Massima
Dopo le ambiguità del codice del 1865, dividere la proprietà per piani e volumi orizzontali può essere considerata ormai una conquista, peraltro assai utile anche in campo pianificatorio urbanistico ed edilizio; resta tuttavia la difficoltà di distinguere – pur sempre (e comunque) nell’imprescindibile spettro di obblighi e di “pretese” reciproche – le ipotesi in cui la fruizione del pertinente bene giuridico si profili opponibile erga omnes, così sottendendo un diritto c.d. “reale” di superficie, da quella in cui invece campeggi – sul fondamento di un titolo “atipico” – una prestazione che avvince massime il debitore che “concede” uno spazio ed il terzo “concessionario” del medesimo, seppure nell’economia di un rapporto giuridicamente rilevante (anche) per possibili terzi.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Giurista consapevole)
1865
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che non contempla in modo espresso il diritto di superficie (a differenza di quanto accade con l’enfiteusi).
Di rilievo tuttavia l’art.448 alla cui stregua qualsiasi costruzione, piantagione od opera sopra o disotto il suolo si presume fatta dal proprietario a sue spese ed appartenergli, “finché non consti del contrario”, senza pregiudizio però dei diritti legittimamente acquistati “dai terzi”.
La norma delinea dunque un eccezione al principio della c.d. accessione immobiliare ed al noto brocardo “superficies solo cedit”: dottrina e giurisprudenza ne ritrarranno proprio il fondamento (quantunque implicito ed inespresso) della proprietà superficiaria, intesa tuttavia ora quale “proprietà dello spazio”, ora quale, piuttosto, particolare foggia di servitù (avente ad oggetto la “servente” tolleranza di un diritto “dominante” altrui: servitus oneris ferendi).
1939
Il 26 luglio viene varata la legge n.1336, recante norme sul condominio dei teatri e sui rapporti tra proprietari dei teatri e titolari del diritto di palco.
Stando al relativo art.2, il diritto di palco consiste nella facoltà di godere e di disporre del palco medesimo, in modo esclusivo, facendone uso conforme allo scopo al quale il teatro è destinato (comma 1); l’estensione e le modalità di tale uso sono determinate dal titolo e, in mancanza del titolo, dalle consuetudini teatrali (comma 2).
Resta fermo che il diritto di palco non comprende, salvo titolo contrario, alcuna quota di comproprietà sulla sala, sul palcoscenico e sulle parti dell’edificio indicate negli articoli 3 e 4 della legge 10 gennaio 1935, n. 8.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), secondo il cui art.934 – che cristallizza il principio romanistico dell’accessione – qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto (a titolo di eccezione rispetto alla ridetta regola generale) dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.
Il codice prevede pertanto la possibilità di eccezionali deroghe al principio di accessione, cristallizzando ormai espressamente una delle quali proprio all’art.952 in tema di diritto di superficie, onde il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà (comma 1); del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo (comma 2).
Viene dunque esplicitamente cristallizzata a livello codicistico la possibile divisione della proprietà per piani orizzontali.
Alla stregua del successivo art.953, se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa (nuovamente) proprietario della costruzione, riespandendosi la regola generale dell’accessione.
Significativo anche il successivo art.954, onde l’estinzione del diritto di superficie per scadenza del termine importa l’estinzione dei diritti reali imposti dal superficiario; i diritti gravanti sul suolo si estendono alla costruzione, salvo, per le ipoteche, il disposto del primo comma dell’articolo 2816 (comma 1); secondo tale ultima norma, le ipoteche che hanno per oggetto il diritto di superficie si estinguono nel caso di devoluzione della superficie al proprietario del suolo per decorso del termine, e tuttavia se il superficiario ha diritto a un corrispettivo, le ipoteche iscritte contro di lui si risolvono sul corrispettivo medesimo; le ipoteche iscritte contro il proprietario del suolo non si estendono invece alla superficie (comma 1); se per altre cause – diverse dallo spirare del termine – si riuniscono nella medesima persona il diritto del proprietario del suolo e quello del superficiario, le ipoteche sull’uno e sull’altro diritto continuano a gravare separatamente i (rispettivi) diritti stessi
I contratti di locazione che hanno per oggetto la costruzione, poi, non durano se non per l’anno in corso alla scadenza del termine (art.954, comma 2).
Tutte le ridette disposizioni si applicano anche – alla stregua dell’art.955 – nel caso in cui sia concesso il diritto di fare e mantenere “costruzioni” al disotto (piuttosto che al di sopra) del suolo altrui; non vengono invece citate anche le “piantagioni”, per le quali – stando al successivo art.956 – non può essere costituita o trasferita una proprietà separatamente dalla proprietà del suolo.
Sul crinale strutturale e pubblicitario, il contratto costitutivo di un diritto di superficie va stipulato per atto pubblico o scrittura privata, sotto pena di nullità (art.1350, n.2, c.c.) e va reso pubblico col mezzo della trascrizione (art.2643, n.2, c.c.),
Spiega la Relazione (445) come il codice delinei il diritto di superficie nel relativo duplice profilo, distinguendo il caso in cui il dominus soli conceda ad altri il diritto di fare e mantenere sul suolo una nuova costruzione (concessione ad aedificandum) dal caso in cui la costruzione già esista sul fondo e il proprietario ne alieni la proprietà separatamente dalla proprietà del suolo.
Il Relatore dichiara di essersi limitato a dettare la disciplina meglio corrispondente alle ipotesi di maggior rilievo (esiste già una costruzione sul suolo), lasciando alla dottrina il problema della configurazione giuridica della concessione ad aedificandum e del rapporto d’inerenza della costruzione (edificanda, ma ancora non realizzata) al suolo, per la risoluzione di tale problema potendo costituire un utile criterio direttivo la norma dell’ultimo comma dell’art. 954 del c.c., secondo la quale il diritto di fare la costruzione si estingue per prescrizione per effetto del non uso ventennale.
Questa disposizione sul c.d. “non uso”, prosegue il Relatore, che non si applica evidentemente alla proprietà sulla superficie, dimostra che in sé la concessione ad aedificandum è un autonomo diritto reale su cosa altrui, che trasmuta in vero e proprio diritto di proprietà quando la costruzione è dipoi eseguita.
L’art. 953 del c.c. prevede l’ipotesi che la costituzione del diritto di superficie sia stata fatta per un tempo determinato; in questo caso è ovvio che, estinto il diritto di superficie, la costruzione, per la naturale espansione del diritto di proprietà, venga nuovamente a formare oggetto del diritto del proprietario del suolo.
Infine, da rammentare l’art.1322 del codice, alla cui stregua le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative (comma 1), potendo altresì concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare (c.d. “atipici”), purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (comma 2).
La norma si giustappone, sul crinale sistematico, al precedente art.922 alla cui stregua la proprietà’ si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi (“tipici”) stabiliti dalla legge.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.42, comma 2, la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
Tra i vari (tipici) modi di acquisto della proprietà ve ne è uno che consente di declinare orizzontalmente il dominio: si tratta proprio del diritto di superficie.
1967
Il 30 novembre esce l’importante sentenza della sezione I della Cassazione n.2851 che afferma l’ammissibilità del c.d. negozio atipico di concessione ad aedificandum, da cui deriva il diritto di fare e mantenere determinate costruzioni al di sopra del suolo altrui, e che in taluni casi – pur attribuendo il godimento esclusivo dell’opera realizzata, in correlazione e per la durata del diritto di godimento del terreno – può avere un contenuto diverso dal corrispondente diritto reale (di superficie) ed assumere, in particolare, le caratteristiche di un diritto personale di natura obbligatoria.
E’ quindi giuridicamente configurabile, per la Corte, un negozio ad effetti obbligatori, qualificabile come tipo anomalo di locazione, in cui al locatario si concede il godimento di un terreno, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui godrà precariamente come conduttore e che, alla fine del rapporto, dovranno essere rimosse a relativa cura.
