, poiché potere “<em>del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F</em>” (oggi art. 134 del codice dei contratti pubblici); qualificazione questa che può ritenersi tuttora valida poiché le stazioni appaltanti, pur nel quadro della normativa oggi vigente in materia, devono comunque valutare l’esistenza delle eccezionali condizioni non comportanti l’altrimenti vincolato esercizio del diritto di recesso (art. 94, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 159 del 2011).</p> <p style="text-align: justify;">In questo quadro si coordina e delimita, ad avviso del Collegio, la previsione della revoca di cui al comma 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché dall’ambito di applicazione della norma risulta esclusa la possibilità di revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione dell’art. 134 del codice (così, come, per la medesima logica, né è esclusa la revoca di cui all’art. 158 del codice), restando per converso e di conseguenza consentita – conclude la Plenaria - la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’Amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre viene varato il decreto legge n.133, recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (c.d. Sblocca Italia).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre viene varato il decreto legislativo n.153, recante ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.</p> <p style="text-align: justify;">Il provvedimento novella l’art.88 del decreto legislativo 159.11 (codice antimafia), inserendovi dei nuovi comma in tema di comunicazione antimafia e, in particolare, il comma 4-bis, onde decorso il termine di cui al comma 4 (30 giorni), i soggetti pubblici di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza della comunicazione antimafia, previa acquisizione dell'autocertificazione di cui all'articolo 89: in tale caso, nondimeno, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti pubblici di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite; ed il comma 4-ter, onde la revoca e il recesso di cui al comma 4-bis si applicano anche quando la sussistenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 e' accertata successivamente alla stipula del contratto, alla concessione di lavori o all'autorizzazione al subcontratto.</p> <p style="text-align: justify;">Anche l’art.92 in tema di informazione antimafia viene novellato, in modo nondimeno non rilevante <em>ratione materiae</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Affiora dunque vieppiù, in ambito antimafia, una normativa speciale idonea a sorreggere revoche e recessi “<em>vincolati</em>” della PA da contratti stipulati con imprese “<em>in odore</em>” di mafia.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre viene varata la legge n.164 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge 133 e modifica l’art.21 quinquies, comma 1, della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la nuova formulazione della norma, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o - salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (che vengono dunque esclusi dal pertinente raggio di azione) - di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha “<em>emanato</em>” ovvero da altro organo previsto dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, n.908 che ribadisce come la revoca del provvedimento amministrativo senza previsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies, L 7 agosto 1990, n. 241 non possa assumersi illegittima, tale omissione non spiegando efficacia viziante o invalidante dell'atto di ritiro; essa semplicemente legittima il privato ad azionare la pertinente pretesa patrimoniale innanzi al G.A., che può scrutinarne i presupposti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1862 alla cui stregua l'indennizzo di cui all'art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 non è dovuto in caso di revoca di un provvedimento conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma su cui lo stesso provvedimento si fondava, trattandosi piuttosto di annullamento in autotutela per illegittimità sopravvenuta, da considerarsi quale specifica ipotesi di <em>factum principis</em> che rende impossibile, anzi antigiuridica, la realizzazione degli effetti del provvedimento oggetto di autotutela.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.124, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche, che procede ad abrogare l’art.1, comma 136, della legge 311.04.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n.2044, che prende posizione sul comma 1 bis dell’art.21 quinquies della legge 241.90 in termini di quantificazione dell’indennizzo dovuto al privato in caso di revoca in autotutela di atti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di norma ambigua, che va interpretata come norma speciale destinata ad operare, proprio perché tale, solo allorché la revoca incida su rapporti negoziali; laddove all’opposto essa incida su rapporti “<em>amministrativi</em>”; torna ad essere operativa la previsione generale di cui al comma 1 che, col prevedere un indennizzo senza ulteriori specificazioni, deve assumersi garantire al privato il ristoro tanto del danno emergente quanto, ed anche, del lucro cessante.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, per il Collegio la circostanza onde il comma 1 bis dell’art. 21 quinquies sia stato espressamente dettato solo in materia di attività “<em>negoziale</em>” della P.A. parrebbe implicare che in ipotesi di attività c.d. “<em>funzionale</em>”, vale a dire in caso di revoca di provvedimenti non incidenti su rapporti negoziali, spetti al privato (eventualmente) leso, a titolo d’indennizzo, anche il c.d. lucro cessante, e dunque il mancato guadagno connesso alla cessazione dell’efficacia — naturalmente durevole — del provvedimento revocato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, recante attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art. 32, comma 8 – ripetendo la regola già codificata all’art. 11, comma 9 del previgente d.lgs. n. 163/2006 – evoca l’esercizio dei poteri di “<em>aututela</em>” successivi al consolidamento, con l’aggiudicazione definitivamente efficace, della posizione del concorrente utilmente collocato in graduatoria: il che – se non esclude la più generale facoltà di ritiro degli atti endoprocedimentali (come la c.d. aggiudicazione provvisoria) – conferma la non (integrale) applicabilità dell’art. 21 <em>quinquies</em> l. n. 241/1990, in assenza di provvedimento “<em>conclusivo del procedimento</em>”, e dunque dell’aggiudicazione definitiva, la quale è invece certamente soggetta al potere di revoca della PA.</p> <p style="text-align: justify;">Il successivo art.109 conferma il potere di recesso della PA appaltante; fermo restando infatti quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (normativa antimafia: revoche e recessi vincolati <em>ex lege</em>), la stazione appaltante può (discrezionalmente) recedere dal contratto in qualunque tempo, previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere (nel caso di lavoro) o in magazzino (nel caso di servizi o forniture), oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">Il decimo dell'importo delle opere non eseguite e' calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti (comma 2); l'esercizio del diritto di recesso va preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a 20 giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Ai sensi del comma 4, i materiali, il cui valore e' riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1, sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o del RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.</p> <p style="text-align: justify;">La stazione appaltante può poi trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto (comma 5).</p> <p style="text-align: justify;">Infine, in caso di recesso l'appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero e' effettuato d'ufficio e a sue spese (comma 6).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1100 alla cui stregua la eventuale, mancata previsione dell’indennizzo, quale forma di ristoro <em>ex lege</em> per il destinatario privato dell’atto revocato che ne abbia sofferto pregiudizio, non comporta l'invalidità della determinazione assunta in autotutela, in applicazione del principio di carattere generale “<em>utile per inutile non vitiatur</em>” di cui all’art. 1419 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile viene varato il decreto legislativo n.56, recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, che - dopo aver novellato la rubrica del ridetto decreto legislativo 50.16 in “<em>codice dei contratti pubblici</em>” - ne modifica tra gli altri anche l’art.109, senza tuttavia mutarne l’impianto di fondo laddove tale disposizioni prevede il recesso della PA dal contratto stipulato con la parte privata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5808 onde se pure è vero che il principio dell'indennizzabilità del pregiudizio subito dal destinatario di un provvedimento di revoca – ai sensi dell’art. 21 quinquies, L 7 agosto 1990, n.241 - è ispirato all'esigenza di tener conto del legittimo affidamento riposto dal privato nella possibilità di godere nel tempo dell'utilità acquisita attraverso il provvedimento revocato, non vi è del pari dubbio che l’affidamento non può per il Collegio ricevere tutela in tutti i casi in cui l'utilità acquisita sia frutto, in uno col provvedimento ampliativo, arche di un comportamento illecito del privato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio mostra dunque di fare applicazione alla fattispecie della revoca del provvedimento e della indennizzabilità del pertinente pregiudizio della regola generale di cui all’art.1227 c.c., in tema di concorso del danneggiato nella causazione del danno del quale invoca ristoro.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 136 alla cui stregua la natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell'aggiudicazione provvisoria di una gara, non consente di applicare nei relativi riguardi la disciplina dettata dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. agosto 190, n. 241 in tema di revoca e annullamento d'ufficio.</p> <p style="text-align: justify;">La revoca dell'aggiudicazione provvisoria (ovvero, la relativa mancata conferma) non è infatti, precisa il Collegio, qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, sì da richiedere un raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del pertinente procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza della I sezione del Tar Toscana n.187 alla cui stregua – nelle fattispecie di revoca della gara o dell’aggiudicazione per difetto di copertura finanziaria - la responsabilità della PA non deriva dall’esercizio del potere di autotutela, che è doveroso <em>ex parte publica</em> ove venga a mancare la copertura finanziaria ridetta, ma può derivare dalla condotta dell’Amministrazione che sia contraria a buona fede (ex att. 1337 c.c.).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò, precisa il Collegio, allorché la stessa PA ometta di comunicare tempestivamente ai partecipanti alla gara la sopravvenuta carenza di fondi e la necessità di bloccare la procedura, onde ai fini della configurabilità della pertinente responsabilità precontrattuale non si deve tenere conto della legittimità della revoca, quanto piuttosto della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dalla stazione appaltante durante il corso della procedura di affidamento e nel periodo seguente al’aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di fattispecie in cui la legittimità dell’atto di revoca non preclude dunque la valutazione della condotta della P.A. in termini di rispetto delle pertinenti regole di correttezza e buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1147 alla cui stregua, nell'ipotesi di revoca degli atti di gara per sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria, ai fini del bilanciamento degli interessi pubblici e privati tutelati dall’att. 21 quinquies della legge 241.90 è necessario che l'Amministrazione – sul crinale provvedimentale - motivi e comprovi in modo stringente l'effettiva sussistenza di tale impossibilità, con elementi concreti e non mere e genetiche affermazioni di principio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.10377 onde rientra nella giurisdizione del GA la controversia relativa alla revoca, per mancato raggiungimento dell’obiettivo occupazionale, di un finanziamento concesso in sede di formazione ed esecuzione di un patto territoriale.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte premette come ai sensi dell’art. 2, comma 203, lettera d), della legge n. 662 del 1996, per patto territoriale si intende «<em>l’accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o privati con i contenuti di cui alla lettera c), relativo all’attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Riguardo a tale tipologia di strumento, occorre considerare che dapprima l’art. 11, comma 5, legge 7 agosto 1990, n. 241, ed in seguito l’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), cod. proc. amm. hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie che trovano titolo negli accordi che sostituiscono o integrano i provvedimenti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">Le Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 8 luglio 2008, n. 18630) hanno già avuto modo di chiarire che la cognizione della controversia relativa all’impugnazione di un provvedimento di revoca del beneficio finanziario accordato ad una società per la realizzazione di un investimento produttivo in sede di approvazione di un patto territoriale – costituente una delle possibili forme di programmazione negoziata tra parti pubbliche e parti private, in cui è, tra l’altro, necessario definire gli accordi programmatici e individuare le convenzioni necessarie per l’attuazione di detti accordi – appartiene alla giurisdizione esclusiva del GA, in relazione al disposto di cui all’art. 11, comma 5, della legge n. 241 del 1990, che demanda, in generale, a tale giurisdizione le questioni relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento pubblico di erogazione di una sovvenzione economica.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza successiva – precisa il Collegio - ha poi dato continuità a tale regola di riparto; si è infatti affermato (Cass., Sez. U., 21 gennaio 2014, n. 1132) che la cognizione delle controversie relative ai finanziamenti concessi in sede di formazione ed esecuzione di un patto territoriale rientra tra quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del GA, in quanto – salva l’ipotesi in cui il finanziamento sia riconosciuto direttamente dalla legge e alla P.A. resti demandato solo il compito di verificare l’esistenza dei relativi presupposti senza alcun apprezzamento discrezionale sull’<em>an</em>, sul <em>quid</em> e sul <em>quomodo</em> – l’erogazione dei relativi contributi, sia in via provvisoria che in sede definitiva, implica l’adozione, da parte della P.A., di decisioni istituzionali circa la corretta allocazione di risorse finanziarie destinate ad una programmazione negoziata che vede coinvolti, in egual misura, soggetti pubblici e privati, e un sindacato sul corretto esercizio della ponderazione comparativa degli interessi valutati in sede di erogazione, e, dunque, postula la sussistenza e la persistenza di un potere amministrativo incompatibile con la cognizione giurisdizionale del GO.</p> <p style="text-align: justify;">E si è ribadito (Cass., Sez. Un., 24 gennaio 2019, n. 2082) – conclude condividendo la Corte - che la scelta del legislatore di attribuire al GA la giurisdizione esclusiva per tutte le controversie nascenti da accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo (nella cui categoria sono inquadrabili i patti territoriali) comprende non solo quelle riguardanti la formazione e la conclusione degli accordi, in cui è più marcato l’esercizio di un potere discrezionale della PA, ma anche quelle inerenti l’esecuzione, come stabilisce il comma 5 dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, oggi trasfuso nell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2, cod. proc. amm.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n. 959, alla cui stregua non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno, derivante dalla revoca in autotutela di taluni incarichi professionali - nella specie, incarichi di progettazione dei lavori di riqualificazione urbanistica ed ambientale del centro storico - ove il provvedimento di secondo grado sia stato adottato perché:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) l’incarico di progettazione e di direzione lavori risultano affidati congiuntamente in via diretta, senza il preventivo esperimento di una procedura selettiva in grado di garantire il rispetto dei principi concorrenziali;</li> <li>b) sussiste la necessità di contenere la spesa pubblica, mediante lo svolgimento del medesimo incarico da parte del personale dipendente della P.A., anche in ragione della non ammissibilità dei finanziamenti regionali concernenti l’opera pubblica.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">In tal caso, precisa il Collegio, la revoca in autotutela deve ritenersi legittima, atteso che l’interesse pubblico deve considerarsi <em>in re ipsa</em>, nel senso che, oltre a discendere da intuitive considerazioni legate alla maggior convenienza economica, l’espletamento diretto di tali compiti da parte dell’Amministrazione costituisce il frutto di una valutazione operata a monte dal legislatore tale da limitare fortemente la facoltà dell’Amministrazione medesima di compiere apprezzamenti diversi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 luglio esce la sentenza della sezione I del Tar Sicilia n. 1746 alla cui stregua deve assumersi rientrare nella giurisdizione del GO e non in quella del GA una controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento con il quale la Regione ha parzialmente revocato, in autotutela, un contributo pubblico concesso in precedenza, nel caso in cui la revoca sia stata disposta dalla P.A. per avere l’interessato posto in essere alcuni inadempimenti rispetto alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, precisa il Collegio, in tema di concessione di contributi e finanziamenti pubblici, una volta che sia stato adottato il provvedimento concessivo del contributo, la fase di verifica e controllo dell’adempimento degli obblighi del beneficiario – imposti per legge o dall’atto concessorio – attiene all’esecuzione del rapporto; pertanto, le controversie aventi ad oggetto il provvedimento dell’Amministrazione che trovi fondamento non già su un vizio di legittimità di quello concessorio o per contrasto con il pubblico interesse, ma sul successivo inadempimento del beneficiario, appartengono alla giurisdizione del GO, poiché l’interesse alla conservazione del contributo ha assunto (a quel punto) la consistenza di diritto soggettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 5597 alla cui stregua - in ragione della natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, e della non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21-<em>quinquies</em> e 21-<em>nonies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a> - rientra nel potere discrezionale dell’Amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della pertinente gara.