<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte costituzionale, sentenza 11 febbraio 2020, n. 15</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 135 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– Le questioni sono inammissibili.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.– Il problema che fa da sfondo alle questioni sollevate è, invero, reale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la possibilità di sostituzione della pena detentiva nel limite dei sei mesi con la pena pecuniaria, stabilisce, tra l’altro, che «[p]er determinare l’ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall’art. 135 cod. pen. – già fissato dall’art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell’articolo 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di pena detentiva, poi convertite in 38 euro – è stato innalzato a 250 euro giornalieri per effetto della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale aumento ha fatto sì che – in forza del richiamo all’art. 135 cod. pen. contenuto nell’art. 53 della legge n. 689 del 1981, pacificamente considerato quale rinvio “mobile” – il valore giornaliero minimo della pena pecuniaria sostituita alla pena detentiva sia attualmente pari a 250 euro. Il risultato è stato quello di rendere eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che – ad esempio – il minimo legale della reclusione, fissato dall’art. 23 cod. pen. in quindici giorni, deve oggi essere sostituito in una multa di almeno 3.750 euro, mentre la sostituzione di sei mesi di reclusione (pari al limite massimo entro il quale può operare il meccanismo previsto dall’art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981) dà a luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure era stata concepita dal legislatore del 1981 – in piena sintonia con la logica dell’art. 27, terzo comma, Cost. – come prezioso strumento destinato a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravità di scontare pene detentive troppo brevi perché possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma già sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce. Con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti: ciò che appare di problematica compatibilità con l’art. 3, secondo comma, Cost., il cui centrale rilievo nella commisurazione della pena pecuniaria è stato da tempo sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.– Tuttavia, le questioni oggi all’esame, aventi a oggetto l’art. 135 cod. pen., sono viziate da aberratio ictus; vizio che ha carattere assorbente rispetto ai diversi profili di inammissibilità denunciati dall’Avvocatura generale dello Stato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il rimettente è, come rilevato, investito di una istanza di patteggiamento, con la quale l’imputato chiede la sostituzione di una pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ora, l’art. 53 della legge n. 689 del 1981 fa rinvio all’art. 135 cod. pen., assumendo quale base del calcolo della pena da sostituire la somma ivi stabilita per ogni ipotesi in cui – evidentemente in difetto di altra più specifica disciplina – si debba eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Ma lo stesso art. 53 della legge n. 689 del 1981 detta per l’appunto una disciplina speciale rispetto a quella dell’art. 135 cod. pen., stabilendo che la somma indicata in quest’ultima disposizione – attualmente pari a 250 euro, o frazione di 250 euro, per ogni giorno di pena detentiva – possa essere aumentata sino a dieci volte, tenendo conto, nella determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria, della condizione economica complessiva dell’imputato o del suo nucleo familiare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Formulando questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto, invece, il solo art. 135 cod. pen., il giudice a quo da un lato censura una disposizione destinata ad operare in una pluralità di ipotesi – dalla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria nel caso previsto dall’art. 2, comma 3, cod. pen., alla determinazione del limite massimo di pena che consente i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna ai sensi, rispettivamente, degli artt. 163, comma 1, e 175, comma 2, cod. pen. – del tutto distinte rispetto alla sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, che viene in considerazione nel procedimento a quo; e dall’altro omette di censurare proprio la disposizione di cui all’art. 53 della legge n. 689 del 1981, che detta lo speciale criterio di ragguaglio applicabile nel caso concreto.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Dal che l’inammissibilità delle questioni sollevate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Le considerazioni poc’anzi svolte inducono, comunque, questa Corte a formulare l’auspicio che il legislatore intervenga a porre rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.), nel quadro di un complessivo intervento – la cui stringente opportunità è stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) – volto a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale. E ciò nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l’effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei.</em></p>