Viene con questa pronuncia inaugurato un orientamento giurisprudenziale orientato ad affermare che, in ragione dell’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c., la concessione ad aedificandum, non si concreta sempre e necessariamente in un diritto di superficie, ai sensi dell’art. 952 c.c., ma, in taluni casi, può assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale nei soli confronti del concedente, che trova la propria fonte in un contratto (atipico) con effetti meramente obbligatori non soggetto a rigori di forma o di pubblicità.
1971
Il 22 ottobre viene varata la legge n.865, recante programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata.
Stando al relativo art.35, che sostituisce quanto previsto dall’art.10 della precedente legge 167.62 sull’edilizia economica e popolare (comma 1), le aree comprese nei piani approvati a norma della ridetta legge sono espropriate dai Comuni o loro consorzi (comma 2) e – salvo quelle cedute in proprietà ai sensi del comma 11 – vanno a far parte del patrimonio indisponibile del Comune o del consorzio espropriante (comma 3) che concedono su di esse il diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali (comma 4).
La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici è prevista a tempo indeterminato, mentre in tutti gli altri casi essa ha durata non inferiore a 60 anni e non superiore a 99 (comma 5). L’istanza per ottenere la concessione va diretta al Sindaco o al Presidente del consorzio: tra più istanze concorrenti va data la preferenza a quelle presentate da enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore della edilizia economica e popolare e da cooperative edilizie (significativamente) “a proprietà’ indivisa” (comma 6).
La concessione viene deliberata dal consiglio comunale o dall’assemblea del consorzio e, con la stessa delibera viene determinato anche il contenuto della convenzione da stipularsi, per atto pubblico, da trascriversi presso il competente ufficio dei registri immobiliari, tra l’ente concedente ed il richiedente (comma 7), la quale deve prevedere (comma 8): a) il corrispettivo della concessione in misura pari al costo di acquisizione delle aree nonché al costo delle relative opere di urbanizzazione se già realizzate; b) il corrispettivo delle opere di urbanizzazione da realizzare a cura del Comune o del consorzio, ovvero, qualora dette opere vengano eseguite a cura e spese del concessionario, le relative garanzie finanziarie, gli elementi progettuali delle opere da eseguire e le modalità del controllo sulla loro esecuzione, nonché i criteri e le modalità per il loro trasferimento ai Comuni od ai consorzi; c) le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare; d) i termini di inizio e di ultimazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione; e) i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione, nonché per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi, ove questa sia consentita; f) le sanzioni a carico del concessionario per l’inosservanza degli obblighi stabiliti nella convenzione ed i casi di maggior gravità in cui tale inosservanza comporti la decadenza dalla concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie; g) i criteri per la determinazione del corrispettivo in caso di rinnovo della concessione, la cui durata non può essere superiore a quella prevista nell’atto originario.
Tali disposizioni non si applicano tuttavia (comma 9) quando l’oggetto della concessione sia costituito dalla realizzazione di impianti e servizi pubblici ai sensi del comma 5.
I Comuni ed i consorzi possono, nella convenzione, stabilire, a favore degli enti che costruiscono alloggi da dare in locazione, condizioni particolari per quanto riguarda gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione (comma 10).
Le aree destinate alla costruzione di case economiche e popolari, nei limiti di una quota non inferiore al 20 e non superiore al 40 per cento, in termini volumetrici, di quelle comprese nei piani, sono cedute in proprietà a cooperative edilizie ed ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della legge, sempre che questi ed i soci delle cooperative abbiano i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per l’assegnazione di alloggi economici e popolari (comma 11).
La disposizione, molto articolata, continua dettando una specifica (e diversificata) disciplina per le aree concesse in proprietà.
1974
Il 2 maggio viene varato il decreto legge n.115, che modifica l’art.38 della legge 865.71, escludendo – per le aree da utilizzare in regime di diritto di superficie – la necessità di un programma pluriennale di attuazione del c.d. PEEP (piano per l’edilizia economica e popolare).
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Il 27 giugno viene varata la legge 247 che converte, con modificazioni, il decreto legge n.115.
1976
Il 13 ottobre esce la sentenza della II Sezione della Cassazione n.3409 alla cui stregua il diritto di colui che abbia ottenuto dal proprietario del suolo una concessione ad aedificandum costituisce, anche prima della realizzazione della costruzione e del conseguente sorgere della proprietà superficiaria, un diritto reale attuale ed efficace, classificabile fra quelli cosiddetti in re aliena, e, come tale, tutelabile con le azioni poste a difesa di detta categoria di diritti.
Nel caso di specie, il Collegio assume pertanto ammissibile una azione intesa a far cessare le turbative ostacolanti la realizzabilità della costruzione superficiaria.
1978
Il 24 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.948 onde va assunta non giuridicamente compatibile e quindi impossibile la costituzione contemporanea, a carico di uno stesso fondo, anche se a favore di uno stesso soggetto, proprietario di fondo contiguo al primo, di un diritto di superficie (ovvero di una concessione ad aedificandum) e della servitus altius non tollendi, realizzandosi una situazione in cui sono contemporaneamente privilegiati due interessi contrapposti, quali quello a costruire e quello a che non si costruisca su uno stesso fondo, facoltà che si escludono a vicenda.
1983
Il 20 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4220 onde la vendita, da parte del relativo proprietario, dell’ultimo piano di edificio condominiale ad un terzo, ed in particolare dell’«area fabbricabile al di sopra del culmine massimo del tetto», comportando l’acquisto di un diritto reale su uno strato di area avulso, con soluzione di continuità, dall’immobile sottostante, configura un diritto reale su cosa altrui e precisamente un diritto di superficie.
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Il 23 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5086 alla cui stregua il diritto di fare una costruzione (che dunque ancora non c’è) su suolo altrui, ai sensi dell’art. 952 c.c., non è suscettibile di possesso, configurabile soltanto in relazione alla proprietà superficiaria, e cioè al diritto (ex art. 952 citato) di «mantenere» una costruzione già realizzata nell’esercizio del suindicato diritto di costruire.
1992
Il 17 febbraio viene varata la legge n.179, recante norme per l’edilizia residenziale pubblica, che incide sull’art.35 della legge 865.71 sopprimendo le limitazioni in materia di possibile locazione degli alloggi assegnati in diritto di superficie (così come in materia di alienabilità degli alloggi assegnati in diritto di proprietà).
1993
Il 01 dicembre esce il parere della II sezione del Consiglio di Stato n.886 alla cui stregua, a fini di utilizzazione delle aree in regime di diritto di superficie (a differenza di quanto accade per quelle in regime di diritto di proprietà) non è necessario – ai sensi dell’art.38, ultimo comma, della legge 865.71, come modificato dal decreto legge 247.74 – il programma pluriennale di attuazione del c.d. PEEP (piano per l’edilizia economica e popolare).
1994
Il 7 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.10498 alla cui stregua lo spazio sovrastante una costruzione non costituisce un bene giuridico suscettibile di un autonomo diritto di proprietà, ma può formare oggetto di un diritto di superficie (art. 952 c.c.) insistente sulla proprietà altrui, il quale – al pari di ogni altro ius in re aliena – è soggetto ad estinzione per effetto del non uso protrattosi per il tempo stabilito dalla legge (art. 954 c.c.) ove la costruzione non venga edificata.
1995
Il 30 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3804 onde il diritto del superficiario non può avere un contenuto ed una estensione maggiore di quello del proprietario e, come il diritto dominicale, non può quindi estendersi allo spazio aereo sovrastante il suolo che ne è oggetto oltre il punto in cui il relativo titolare può avere un apprezzabile interesse ad escludere gli altri (art. 840 c.c.).
Tale interesse, soggiunge il Collegio, quando si tratti del diritto di fare e mantenere una costruzione con dimensioni e destinazione predeterminate, deve essere in concreto accertato con specifico riferimento anche ai prestabiliti limiti del diritto del superficiario.