</p> <p style="text-align: justify;">Nelle gare pubbliche, precisa il Collegio, la decisione della P.A. di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l’onere motivazionale facente carico alla P.A. in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria ridetta, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro pertinente; alle medesime conclusioni deve peraltro giungersi nel caso in cui il potere di revoca abbia ad oggetto l’intera procedura di gara, rimanendo immutata la consistenza della posizione soggettiva con la quale interferisce l’esercizio del potere di ritiro della P.A.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, per il Collegio negli appalti pubblici motivazioni di carattere finanziario ed in particolare sopravvenute difficoltà economiche possono indubbiamente costituire valide ragioni di revoca degli atti di una gara e ciò vieppiù a dirsi rispetto a manifestazioni di <em>ius poenitendi</em> che non impattano su una situazione di affidamento qualificato, quale quello espresso dall’aggiudicazione definitiva.</p> <p style="text-align: justify;">Non può impedire per il Collegio il legittimo esercizio del potere di revoca dell’aggiudicazione - che involge esclusivamente l’apprezzamento dei profili di permanenza delle condizioni di fatto e di diritto che fondavano l’atto pubblico e le esigenze di interesse pubblico che lo stesso era chiamato a soddisfare - l’antidoverosità del contegno serbato dalla stazione appaltante nel corso della vicenda amministrativa, rilevante semmai a fini risarcitori sotto il diverso paradigma della responsabilità cd. precontrattuale. E’ infatti evidente che sia ben possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell’Amministrazione dalla (legittima) adozione di un provvedimento di revoca, così come è possibile che la revoca di un atto amministrativo possa risultare legittima e giustificata anche se sia stata la stessa Amministrazione a dare luogo ai presupposti legali della revoca.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio peraltro, in difetto di un’aggiudicazione definitiva, non può riconoscersi la configurabilità dell’indennizzo <em>ex</em> art. 21 <em>quinquies</em>, <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a>: la natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, spiega la non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21-<em>quinquies</em> e 21-<em>nonies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a> e la pertinente revoca (ovvero, la relativa mancata conferma) non è qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale cioè da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l’aggiudicazione provvisoria ridetta non è l’atto conclusivo del pertinente procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 agosto esce la sentenza della VIII sezione del Tar Campania n. 4321 alla cui stregua è da assumersi legittimo il provvedimento con il quale la P.A. appaltante abbia revocato e/o annullato in autotutela una gara per l’affidamento di un appalto di servizi, laddove esso sia motivato con riferimento al difetto di copertura finanziaria e, in particolare, con riguardo al fatto che l’attuale ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato 2017/2019 presentato dall’Amministrazione interessata al Ministero dell’Interno non prevede la spesa necessaria per coprire il costo degli aggi da riconoscere sulla gara stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, rientra nel potere discrezionale dell’Amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara.</p> <p style="text-align: justify;">E’ peraltro legittima una delibera di revoca dell’aggiudicazione di una gara adottata dalla Giunta municipale e non già dal Consiglio comunale; infatti la direttiva volta alla revoca della procedura di gara si caratterizza, sia per il contenuto di indirizzo politico-amministrativo, sia per l’elevato tasso di discrezionalità amministrativa, ulteriore fattore che giustifica la distribuzione delle competenze tra l’organo politico e l’organo amministrativo secondo i criteri sopra delineati, ossia riservando la decisione politica-amministrativa alla Giunta (nella forma della direttiva nei confronti del dirigente) e il provvedimento finale, produttivo degli effetti giuridici esterni nei confronti degli interessati, al dirigente (o responsabile del servizio).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 agosto esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria n. 1535 onde è legittimo il provvedimento con il quale un Comune, facendo riferimento alle informazioni formalmente comunicate dalla Prefettura, ha revocato una licenza commerciale, motivando tale revoca con riferimento al sospetto di intestazione fittizia della medesima licenza ingenerato:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) dai rilievi e/o elementi istruttori concernenti l’attività di lavoro dipendente svolta, in precedenza, dall’interessato presso una impresa individuale, locatrice dell’immobile ove viene esercitata l’attività di ristorazione, oggetto del provvedimento di chiusura <em>ex</em> 19 comma 4 DPR n. 616/1977;</li> <li>b) dall’esiguità del lasso di tempo intercorso tra la similare ordinanza di chiusura emessa a carico della suddetta impresa locatrice e l’avvio dell’attività imprenditoriale da parte dell’odierno istante.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.6432 onde, anche in materia di procedure ad evidenza pubblica e contratti della PA, l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione di non procedere affatto all’aggiudicazione della gara e di disporne la revoca deve trovare fondamento in specifiche ragioni di pubblico interesse che devono essere chiaramente indicate e non risultare manifestamente irragionevoli.</p> <p style="text-align: justify;">Esso – l’esercizio di tale potere discrezionale - esige dunque, per il Collegio, una motivazione adeguata e convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione dei contrapposti interessi, a tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Consiglio, le garanzie procedimentali previste dagli artt. 7 e ss. della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a> non trovano tuttavia applicazione per gli atti meramente procedimentali, tra cui deve annoverarsi l’aggiudicazione provvisoria, che fa nascere in capo all’interessato solo una mera aspettativa alla definizione positiva del procedimento stesso, ma non costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica, avendo, per propria e specifica natura, un’efficacia destinata ad essere superata (all’esito dell’aggiudicazione definitiva); pertanto, ai fini del relativo ritiro, non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento ovvero di preavviso di rigetto <em>ex</em> art. 10-<em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 6988 alla cui stregua, nel caso di interdittiva antimafia, la revoca del finanziamento agevolato comporta, ai sensi dell’art. 11, comma 8 del decreto attuativo D.M. 1 febbraio 2006, oltre la risoluzione (prevista anche e proprio dall’art. 11 d.P.R. n. 232/1998, attraverso la “<em>condizione risolutiva</em>”), la restituzione dell’importo del beneficio di cui l’impresa ha goduto fino alla data del provvedimento di revoca.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio il provvedimento di “<em>revoca</em>” di un contributo o di un finanziamento a seguito di interdittiva antimafia va peraltro qualificato come atto dichiarativo di sopravvenuta causa di decadenza; ed è suscettibile di travolgere, nella relativa interezza, l’erogazione agevolata. Tale qualificazione giuridica, anche in considerazione della natura vincolante della certificazione prefettizia e dell’assenza di discrezionalità della P.A. nel recepimento della nota della competente Prefettura – non consente l’applicazione dell’art. 21 <em>quinquies</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. 241/90</a> e con esso dei principi che governano l’autotutela c.d. decisoria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 ottobre esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 917 onde un’esegesi dell’art. 21-<em>quinquies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a> (come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-<em>ter</em>, <a href="http://www.lexitalia.it/n/2742">d.l. n. 133 del 2014</a>) in tema di revoca degli atti amministrativi (nel caso di specie, di aggiudicazione di una gara) induce a ritenere che:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario dev’essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare;</li> <li>b) non è sufficiente, per legittimare la revoca ridetta, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’adozione dell’atto originario;</li> <li>c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario;</li> <li>d) la motivazione della revoca dev’essere profonda e convincente nell’esplicitare non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la relativa prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Il ritiro dell’atto di aggiudicazione legittima – più in specie - postula per il Collegio la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato 7051 alla cui stregua, in linea di principio, il Consiglio comunale con una successiva delibera può implicitamente revocare una propria precedente delibera, quando il contenuto dispositivo e motivazionale del secondo provvedimento contrasti con il contenuto dell’atto precedente; ciò quand’anche in passato talune disposizioni dei testi unici sugli enti locali affermavano il principio opposto.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, nondimeno, la rigida procedimentalizzazione vigente in materia urbanistica e, segnatamente, di pianificazione urbanistica – la cui rilevanza e la cui specialità sono evidenziate dall’esclusione dell’applicazione degli istituti apprestati dalla legge generale sul procedimento amministrativo – e le esigenze di certezza e stabilità che la pervadono impongono di ascrivere rilievo giuridico alle sole manifestazioni del potere svolte secondo le forme, i tempi ed i modi previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che dall’atto con cui il Comune dichiari di adottare il nuovo progetto di variante urbanistica senza, tuttavia, né rispettare le previsioni della legge (da un punto di vista sia procedimentale sia contenutistico) né in alcun modo manifestare espressamente l’intenzione di revocare precedenti decisioni, non può trarsi l’implicita volontà di privare di efficacia pregresse deliberazioni formalmente assunte.</p> <p style="text-align: justify;">La revoca della deliberazione di adozione della variante generale consegue dunque per la Sezione esclusivamente:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) o alla legittima adozione di una nuova variante generale, giacché la disciplina della stessa materia (la pianificazione del territorio comunale) non può che trovare un’unica <em>sedes materiae</em>;</li> <li>b) o all’espressa e formale manifestazione della volontà consiliare, esternata con una apposita deliberazione, emanata prima dell’esercizio del potere (di approvazione) della Regione ed a questa tempestivamente comunicata, di voler privare di efficacia la precedente deliberazione di adozione della variante generale</li> </ol> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 ottobre esce la sentenza della sezione II del Tar Lombardia, Brescia, n. 924, alla cui stregua è da assumersi legittimo il provvedimento con il quale la Questura ha revocato ad un cittadino straniero, da diversi anni residente con la famiglia in Italia, il permesso per soggiornanti di lungo periodo precedentemente rilasciatogli nel caso in cui l’interessato, pur non rendendosi colpevole di reati automaticamente ostativi al rilascio o al rinnovo del titolo di soggiorno <em>ex</em> art. 9, <a href="http://www.lexitalia.it/n/814">D.lgs. n. 286/98</a>, abbia costantemente tenuto un comportamento del tutto incompatibile con le regole della convivenza civile, nonché costituenti reati in grado di porre in pericolo la sicurezza pubblica e tali da riunire in sé i presupposti per un adeguato giudizio di pericolosità sociale.</p> <p style="text-align: justify;">Né per il Collegio può ritenersi che la durata del soggiorno e la presenza di legami familiari ostino, di per sé, al diniego di rinnovo del titolo di soggiorno una volta che sia dimostrato che l’inserimento in un ordinario contesto lavorativo e familiare non abbia costituito un valido elemento di dissuasione dalla messa in atto di una condotta criminosa, a conferma di un mancato inserimento sociale dello straniero.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della VIII sezione del Tar Campania n.5368, alla cui stregua la procedura di gara si conclude solo con l’aggiudicazione definitiva e, pur restando ancora salva la facoltà per la stazione appaltante di manifestare il proprio ripensamento – in questo caso secondo le forme proprie dell’autotutela decisoria – per contro, prima di questo momento l’Amministrazione resta libera di intervenire sugli atti di gara con manifestazioni di volontà di segno opposto a quello precedentemente palesato senza dovere sottostare a dette forme.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, dunque, nelle gare pubbliche la decisione della P.A. di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l’onere motivazionale facente carico alla P.A., in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro.</p> <p style="text-align: justify;">Alle medesime conclusioni – prosegue il Collegio - deve giungersi nel caso in cui il potere di revoca abbia ad oggetto l’intera procedura di gara, in specie se sia giustificata da pregnanti motivazioni di carattere finanziario ed in particolare da sopravvenute difficoltà economiche.</p> <p style="text-align: justify;">Il ritiro di un’aggiudicazione legittima postula per il Tar, in particolare, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi.</p> <p style="text-align: justify;">Tali canoni di condotta appena precisati restano validi anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">d.lgs. n. 50 del 2016</a>, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l’art. 21 <em>quinquies</em>, <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a>, e non anche la disciplina speciale dei contratti, che si occupa, infatti, di regolare il recesso e la risoluzione del contratto, e non anche la revoca dell’aggiudicazione degli appalti (ma solo delle concessioni).</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, la revoca della gara pubblica può ritenersi legittimamente disposta dalla stazione appaltante in presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse pubblico che siano opportunamente e debitamente esplicitate, che rendano evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente valutazione dei medesimi presupposti; deve pertanto nel caso di specie assumersi legittima la revoca dell’aggiudicazione disposta facendo riferimento alla sopravvenienza di un dissesto finanziario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza della sezione II bis del Tar Lazio n. 715 alla cui stregua la determinazione di revoca dell’aggiudicazione per mancata stipula del contratto di appalto ha sostanzialmente natura di atto di ritiro della precedente aggiudicazione determinato dall’inadempimento dell’aggiudicatario all’obbligo di stipulazione del contratto medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">La conseguenza di tale inadempimento è individuata dalla legge nell’escussione della cauzione provvisoria di cui all’art. 93 del Codice dei contratti che ha una duplice funzione: dissuadere gli operatori economici dal partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici senza avere la certezza di potersi fare carico delle prestazioni che ne derivano ed indennizzare la stazione appaltante nel caso in cui l’impresa prescelta non dia seguito all’aggiudicazione, rendendo vana la procedura o ritardandone gli esiti; tale duplice funzione è volta a fronteggiare proprio situazioni come quella verificatasi nel caso di specie ed è definita dalla giurisprudenza amministrativa come la “<em>garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.24 onde va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1761">legge 15 luglio 2009, n. 94</a> (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1981">legge 29 luglio 2010, n. 120</a> (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2144">decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59</a> (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), nella parte in cui dispone che il prefetto “<em>provvede</em>” – invece che “<em>può provvedere</em>” – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di un’altra pronuncia con la quale la Consulta stigmatizza la c.d. automaticità del provvedimento di revoca, in questo caso avvinto all’applicazione, nei confronti del destinatario del provvedimento (patente di guida), di una misura di sicurezza personale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 marzo viene varato il D.p.R. recante revoca del (precedente) decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2020, concernente indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale recante: «<em>Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Ciò sulla scorta del <a href="http://www.lexitalia.it/a/2020/121535">decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 marzo 2020</a>, con il quale sono state disposte misure per il contrasto, il contenimento, l’informazione e la prevenzione sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19, nonché la successiva, conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 5 marzo 2020.