1996
Il 23 dicembre viene varata la legge n.662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, il cui art.3, comma 63, interviene sull’art.35 della legge 865.71, unificando la disciplina delle aree destinate all’edilizia economica e popolare; in sostanza, viene omogeneizzata la regolamentazione della concessione di tali aree, tanto che essa avvenga a titolo di diritto di superficie, quanto che essa abbia luogo a titolo di diritto di proprietà (in entrambi i casi, è ormai prevista, ad esempio, la preferenza per i proprietari espropriati).
Il pagamento del corrispettivo di concessione, nel caso in cui il titolo di assegnazione sia il diritto di superficie, può anche essere dilazionato fino ad un massimo di 15 annualità.
1998
L’11 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1392 onde la concessione ad aedificandum, stante l’autonomia contrattuale delle parti, riconosciuta dall’art. 1322 c.c., non si concreta sempre e necessariamente in un diritto di superficie, ai sensi dell’art. 952 c.c., potendo in taluni casi assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale nei soli confronti del concedente, trovando la propria fonte in un contratto (atipico) con effetti meramente obbligatori non soggetto a rigori di forma o di pubblicità.
Tuttavia – chiosa il Collegio – al fine di poter interpretare in tal senso (anziché in quello, “reale”, conforme allo schema tipico approntato dal legislatore) la concreta pattuizione intervenuta fra le parti, occorre che emergano (e vengano indicati dal giudice di merito) i peculiari indici rivelatori di una simile configurazione giuridica.
2000
Il 22 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6656 alla cui stregua il diritto di superficie ha un proprio, specifico contenuto economico incidente per un verso, positivamente, sul patrimonio di chi ne è titolare, per altro verso, negativamente, su quello di coloro che per effetto di esso subiscano una limitazione al loro diritto dominicale.
Ciò, chiosa il Collegio, senza che rilevi la circostanza onde l’esercizio dello ius aedificandi è rimesso alla volontà del superficiario, poiché il carattere futuro ed eventuale di tale esercizio – connaturato alla stessa struttura del diritto di superficie nella relativa declinazione “ad aedificandum” – nulla toglie alla relativa valutabilità in termini economici.
2001
Il 29 maggio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.7300 alla cui stregua la concessione ad aedificandum, stante l’autonomia contrattuale delle parti riconosciuta dall’art.1322 c.c., non si concreta sempre necessariamente in un diritto di superficie, ai sensi dell’art.952 c.c., potendo in taluni casi assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale nei soli confronti del concedente.
In tal caso, chiosa il Collegio, essa trova la propria fonte in un contratto atipico con effetti meramente obbligatori, e non dunque con effetti “reali”, senza come tale andar soggetto a rigori di forma e pubblicità propri della fonte di un diritto “reale”.
Tuttavia, ribadisce la Corte, al fine di poter interpretare in tal senso la pattuizione siccome concretamente intervenuta tra le parti – piuttosto che in quello conforme allo schema “reale” tipico approntato dal legislatore, evincendone dunque un vero e proprio diritto reale di superficie – occorre che emergano, e che vengano indicati dal giudice di merito, i peculiari indici rivelatori di una simile configurazione giuridica.
2004
Il 4 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2100 alla cui stregua il “diritto di palco” di cui alla legge 1336.39 consiste nella facoltà di godere e di disporre dell’intero palco teatrale in modo esclusivo e con continuità, permettendo al relativo titolare – nonché ai componenti della famiglia ed ai relativi ospiti – di assistere agli spettacoli in una situazione di agevolezza, comodità e riservatezza, vale a dire in condizioni di privilegio.
Esso, chiosa la Corte, riveste la natura giuridica di diritto di superficie ex art.952 c.c., nelle diverse forme di “diritto di superficie” ai sensi del comma 1 dell’art.952, e di “diritto di proprietà superficiaria separata” ai sensi del comma 2 del ridetto art.952, a seconda di quanto previsto nel relativo titolo costitutivo.
Per il Collegio il ridetto diritto sul palco in teatro non ha poi come oggetto i posti, a sedere o in piedi che esso contiene, quanto piuttosto lo spazio intero — aperto sulle balconate sovrapposte nelle pareti perimetrali della sala in cui si svolgono gli spettacoli — dal quale i titolari possono assistere alle rappresentazioni, e tutto tale “bene” forma normalmente oggetto di proprietà superficiaria o di proprietà superficiaria separata, secondo il titolo.
E poiché, in ragione della relativa peculiare conformazione fisica (la struttura) e delle utilità specifiche che offre (la funzione), tutto il palco, di per sé, non è suscettibile di divisione, in quanto non permette la formazione di un numero di quote uguali a quello dei condividenti, nel caso di comproprietà del palco e di scioglimento della comunione il bene giuridico «palco» deve essere compreso per intero nella quota dei condividenti titolari della quota maggiore, con addebito dell’eccedenza.
2008
Il 19 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4072 alla cui stregua, in tema di diritti di superficie, la proprietà separata del cosiddetto soprassuolo arboreo, se sorta nella vigenza del codice civile del 1865 – nella specie, trattasi di piante di ulivo distribuite in due piccoli gruppi con altra pianta distanziata – non può che essere limitata alle piantagioni esistenti al momento della costituzione del relativo diritto, e non investe l’intera estensione del fondo.
Va dunque escluso in simili ipotesi, per il Collegio, il diritto di piantare, ove non espressamente previsto, nuovi alberi, fatta eccezione che questi siano cresciuti per germinazione spontanea da quelli preesistenti.
2009
Il 13 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione penale n.1152 in materia di sequestro alla cui stregua in virtù del principio superficies solo cedit, cristallizzato all’art. 934 c.c. e ss., l’opera costruita su un determinato suolo appartiene al proprietario del suolo, salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge ed a meno che non sia stato costituito dal proprietario del suolo un diritto di superficie ai sensi dell’art. 952 c.c., cosa che non risulta accaduta nel caso di specie.
Il principio di cui si è detto e le regole dettate in materia di proprietà hanno consentito – precisa la Corte – di individuare con precisione i proprietari dei beni, o meglio dell’edificio. Ciò, però, non significa che l’edificio, laddove realizzato con “provenienze illecite”, segua sotto un profilo penalistico il regime giuridico del suolo acquistato legittimamente, la costruzione realizzata con proventi illeciti evidentemente rimanendo “illegittima”.
I due beni sotto il profilo economico e funzionale non possono che essere valutati unitariamente, non potendo essi, come è stato posto in evidenza dal Tribunale, essere suscettibili di una utilizzazione separata. Sotto tale profilo il principio di cui si è detto sostanzialmente si inverte, nel senso che ciò che ha un valore economico preminente, perché può in vario modo essere utilizzato, è proprio il fabbricato, mentre il suolo, anche se non può essere considerato una pertinenza dell’edificio, svolge una funzione strumentale rispetto ad esso; di conseguenza il suolo non può che seguire, sul piano penalistico, il regime giuridico dell’edificio sullo stesso costruito.
Cosicché – disposto il sequestro dell’edificio perché bene confiscabile ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies – il sequestro si estenderà non solo alle pertinenze dell’edificio, ma anche al suolo sul quale la costruzione sia stata realizzata, ancorché la relativa provenienza sia legittima. Siffatta conclusione del resto è per la Corte in armonia con gli scopi che intende raggiungere la norma ora citata che vuole evitare che gli autori di gravi reati, specificamente indicati dalla norma medesima, possano giovarsi di investimenti illeciti, perché effettuati con i proventi della attività delittuosa.
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Il 15 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.21930 onde deve assumersi non violare il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice di merito che – a fronte della domanda di accertamento del diritto di proprietà su di un immobile – riconosca invece all’istante un diritto di superficie, costituendo questo un “minus” rispetto al primo, perché attiene a facoltà che sono normalmente comprese nella proprietà dalla quale, per espressa previsione dell’art. 952 c.c., possono essere scorporate, con attribuzione ad un soggetto diverso dal proprietario di una parte soltanto delle ridette facoltà dominicali.
Per il Collegio va dunque confermata, nel caso di specie, la sentenza di merito che ha riconosciuto l’usucapione del diritto di superficie di un lastrico solare in favore della parte che aveva chiesto l’accertamento dell’usucapione del diritto di proprietà sulla medesima area.
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Il 24 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24701 alla cui stregua, in base al principio dell’autonomia negoziale, deve assumersi consentita la possibilità della contemporanea costituzione, a carico dello stesso immobile e tra le stesse parti, sia di un diritto di superficie avente ad oggetto lo spazio aereo soprastante l’immobile, sia di un diritto di servitù “altius non tollendi“
Spetta al giudice di merito – chiosa la Corte – nell’indagine sulla comune intenzione dei contraenti palesata nel singolo caso di specie, accertare se la volontà delle parti sia stata quella di assicurare, con tale assetto negoziale, una posizione di privilegio ad una parte rispetto all’altra siccome concretantesi nella facoltà di scegliere tra l’edificazione ed il mantenimento della visuale anche dopo che il diritto di superficie sia estinto per non uso, così teoricamente consentendo al proprietario concedente (in difetto anche di una servitù che lo renda “servente”) di sopraelevare.
Per la Corte, nel caso di specie va dunque cassata la sentenza di merito che, nel decidere in controversia vertente su un contratto di “vendita d’aria” stipulato sotto il vigore del codice civile previgente – il quale non prevedeva trai diritti reali “in re aliena” esplicitamente il diritto di superficie -, ha preso le mosse dalla premessa di principio onde non sarebbe possibile far luogo contemporaneamente sullo stesso immobile alla costituzione di una servitù “altius non tollendi” ed alla concessione del relativo spazio sovrastante, così pregiudicando in radice la corretta indagine ermeneutica sul complessivo (e concreto) accordo intercorso tra le medesime parti.
2016
L’8 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione penale n.23805 alla cui stregua – con una decisa valorizzazione del diritto di superficie – in tema di misure di prevenzione, è legittima la confisca di un edificio realizzato con fondi di provenienza illecita su un suolo di provenienza lecita, se il primo presenti un valore preponderante rispetto al secondo, poiché, quando un bene si compone di più unità, il regime penalistico cui assoggettare il cespite nella relativa interezza è quello proprio della parte di valore economico e di utilizzabilità nettamente prevalenti, diventando irrilevante il principio civilistico dell’accessione.
La Corte, nell’assumere fondato il ricorso ad essa sottoposto nel caso di specie, rappresenta come il principio di diritto che essa stessa, nella precedente sentenza di annullamento, ha indicato come quello al quale la Corte territoriale, in sede di rinvio, avrebbe dovuto attenersi, è il seguente: “E’ legittima la confisca di un fabbricato realizzato con l’impiego di ricchezze illecite da persona sottoposta alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, nonché del terreno sul quale esso insista, a nulla rilevando la provenienza lecita di quest’ultimo, data la non separabilità o comunque la non separata fruibilità dei due beni“: Cass. 2558/2009, 49479/2009, 39228/2010, espressamente richiamate nella sentenza di annullamento.
Questo principio – chiosa ancora la Corte – deriva, a propria volta, da quello enunciato dalle SSUU con la sentenza n 1152/2008 rv. 241886 nella quale si legge testualmente:
“in virtù del principio superficies solo cedit, disciplinata dall’art. 934 c.c. e ss., l’opera costruita su un determinato suolo appartiene al proprietario del suolo, salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge ed a meno che non sia stato costituito dal proprietario del suolo un diritto di superficie ai sensi dell’art. 952 c.c., cosa che non risulta essere stata fatta nel caso di specie. Il principio di cui si è detto e le regole dettate in materia di proprietà hanno consentito di individuare con precisione i proprietari dei beni, o meglio dell’edificio.
Ciò, però, non significa che l’edificio, sotto un profilo penalistico, segua il regime giuridico del suolo acquistato legittimamente, nel senso che, evidentemente, la costruzione realizzata con proventi illeciti rimane illegittima. I due beni sotto il profilo economico e funzionale non possono che essere valutati unitariamente, non potendo essi, come è stato posto in evidenza dal Tribunale, essere suscettibili di una utilizzazione separata.
Sotto tale profilo il principio di cui si è detto sostanzialmente si inverte, nel senso che ciò che ha un valore economico preminente, perché può in vario modo essere utilizzato, è proprio il fabbricato, mentre il suolo, anche se non può essere considerato una pertinenza dell’edificio, svolge una funzione strumentale rispetto ad esso; di conseguenza il suolo non può che seguire, sul piano penalistico, il regime giuridico dell’edificio sullo stesso costruito.
Cosicché, disposto il sequestro dell’edificio perché bene confiscabile ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, il sequestro si estenderà non solo alle pertinenze dell’edificio, ma anche al suolo sul quale la costruzione sia stata realizzata, ancorché la sua provenienza sia legittima. Siffatta conclusione del resto è in armonia con gli scopi che intende raggiungere la norma ora citata che vuole evitare che gli autori di gravi reati, specificamente indicati dalla norma, possano giovarsi di investimenti illeciti, perchè effettuati con i proventi della attività delittuosa“.
La suddetta motivazione, prosegue la Corte, è stata poi ribadita da altre sentenze delle sezioni semplici che, di volta, in volta, hanno precisato che il principio della cd. accessione invertita si applica:
– anche nel caso in cui il terreno su cui il fabbricato è stato edificato abbia una superficie più ampia tanto da consentirne la scindibilità: Cass. 49479/2009 cit.; Cass. 9366/2013 Rv. 255208 ha ribadito che “va dato rilievo preminente al maggiore valore economico che è proprio del fabbricato e il terreno, indipendentemente dalla sua estensione, riceve, quale pertinenza, un incremento del suo valore, finendo con il seguire il regime giuridico dell’ormai inscindibile bene principale“; Cass. 16151/2014 rv. 259763;
– anche nel caso in cui sul terreno sia stata costruita una villa abusiva: Cass. 39228/2010 cit..
La Corte territoriale, prosegue il Collegio, ha mostrato di adeguarsi al suddetto principio perché, dopo averne preso atto, lo ha applicato alla concreta fattispecie avendo ritenuto che “il regime penalistico cui assoggettare l’intero bene non può che seguire quello della quota del bene di valore economico e di più estesa utilizzabilità nettamente prevalenti. Vale a dire, nel caso di specie, della struttura edificata come centro sportivo, di cui la consulenza tecnica d’ufficio ha accertato la cospicua entità economica ndr: Euro 294.000,00 e che la Corte ha già affermato essere realizzata con il reimpiego di capitali illeciti“.
La Corte, invece, non ha addotto alcuna motivazione in ordine alla confisca della palazzina essendosi limitata ad illustrare le ragioni per le quali la medesima doveva ritenersi “ricondotta nella disponibilità del M.”.
Sennonché, il Collegio rammenta di aver chiarito e precisato nella propria sentenza di annullamento, che il principio di diritto supra illustrato, andava coordinato e specificato alla luce di altre due sentenze di legittimità: Cass. 33479/2007 e Cass. 21079/2010.
Dopo una articolata motivazione, la Corte conclude formulando il principio di diritto onde, in tema di misure di prevenzione, va assunta legittima la confisca di un edificio realizzato con fondi di provenienza illecita su un suolo di provenienza lecita, se il primo abbia un valore preponderante rispetto al secondo, poiché, quando un bene si compone di più unità, il regime penalistico cui assoggettare il cespite nella relativa interezza è quello proprio della parte di valore economico e di utilizzabilità nettamente prevalenti, diventando irrilevante il principio civilistico dell’accessione.