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 aprile esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 230 alla cui stregua, nei concorsi pubblici, solo a partire dall’atto di nomina dei vincitori e quindi dalla stipula del contratto di lavoro, la posizione giuridica dei partecipanti diviene di diritto soggettivo, rimanendo invece in tutte le fasi precedenti la ridetta posizione giuridica, piuttosto, di interesse legittimo ovvero di mera aspettativa.</p> <p style="text-align: justify;">Deve pertanto ritenersi per il Collegio che, in capo all’Amministrazione, prima che sorga una posizione di diritto soggettivo, permanga una ampia facoltà di monitorare l’esistenza o meno del pubblico interesse a portare a compimento la procedura concorsuale.</p> <p style="text-align: justify;">Appartiene peraltro alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione la scelta del momento in cui bandire il concorso per la copertura di posti vacanti in organico, nonché l’individuazione del numero delle unità di personale da assumere in relazione alle esigenze funzionali ed organizzative dell’ente. Sempre in via discrezionale l’Amministrazione può per il Collegio intervenire con (successivo) atto di revoca su una procedura già indetta, in base a rinnovata valutazione di opportunità e fino al momento in cui non si siano costituite posizioni di impiego in esito alla procedura selettiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il bando con cui si indice il pubblico concorso va peraltro qualificato come atto amministrativo generale che come tale - per quanto previsto dalla la <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">legge n. 241/1990</a> - non soggiace all’obbligo motivazionale (art. 3, comma 2) ed a cui non si applicano le garanzie partecipative (art. 13); alla stressa stregua deve classificarsi atto generale anche il <em>contraius actus</em> con cui la Pubblica amministrazione revoca il bando. Quanto appena rilevato, tuttavia, non esonera l’Amministrazione dal procedere alle valutazioni che presiedendo l’adozione di tali atti seguendo stringenti canoni di ragionevolezza e proporzionalità.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale del concorrente, la pertinente posizione tutelata, laddove incluso nella graduatoria dei candidati idonei, va configurata quale interesse legittimo. È pertanto da escludersi, in caso di revoca del bando di concorso, la sussistenza (e la violazione) di un “<em>diritto all’assunzione</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">L’indennizzo previsto dall’art. 21-<em>quinquies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241/1990</a> compete solo in presenza della revoca di un atto amministrativo definitivamente attributivo di vantaggi e di effetti durevoli per il destinatario, non essendo dovuto, invece, a fronte del mero ritiro di un atto che non sia definitivamente attributivo di un vantaggio di carattere finale (nella specie, ritiro della graduatoria finale di un concorso pubblico).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 2358 alla cui stregua, in via di principio, il ritiro, all’esito di un procedimento di secondo grado, dell’atto di indizione di una procedura evidenziale è sottratto – avuto riguardo alla relativa natura di “<em>atto amministrativo generale</em>” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6455) – alle norme sulla partecipazione individuale (cfr. art. 13 l. n. 241/1990).</p> <p style="text-align: justify;">Perché, invero, sorga uno specifico diritto alla personalizzata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale è necessaria una legittimazione fondata su una posizione soggettiva differenziata e qualificata, che – nel contesto dinamico dell’azione amministrativa – strutturi una specifica e concreta aspettativa giuridicamente tutelata al favorevole esito procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Per consolidato intendimento, neanche l’aggiudicazione provvisoria (oggi sostituita, con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 50/2016, dalla mera “<em>proposta di aggiudicazione</em>”) è in grado di strutturare una tale posizione qualificata (cfr., <em>ex multis</em>, Cons. Stato, sez. III, 11 gennaio 2018, n. 136; Id., sez. V, 31 agosto 2016, n. 3746): a maggior ragione ciò deve, quindi, dirsi del mero concorrente (anche laddove, come nella specie, sia rimasto l’unico a poter concretamente confidare nel favorevole esito della procedura).</p> <p style="text-align: justify;">In ogni caso, con valutazione assorbente, deve per il Collegio soggiungersi che, nel caso in esame, le ragioni poste a fondamento della determinazione rimotiva, di cui si dirà immediatamente, paiono di per sé idonee a giustificare la scelta operata dall’organo commissariale, rendendo comunque <em>a posteriori</em> irrilevante – alla luce del canone antiformalistico scolpito all’art. 21 octies, comma 2 della l. n. 241/1990 – l’eventuale apporto partecipativo dell’appellante.</p> <p style="text-align: justify;">Importa rammentare infatti, prosegue il Collegio, che nel caso di specie il Commissario straordinario ha motivato la scelta di revocare gli atti di indizione della gara in base al rilievo:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) che il Ministero dell’ambiente aveva sollevato perplessità sulla scelta dell’affidamento mediante<em>project financing</em>, con riguardo al passaggio al gestore unico del sistema idrico integrato, e l’ANAC, successivamente consultata, aveva espresso perplessità in ordine alla misura dell’apporto pubblico e al trasferimento dei rischi in capo al privato e previsto un probabile recesso dal rapporto contrattuale stipulato all’esito delle originarie gare per incompatibilità, sotto il profilo temporale, tra la naturale durata del contratto e quella impositiva del ricorso al gestore unico;</li> <li>b) che la ragione del conferimento dei poteri all’organo commissariale era costituita dalla necessità di adeguamento nel minor tempo possibile alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13), evitando l’aggravamento delle procedure di infrazione: esigenze, queste, in distonia con la scelta del ridetto modulo della finanza di progetto;</li> <li>c) che, dal punto di vista progettuale, a fronte dell’orografia aspra del territorio, in uno con una distribuzione della popolazione del territorio dispersa in frazioni, risultavano preferibili presidi depurativi localizzati, gestibili da remoto, idonei ad evitare lunghi percorsi di tubazioni in aree extraurbane.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Si tratta per il Collegio di giustificazioni che – acquisite alla luce del generale potere di revisione, in autotutela, del proprio operato, spettante alle pubbliche amministrazioni in presenza di idonei motivi, originari o sopravvenuti, di pubblico interesse (cfr. art. 21 <em>quinquies</em> l. n. 241/1990) – si sottraggono alle proposte censure, in quanto non implausibilmente ancorate: a) al ripensamento in ordine alle corrette modalità di selezione del contraente, alla luce della riscontrata incoerenza – già, di fatto, emersa, in sede preparatoria, dal confronto tecnico con il Ministero dello sviluppo economico e rinforzata dai rilievi affidati al parere dell’ANAC – tra sistema della finanza di progetto e modalità temporali di affidamento del servizio idrico; b) alla necessità di un più sollecito e congruo riscontro alle infrazioni emerse a livello europeo; c) alla rivalutazione delle modalità progettuali dell’intervento, in forza della più attenta e rinnovata considerazione delle caratteristiche orografiche del territorio interessato.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, chiosa ancora la Sezione, alle pubbliche amministrazioni che si determinino alla attivazione di procedure preordinate alla stipula di contratti, attraverso la selezione concorrenziale e comparativa della miglior controparte, va riconosciuto – prima della conclusione del relativo procedimento – ampio e generale potere (nella prospettiva del costante adeguamento al vincolo finalistico delle loro condotte) di ripensare la scelte operate in ordine alle modalità di selezione delle controparti negoziali, con l’unico limite del rispetto delle regole qualificate di buona fede e dell’affidamento dei concorrenti, suscettibile di essere, se del caso, salvaguardato – fermi gli effetti rimotivi della revoca legittimamente esercitata – in sede di responsabilità precontrattuale,<em> sub specie facti</em> (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).</p> <p style="text-align: justify;">Deve, con ciò, pregiudizialmente escludersi per il Collegio che il ritiro degli atti di gara importi, a favore dei concorrenti, l’obbligo di pagamento dell’indennizzo, previsto dall’art.21 <em>quinquies</em> l .n 241/1990, seconda parte, in caso di revoca produttiva di pregiudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Invero:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) per un verso l’indennizzo è legalmente dovuto esclusivamente ai soggetti “<em>direttamente interessati</em>” dal provvedimento di revoca (cfr. art. 21 <em>quinquies</em>, comma 1 <em>ad finem</em>), vale a dire ai soggetti ai quali l’opzione revocatoria finisca per sottrarre, sia pure legittimamente e per ragioni di pubblico interesse, una utilità ovvero un bene della vita già acquisito al patrimonio (tali non potendo essere, per definizione, considerati gli operatori economici, per il solo fatto che abbiano formulato la loro offerta in sede evidenziale): cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 2025, che, sulla scorta di orientamento consolidato contrappone, ai fini in parola, gli “<em>atti ad effetti instabili od interinali</em>” a quelli “<em>definitivamente attributivi di vantaggi, e dunque ad effetti durevoli</em>”;</li> <li>b) per altro (e coerente) verso, laddove la misura revisionale incida rimotivamente su atti amministrativi generali (quali sono, come vale ripetere, gli atti indittivi di procedure evidenziali), non sussistono – prima della conclusione, con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, del procedimento – posizioni di affidamento qualificato, meritevoli di tutela compensativa indennitaria.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Depongono per il Collegio chiaramente in tal senso:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) il confronto sistematico con la analoga regola di cui all’art. 11, comma 4 della l. n. 241/1990, che – con riferimento alle ipotesi in cui il “<em>provvedimento finale</em>” sia, come è sempre possibile, surrogato dall’accordo delle parti – prevede la liquidazione di un indennizzo (peraltro meramente “<em>eventuale</em>”) in caso di recesso per sopravvenuti motivi di interesse pubblico: laddove è chiaro, per un verso, che il “<em>recesso</em>” in questione – ben diversamente dal quello genericamente codificato all’art. 21 <em>sexies</em>della medesima legge per la facoltà di soluzione unilaterale dei vincoli contrattuali <em>jure privatorum</em>– è strutturalmente e funzionalmente assimilabile alla revoca provvedimentale e che, per altro verso, la tutela indennitaria postula la rimozione di un assetto di interessi “<em>finale</em>”, nella specie affidato all’accordo sostitutivo in luogo della decisione conclusiva del procedimento (art. 3 l. cit.);</li> <li>b) l’art. 32, comma 8 del d. lgs. n. 50/2016, che – ripetendo la regola già codificata all’art. 11, comma 9 del previgente d.lgs. n. 163/2006, applicabile <em>ratione temporis</em>nel caso di specie – evoca l’esercizio dei poteri di “<em>aututela</em>” successivi al consolidamento, con l’aggiudicazione definitivamente efficace, della posizione del concorrente utilmente collocato in graduatoria: il che – se non esclude la più generale facoltà di ritiro degli atti endoprocedimentali – conferma la non (integrale) applicabilità dell’art. 21 <em>quinquies</em> n. 241/1990, in assenza di provvedimento “conclusivo del procedimento” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2019, n. 5597; Id., sez. V, 9 novembre 2018, n. 6323).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Sotto altro profilo, per il Consiglio è senz’altro vero, in premessa, che la legittimità della revoca non necessariamente esclude la lesione dell’affidamento della parte privata, rilevante in termini di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., pacificamente operante anche nei rapporti (segnatamente di matrice prenegoziale) tra privati e pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Le due vicende operano, in effetti, su piani distinti:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la legittimità della determinazione provvedimentale rimotiva rileva <em>sub specie acti</em> e si confronta con il doveroso rispetto delle regole di validità imposte all’azione amministrativa (cfr. art. 1 l. n. 241/1990);</li> <li>b) la correttezza della correlata opzione soprassessoria opera (<em>ad instar</em> del rifiuto di addivenire alla stipula del contratto) <em>sub specie facti</em> e si misura con le regole di condotta imposte all’Amministrazione all’esito della instaurazione del “<em>contatto sociale qualificato</em>” con i soggetti privati.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Ne discende che la riconosciuta validità della fattispecie provvedimentale non osta al riconoscimento del danno derivante dalla violazione delle regole di buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">A tal fine occorre tuttavia, per il Collegio, tenere distinte:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) l’ipotesi della revoca giustificata da “<em>sopravvenuti motivi di pubblico interesse</em>” (eventualmente correlate al sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento): c.d. sopravvenienza di diritto;</li> <li>b) l’ipotesi del “<em>mutamento della situazione di fatto</em>”: c.d. sopravvenienza di fatto;</li> <li>c) l’ipotesi di “<em>nuova valutazione dell’interesse pubblico originario</em>”: c.d. <em>jus poenitendi</em>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Nel primo caso, la sopravvenienza è, per definizione, imprevedibile e non imputabile all’Amministrazione, che, perciò, non può incorrere in responsabilità per aver doverosamente adeguato la propria azione all’aggiornato quadro degli interessi rilevanti: qui – ove la revoca sia legittima – non è dato prefigurare una condotta scorretta, fonte di pregiudizio precontrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">Nel secondo caso, la responsabilità è normativamente ancorata alla eventuale “<em>prevedibilità imputabile</em>” del mutamento del quadro fattuale: solo l’imprevedibilità dello stesso, alla luce di un canone di qualificata diligenza operativa, esonera da responsabilità (in questo caso fondata sulla colpa dell’Amministrazione, per non aver previsto situazioni obiettivamente prevedibili).</p> <p style="text-align: justify;">Nel terzo caso, infine, la responsabilità è ancorata alla lesione dell’affidamento della controparte privata, in quanto l’Amministrazione non si sia conformata ad un canone di correttezza e di buona fede (art. 1337 c.c.).</p> <p style="text-align: justify;">Ne discende per il Collegio che:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) nel caso della revoca per sopravvenienza di diritto, al privato spetta, sempreché ne ricorrano le condizioni, l’indennizzo da revoca legittima o il risarcimento integrale del danno da revoca riconosciuta illegittima;</li> <li>b) nel caso della revoca per sopravvenienza di fatto, al privato spetta l’indennizzo (limitato, nel caso del comma 1 bis dell’art. 21 <em>quiquies</em> n. 241/1990, al “<em>danno emergente</em>”) in caso di revoca legittima e il risarcimento dei danni (comprensivo dell’interesse positivo, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante: cfr. art. 1223 c.c.) in caso di revoca illegittima;</li> <li>c) nel caso di revoca penitenziale, spetta il risarcimento del danno precontrattuale (nei limiti dell’interesse negativo, ancorché comprensivo del lucro cessante: cfr. art. 1337 c.c.) anche nella ipotesi di revoca legittima, ma operata in modo scorretto (tipicamente, per inadeguato apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto a base del provvedimento impugnato), mentre compente il risarcimento integrale del danno in caso di revoca illegittima.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">La fattispecie in esame – conclude a questo punto il Collegio - rappresenta una forma di revoca penitenziale, in quanto il ritiro degli atti della prima gara è stato giustificato dall’organo commissariale (sopraggiunto) in virtù di un ripensamento in ordine alla miglior corrispondenza all’interesse pubblico delle modalità originariamente prescelte.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, sulla decisione hanno inciso anche circostanze sopravvenute, date essenzialmente dall’intervento della Corte di Giustizia e della pedissequa istituzione di un Commissario straordinario ai fini di una più tempestiva e congrua attuazione degli interventi di pertinenza.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio tali sopravvenienze evidenziano che il Commissario, succeduto al Comune, non ha violato le regole di correttezza, essendosi immediatamente attivato ai fini di una migliore organizzazione dei tempi e delle risorse destinate al superamento della situazione per la quale era stata attivata la procedura di infrazione in danno dello Stato Italiano.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile vede la luce l’importante ordinanza delle SSUU della Cassazione n.8236 in tema di <a name="_Toc46937622"></a>“<em>contatto</em>” tra PA e privato, “<em>rapporto relazionale</em>” intercorso, doveri di protezione, responsabilità pubblica ex art.1218 c.c. e giurisdizione del GO</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi anche da Cass. 25644/2017), che le Sezioni Unite ritengono di confermare, deve affermarsi che la responsabilità che grava sulla PA per il danno prodotto al privato a causa delle violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti - la PA e il privato che con questa sia entrato in relazione - che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della PA medesima.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale; con l'avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto.</p> <p style="text-align: justify;">I principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 – precisa la Corte - valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell'affidamento derivante dalla adozione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo favorevole al privato, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell'Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perché, l'Amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul piano del comportamento (la "<em>dimensione relazionale complessiva tra l'Amministrazione ed il privato</em>"), nemmeno esistendo un provvedimento cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.</p> <p style="text-align: justify;">L’iter motivazionale delle SSUU muove dalle deduzioni processuali sollevate, nel caso di specie, dall'Amministrazione (comunale) laddove questa deduce che, ai sensi degli artt. 30 e 133 c.p.a., anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 2-bis, la controversia pertinente rientrerebbe nella <em>potestas iudicandi</em> del GA per essere riconducibile alla giurisdizione esclusiva del medesimo sotto due autonomi profili.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto un primo profilo, si argomenta che, mancando un provvedimento positivo dell'Amministrazione comunale idoneo a giustificare un qualsiasi legittimo affidamento della società attrice, la doglianza di quest'ultima sarebbe in definitiva riconducibile alla mera violazione dei termini procedimentali. Donde la qualificazione della domanda come domanda di risarcimento del danno da ritardo, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che, appunto, attribuisce a tale giurisdizione esclusiva "<em>le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Sotto un secondo profilo il Comune argomenta che la controversia rientrerebbe nella materia di edilizia ed urbanistica, del pari attribuita alla giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il Comune poi – prosegue il Collegio - nega la riconducibilità della fattispecie ai principi enunciati dalle Sezione Unite nell'ordinanza 6594/2011, sottolineando come, nella specie, nessun titolo abilitativo fosse mai stato rilasciato alla società attrice e, quindi, nessun affidamento potesse essere sorto in capo alla medesima.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare il Comune evidenzia che: - il parere favorevole della Commissione urbanistica prot. n. 19715/2014 era subordinato al superamento di specifici profili di inadeguatezza del progetto; - ai sensi della L.R. n. 19 del 2009, art. 35, la deroga agli strumenti urbanistici poteva essere autorizzata solo dal Consiglio comunale; - la comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale costituiva atto di natura meramente endoprocedimentale (il ricorrente richiama, al riguardo, Cons. Stato n. 3594/2005); - la richiesta di un parere alla Regione, dopo la rielaborazione del progetto fornito dalla società per uniformare il medesimo al PAIR, era legittima e doverosa; - la variante n. 48 non aveva eliminato l'edificabilità dell'area e, d'altra parte lo strumento che dettava il previgente assetto urbanistico - la variante n. 40 – non aveva generato alcun legittimo affidamento, non essendo giuridicamente protetto l'interesse del privato all'immutabilità della classificazione urbanistica dell'area di relativa proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">La parte privata – prosegue a questo punto la Corte - contesta le argomentazioni dell'Amministrazione ricorrente e sostiene che la giurisdizione sulla controversia <em>de qua</em> apparterrebbe al GO perchè l'oggetto della domanda da lei proposta è costituito dal risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell'affidamento ingenerato dai provvedimenti favorevoli e dalle rassicurazioni fornite dall'Amministrazione municipale.</p> <p style="text-align: justify;">Ad avviso della controricorrente la presente fattispecie sarebbe riconducibile nell'ambito dei principi espressi nella ordinanza delle Sezioni Unite n. 6594/2011.</p> <p style="text-align: justify;">Il Procuratore Generale ha concluso per l'affermazione della giurisdizione del GA, negando che i principi espressi nella menzionata ordinanza n. 6594/2011 (e nelle coeve ordinanze nn. 6595/2011 e 6596/2011) siano applicabili nella fattispecie. Tali principi, argomenta il Procuratore Generale, postulano l'esistenza di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, sulla cui legittimità il medesimo privato abbia fatto affidamento e che successivamente sia stato caducato, in via di autotutela (come appunto nelle ipotesi di revoca) o in sede giurisdizionale; detto provvedimento ampliativo, nella specie, non sarebbe mai stato adottato, non avendo il Comune mai rilasciato alcun permesso di costruire alla società D.C. Costruzioni.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio preliminarmente rileva che tutti gli argomenti spiegati dal Comune per escludere che la società ricorrente potesse vantare un legittimo affidamento nell'approvazione del relativo progetto edilizio sono irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di giurisdizione. Tali argomenti, infatti, tendono a dimostrare che in capo alla società X non poteva essere sorto alcun affidamento sull'esito positivo del procedimento concessorio, cosicché la situazione soggettiva di cui la società attrice lamenta la lesione sarebbe in radice insussistente.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di argomenti che attengono al merito della controversia, mentre, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione "<em>è determinata dall'oggetto della domanda</em>" e, va sottolineato, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto.</p> <p style="text-align: justify;">Infondato va poi giudicato per il Collegio l'assunto della difesa del Comune secondo cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del GA ai sensi dell'art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo. Infatti la domanda della società X, sebbene nella citazione introduttiva venga colorata anche con riferimento alla dedotta violazione della disciplina dei termini procedimentali, in effetti non si fonda sul fatto che il Comune avrebbe tardato nel provvedere (negativamente o positivamente) sulla istanza di permesso di costruire.</p> <p style="text-align: justify;">Tale domanda – precisata dall'attrice nella relativa prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 - risulta fondata, in sostanza, sul fatto che il Comune ha provveduto negativamente sulla suddetta istanza dopo avere tenuto per lungo tempo comportamenti che, nella prospettazione dell'attrice, avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento in un esito positivo del procedimento concessorio ("<em>il Comune di Lignano dopo aver a più riprese espresso parere favorevole al progetto, riconoscendone oltre tutto anche la valenza di opera pubblica.... è venuto successivamente, dopo cinque anni, facendo dietro front, modificando completamente il proprio orientamento</em>").</p> <p style="text-align: justify;">La <em>causa petendi</em> della domanda della società privata non è, quindi, l'inosservanza di un termine procedimentale, bensì la violazione dell'affidamento ingenerato dall'Amministrazione comunale in un determinato esito, favorevole alla società attrice, del procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Più articolato – prosegue il Collegio - è il discorso da svolgere riguardo all'assunto del Comune secondo cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del GA ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio. E' indubbio, infatti, che una controversia relativa all'esercizio del potere di rilasciare o non rilasciare un permesso di costruire rientri nella materia urbanistica ed edilizia ed è, quindi, attratta nella giurisdizione esclusiva del GA anche quando la situazione soggettiva dedotta in giudizio abbia consistenza di diritto soggettivo (come si verifica, ad esempio, quando l'oggetto della domanda abbia ad oggetto il risarcimento del danno causato da un atto illegittimo di esercizio di tale potere).</p> <p style="text-align: justify;">La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla società X, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione della società attrice, non è stato causato da "<em>atti</em>" o "<em>provvedimenti</em>" dell'Amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in quest'ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità).</p> <p style="text-align: justify;">Un danno, cioè, da comportamento e non da provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Inquadrato il tema nei termini anzidetti, il Collegio osserva a questo punto che con le tre (note e) coeve ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 le Sezioni Unite hanno ritenuto rientrante nella giurisdizione del GO:</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela (sent. n. 6594/2011), e, dunque, annullato o revocato dalla PA adottante;</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento riposto nell'attendibilità della attestazione rilasciata dalla PA (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un'area (chiesta da un privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (sent. n. 6595/11);</p> <p style="text-align: justify;">- la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo ottenuto l'aggiudicazione in una gara per l'appalto di un pubblico servizio, successivamente annullata dal GA, deduca la lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo (sent. n. 6596/11).</p> <p style="text-align: justify;">Alla base delle suddette pronunce – chiosa ancora la Corte - vi era, in sostanza, la considerazione che i privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non mettevano in discussione l'illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o <em>ope judicis</em>, ma lamentavano piuttosto la lesione del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all'annullamento di tali atti, nella relativa legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza successiva alle tre suddette ordinanze ha peraltro evidenziato la coesistenza, all'interno delle Sezioni Unite, di linee di interpretative non perfettamente collimanti.</p> <p style="text-align: justify;">Da un lato, infatti, i principi espressi nelle tre ordinanze del 2011 risultano ripresi e confermati nelle pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l'affermazione che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del GO perché ha ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo; diritto generalmente qualificato come "<em>diritto alla conservazione dell'integrità del patrimonio</em>", leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato (su tale qualificazione si vedano, tra le altre, le sentenze nn. 12799/2017, 1654/2018 e 6885/2019).</p> <p style="text-align: justify;">D'altro lato, tuttavia, non sono mancate pronunce che, discostandosi da tale orientamento, hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva l'azione risarcitoria per lesione dell'affidamento riposto nella legittimità dell'atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del GA; si veda, in questo senso, SSUU n. 8057/2016 (ove si afferma che "<em>l'azione amministrativa illegittima composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi - non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l'agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l'affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione</em>") e SSUU n. 13454/2017 (ove si afferma che "<em>la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione d'interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell'aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la mancata stipula del contratto</em>").</p> <p style="text-align: justify;">Da ultimo, in SSUU n. 13194/2018 si è ritenuto che i principi fissati nelle ordinanze del 2011 non siano applicabili qualora difetti il presupposto della sussistenza di un "<em>provvedimento ampliativo</em>" della sfera giuridica del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo le pronunce testé menzionate, in sostanza, quello che per il Collegio viene in discussione nelle vicende processuali in esame è l'agire provvedimentale nel relativo complesso; la giurisdizione esclusiva del GA si giustifica in ragione del contesto, o dell'ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell'Amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l'esercizio del potere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Il caso oggi all'esame del Collegio medesimo si caratterizza, precisa a questo punto la Corte - al pari di quello oggetto di SSUU n. 13194/2018 - per l'assenza di un provvedimento ampliativo della sfera del privato; la società X, infatti, deduce di aver riposto il proprio affidamento non in un provvedimento concessorio (pacificamente mai emesso) ma nel comportamento dell'Amministrazione municipale, la quale avrebbe protratto per anni l'esame della pratica edilizia, in vario modo inducendo (con la comunicazione di atti endoprocedimentali, con la formulazione di apprezzamenti positivi sul piano dell'opera, con la divulgazione sui giornali del progetto di intervento edilizio) a confidare ragionevolmente nel positivo esito della stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Ai fini del giudizio sul regolamento di giurisdizione si tratta quindi, in definitiva, di stabilire se la giurisdizione del GO, affermata dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 in relazione a domande di risarcimento del danno da lesione dell'affidamento derivante dalla adozione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo (nelle quali, come icasticamente sottolineato nella citata ordinanza n. 17586/2015, "<em>l'esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole di un atto apparentemente legittimo</em>") debba essere affermata anche, e con maggior forza, quando nessun provvedimento amministrativo sia stato adottato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero un comportamento dell'Amministrazione; o se, al contrario, nel caso in cui nessun provvedimento ampliativo sia mai venuto ad esistenza, l'affidamento riposto dal privato nella futura adozione di un provvedimento a lui favorevole non costituisca altro che un mero riflesso, ininfluente sulla giurisdizione, di un'azione amministrativa - intesa come sequela di atti intrinsecamente connessi la cui legittimità/illegittimità costituisce, in definitiva, l'oggetto della controversia; con conseguente affermazione della giurisdizione del GA tutte le volte che si versi in una materia di giurisdizione esclusiva del medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Per affrontare la questione testé delineata è preliminarmente necessario per la Corte tornare sulle ragioni – importanti anche sul crinale della revoca del provvedimento amministrativo - che stanno alla base dell'orientamento inaugurato dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011.</p> <p style="text-align: justify;">Dette ordinanze, come è noto, hanno marcato una discontinuità nella giurisprudenza di legittimità, superando il precedente orientamento – ben rappresentato dalla sentenza n. 8511/2009 - che riteneva sufficiente, al fine del radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, in tal modo, risolveva l'operazione di riparto della giurisdizione nella mera definizione dell'area coperta dalle materie delineate dal legislatore.</p> <p style="text-align: justify;">Le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 hanno invece affermato che:</p> <p style="text-align: justify;">- la giurisdizione amministrativa presuppone l'esistenza di una controversia sul legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela (cautelare, cognitoria ed esecutiva) contro l'agire pubblicistico della PA;</p> <p style="text-align: justify;">- l'attribuzione al GA del potere di condannare l'Amministrazione al risarcimento del danno conseguente al modo in cui essa ha esercitato il potere tende a rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della PA, concentrando innanzi al GA non solo la fase del controllo di legittimità dell'azione amministrativa, ma anche quella del risarcimento del danno; tale attribuzione, tuttavia, non individua una nuova materia attribuita alla giurisdizione del GA (quest'ultima affermazione risale, peraltro, a C. Cost. n. 204/2005 p. 3.4.1);</p> <p style="text-align: justify;">- l'attribuzione al GA della tutela risarcitoria costituisce, quindi, uno strumento ulteriore, complementare rispetto alla tradizionale tutela demolitoria, per rendere giustizia al cittadino nei confronti della PA;</p> <p style="text-align: justify;">- il presupposto perchè si possa predicare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, tuttavia, è che il danno di cui si chiede il risarcimento nei confronti della PA sia causalmente collegato alla illegittimità del provvedimento amministrativo; in altri termini, che la <em>causa petendi</em> dell'azione di danno sia la illegittimità del provvedimento della PA;</p> <p style="text-align: justify;">- esula, pertanto, dalla giurisdizione amministrativa la domanda con cui il destinatario di un provvedimento illegittimo ampliativo della relativa sfera giuridica chieda il risarcimento del danno subito a causa della adozione e del successivo annullamento (ad opera del giudice o della stessa PA, in via di autotutela) di tale provvedimento; la <em>causa petendi</em> di detta domanda, infatti, non è la illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì la lesione dell'affidamento dell'attore nella legittimità del medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Alle suddette affermazioni – chiosa la Corte - è stato obiettato in dottrina che l'interesse legittimo è una posizione tipicamente relazionale, che, cioè, esprime il rapporto tra il cittadino e l'Amministrazione nell'esercizio di un potere, cosicché l'interesse legittimo del destinatario dell'azione amministrativa dovrebbe ritenersi leso non solo quando l'Amministrazione gli neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche quando tale provvedimento gli venga illegittimamente rilasciato; salvo che, in questo secondo caso, la lesione dell'interesse legittimo non sarebbe produttiva di danno.</p> <p style="text-align: justify;">L'obiezione illustrata non può tuttavia per il Collegio assumersi dirimente. Il rilievo, pur di per sé certamente condivisibile, che l'interesse legittimo consiste nella pretesa ad un provvedimento favorevole che derivi dall'attività legittima dell'Amministrazione non significa, tuttavia, che il danno lamentato dal privato che abbia ottenuto un determinato bene della vita mediante un provvedimento amministrativo illegittimo, successivamente annullato, sia stato causato dall'atto favorevole illegittimo; quest'ultimo, in quanto favorevole, non ha prodotto alcun danno al relativo destinatario, ancorché illegittimo.