2017
Il 9 ottobre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.23547 onde la “proprietà superficiaria” di un immobile – consistente nella proprietà della costruzione separata dalla proprietà del suolo e distinguentesi come tale dal diritto di superficie, quale diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo altrui – limitando il diritto del proprietario del suolo, il quale non può avvalersi della facoltà di costruire in pregiudizio del diritto del superficiario e non può beneficiare degli effetti dell’accessione, va inquadrata tra i diritti reali di godimento su cosa altrui.
La proprietà superficiaria, prosegue la Corte, deve assumersi quale diritto ontologicamente diverso da quello di piena proprietà, cosicché, ove – nell’ambito di un contratto preliminare di compravendita – il promittente venditore si sia obbligato a trasferire al promissario acquirente la proprietà piena di un immobile del quale abbia soltanto la proprietà superficiaria, ricorre la figura dell'”aliud pro alio“, che legittima l’azione per la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1453 c.c…
Ove poi la promessa di vendita abbia ad oggetto la proprietà di un immobile senza ulteriore specificazione, deve presumersi che si tratti della piena proprietà, spettando al promittente venditore l’onere di provare che il promissario acquirente era a conoscenza dell’inerenza dell’obbligo alla sola proprietà superficiaria.
2018
Il 16 febbraio esce la sentenza delle SSUU n.3873, alla cui stregua la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c., di proprietà comune ai comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta “ad substantiam”.
II consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, gli preclude lo “ius tollendi”; laddove tale ius tollendi non sia esercitato o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera.
Si tratta di una sentenza che, se da un lato valorizza il principio dell’accessione (superficies solo cedit), dall’altro afferma che laddove il comproprietario non costruttore presti il consenso alla costruzione ad opera del comproprietario costruttore, tale consenso non è idoneo a costituire un diritto di superficie (o un altro diritto reale) a vantaggio di quest’ultimo (comproprietario costruttore).
Per le SSUU, più nel dettaglio, la regola dell’accessione, nella misura in cui consente la ricompattazione e la semplificazione delle situazioni di appartenenza punta a salvaguardare l’interesse generale al più razionale sfruttamento economico del suolo, ma costituisce soprattutto – anche grazie al sistema della pubblicità immobiliare – presidio della certezza dei rapporti giuridici e della sicurezza della circolazione della proprietà.
Essa finisce per limitare lo stesso potere del proprietario del suolo di disporre del proprio diritto, non potendo egli alienare il suolo e la costruzione l’uno separatamente dall’altro, salvo a costituire – con atto redatto nelle forme di legge (art. 1350 cod. civ.) e soggetto all’onere della trascrizione (art. 2643 e segg. cod. civ.) – un diritto reale di superficie (sub specie di proprietà superficiaria) (art. 952 e segg. cod. civ.).
Costituiscono titoli idonei a impedire l’operare dell’accessione, ricorda ancora la Corte, quelli costitutivi di diritti reali, fra i quali si colloca, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie (art. 952 e segg. cod. civ.), la c.d. concessione ad aedificandum, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgerà su di esso.
Trattandosi di contratti relativi a diritti reali immobiliari, essi – ribadisce convintamente la Corte – ai sensi dell’art. 1350 cod. civ., devono rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. 1, 23/02/1999, n. 1543 ; Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Sez. 2, 19/04/1994, n. 3714; Cass., Sez. 2, 27/10/1984, n. 5511); come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, che si traduce sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie (Cass., Sez. 1, 15/12/1966, n. 2946).
Nel caso di specie allora la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se fosse stato stipulato tra le parti un contratto redatto in forma scritta avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del suolo su cui insiste la costruzione realizzata dalla società convenuta ovvero la costituzione di un diritto di superficie o di altro diritto reale in grado di separare la proprietà del suolo dalla proprietà della costruzione ovvero – ancora – se uno dei condomini avesse posto in essere (sempre con la dovuta forma scritta richiesta dall’art. 1350 n. 5 cod. civ.) una rinunzia abdicativa alla propria quota di comproprietà (con conseguente accrescimento del diritto di proprietà dell’altro) ai sensi dell’art. 1104, primo comma, cod. civ. (sul punto, cfr. Cass., Sez. 2, 25/02/2015, n. 3819; Cass., Sez. 2, 06/07/1968, n. 2316).
E non avrebbe potuto dare improprio rilievo, ai fini del riconoscimento della proprietà della costruzione, al consenso manifestato “verbalmente” dal condomino non costruttore, circostanza – questa – da assumersi rilevante ai fini della verifica della spettanza a costui dello ius tollendi, ma non in grado di incidere sull’acquisto “alla comunione” della proprietà della costruzione.
2020
Il 30 aprile esce la fondamentale pronuncia delle SSUU della Cassazione n.8434 che si occupa di una fattispecie di installazione di un ripetitore su lastrico solare.
Il Collegio rammenta in primis come la Sezione remittente, nel proporre la questione di massima nella specie scandagliata, abbia evidenziato come la relativa soluzione postuli un chiarimento sulla «esatta qualificazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l’esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell’area, garantendo comunque al detentore del lastrico di acquisire e conservare la proprietà dei manufatti sia nel corso del rapporto sia alla cessazione di esso».
Per le SSUU, la necessità di tale chiarimento va condivisa dacché in effetti, alla luce del disposto dell’articolo 1108, comma 3, c.c., è proprio la qualificazione del menzionato contratto – e quindi, in definitiva, la verifica se esso concerna la costituzione di un diritto reale di superficie oppure la concessione di un diritto personale di godimento lato sensu riconducibile al tipo negoziale della locazione – ad orientare la soluzione della questione relativa alla necessità del consenso di tutti i partecipanti al condominio per la relativa approvazione.
Prima di affrontare il tema della qualificazione negoziale ridetto, è peraltro per le SSUU opportuno, onde perimetrare con chiarezza il campo dell’indagine, chiarire che, ai fini della soluzione della questione della necessità del consenso unanime dei condomini per l’approvazione della cessione temporanea a terzi di un lastrico condominiale, finalizzata all’installazione di un ripetitore di segnale, non viene in rilievo la disciplina dettata dall’articolo 1120 c.c. per le innovazioni.
In proposito per la Corte va preliminarmente evidenziato che non può trovare seguito l’opinione, avanzata in dottrina, secondo cui la collocazione di un ripetitore sul tetto di un fabbricato esulerebbe, di per se stessa, dal concetto di innovazione o di modificazione in senso proprio.
Tale opinione si fonda sul rilievo che il ripetitore non inciderebbe sulla consistenza materiale del tetto e non sarebbe funzionale alla utilità del medesimo o all’uso che esso consente ai condomini, cosicché lo stesso non risulterebbe diretto «al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento» (art. 1120, primo comma, c.c.) del tetto, del quale lascerebbe inalterata la consistenza e la conformazione ed al quale verrebbe ad aggiungersi.
Al riguardo, per contro, va richiamato per le SSUU il risalente e consolidato orientamento onde costituisce innovazione ex art. 1120 c.c. la modificazione della cosa comune che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della relativa destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione della opere (sentt. nn. 2940/1963, 240/1997, 862/1998, 15460/2002, 18052/12, ord. n. 20712/2017).
Sulla scorta di tali principi di diritto risulta inevitabile concludere che la collocazione sul lastrico condominiale di un manufatto stabilmente infisso nell’impiantito va considerata una “innovazione“, nel senso di cui all’articolo 1120 c.c., in quanto determina una parziale trasformazione della destinazione del medesimo lastrico.
Esula poi dall’oggetto del giudizio nel caso di specie – precisa la Corte – l’esame del rapporto tra il campo applicativo dell’articolo 1120 c.c., come modificato dalla riforma della disciplina del condominio recata dalla legge n. 220/2012, e l’articolo 1117 ter c.c., introdotto ex novo da detta riforma. E’ infatti sufficiente sottolineare che un lastrico solare sul quale venga realizzato un manufatto mantiene, ciò non di meno, la propria funzione di copertura del fabbricato e di protezione del medesimo dalle intemperie, ma tuttavia perde, per la parte della relativa estensione su cui il manufatto insiste, la propria destinazione al calpestio.
La ragione per cui la cessione temporanea a terzi di un lastrico condominiale, finalizzata all’installazione sul medesimo di un ripetitore di segnale, non è riconducibile alla disciplina delle innovazioni dettata dall’articolo 1120 c.c. non va dunque per la Corte rinvenuta nelle caratteristiche oggettive dell’opera, bensì nella considerazione che l’immutatio loci derivante dall’ancoraggio dell’impianto al lastrico solare viene realizzata non su disposizione, a spese e nell’interesse del condominio, bensì su disposizione, a spese e nell’interesse del terzo cessionario del godimento del lastrico.
Non si tratta in altri termini, prosegue la Corte, dell’installazione, ad opera del condominio, di un impianto tecnologico destinato all’uso comune, del quale il medesimo condominio abbia deciso di dotarsi (e le cui spese, per il principio maggioritario, gravino anche sui dissenzienti, salva la specifica disciplina dettata dall’articolo 1121 c.c.), ma dell’installazione, ad opera ed a spese di un terzo, di un impianto tecnologico destinato all’utilizzo esclusivo di tale terzo.
La vicenda va quindi guardata non nella prospettiva dell’approvazione di una innovazione ai sensi dell’articolo 1120 c.c., bensì nella prospettiva dell’approvazione di un atto di amministrazione (il contratto con il terzo) ai sensi dell’articolo 1108, terzo comma, c.c.. Si tratta dunque in sostanza, chiosano ancora le SSUU, di verificare se l’atto di amministrazione costituito da un contratto di cessione totale o parziale del lastrico condominiale ad una impresa di telefonia ai fini della installazione di un ripetitore – per un tempo determinato e con la conservazione in capo al concessionario dell’ esclusiva disponibilità dell’impianto (col conseguente jus tollendi) – rientri tra quelli che il terzo comma dell’articolo 1108 c.c. sottrae al potere dell’assemblea e, quindi, alla regola maggioritaria.
Esclusa, quindi, la rilevanza, ai fini che occupano, del disposto dell’articolo 1120 c.c., la prima considerazione da svolgere per la Corte in relazione alla questione di massima sollevata dalla Seconda Sezione civile è che, secondo il consolidato orientamento della Corte medesima, quando non risulti possibile l’uso diretto della cosa comune per tutti i partecipanti al condominio, in proporzione delle rispettive quote millesimali (promiscuamente o con turnazioni temporali o con frazionamento degli spazi), la compagine condominiale può deliberare l’uso indiretto della cosa comune e tale deliberazione, quando si tratti di atto di ordinaria amministrazione (come nel caso della locazione di durata non superiore a 9 anni), può essere adottata a maggioranza (sentt. nn. 8528/1994, 10446/1998, 4131/2001 e, più recentemente, 22435/2011).
Può quindi per la Corte pervenirsi alla prima, parziale, conclusione onde, ai fini dell’approvazione di un contratto avente ad oggetto la concessione temporanea, a titolo oneroso, della facoltà di installare un ripetitore di segnale sul lastrico condominiale, ai sensi dell’articolo 1108, terzo comma, c.c., non è necessario il consenso di tutti i condomini nel caso in cui tale concessione trovi titolo in un contratto che non abbia ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali e non attribuisca un diritto personale di godimento di durata superiore a 9 anni.
Il nodo nel quale si sostanzia la questione di massima proposta dalla Seconda Sezione civile si risolve allora, per le SSUU, nello stabilire se un contratto con cui il proprietario di un lastrico solare attribuisca all’altro contraente, a titolo oneroso, il diritto di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore e di asportarlo al termine del rapporto debba qualificarsi come contratto ad effetti reali o come contratto ad effetti obbligatori; nella prima ipotesi, infatti, ove il lastrico solare appartenga ad un condominio, l’approvazione del contratto richiede, ai sensi dell’articolo 1108, terzo comma, c.c., il consenso di tutti i condomini.
Va sottolineato che la questione di massima posta dalla Sezione remittente è riferita, in ragione dell’oggetto del giudizio, ad un lastrico condominiale. La questione di qualificazione negoziale menzionata nel paragrafo che precede tuttavia, precisa la Corte, prescinde, evidentemente, dalla natura individuale o comune o condominiale della proprietà del lastrico.
Il Collegio decide allora dapprima – significativamente – di esaminare la questione della qualificazione del contratto con cui il proprietario di un lastrico solare attribuisca ad altri, a titolo oneroso, il diritto di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore e di asportarlo al termine del rapporto contrattuale; successivamente, si propone di ritrarre le conseguenze degli esiti di tale esame nella specifica ipotesi che detto contratto riguardi un lastrico di copertura di un fabbricato condominiale.
La prima questione delineata si connota, in primo luogo, come questione di ermeneusi negoziale, la cui soluzione compete per la Corte al giudice di merito.
Come è stato segnalato da avvertita dottrina, infatti, al fine di attribuire al contratto di cui si discute effetti reali o effetti obbligatori, bisogna innanzi tutto valutare l’effettiva volontà delle parti, desumibile, oltre che dal nomen juris (di per se stesso non determinante, ma nemmeno del tutto trascurabile nel processo interpretativo), anche da altri elementi testuali, quali la previsione relativa alla durata, la disciplina negoziale della sorte del manufatto al momento della cessazione del rapporto, la determinazione del corrispettivo come unitario o come canone periodico, la regolazione degli obblighi del cessionario in ordine alla manutenzione della base della installazione, l’eventuale richiamo a specifici aspetti della disciplina delle locazioni non abitative; nonché da elementi extratestuali, quali la forma dell’atto e il comportamento delle parti.
A quest’ultimo riguardo può, ad esempio, evidenziarsi come la stipula del contratto per atto pubblico può essere valorizzata a favore della qualificazione dell’atto come contratto a effetti reali ed altrettanto può dirsi, ai sensi dell’articolo 1326, secondo comma, c.c., in relazione al comportamento delle parti, successivo alla conclusione del contratto, consistente nella decisione di trascrivere l’atto nei registri immobiliari pur quando il diritto di utilizzazione del lastrico solare sia stato concesso per una durata inferiore a 9 anni.
Il tema posto dalla Sezione remittente si colloca tuttavia, chiosa la Corte, a monte dell’ermeneusi negoziale concernente il singolo contratto dedotto in giudizio, in quanto investe la stessa possibilità astratta di qualificare il contratto di concessione di un lastrico solare per l’installazione di un ripetitore di segnale come contratto costitutivo di un diritto reale di superficie o come contratto ad effetti obbligatori; ipotesi, la prima, non percorribile ove si neghi ai ripetitori di segnale la qualifica di beni immobili e, la seconda, non sempre riconosciuta dalla giurisprudenza di merito (cfr. Corte di appello di Firenze, 15 ottobre 2005 n. 1470: «In ogni caso, la struttura la cui realizzazione si è consentita con la delibera impugnata è destinata ad essere stabilmente infissa sul lastrico solare, ergendosi in altezza; ciò significa che con la decisione assembleare si è costituito sul lastrico comune un diritto reale di superficie»).
La prima questione da risolvere, ai fini dello scioglimento della questione di ermeneusi negoziale prospettata, consiste allora per il Collegio nello stabilire se i ripetitori di segnale debbano considerarsi beni immobili (e, più specificamente, costruzioni) o beni mobili; in questa seconda ipotesi, infatti, la possibilità di qualificare il contratto di cui si tratta come atto costitutivo di un diritto di superficie non potrebbe porsi nemmeno in astratto.
La Sezioni Unite ritengono a questo punto che i menzionati ripetitori debbano essere considerati beni immobili, rientrando essi tra le «altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio» secondo il disposto dell’articolo 812, comma 2, c.c..