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie causativa del danno non consiste, pertanto, nella lesione dell'interesse legittimo del destinatario del provvedimento, bensì nella lesione dell'affidamento che costui ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò perché, come la Corte si è fatta carico di chiarire con la già menzionata ordinanza n. 17586/2015, la scaturigine del danno costituente l'oggetto della pretesa risarcitoria del privato non consiste nella mera illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì nella lesione dell'affidamento del privato sulla legittimità di tale atto; si tratta, cioè, di una fattispecie complessa, che richiede il concorso, con tale illegittimità, anche di ulteriori circostanze, la cui attitudine a fondare la fiducia incolpevole deve essere valutata caso per caso (vedi pag. 26, penultimo capoverso, di detta ordinanza: "<em>L'adozione del provvedimento non viene in rilievo, dunque, nel suo mero risultato sul piano dell'azione amministrativa e, quindi, dell'esercizio in concreto del potere, bensì come elemento che deve avere avuto efficacia causativa del danno-evento rappresentato dalla determinazione dell'affidamento incolpevole e tale efficacia causativa, lungi dall'essere automaticamente ricollegabile di per sé al modo in cui il potere è stato esercitato e, dunque, al suo risultato, il provvedimento illegittimo, postula l'allegazione di ulteriori elementi in concorso con i quali l'adozione del provvedimento riveli quell'efficacia causale</em>").</p> <p style="text-align: justify;">Non appare dunque persuasivo per la Corte l'argomento, sostenuto da una parte della dottrina, che - poiché il provvedimento favorevole giustamente annullato è comunque espressione del potere pubblico - la lesione che esso arreca dovrebbe essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del GA; tale argomento, infatti, trascura la considerazione, già svolta <em>supra</em>, che la lesione di cui si discute non è causata dal provvedimento favorevole (illegittimo - e, perciò, giustamente annullato - ma non dannoso per il relativo destinatario), bensì dalla fattispecie complessa costituita dall'adozione dell'atto favorevole illegittimo, dall'incolpevole affidamento del beneficiario nella relativa legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell'atto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">La lesione, cioè, discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l'esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell'Amministrazione; regole la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; come perspicuamente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza dell'Adunanza plenaria n. 5 del 2018 (p. 34), "<em>non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto</em>)".</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio ritiene altresì – a questo punto - di confermare il rilievo, anch'esso svolto nella menzionata ordinanza n. 17586/2015 - e, in precedenza, nell'ordinanza n. 1162/2015 - che i principi fissati nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs., n. 80 del 1998, non hanno perso attualità a causa dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010.</p> <p style="text-align: justify;">Non incidono sulla tenuta di detti principi, infatti, né dell'art. 7 c.p.a., comma 1, là dove devolve "<em>alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni</em>"; nè dell'art. 30 c.p.a., comma 2, là dove stabilisce che al giudice amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, "<em>può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Quanto al disposto dell'art. 7, comma 1, c.p.a., va considerato per le SSUU che, anche secondo tale disposizione, la giurisdizione amministrativa - pure quella su diritti, ove si versi in materia di giurisdizione esclusiva - postula che sia in questione "<em>l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo</em>" e che, anche quando la controversia riguardi meri comportamenti, deve pur sempre trattarsi, secondo una formulazione normativa ricalcata sul dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 191/2006, di comportamenti "<em>riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso in cui - secondo la domanda dell'attore (al cui oggetto l'art. 386 c.p.c. àncora la decisione sulla giurisdizione) - il comportamento della PA abbia leso l'affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento dell'Amministrazione e l'esercizio del potere. Il comportamento dell'Amministrazione rilevante ai fini dell'affidamento del privato, infatti, si pone - e va valutato - su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Detto comportamento si colloca per il Collegio in una dimensione relazionale complessiva tra l'Amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o, addirittura, essere legittimo, così da risultare "<em>un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico</em>" (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata, p. 33).</p> <p style="text-align: justify;">Quanto al disposto dell'art. 30, comma 2, c.p.a., va sottolineato per la Corte che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce per concentrare la tutela davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in particolari materie, indicate dalla legge, caratterizzate per lo stretto intreccio che si determina, a fronte dei provvedimenti autoritativi della PA, tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Se, dunque, come ha sottolineato la Corte costituzionale, il sistema della giustizia amministrativa si è complessivamente evoluto nel senso che esso "<em>da giurisdizione sull'atto, sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul rapporto amministrativo</em>" (Corte Cost. n. 179/2016, p. 3.1), va tuttavia ribadito che, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti nell'esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò è stato chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, p. 3.4.2, là dove, con riferimento alla materia dei pubblici servizi, si giudica costituzionalmente illegittimo il riferimento a "<em>tutte le controversie</em>", sul rilievo che la "<em>materia</em>" così individuata "<em>prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicchè, inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è </em>naturaliter<em> presente nel settore dei pubblici servizi</em>"; per poi concludere che tale materia "<em>può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo: della L. n. 241 del 1990, art. 11</em>)".</p> <p style="text-align: justify;">In continuità con tale affermazione – proseguono le SSUU - la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 191/2006, ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del GA delle controversie relative a "<em>comportamenti</em>" collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, definendo tali comportamenti come quelli che "<em>costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi... e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Perché sussista la giurisdizione del GA, in definitiva, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la controversia inerisca ad una situazione di potere dell'Amministrazione. E' necessario cioè, chiosa ancora il Collegio, che la <em>causa petendi</em> si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, come già accennato, in un comportamento (nel cui ambito l'atto di esercizio del potere amministrativo - provvedimentale o adottato secondo moduli convenzionali - rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato.</p> <p style="text-align: justify;">Deve quindi concludersi per il Collegio riprendendo ancora una volta l'insegnamento della Corte costituzionale, che per radicare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice amministrativo "<em>è richiesto che l'amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti</em> (le "<em>particolare materie</em>" devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, n.d.r.)<em>, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purchè questi ultimi siano posti in essere nell'esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario</em>" (così C.Cost. n. 35/2010 p. 2.2).</p> <p style="text-align: justify;">Prima di concludere l'esame dei principi espressi nelle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 va svolta per il Collegio ancora una precisazione sulla esatta identificazione della situazione soggettiva, l'affidamento, la cui lesione ha dato origine alle controversie che dette ordinanze hanno attribuito alla giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">Come sottolineato da avvertita dottrina, la nozione di affidamento che rileva nella prospettiva delle suddette pronunce non è quella, generalmente definita come "<em>affidamento legittimo</em>", la cui forma tipizzata di tutela si rinviene nella disciplina dell'annullamento di ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo dettata dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies.</p> <p style="text-align: justify;">Quest'ultimo modello di tutela prescinde da considerazioni legate all'elemento soggettivo della condotta dell'Amministrazione e delle parti private (colpa, diligenza, buona fede etc.) e si risolve nella verifica della legittimità degli atti formali attraverso cui si esprime il potere discrezionale dell'Amministrazione di ponderare l'interesse pubblico alla rimozione di un atto illegittimo con gli interessi privati del beneficiario di tale atto e degli eventuali controinteressati.</p> <p style="text-align: justify;">L'affidamento a cui si fa riferimento nelle tre ripetute ordinanze del 2011, e nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate per contro – precisa significativamente la Corte - è una situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel relativo collegamento con l'interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'Amministrazione fondata sulla buone fede.</p> <p style="text-align: justify;">E' propriamente in questa prospettiva che, come sopra sottolineato, il provvedimento favorevole, unito alle specifiche circostanze che abbiano dato fondamento alla fiducia nella legittimità e nella stabilità del medesimo, viene in considerazione quale elemento di una situazione che chiede protezione contro le conseguenze dannose della fiducia mal riposta.</p> <p style="text-align: justify;">La precisazione svolta testé impone peraltro, per il Collegio, una ulteriore puntualizzazione: non si può dar seguito all'affermazione, che si rinviene in molti dei precedenti, che individua la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della PA nel "<em>diritto soggettivo alla conservazione dell'integrità del patrimonio</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Il patrimonio di un soggetto, infatti, è l'insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo fanno capo. La conservazione dell'integrità del patrimonio, pertanto, altro non è che la conservazione di ciascuno dei diritti, e delle altre situazioni soggettive attive, che lo compongono. La nozione di "<em>diritto alla conservazione dell'integrità del patrimonio</em>" risulta dunque, in definitiva, priva di consistenza autonoma, risolvendosi in una formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive attive che fanno capo ad un soggetto.</p> <p style="text-align: justify;">Va invece ribadito che la situazione soggettiva lesa a cui si riferiscono i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi - a cui le Sezioni Unite intendono dare conferma e seguito - si identifica nell'affidamento della parte privata nella correttezza della condotta della PA.</p> <p style="text-align: justify;">La tutela dell'affidamento – chiosa ancora la Corte - rientra tra i principi dell'ordinamento comunitario (ai quali l'attività amministrativa deve uniformarsi ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 1), come la Corte di giustizia ha dichiarato fin dalla sentenza CGUE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer, dove si affermò che "<em>il principio della tutela del legittimo affidamento.... fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza costituirebbe, ai sensi del predetto articolo, "</em>una violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione"" (p.p. 18 e 19). Secondo la Corte di Lussemburgo tale principio costituisce un corollario del principio della certezza del diritto (CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet, p. 46).</p> <p style="text-align: justify;">Osserva al riguardo il Collegio che, se è innegabile che tra il principio di affidamento e quello della certezza del diritto esistano ampi margini di sovrapposizione, la distinzione tra tali principi può essere tuttavia tracciata in relazione ai loro rispettivi contenuti, giacché, come sottolineato da attenta dottrina, nella tutela dell'affidamento appare centrale la dimensione soggettiva, che è rappresentata dalla pretesa di un soggetto qualificata dalla previsione di una regola (generale o speciale) precedente, mentre rispetto alla certezza del diritto si impone una dimensione oggettiva, che attinge alla identità del diritto e coinvolge, in ultima analisi, un valore intrinseco alla giuridicità.</p> <p style="text-align: justify;">Nella stessa giurisprudenza di Lussemburgo, peraltro, non mancano espliciti riferimenti alla dimensione "<em>soggettiva</em>" dell'affidamento; nella sentenza CGUE 14 marzo 2013 C-545/11, <em>Agrargenossenschaft Neuzelle</em>, per esempio - dopo le affermazioni, corredate dai richiami ai pertinenti precedenti, che "<em>secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo affidamento rientra fra i principi fondamentali dell'Unione</em>" (p. 23) e che "<em>il diritto di avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un'istituzione dell'Unione ha fatto sorgere fondate speranze</em>" (p. 24) si enuncia il principio secondo il quale "<em>costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili</em>" (p. 25).</p> <p style="text-align: justify;">Negli stessi termini, da ultimo, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17, Deza a.s. (p. 70).</p> <p style="text-align: justify;">Nell'ordinamento nazionale, peraltro, il principio della tutela dell'affidamento nei confronti della condotta della PA risulta specificato, rispetto alle regole civilistiche generali, da numerose disposizioni che disciplinano direttamente l'attività amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell'atto amministrativo: si pensi – chiarisce emblematicamente la Corte – in primo luogo proprio alla previsione dell'indennizzo nel caso della revoca di un provvedimento che rechi pregiudizio agli interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies); ai limiti cronologici del potere di annullamento di ufficio dei provvedimenti illegittimi e al dovere di tener conto, nell'esercizio di tale potere, degli interessi dei destinatari del provvedimento e dei contro interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies); all'obbligo delle PPAA (e dei privati preposti all'esercizio di attività amministrative) di risarcire il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 bis, comma 1; disposizione, quest'ultima, che configura un danno da ritardo che prescinde dalla spettanza del bene della vita oggetto del provvedimento adottato in violazione del termine e che, come sottolineato dal Consiglio di Stato, "<em>deriva dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: il ritardo nell'adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l'adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell'amministrazione</em>" (ancora sent. n. 5/2018, p. 42).</p> <p style="text-align: justify;">Le disposizioni della L. n. 241 del 1990 <em>supra</em> richiamate – proseguono le SSUU - disciplinano direttamente, come del pari sopra sottolineato, l'esercizio del potere amministrativo, cosicché la relativa violazione determina l'illegittimità dell'atto di esercizio di tale potere, aprendo la strada alla tutela demolitoria e risarcitoria davanti al giudice amministrativo. Esse, pertanto, non rilevano direttamente ai fini del discorso che qui si va conducendo, che, come evidenziato, concerne le ipotesi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l'esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la PA si deve uniformare come qualunque altro soggetto.</p> <p style="text-align: justify;">Le suddette disposizioni della L. n. 241 del 1990, tuttavia, interessano in questa sede per il loro rilievo di carattere sistematico, in quanto - al pari di altre disposizioni emergenti da settori specifici del diritto pubblico, quale, ad esempio, l'art. 10 dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), introduttivo del "<em>principio della collaborazione e della buona fede</em>" nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria - rappresentano un indice del progressivo orientamento del nostro ordinamento verso un'idea di "<em>diritto amministrativo paritario</em>", per usare una celebre formula dottrinaria di quasi mezzo secolo fa, coerente con i principi di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione fissati dall'art. 97 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Un'idea del diritto amministrativo – conclude significativamente la Corte - che postula un modello di PA permeato dai principi di correttezza e buona amministrazione, consapevole dell'impatto che l'azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese (cfr. Cons. Stato n. 1457/2018, p. 9.2) ed orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.</p> <p style="text-align: justify;">Al modello di PA così delineato non possono, evidentemente, non attagliarsi anche quei doveri generali di correttezza e buona fede di matrice civilistica la cui violazione fonda una responsabilità da lesione dell'affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità (ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">E' ancora necessario, da ultimo, mettere a fuoco con precisione la natura della responsabilità che sorge in capo alla pubblica amministrazione per effetto della lesione dell'affidamento del privato. Ritengono le Sezioni Unite che detta responsabilità vada ricondotta al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato.</p> <p style="text-align: justify;">Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta, infatti, una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che trova il proprio principale fondamento nell'art. 2 Cost. e grava reciprocamente su tutti i membri della collettività.