Al riguardo va per la Corte sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che costituisce bene immobile qualsiasi costruzione, di qualunque materiale formata, che sia incorporata o materialmente congiunta al suolo, anche se a scopo transitorio (Cass. n. 679/1968); che deve considerarsi costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall’uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione (Cass. n. 20574/2007); che, ai fini delle norme codicistiche sulla proprietà, la nozione di costruzione non è limitata a realizzazioni di tipo strettamente edile, ma si estende ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità, per le quali non rileva la qualità del materiale adoperato (Cass. n. 4679/2009, pag. 6); che la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi opera, non completamente interrata, avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (Cass. n. 22127/2009 che ha ritenuto che integrasse la nozione di “costruzione” una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura).
In definitiva, ricordato il risalente ed autorevole insegnamento secondo cui la distinzione tra immobili e mobili è, al pari di tutte le altre distinzioni sulle cose, ispirata da criteri economico-sociali e non da criteri naturalistici, deve affermarsi per le SSUU che, come è stato segnalato in dottrina, ai fini della qualificazione di un bene come immobile, l’ “incorporazione” a cui fa riferimento il primo comma dell’articolo 812 c.c. va intesa come relazione strumentale e funzionale tra bene incorporato e bene incorporante; ciò che quindi essenzialmente rileva – più che la stabilità dell’unione del bene al suolo, o il tipo di tecnica usata per realizzare tale unione, o la irreversibilità dell’unione stessa – è l’idoneità del bene incorporato al suolo a formare oggetto di diritti non in sé isolatamente considerato, ma in quanto rapportato alla relativa dimensione spaziale.
Un bene è immobile, in senso giuridico, in quanto gli interessi che esso soddisfa sono determinati proprio dalla relativa staticità, nel senso che esso assolve a determinate esigenze in quanto insiste su un certo luogo. Ciò che, appunto, può dirsi di un ripetitore di segnale.
Va aggiunto per la Corte che i ripetitori telefonici devono altresì considerarsi – oltre che, genericamente, beni immobili ai sensi dell’articolo 812 c.c. – anche “costruzioni” agli specifici effetti tanto dell’articolo 934 c.c. (e, dunque, suscettibili di accessione), quanto dell’articolo 952 c.c. (e, dunque, suscettibili di costituire oggetto di un diritto di superficie).
Supportano tale conclusione le indicazioni, puntualmente sottolineate nella ordinanza di remissione, che si desumono, per un verso, dal testo unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), il quale, nell’articolo 3, comma 1, lett. e), punto 4, ricomprende espressamente, fra gli interventi di “nuova costruzione” la «istallazione … di ripetitori per i servizi di telecomunicazione»; per altro verso, dal codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003), il quale, nell’articolo 86, comma 3, espressamente assimila alle opere di urbanizzazione primaria le «infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88», ossia, a mente dell’articolo 87, comma 1, D.P.R. n. 259/2003, le «infrastrutture per impianti radioelettrici … e, in specie, l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all’uopo assegnate».
La conclusione enunciata risulta per il Collegio suffragata anche dalla giurisprudenza penale della medesima Suprema Corte, la quale – in sintonia con la giurisprudenza costituzionale (C. cost. n. 129/2006) e amministrativa (Cons. Stato nn. 100/2005, 4159/2005, 2436/2010) – ha chiarito che, in tema di installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia di inizio attività previsti dall’art. 87 D.Lgs. n. 259/2003 hanno quale contenuto anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento (Cass. Pen. 41598/2005); donde la conseguenza che l’installazione di impianti di telefonia mobile senza il preventivo rilascio dell’autorizzazione disciplinata dal suddetto articolo 87 D.Lgs. n. 259/2003 integra il reato previsto dall’art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001.
Né, si osserva da ultimo da parte del Collegio, la tesi che i ripetitori di segnale rientrano nella categoria delle “costruzioni“, che qui si sostiene, trova ostacolo nella disposizione, che pure si rinviene nel citato terzo comma dell’articolo 86 D.P.R. n. 259/2003, che le infrastrutture suddette «non costituiscono unità immobiliari ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale».
Tale disposizione ha infatti portata e finalità esclusivamente tributaria, innovando rispetto alla precedente prassi dall’Amministrazione finanziaria, che, con la circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/2006, aveva, di contro, stabilito che gli impianti per la diffusione della telefonia mobile dovessero essere dichiarati al catasto edilizio urbano nel caso in cui risultassero collocati su aree o locali (preesistenti o di nuova costruzione) specificamente destinati ad ospitarli.
Se, dunque, un ripetitore di segnale può essere considerato un bene immobile e, più specificamente, una costruzione, si deve concludere che il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, con il diritto per il cessionario di mantenerne la disponibilità ed il godimento e di asportarlo alla fine del rapporto, può per la Corte astrattamente essere perseguito attraverso un contratto ad effetti reali e, precisamente, attraverso un contratto costitutivo del diritto reale di superficie.
Non può dunque condividersi l’opinione, avanzata in dottrina, secondo la quale il concetto di costruzione di cui all’articolo 952 c.c. evocherebbe una nozione tradizionale di costruzione che richiamerebbe pur sempre l’idea di un manufatto stabilmente destinato a circoscrivere lo spazio e, quindi, a distinguere uno spazio interno dallo spazio esterno, in tal modo generando un volume.
La suddetta opinione, infatti, non soltanto non risulta sorretta da evidenze esegetiche che autorizzino ad assegnare alla nozione di costruzione contemplata nell’ articolo 952 c.c. un significato diverso da quello alla stessa correntemente assegnato dalla giurisprudenza civile richiamata supra, ma risulta incompatibile anche con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza penale, amministrativa e costituzionale testé richiamata dal Collegio.
Per completezza argomentativa è opportuno poi per le SSUU escludere espressamente che la situazione soggettiva di vantaggio generata dalla cessione del godimento di un lastrico solare finalizzata alla installazione di un ripetitore da parte del cessionario possa essere riferita a diritti reali diversi dalla superficie.
In primo luogo va esclusa la utilizzabilità del modello della servitù volontaria (anche industriale, ex art. 1028, ultima parte, c.c.), per l’assorbente considerazione che la servitù presuppone una utilitas per il fondo dominante e, quindi, l’esistenza di un fondo dominante, nella specie non configurabile.
Parimenti va esclusa la utilizzabilità del modello del diritto reale di uso disciplinato dall’articolo 1021 c.c.. E’ vero, infatti, che, come affermato dalla Corte con la sentenza n. 7811/2006, l’edificazione sul fondo rientra tra le facoltà dell’usuario (fermo restando l’obbligo di quest’ultimo di restituire la cosa, al momento dell’estinzione del diritto per decorso del termine di durata, nello stato in cui l’ha ricevuta e salva la regolamentazione convenzionale degli effetti determinati dalla realizzazione della costruzione).
Ed è parimenti vero che, in linea di principio, non vi sono ragioni che escludono che tale diritto possa sorgere in capo alle persone giuridiche (salvo che, come segnalato da risalente ed autorevole dottrina, le facoltà di queste ultime si limitano all’utilizzazione e non comprendono la raccolta dei frutti, anche quando si tratti di cose fruttifere, non verificandosi, nei loro riguardi, la condizione a cui è subordinato il diritto ai frutti, ossia la sussistenza di bisogni personali da soddisfare).
Tuttavia, la non riferibilità al diritto reale di uso della situazione soggettiva dell’impresa di telecomunicazioni che si renda cessionaria di un lastrico al fine di installarvi un ripetitore discende dal rilievo che l’unica facoltà che contrattualmente compete alla cessionaria è, appunto, quella di installare sul lastrico un ripetitore. Laddove la Corte ha chiarito che l’ampiezza del potere dell’usuario di servirsi della cosa traendone ogni utilità ricavabile, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene, non può soffrire condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo (Cass. n. 17320/2015, nonché Cass. n. 5034/2008, dove si è altresì precisato che la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del carattere obbligatorio che lo contraddistingue, può essere diversamente regolato dalle parti nei relativi aspetti di sostanza e di contenuto).