</p> <p style="text-align: justify;">Tale dovere si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull'altrui condotta corretta e protettiva.</p> <p style="text-align: justify;">Deve quindi riconoscersi l'esistenza di una proporzionalità diretta tra l'ambito e il contenuto dei doveri di protezione e correttezza, da un lato, e il grado di intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo ingenerato, dall'altro; cosicché, come persuasivamente affermato dal Consiglio di Stato nella più volte citata sentenza n. 5 del 2018, "<em>da chi esercita, ad esempio, un'attività professionale "</em>protetta<em>" (ancor di più se essa costituisce anche un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità) e, a maggior ragione, da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell'affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal </em>quisque de populo" (p. 24).</p> <p style="text-align: justify;">Vi è quindi per la Corte un <em>quid pluris</em> rispetto al generale precetto del <em>neminem laedere</em>; non si tratta della generica "<em>responsabilità del passante</em>", ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l'Amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest'ultimo entra in contatto con la prima.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla scorta dei rilievi sviluppati sin qui le Sezioni Unite ritengono di dover valorizzare - generalizzandone gli esiti oltre il mero ambito dell'attività contrattuale della PA l'orientamento che connota la responsabilità da lesione dell'affidamento del privato entrato in relazione con la PA come responsabilità da contatto sociale qualificato dallo <em>status</em> della Pubblica Amministrazione quale soggetto tenuto all'osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti.</p> <p style="text-align: justify;">Il contatto, o, per meglio dire, il rapporto tra il privato e la PA deve essere inteso come il fatto idoneo a produrre obbligazioni "<em>in conformità dell'ordinamento giuridico</em>" (art. 1173 c.c.) dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta l'art. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c.(buona fede).</p> <p style="text-align: justify;">Del suddetto orientamento – proseguono le SSUU - si trova traccia nella giurisprudenza della Suprema Corte fin dalla sentenza n. 157 del 2003, dove già si affermava (pagg. 31-33) che "<em>con la L. 7 agosto 1990, n. 241, i principi di efficienza e di economicità dell'azione amministrativa e, insieme, di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, sono diventati criteri giuridici positivi</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">La nuova concezione dell'attività amministrativa – proseguono le SSUU - non può non avere riflessi sull'impostazione del problema della responsabilità della PA. Il modello della responsabilità aquiliana appare il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del diritto soggettivo si verifica in presenza di un'attività materiale (comportamento senza potere dell'amministrazione) che abbia leso l'interesse al bene della vita di un qualsiasi soggetto, al di fuori di un rapporto. Il contatto del cittadino con l'Amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell'ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l'interlocutore dell'attività procedimentale, diviene specifico e dfferenziato.</p> <p style="text-align: justify;">Dall'inizio del procedimento l'interessato, non più destinatario passivo dell'azione amministrativa, diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza 500/99/SU identifica nelle "<em>regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità</em>".</p> <p style="text-align: justify;">La formula della responsabilità da contatto nei rapporti tra privato e PA è stata poi ripresa nella sentenza n. 24382/2010 e, nello specifico settore dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione, nella sentenza n. 24438 del 2011, dove si afferma che la responsabilità che deriva dalla lesione dell'affidamento reciproco dei contraenti nella correttezza dei comportamenti della controparte "<em>non è sicuramente contrattuale... nè attiene ad una ipotesi tout court di ingiusta lesione di un diritto da terzi, ai sensi dell'art. 2043 c.c., avendo invece a fondamento il "</em>contatto<em>" tra le parti del futuro contratto</em>" (pag. 16); con la precisazione che detta responsabilità, pur non qualificabile come contrattuale, a quest'ultima "<em>si avvicina, perché consegue al "</em>contatto<em>" tra le future parti per la stipula del contratto e alle scorrettezze del committente, con rilievo ai fini della disciplina della prova applicabile che è quella dell'art. 1218 c.c</em>." (pag. 18).</p> <p style="text-align: justify;">Di sicuro rilievo, in questa prospettiva, è anche la sentenza n. 9636/2015, nella quale si valorizza quella giurisprudenza amministrativa che ha talora valutato la colpa della pubblica amministrazione con riferimento al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all'art. 2236 c.c. (Cons. Stato, n. 1300/2007, Cons. Stato, n. 5500/2004).</p> <p style="text-align: justify;">I principi di cui si tratta sono stati infine portati a compiuta maturazione, pur sempre nello specifico settore dell'attività contrattuale della PA, nella sentenza n. 14188/2016, nella quale all'esito di un'approfondita disamina del tema della responsabilità di tipo contrattuale in assenza di contratto, si è condivisibilmente affermato (p. 12.1) che "<em>l'elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi culpa </em>in contrahendo<em> solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell'affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi anche da Cass. 25644/2017), che le Sezioni Unite assumono di dover confermare, deve quindi conclusivamente affermarsi che la responsabilità che grava sulla PA per il danno prodotto al privato a causa delle violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti - la PA e il privato che con questa sia entrato in relazione - che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della PA medesima.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale; con l'avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Deve pertanto affermarsi che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell'affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell'Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">In questo caso infatti, concludono le SSUU, i detti principi valgono con maggior forza, perché, l'Amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul piano del comportamento (quella "<em>dimensione relazionale complessiva tra l'amministrazione ed il privato</em>" a cui si è fatto riferimento <em>supra</em>), nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio, Latina, n. 164 alla cui stregua, in primo luogo, nel campo degli appalti pubblici la natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, spiega la non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21-<em>quinquies</em> e 21-<em>nonies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a>: la pertinente revoca (ovvero la relativa mancata conferma) non è infatti qualificabile per il Collegio alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale cioè da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Se poi la decisione di non giungere alla naturale conclusione della gara interviene nella fase dell’aggiudicazione provvisoria – fase nella quale non si è determinato alcun affidamento qualificato neppure in capo all’aggiudicatario provvisorio (titolare, al più, di una mera aspettativa di fatto) – del pari non sorge per il Collegio alcun obbligo in capo alla stazione appaltante di procedere alla notifiche degli avvisi di avvio del procedimento, né all’aggiudicatario provvisorio né a terzi; inoltre, nei confronti dell’aggiudicazione provvisoria, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua per il Collegio l’onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria medesima, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro.</p> <p style="text-align: justify;">La possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto pubblico non segua quella definitiva costituisce peraltro per la Sezione un evento fisiologico, inidoneo ad ingenerare un affidamento tutelabile all’aggiudicazione definitiva, con il conseguente obbligo risarcitorio; in tal caso non spetta neppure l’indennizzo di cui all’art. 21-<em>quinquies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 1990</a> poiché si è di fronte al mero ritiro di un provvedimento che ha per propria e specifica natura un’efficacia destinata ad essere superata dal provvedimento conclusivo del procedimento, non alla revoca di un atto amministrativo ad effetti durevoli, come previsto dalla citata disposizione sulla indennizzabilità della revoca in parola.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 3195 onde è legittimo il provvedimento con il quale si dispone la revoca della concessione della ricevitoria del gioco del lotto motivato con riferimento al fatto che - in violazione di quanto previsto nel contratto per la disciplina del rapporto di concessione (e, in particolare, nell’art. 2, che prevede espressamente la revoca della concessione quando risulti il mancato versamento nel termine di 5 giorni dal ricevimento della lettera raccomandata A.R. con la quale viene intimato il pagamento del riscosso) - il titolare della ricevitoria, con apposita raccomandata a.r., sia stato diffidato ad effettuare il pertinente versamento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria n. 942 onde va assunto illegittimo, per violazione dell’art. 80 del Codice della Strada e per difetto di motivazione, il provvedimento con il quale la Provincia abbia revocato in autotutela l’autorizzazione per revisioni auto rilasciata in precedenza al soggetto privato, motivandola con riferimento al fatto che l’interessato ha commesso una irregolarità nel corso della revisione di un autoveicolo.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò, precisa il Collegio, laddove sia risultato che l’effettuata revisione di un veicolo, i cui esiti sono stati contestati, sia stata unica e che non risulta preceduta né da precedenti violazioni, né da altre precedenti negligenze di sorta, tali da minare il rapporto fiduciario tra Amministrazione concedente e officina.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.99 alla cui stregua va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) - come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1761">legge 15 luglio 2009, n. 94</a> (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1981">legge 29 luglio 2010, n. 120</a> (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2144">decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59</a> (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida) - nella parte in cui dispone che il prefetto «<em>provvede</em>» – invece che «<em>può provvedere</em>» – alla revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2144">decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159</a> (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1991">legge 13 agosto 2010, n. 136</a>).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte stigmatizza dunque l’automaticità del potere di revoca della patente di guida che abbia a destinatari soggetti sottoposti a misure di prevenzione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Sicilia n. 1144 onde è da assumersi illegittimo il provvedimento con il quale la P.A. appaltante, in ragione delle ritenute nuove condizioni di mercato connesse alla immissione in commercio di due nuovi prodotti, indicendo al contempo una nuova gara (nella ritenuta impossibilità di procedere ad un nuovo confronto concorrenziale tra le stesse imprese <em>ex</em> art. 15, comma 11-<em>quater</em>, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2338">d.l. 6 luglio 2012, n. 95</a>, conv. in legge 7.8. 2012, n. 105), abbia revocato in autotutela, ai sensi dell’art. 21-<em>quinquies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">L. n. 241/1990</a>, una gara di appalto di fornitura in somministrazione di farmaci biologici, nel caso in cui il provvedimento di revoca sia stato adottato successivamente all’intervenuta stipula del contratto di appalto.</p> <p style="text-align: justify;">A seguito del perfezionamento dell’accordo negoziale, per il Collegio deve assumersi insussistente, in capo alla P.A., il potere di revoca; e ciò sul rilievo che presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità; la specialità della previsione del recesso di cui all’art. 134 <a href="http://www.lexitalia.it/n/1686">d.lgs. n. 163 del 2006</a> (v. oggi art. 109 <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D. Lgs. n. 50/2016</a>) preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n. 630 alla cui stregua è da assumersi legittimo il provvedimento con cui il Sindaco ha revocato l’incarico di Vice Sindaco e di Assessore, ai sensi dell’art. 46, comma 4, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/1460">d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267</a>, che sia motivato con specifico riferimento alla insorgenza di “<em>situazioni di conflittualità</em>” con l’Amministratore interessato, rispetto alle posizioni espresse dalla maggioranza.</p> <p style="text-align: justify;">Tali situazioni di conflittualità infatti, precisa il Collegio, valgono a giustificare l’esercizio del potere di revoca, anche nella prospettiva della tutela del pubblico interesse al regolare funzionamento degli organi comunali e alla efficace gestione dell’Ente</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Molise n. 180 onde spetta al GO la cognizione delle controversie concernenti la decadenza, l’ineleggibilità e l’incompatibilità “<em>regionale</em>”, in quanto si tratta di questioni inerenti l’elettorato passivo che, come tali, concernono la tutela di posizioni di diritto soggettivo perfetto.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, rientra per il Collegio nella giurisdizione dell’a.g.o. una controversia proposta da consiglieri regionali avverso i provvedimenti di revoca, da parte del Presidente della Regione, di tutti gli Assessori della Giunta Regionale; in tal caso infatti, precisa il Collegio, la situazione giuridica dedotta in giudizio ha la consistenza di diritto soggettivo, insuscettibile di affievolimento da parte di provvedimenti amministrativi</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Veneto n. 508 secondo la quale va assunto legittimo il provvedimento con il quale la P.A. appaltante abbia revocato in autotutela l’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto, che sia motivato con riferimento alla sopravvenuta carenza della necessaria copertura finanziaria, a nulla rilevando il fatto della mancata comunicazione di avvio del procedimento <em>ex</em> artt. 7 segg., <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">l. n. 241 del 190</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, precisa il Collegio, negli appalti pubblici, motivazioni di carattere finanziario (assenza dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera) possono costituire valide ragioni di revoca degli atti di una gara: e ciò vieppiù a dirsi rispetto a manifestazioni di <em>ius poenitendi</em> che non impattano su una situazione di affidamento qualificato, quale quello espresso dall’aggiudicazione definitiva. L’assenza, originaria o sopravvenuta, dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera costituisce una valida ragione di revoca degli atti di gara poiché il corretto svolgimento dell’azione amministrativa e un principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 della Costituzione esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria.</p> <p style="text-align: justify;">Può essere tuttavia accolta per il Collegio la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale della P.A. e, in particolare, da comportamento scorretto, ove l’Amministrazione abbia dapprima indetto una gara di appalto e disposto l’aggiudicazione provvisoria e, successivamente, abbia revocato in autotutela detta aggiudicazione, per sopravvenuta carenza di copertura finanziaria; in tal caso, infatti, la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e degli atti prodromici, pur legittima, deve reputarsi scorretta in quanto tardiva: il provvedimento di revoca degli atti di gara per mancanza di fondi è legittimo, se non doveroso, ma costituisce – nel caso di specie - l’epilogo di una condotta complessiva della P.A. connotata da superficialità e disattenzione.</p> <p style="text-align: justify;">L’Amministrazione infatti, chiosa ancora la Sezione, ha bandito la gara e/o portato avanti la procedura di evidenza pubblica senza verificare la sussistenza o persistenza della copertura finanziaria necessaria per realizzare l’opera: tale contegno integra un comportamento scorretto in quanto il rispetto dei principi di lealtà, correttezza e buona fede (art. 1337 cod. civ.) le avrebbero imposto di non bandire la gara o comunque di tornare subito sui propri passi, non appena constatata la mancanza dei fondi necessari per realizzare l’opera.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza della II sezione del Tar Sicilia n. 1286 che rammenta <em>in primis</em> come l’art. 5 della legge n. 65 del 1986 prescriva la qualifica di agente di p.s. poter essere attribuita dal Prefetto esclusivamente al personale dipendente degli enti locali appartenente alla polizia municipale.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue per il Collegio che, nel momento in cui l’Ente territoriale affida ad un proprio dipendente, appartenente al corpo della polizia municipale, nuove mansioni con modifica del profilo professionale e con conseguente estromissione dal corpo della polizia municipale, il Prefetto non può non revocare, nei confronti dell’interessato, la qualifica di agente di p.s.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4514 onde, ai sensi dell’art. 21 <em>quinquies</em> della <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">legge n. 241 del 1990</a>, deve ritenersi che le sopravvenute difficoltà finanziarie possano legittimamente fondare provvedimenti di ritiro in autotutela di procedure di gara, benché queste siano giunte all’aggiudicazione definitiva, e fino a che il contratto non sia stato stipulato.</p> <p style="text-align: justify;">La perdita della copertura finanziaria rappresenta infatti – ribadisce il Collegio - una circostanza che legittimamente può indurre l’Amministrazione a rivalutare i motivi di interesse pubblico sottesi all’affidamento di un contratto e dunque riconducibile alla principale ipotesi di revoca di provvedimenti amministrativi.</p> <p style="text-align: justify;">Nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, soggiunge ancora il Collegio, i doveri di correttezza e buona fede sussistono tuttavia, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale della PA da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento; tale responsabilità precontrattuale della PA può peraltro derivare non già solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai generali doveri di correttezza e buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 565 onde l’art. 92, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 295/1990, nel prevedere una durata massima di 99 anni delle concessioni cimiteriali, si estende anche alle concessioni di durata superiore, o perpetue, rilasciate anteriormente al ridetto .P.R. n. 295/1990, o che dovessero essere rilasciate successivamente in contrasto con la clausola legale di durata.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, precisa il Collegio, si applica sia alle concessioni a termine che alle concessioni perpetue la possibilità di revoca delle ridette concessioni cimiteriali, alla duplice condizione che siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma e che si verifichi una grave situazione di insufficienza del locale cimitero rispetto al fabbisogno, non rimediabile tempestivamente in altro modo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.16457 alla cui stregua la controversia promossa per ottenere in sede giurisdizionale l’annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico concerne una posizione di diritto soggettivo ed è pertanto devoluta alla giurisdizione del GO tutte le volte in cui l’Amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l’erogazione.</p> <p style="text-align: justify;">Essa riguarda, all’opposto, una posizione di interesse legittimo (con conseguente devoluzione al GA) allorché la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall’esercizio di poteri di autotutela dell’amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per vizi originari di legittimità o revocarlo per contrasto originario con l’interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4867, che rammenta <em>in primis</em> come il testo dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, preveda «<em>per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, i provvedimenti sanzionatori non rientrano nella categoria dei provvedimenti ad «<em>efficacia durevole</em>», in quanto sono atti ad “<em>efficacia immediata</em>” che esauriscono i propri effetti nel momento della pertinente adozione, con obbligo di corrispondere la somma richiesta.</p> <p style="text-align: justify;">L’eventuale protrazione nel tempo – chiosa ancora la Sezione - può dipendere da inadempimenti, vicende processuali ovvero rateizzazioni concesse dall’Autorità. Si tratta, però, di evenienze di fatto rilevanti nel momento esecutivo che, in quanto tali, non sono in grado di cambiare natura (“<em>istantanea</em>”) all’atto adottato.</p> <p style="text-align: justify;">La mancanza dell’indefettibile presupposto dell’efficacia durevole nell’atto scandagliato, escludendo la possibilità di applicare la norma in esame, esime il Collegio dal valutare la sussistenza degli altri requisiti prescritti dalla legge per la revoca.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Campania, Salerno, n.1143 alla cui stregua va assunto legittimo, perché ragionevolmente motivato, il provvedimento con il quale un Comune, dopo aver espletato una gara – nel caso di specie, una procedura negoziata <em>ex</em> art. 36, co. 2, lett. b) <a href="http://www.lexitalia.it/n/3163">D.lgs. n. 50/2016 </a>per l’affidamento dell’appalto del servizio di pulizie e sanificazione degli uffici comunali - e dopo aver disposto la relativa aggiudicazione, ha revocato la aggiudicazione stessa, facendo riferimento alla opportunità di aderire alla convenzione proposta dal soggetto aggregatore di riferimento (città metropolitana) per l’espletamento del pertinente servizio, con conseguente, certo oltre che significativo risparmio di spesa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n.813 alla cui stregua va assunto illegittimo il provvedimento di revoca della patente di guida, ai sensi dell’art. 120, c. 2, d.lgs. n. 285/1992, adottato perché il titolare della patente medesima è stato reso destinatario di una misura di prevenzione, sul presupposto del presunto carattere vincolato del provvedimento e senza alcun apprezzamento discrezionale nonché senza specifica motivazione.</p> <p style="text-align: justify;">Chiarisce infatti il Collegio come recentemente la Corte costituzionale abbia assunto che: “<em>È incostituzionale l’art. 120, comma 2, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992), per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui dispone che il Prefetto “</em>provvede<em>” – invece che “</em>può provvedere<em>” – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2207">decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159</a> (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione</em>)”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della I sezione stralcio del Tar Lazio n.10391, che afferma rientrare nella giurisdizione del GO una controversia che abbia ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno derivante dalla revoca – asseritamente illegittima – dell’attestazione SOA e dalla conseguente revoca dell’aggiudicazione di una gara di appalto, laddove la pretesa risarcitoria sia stata azionata dall’impresa danneggiata direttamente nei confronti del funzionario che ha adottato il provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio più in specie, la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti del funzionario in proprio, cui si imputi l’adozione di un provvedimento illegittimo, va proposta dinanzi al GO.</p> <p style="text-align: justify;">Il Tar precisa altresì che rientra sempre nella giurisdizione del GO la controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno derivante dalla revoca dell’attestazione SOA e dalla conseguente revoca dell’aggiudicazione di una gara di appalto, laddove la parte privata istante abbia ravvisato la presunta responsabilità della P.A. nella circostanza che i relativi funzionari abbiano denunciato la falsità dei certificati di esecuzione dei lavori, senza considerare che detti lavori erano stati effettivamente e regolarmente eseguiti.</p> <p style="text-align: justify;">In simili fattispecie infatti, chiosa il Collegio, la contestazione non riguarda l’adozione di un provvedimento illegittimo - quello di revoca dell’attestazione SOA e di iscrizione nel casellario informatico - bensì l’autenticità di alcuni certificati presentati dalla ditta interessata in sede di verifica della relativa attestazione SOA da parte dell’Avlp, unita alla denuncia di un presunto falso all’Autorità giudiziaria, atteggiantesi a comportamento meramente materiale non riconducibile come tale, neppure mediatamente, all’esercizio del potere amministrativo e, quindi, insuscettibili di radicare la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7 <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">c.p.a.</a></p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.21993, che muove dalla circostanza onde i ricorrenti – in sede di regolamento di giurisdizione - sostengono che, con l’atto di citazione, non è stata affatto chiesta la "<em>revoca delle concessioni balneari, nè si è censurato il potere concessorio</em>", avendo essi unicamente invocato - a fronte delle immissioni acustiche oltre la soglia di normale tollerabilità che patiscono quotidianamente - "<em>la tutela del diritto alla salute ed alla tranquillità del proprio domicilio utilizzando il particolare "strumento</em>" <em>dell’art. 844 c.c</em>.", da conseguirsi, anzitutto, con "<em>la cessazione delle molestie provenienti dai beni pubblici in proprietà degli enti convenuti</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Donde, la evocata giurisdizione del giudice ordinario sulle domande proposte dinanzi al Tribunale di Napoli. E in effetti la controversia promossa da X e altri 22 attori spetta nel caso di specie, chiosa il Collegio, alla cognizione del giudice ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">A tal riguardo, occorre per il Collegio muovere dall’esame della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (ossia la causa petendi) con l’azione promossa dinanzi al giudice civile, essendo il c.d. petitum sostanziale - da individuarsi in base ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione - il criterio orientativo della delibazione che questa Corte regolatrice è tenuta a compiere in punto di riparto di giurisdizione (tra le tante, Cass., S.U., 31 luglio 2018, n. 20350).</p> <p style="text-align: justify;">Gli attori hanno dedotto, con l’atto di citazione, di aver patito, in quanto residenti in Napoli nella zona (omissis) /( omissis) - afflitta da grave inquinamento acustico per la concentrazione di numerose discoteche - una lesione del loro diritto alla salute e alla serenità della vita familiare all’interno delle proprie abitazione a causa dell’inerzia del Comune di Napoli e della Autorità portuale, convenuti in giudizio, nell’adottare adeguate misure, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 844 c.c. e art. 32 Cost., "<em>volte ad evitare o rimuovere le cause delle immissioni acustiche nelle proprietà degli istanti</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Di qui, pertanto, le richieste, tra loro coordinate, di accertamento della intollerabilità delle immissioni acustiche provenienti dalla zona commerciale e dalle aree pubbliche di (omissis) /( omissis) e di condanna delle convenute amministrazioni a provvedere con tutte le misure adeguate ad eliminare o a ridurre nei limiti della soglia di tollerabilità le immissioni nocive, oltre alla condanna delle medesime pubbliche amministrazioni al risarcimento dei tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti da essi attori.</p> <p style="text-align: justify;">L’intimazione "<em>fatta ai convenuti di "revocare</em>" le autorizzazioni ad attività di pubblico spettacolo e le concessioni balneari ed elioterapiche, nonché "a non autorizzare eventi in deroga al piano di zonizzazione acustica", non solo è deduzione che rimane formalmente estranea al perimetro delle pretese effettivamente azionate con le "<em>conclusioni di merito</em>", ma - diversamente da quanto opinato dalla Autorità portuale con l’atto di costituzione in giudizio essa è da intendersi quale ulteriore coloritura del <em>petitum</em> sostanziale innanzi delineato, essendo l’azione giudiziale orientata a far conseguire agli attori la tutela, piena, del diritto fondamentale alla salute che si assume leso da immissioni acustiche intollerabili, di cui si chiede la cessazione tramite idonee cautele da adottarsi dagli enti pubblici competenti a gestire le aree cittadine da cui le immissioni stesse promanano.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, la giurisdizione nella presente controversia spetta al per il Collegio al GO, in ragione del principio - enunciato dalla Corte in più occasioni proprio in controversie in materia di immissioni acustiche intollerabili (Cass., 12 luglio 2016, n. 14180; Cass., 31 gennaio 2018, n. 2338) - secondo cui l’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un <em>facere</em>, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del <em>neminem laedere</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in generale della revoca dell’atto amministrativo?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una delle figure giuridiche tradizionalmente riconnesse alla c.d. autotutela decisoria della PA e giustificato massime sulla scorta del principio del c.d. <em>contrarius actus</em>, onde – essendo la PA titolare della funzione di amministrazione attiva – ad essa non può non essere correlato, oltre che il potere di adottare un provvedimento, anche quello di revocarlo, laddove ciò corrisponda – quand’anche per motivi sopravvenuti – all’interesse pubblico; storicamente, si sono contrapposte in proposito 2 tesi: a.1) si tratta di un potere di amministrazione attiva e, dunque, di primo grado, quel medesimo che la PA ha già speso per adottare l’atto che dipoi revoca; a.2) si tratta di un potere di amministrazione giustiziale (o “<em>rimediale</em>”) e, dunque di secondo grado, quale potere diverso rispetto a quello che la PA ha già speso per adottare l’atto che dipoi revoca, seppure ad esso strettamente avvinto;</li> <li>intorno alla revoca, come del resto intorno all’annullamento - prima che essi venissero esplicitamente previsti dal Legislatore del 2005 - si è sviluppato un ampio e generale dibattito in dottrina ed in giurisprudenza; con riguardo specifico alla revoca, si sono giustapposte: b.1) una tesi restrittiva, che tendeva a contenerne l’operatività limitandola alle sole sopravvenienze “<em>oggettive</em>”, fattuali o giuridiche; b.2) una tesi più ampliativa, che tendeva invece ad affermarne l’operatività ad ampio raggio, legittimandola anche in caso di “<em>soggettivi</em>” ripensamenti della PA in termini di novella, diversa valutazione dell’interesse pubblico del quale fosse <em>ex lege</em> attributaria (c.d. <em>ius poenitendi</em>), con possibilità di pesanti ricadute pregiudizievoli sull’affidamento <em>medio tempore</em> ingenerato nel privato destinatario dell’atto (a lui favorevole) poi revocato;</li> <li>la legge 15.05, introducendo l’art.21 quinquies nella legge 241.90, ha abbracciato la tesi della c.d. operatività allargata della revoca, prevedendo tuttavia – <em>ex novo</em> – un indennizzo per il privato che, leso nel proprio affidamento, risulti destinatario del provvedimento a lui favorevole dipoi legittimamente revocato dalla PA, ritraendo dalla revoca legittima un pregiudizio (salvo il risarcimento del danno in caso di revoca illegittima);</li> <li>sul crinale soggettivo, è legittimato a revocare un provvedimento l’organo che lo ha adottato, ovvero altro organo previsto dalla legge all’uopo; sul crinale oggettivo, può essere revocato solo un atto amministrativo ad efficacia durevole che, laddove revocato, non produce più i propri effetti, mentre la revoca non può coinvolgere atti amministrativi ad efficacia istantanea che, come tali, esauriscono i loro effetti <em>illico et immediate</em> e sui quali non è dunque possibile incidere interrompendone l’effettualità diacronica, come nel caso, di recente identificato dalla giurisprudenza, dei provvedimenti sanzionatori; proprio il fatto che possano essere revocati solo atti amministrativi ad efficacia durevole implica la operatività <em>ex nunc</em> – e, dunque, non retroattiva – della revoca medesima (conformemente all’opzione ermeneutica abbracciata da dottrina e giurisprudenza maggioritaria nella fase anteriore alla “<em>codificazione</em>” del 2005);</li> <li>alla base della revoca dell’atto amministrativo campeggiano ragioni di opportunità e, dunque, di “<em>merito amministrativo</em>”, non anche ragioni di legittimità (che giustificano piuttosto, eventualmente, l’annullamento del provvedimento in parola); sono ragioni di opportunità che possono fondare la revoca, e che dunque giustificano la cessazione dell’efficacia dell’atto amministrativo revocato: e.1) motivi di interesse pubblico sopravvenuti e dunque “<em>nuovi</em>” rispetto al tempo in cui il provvedimento revocando fu adottato; e.2) rivalutazione, <em>ex post</em>, dell’interesse pubblico originario che a suo tempo giustificò l’adozione del provvedimento e che, ormai, depone piuttosto per l’opportunità del pertinente ritiro giusta revoca; e.3) sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto che a suo tempo giustificò l’adozione del provvedimento revocando;</li> <li>l’ampia legittimazione alla revoca dell’atto amministrativo riconosciuta alla PA è stata meglio “<em>controlimitata</em>” nel 2014, in ottica di maggior tutela dell’affidamento del privato destinatario dell’atto revocando, onde: f.1) dal punto di vista delle sopravvenienze fattuali, queste possono fondare la revoca solo laddove non prevedibili al momento in cui l’atto revocando fu adottato; f.2) quando l’atto amministrativo si compendi nell’autorizzazione o nell’attribuzione di vantaggi economici al privato, non ne è ammessa la revoca <em>ex post</em> per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario da parte della PA adottante;</li> <li>anche quando la revoca dell’atto amministrativo è ammessa, la PA revocante deve motivare il provvedimento che essa compendia in modo esaustivo e penetrante, così palesando di aver esercitato la discrezionalità ad essa attribuita dalla legge a valle di una complessiva ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti nella trama della vicenda amministrativa sulla quale il potere di revoca concretamente impinge, con un particolare occhio all’affidamento che - in buona fede - ha riposto sulla durevolezza degli effetti a lui favorevoli il privato destinatario dell’atto oggetto di ritiro revocatorio.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare dell’indennizzo <em>ex lege</em> garantito al destinatario dell’atto amministrativo (favorevole) legittimamente revocato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>in caso di revoca, ancorché legittima, può scaturire un pregiudizio al privato che abbia confidato nel perdurare degli effetti dell’atto revocato, a lui favorevole, rimanendone in tal modo tutelato l’affidamento (ed il pertinente principio generale);</li> <li>più in specie, qualora il privato “<em>direttamente interessato</em>” dall’atto revocato dalla PA soffra pregiudizi in conseguenza della revoca legittima, la PA medesima ha l’obbligo di indennizzarlo;</li> <li>ciò senza dover considerare, giacché non rilevano, le motivazioni che hanno sospinto la PA a revocare l’atto favorevole al privato nel singolo caso di specie;</li> <li>l’indennizzo non è oggetto di un diritto di credito (pecuniario) “<em>automatico</em>” del privato, ma è avvinto ad un pregiudizio da quegli eventualmente subito;</li> <li>l’indennizzo per il privato vulnerato rappresenta dunque un ristoro che fa da contraltare alla recessività del relativo interesse rispetto alla “<em>rivalutazione</em>” dell’interesse pubblico siccome operata dall’Amministrazione e sfociata nell’atto di revoca;</li> <li>sul crinale dei rapporti tra affidamento del privato destinatario dell’atto e tempo trascorso dalla pertinente adozione all’atto in cui ne interviene il ritiro, allorché la PA proceda non già a revocare il provvedimento a suo tempo adottato perché assunto (<em>ex post</em> e con effetti <em>ex nunc</em>) inopportuno, quanto piuttosto ad annullarlo <em>ex tunc</em> perché illegittimo, l’affidamento del soggetto privato – assai più pregnantemente - può financo impedire l’autotutela laddove sia trascorso un termine che possa assumersi “<em>irragionevole</em>”, e che è stato ormai fissato in 18 mesi dell’adozione del provvedimento in parola (art.21 nonies della legge 241.90);</li> <li>in sostanza, il principio di affidamento del privato e di certezza del diritto: g.1) in caso di revoca (legittima), non può che garantire al privato il solo diritto all’indennizzo, laddove pregiudicato, qualunque sia il tempo trascorso dall’adozione dell’atto revocato, tempo che assume rilievo solo a fini di quantificazione dell’indennizzo medesimo (tutela per equivalente: resta ferma la possibilità di chiedere la caducazione della revoca - e il connesso risarcimento del danno - laddove essa sia invece illegittima); f.2) in caso di annullamento, può invece consentire al privato di ottenere la caducazione del pertinente atto di autotutela (a lungo in passato per eccesso di potere; oggi ormai per violazione di legge, e segnatamente dell’art.21 nonies della legge 241.90), laddove adottato in un tempo irragionevole, e comunque successivo ai 18 mesi <em>ex lege</em> previsti rispetto alla data di adozione, <em>tempus</em> capace di rendere l’annullamento medesimo financo illegittimo (tutela in forma specifica, salva la tutela risarcitoria “<em>ulteriore</em>”);</li> <li>la presenza di un consolidato interesse del privato destinatario della revoca impone peraltro alla PA di motivare in modo adeguato il pertinente atto di ritiro, esplicitando in modo vieppiù articolato perché l’interesse pubblico, “<em>nuovo</em>” o debitamente “<em>rivalutato</em>”, debba <em>ex post</em> prevalere (con cessazione degli effetti dell’atto oggetto di revoca), e ciò in ragione anche del tempo trascorso dall’adozione dell’atto revocando; se dunque il tempo trascorso – a differenza di quanto accade in caso di annullamento – non osta astrattamente all’adozione della revoca, esso impone tuttavia una ponderazione attenta tra l’interesse del privato il cui affidamento verrebbe vulnerato dalla revoca medesima e quello, pubblico, “<em>rivalutato</em>”; con rischio, per la revoca, di risultare inficiata da eccesso di potere e come tale illegittima, aprendo la strada alla tutela caducatoria e risarcitoria per il privato leso;</li> <li>sul crinale della quantificazione dell’indennizzo, si sono giustapposte in passato due opzioni ermeneutiche: i.1) tesi recessiva: il privato ha diritto a vedersi riconosciuto un indennizzo “<em>integrale</em>” – sul modello risarcitorio ex art.1223 c.c. - tanto per il danno emergente che la revoca gli ha prodotto, quanto per il lucro cessante che gliene sia derivato (avvinto alle utilità delle quali si sarebbe giovato laddove l’atto non fosse stato revocato); i.2) tesi prevalente (e infine recepita dal legislatore del 2007); va indennizzato al privato il solo danno emergente, compendiabile nelle spese che quegli ha sostenuto confidando nella perdurante efficacia del provvedimento dipoi revocato, con esclusione del lucro cessante, identificabile nel mancato utile non ritratto dalla perdita sopraggiunta di effetti del provvedimento revocato medesimo; ciò in quanto, mentre nel caso di atto illecito il soggetto che ne sia danneggiato ha diritto di essere ristorato integralmente, con riguardo ad entrambe le voci ridette (danno emergente e lucro cessante), diversa è invece la sorte, in termini di compensazione consequenziale del danneggiato, dei c.d. atti leciti dannosi, laddove l’atto (nel caso di specie, pubblico) di revoca produce <em>ex se</em> un pregiudizio, e tuttavia si ritiene prevalente da parte dell’ordinamento l’interesse del danneggiante (nel caso di specie, del pari pubblico) rispetto a quello del danneggiato, al quale ultimo può essere garantito per l’appunto il ristoro del solo danno emergente (spese sostenute) e non anche del lucro cessante (mancato utile); secondo questa opzione ermeneutica, laddove dunque il privato assuma la revoca dell’atto del quale sia stato (favorevole) destinatario come legittima, potrà ottenere solo l’indennizzo, limitato all’eventuale danno emergente patito; nel caso invece assuma la revoca illegittima, potrà impugnarla dal punto di vista caducatorio e, ad un tempo, chiedere l’integrale risarcimento del danno ai sensi degli articoli 2043, 2056 e 1223 c.c., comprensivo di danno emergente e lucro cessante, se prova la ricorrenza di tutti i presupposti per dichiarare la PA civilmente responsabile dell’illecito in parola, tra i quali in particolare il nesso di causalità tra revoca (illegittima) e danno e, sul crinale soggettivo, la colpa della PA ridetta; a diversamente opinare, irragionevolmente lo stesso ristoro onnicomprensivo sarebbe garantito tanto al privato destinatario di una revoca legittima (che non ha particolari oneri probatori) quanto a quello destinatario di una revoca illegittima (costretto ad impugnare e a provare tutti gli elementi costitutivi del pertinente illecito);</li> <li>il Legislatore, con il decreto legge 7.07, con una soluzione all’apparenza equilibrata, ma in gran parte ambigua, ha abbracciato la tesi maggioritaria intesa a garantire al privato vulnerato dalla revoca di un provvedimento a lui favorevole il solo danno emergente; con ciò si è colmata una importante lacuna nel comma 1 dell’art.21 quinquies della legge 241.90, accostandosi all’obbligo “<em>mero</em>” e “<em>astratto</em>” della PA revocante di corrispondere al privato un indennizzo taluni criteri per la concreta quantificazione di tale indennizzo;</li> <li>tale soluzione (solo danno emergente) – ai sensi del comma 1 bis dell’art. 21 quinquies - si applica allorché la revoca abbia ad oggetto provvedimenti favorevoli per il privato perché incidenti su rapporti negoziali tra privato e PA, tanto che si tratti di atti istantanei quanto che si tratti di atti ad efficacia durevole;</li> <li>l’intero danno emergente costituisce la posta massima di ristoro che il privato può ottenere dall’Amministrazione, nell’arco di una gamma con possibili sfumature quantitative che dipendono dall’intensità dell’affidamento che quegli ha riposto sulla perdurante efficacia dell’atto poi revocato dalla PA, e che va da 0 (zero) alla ridetta, intera posta di danno emergente, con esclusione in ogni caso del lucro cessante; tale intensità di affidamento, alla quale è direttamente proporzionale l’entità dell’indennizzo liquidabile al privato, dipende esplicitamente: l.1) in termini di consapevolezza, da quanto il privato abbia conosciuto (conoscenza) o abbia potuto conoscere (conoscibilità) la contrarietà dell’atto dipoi revocato all’interesse pubblico; l.2) in termini di operativa volontà, da quanto il privato abbia (o meno) concorso ad indurre nella PA l’erronea valutazione di compatibilità dell’atto dipoi revocato all’interesse pubblico; un ruolo giocherebbe nondimeno, quantunque non esplicitamente menzionata dal Legislatore, anche la consistenza del tempo trascorso tra quando l’atto è stato adottato e quando esso viene revocato dalla PA, incidendo tale tempo sulla (potenziale) stabilità del provvedimento dalla cui revoca discende la necessità di quantificare l’indennizzo dovuto al privato;</li> <li>limitandosi a quanto <em>expressis verbis</em> previsto dalla legge (e lasciando in disparte dunque il riferimento al <em>tempus</em> trascorso, non esplicitamente previsto), si è al cospetto di una soluzione che è stata criticata da parte della dottrina per una serie di considerazioni: m.1) a differenza di quanto accade nelle ipotesi di autotutela decisoria per annullamento, nessun rilievo il legislatore ha attribuito alla decorrenza del tempo tra il momento in cui l’atto è stato adottato e quello nel quale interviene la pertinente revoca, che può essere più o meno esteso ed incidere dunque, in misura maggiore o minore, sull’affidamento del privato destinatario del provvedimento favorevole poi revocato; m.2) il legislatore ha scelto parametri di valutazione dell’affidamento del privato che paiono riconducibili soltanto ad una delle fattispecie di possibile revoca di un atto amministrativo, quella della inopportunità originaria ed <em>ab ovo</em> del provvedimento revocato, affetto – per l’appunto “<em>ab origine</em>” – da un “<em>vizio di merito</em>” conosciuto o in qualche modo indotto dal privato, che avrebbe dovuto inferirne la frizione “<em>originaria</em>” con l’interesse collettivo ridetto; quando invece si sia al cospetto di “<em>sopravvenienze</em>” che giustifichino, sempre in ottica di pubblico interesse, la revoca del provvedimento originario, solo nel caso in cui il privato abbia contribuito a modificare la situazione di fatto che giustifica tali sopravvenienze potrà esserne in qualche modo valutato l’affidamento sulla scorta dei criteri dettati dall’art.21 quinquies della legge 241.90, mentre in caso contrario – complice anche il richiamato difetto di ogni riferimento di tipo semplicemente diacronico (ovvero, al tempo trascorso tra quando l’atto è stato adottato e quando viene revocato) – non si saprebbe come inferire il “<em>grado</em>” di affidamento del privato a fini di quantificazione dell’indennizzo a lui dovuto dalla PA revocante; m.3) difficile è valutare la consapevolezza, attuale o potenziale, del privato in ordine alla frizione col pubblico interesse che il provvedimento oggetto di revoca palesa: se si considera che financo il GA appare privo del potere di sindacare il “<em>merito</em>” amministrativo (salve, in disparte l’ottemperanza, le sole ipotesi di manifesta irragionevolezza o illogicità dell’atto: c.d. sindacato “<em>esterno</em>” della discrezionalità), che è appannaggio esclusivo della PA, diventa complicato “<em>dosare</em>” tale consapevolezza di “<em>non rispondenza</em>” al pubblico interesse – con riguardo ad un atto favorevole al privato - in capo al privato medesimo che se ne avvantaggia; diverso è invece il caso in cui il privato abbia concorso – con il proprio comportamento doloso o colposo – ad indurre nella PA l’erroneo convincimento in ordine alla compatibilità dell’atto a sé favorevole con l’interesse pubblico <em>ab origine</em> divisato, dacché in simile fattispecie la valutazione ridetta resta esclusivamente in capo alla PA medesima, ma i presupposti di tale valutazione risultano “<em>indotti</em>” dal privato il cui pregiudizio deve dunque assumersi da sé medesimo “<em>con-causato</em>”, con conseguente riduzione del ristoro fruibile ai sensi dell’art.1227 c.c.;</li> <li>i parametri di quantificazione dell’indennizzo dettati dal legislatore all’art.1, comma 1 bis, dell’art.21 quinquies della legge 241.90 si applicano peraltro – esplicitamente - alle sole revoche che incidano su rapporti negoziali tra PA revocante e privato e, dunque, su “<em>negozi</em>”, e non anche su “<em>rapporti amministrativi, o funzionali</em>” incisi dalla ridetta revoca (laddove tuttavia, in ogni caso, un indennizzo al privato è dovuto, stante la portata generale del comma 1, che tale indennizzo indefettibilmente prevede in ogni caso di revoca); laddove la PA revochi non incidendo su “<em>rapporti negoziali</em>”, si apre dunque una duplicità di soluzioni: n.1) anche in tal caso, il privato può vedersi indennizzato il solo danno emergente, con esclusione del lucro cessante; è la tesi dottrinale, affiorando in ipotesi contraria una irragionevole disparità di trattamento tra chi fruisce dell’indennizzo da revoca legittima (ancorché “<em>funzionale</em>” e non “<em>negoziale</em>”) e chi invece invoca ed ottiene il risarcimento da revoca illegittima; n.2) in tal caso, il privato può vedersi indennizzato tanto il danno emergente quanto il lucro cessante; è la tesi di parte della giurisprudenza onde l’art.21 quinquies, comma 1 bis, va assunto norma speciale rispetto alla generalizzata obbligatorietà dell’indennizzo per qualsivoglia revoca di cui al precedente comma 1: dacché <em>ubi lex voluit, dixit</em>, laddove oggetto di revoca siano rapporti “<em>amministrativi</em>” (e non rapporti “<em>negoziali</em>”), al privato è dovuto un indennizzo che ricomprenda tanto il danno emergente quanto, ed anche, il lucro cessante;</li> <li>altra questione sollevata dall’art.21 quinquies, comma 1 bis, della legge 241.90 è quella concernente il riferimento – tutt’affatto innovativo – che esso fa alla revoca di atti non già più solo ad efficacia “<em>durevole</em>”, ma anche da efficacia “<em>istantanea</em>”, che incidano su rapporti negoziali tra privato e PA; mentre dunque la revoca tradizionale incide su un rapporto durevole che, secondo una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico, è inopportuno che prosegua <em>de futuro</em> e che dunque cessa con effetti <em>ex nunc</em>, tale nuova revoca è potenzialmente capace di incidere anche su atti ad efficacia istantanea, ai quali possono tuttavia essere avvinti rapporti duraturi, come classicamente accade – in ambito di c.d. “<em>evidenza pubblica</em>” - nel caso dell’aggiudicazione (atto istantaneo) rispetto al c.d. contratto a valle (ad efficacia durevole); nel 2014 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha tuttavia escluso che la revoca dell’aggiudicazione di un contratto di lavori pubblici – per una logica tutta interna a tale settore specifico, e cristallizzata agli articoli 134-136 dell’allora vigente decreto legislativo 163.06, codice dei contratti pubblici, oggi art.109 del decreto legislativo 50.16 - possa, a contratto ormai stipulato, incidere sul contratto medesimo e sul rapporto negoziale che ne sia scaturito, lasciando tuttavia ferma la possibilità che la ridetta revoca di aggiudicazione possa incidere su rapporti negoziali “<em>a valle</em>” diversi dal contratto di appalto di lavori pubblici (contratti “<em>attivi</em>” per la PA; concessioni-contratto; contatti di appalto di servizi e forniture); sugli effetti della caducazione dell’aggiudicazione sul c.d. “<em>contratto a valle</em>” si rinvia all’apposito CRONO PERCORSO all’uopo elaborato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in particolare dei rapporti tra revoca dell’atto amministrativo e responsabilità c.d. “precontrattuale” della PA?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="241"> <li>l’operatività dell’art.21 quinquies della legge 241.90, e dunque della legittima revoca del provvedimento amministrativo, lambisce anche il tema della responsabilità c.d. “<em>precontrattuale</em>” della PA;</li> <li>il privato raggiunto da una revoca legittima può infatti essere indennizzato ma, in taluni casi, può anche invocare – nei limiti del c.d. interesse negativo – il risarcimento del danno derivante da una condotta scorretta della PA di natura, per l’appunto, “<em>precontrattuale</em>”, in seno ad una fattispecie complessa in cui un ruolo importante gioca proprio la revoca (ancorché legittima) della PA;</li> <li>l’esempio classico è quello della PA che, durante un procedimento di evidenza pubblica, accerti la mancanza dei fondi necessari (c.d. difetto di copertura finanziaria) per realizzare l’opera o il servizio la cui realizzazione o la cui gestione è l’oggetto dell’aggiudicazione della bandita gara, e tuttavia non ne informi i privati partecipanti, provvedendo al fine – legittimamente – a revocare la gara o la stessa aggiudicazione per mancanza appunto dei fondi necessari;</li> <li>si è dunque al cospetto – pur in presenza di un atto legittimo sul crinale provvedimentale (revoca) – di un atteggiamento pubblico contestualmente scorretto in ambito complessivo comportamentale, perché in frizione con le regole che presidiano la correttezza e buona fede, per l’appunto, “<em>precontrattuale</em>” ex art.1337 (e 1338) c.c.;</li> <li>al privato spetta, in simili ipotesi, come ha precisato l’Adunanza Plenaria nel 2005, un vero e proprio risarcimento del danno, nella misura dell’interesse negativo rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso della trattativa (danno emergente) e nella perdita di occasioni per la stipula di ulteriori contratti (lucro cessante);</li> <li>in caso di revoca legittima che, ad un tempo, sia elemento costitutivo di una fattispecie illecita complessa dalla quale discenda responsabilità precontrattuale della PA, il privato potrà ottenere dal GA, a titolo di indennizzo per la revoca legittima, il danno emergente da lesione del proprio interesse “<em>positivo</em>” e ad un tempo dal GO, a titolo risarcitorio, tanto il danno emergente quanto il lucro cessante da lesione del proprio interesse “<em>negativo</em>” (nel limite, ovviamente, della duplicazione di poste), siccome collegati alla violazione del principio di buona fede con riguardo alle trattative “<em>scorrettamente gestite</em>” <em>ex parte publica</em>; per il danno collegato a responsabilità precontrattuale, quegli dovrà nondimeno provare tutti gli elementi posti a pertinente carico (nesso di causalità, elemento soggettivo) la cui effettiva consistenza dipende dalla natura (aquiliana, “<em>contrattuale</em>” o “<em>relazionale da contatto</em>”) che si annetta a tale fattispecie illecita; le SSUU, nel 2020, ribadendo la giurisdizione del GO sulla c.d. responsabilità precontrattuale della PA (anche in materie di giurisdizione esclusiva del GA), hanno parlato di lesione della “<em>dimensione relazionale complessiva tra PA e privato</em>”, assumendo rilevante – sul crinale comportamentale – financo il silenzio della PA medesima e che non può dunque non essere rilevante anche allorché sia intervenuto, esplicitamente, un atto di revoca (quand’anche legittimo).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare in tema di revoca legittima, indennizzo e giurisdizione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>normalmente tutto ciò che è indennizzo, o comunque canoni o corrispettivi, è affidato alla giurisdizione del GO;</li> <li>eccezionalmente, in caso di revoca legittima di un provvedimento amministrativo ex art.21 quinquies della legge 241.90, la giurisdizione sul pertinente indennizzo è affidata dal codice del processo amministrativo al GA in sede di giurisdizione esclusiva, sulla scia di quanto accade anche in tema di accordi ex art.11 della medesima legge 241.90.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>