Donde la non utilizzabilità per il Collegio del paradigma del diritto reale di uso, giacché il principio del numerus clausus dei diritti reali non consente di ritenere che il nucleo di poteri e di modalità di godimento che connotano l’utilità che il titolare di un determinato diritto reale può trarre dal bene che ne forma oggetto possa essere conformato dall’autonomia privata; quest’ultima, infatti, può conformare, ai sensi dell’articolo 1322 c.c., i rapporti obbligatori, ma non le situazioni reali, in ciò sostanziandosi, in ultima analisi, la differenza tra “tipo contrattuale” e “tipo di diritto reale“.
Lo schema negoziale attraverso il quale il proprietario di un lastrico solare può concedere ad altri, a titolo oneroso, il diritto reale di installarvi un ripetitore, mantenerne la disponibilità ed il godimento per un certo tempo ed asportarlo al termine del rapporto va allora individuato, come anticipato dalla Corte, nel contratto costitutivo di un diritto reale di superficie; diritto che, appunto, conferisce all’acquirente la facoltà di realizzare e mantenere, sul suolo altrui, una costruzione destinata, una volta realizzata, ad entrare nella sua proprietà superficiaria.
Il diritto di superficie può essere a tempo determinato, in conformità al disposto dell’articolo 953 c.c. e, al momento della relativa estinzione per la scadenza del termine, il titolare della proprietà superficiaria può asportare il manufatto, ove ciò le parti abbiano pattuito, in deroga alla norma contenuta nel medesimo dell’articolo 953 c.c. (dispositiva e non imperativa), alla cui stregua il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione quando il diritto di superficie si estingue.
Perché il diritto conferito al cessionario del lastrico solare – comprensivo delle facoltà di installarvi l’impianto, di utilizzare e manutenere quest’ultimo e, infine, di asportarlo al momento dell’estinzione del diritto per il decorso del termine pattuito – possa essere configurato come un diritto reale di superficie sarà peraltro necessario, proseguono le SSUU, riscontrare che le parti abbiano inteso attribuire al suddetto diritto le caratteristiche tipiche della realità; vale a dire, l’ efficacia erga omnes (ossia la possibilità di farlo valere nei confronti di tutti e non solo del concedente), la trasferibilità a terzi, l’assoggettabilità al gravame ipotecario.
Una volta acclarato che la concessione a titolo oneroso della facoltà di installare e mantenere per un certo tempo un ripetitore su un lastrico solare, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento del ripetitore, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere realizzata attraverso un contratto ad effetti reali e, specificamente, un contratto costitutivo del diritto di superficie, va ora verificata per il Collegio la possibilità che analogo risultato socio-economico possa essere conseguito, mutatis mutandis, anche mediante un contratto ad effetti obbligatori.
Ritengono le Sezioni Unite che debba riconoscersi al proprietario di un lastrico solare la possibilità di attribuire ad altri, mediante un contratto ad effetti obbligatori, il diritto personale di installarvi un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con facoltà per il beneficiario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto e di asportare il medesimo alla fine del rapporto.
Non vi è infatti ragione per negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’articolo 1322 c.c., se perseguire risultati socio-economici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori; come si verifica, ad esempio, in relazione all’attribuzione del diritto di raccogliere i frutti dal fondo altrui (che può essere conseguita attraverso un contratto costitutivo del diritto di usufrutto o attraverso un contratto attributivo di un diritto personale di godimento, lato sensu riconducibile al modello del contratto di affitto) o in relazione all’attribuzione del diritto di attraversare il fondo altrui (che può essere conseguita attraverso un contratto costitutivo di una servitù di passaggio o attraverso un contratto attributivo di un diritto personale di passaggio, cfr. Cass. 2651/2010, Cass. 3091/2014).
L’accordo con cui il proprietario di un’area conceda ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa e rinunci agli effetti dell’accessione e, così, consenta alla controparte di godere e disporre del fabbricato e di asportarlo alla cessazione del rapporto è riconducibile – rammenta il Collegio – allo schema del contratto atipico di concessione dello jus ad aedificandum ad effetti obbligatori.
L’ammissibilità, nel nostro ordinamento, del suddetto negozio atipico è già stata affermata dalla Corte nella sentenza n. 2851/1967, dove si è affermato che la concessione ad aedificandum, da cui deriva il diritto di fare e mantenere determinate costruzioni al di sopra del suolo altrui, può, in taluni casi, pur attribuendo il godimento esclusivo dell’opera in correlazione e per la durata del diritto di godimento del terreno, avere un contenuto diverso dal diritto reale ed assumere, in particolare, le caratteristiche di un diritto personale di natura obbligatoria.
E’ quindi giuridicamente configurabile, si precisa in Cass. n. 2851/1967, un negozio ad effetti obbligatori, qualificabile come tipo anomalo di locazione, in cui al locatario si concede il godimento di un terreno, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui godrà precariamente come conduttore e che, alla fine del rapporto, dovranno essere rimosse a relativa cura.
In senso conforme si sono successivamente espresse le sentenze nn. 2036/1968, 3318/1968, 3721/1974, 3351/1984, 4111/1985, 1392/98 e 7300/01, le quali hanno reiteratamente ribadito che, in ragione dell’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c., la concessione ad aedificandum, non si concreta sempre e necessariamente in un diritto di superficie, ai sensi dell’art. 952 c.c., ma, in taluni casi, può assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale nei soli confronti del concedente, che trova la propria fonte in un contratto (atipico) con effetti meramente obbligatori non soggetto a rigori di forma o di pubblicità.
Va quindi conclusivamente affermato per le SSUU che il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento del ripetitore, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito tanto attraverso un contratto ad effetti reali quanto attraverso un contratto ad effetti obbligatori.
Posta tale premessa, ed al fine di individuare un criterio idoneo ad orientare la concreta ermeneusi negoziale a cui si è fatto riferimento supra, va ancora osservato per la Corte che, in linea generale, nel contratto costituivo di un diritto reale di superficie, l’interesse prevalente del beneficiario dell’attribuzione, che connota la funzione economico-sociale (astratta) tipica di tale contratto, ha ad oggetto la possibilità del superficiario di realizzare e tenere opere edilizie sul fondo altrui, anche ricostruendole; mentre restano sullo sfondo, come è stato osservato da attenta dottrina, gli altri elementi che conformano il concreto regolamento di interessi voluto dalle parti, come le caratteristiche della costruzione dedotta in contratto (stabile o instabile, di maggiore o minore entità), l’eventuale esistenza di limitazioni del diritto nel tempo, il rapporto intercorrente fra disponibilità del fondo e godimento delle costruzioni o addizioni poste in essere.
Nel contratto volto a consentire la installazione di un ripetitore sul lastrico di un palazzo condominiale l’interesse principale del beneficiario non cade, per contro, sull’acquisizione di una generica possibilità di costruire, bensì sull’acquisizione della disponibilità di un luogo ove installare il ripetitore.
Va sottolineato infatti, prosegue la Corte, che l’utilità che un ripetitore fornisce non discende dalla relativa natura di costruzione, ma dalla relativa posizione topografica; esso viene fissato al lastrico per ovvie ragioni di stabilità e sicurezza, ma potrebbe svolgere la propria funzione anche se fosse semplicemente poggiato sull’impiantito.
Può quindi affermarsi per il Collegio che, nell’accordo con cui una compagnia di telecomunicazioni acquisisce il diritto di collocare per un certo tempo un proprio ripetitore sul lastrico di copertura di un edificio, il profilo di interesse principale del beneficiario del diritto cade, in sostanza, sul godimento dell’area (di quella specifica area, che si trova in quel determinato punto dello spazio che risulta funzionale alla ripetizione del segnale); cosicché vengono in primo piano, nello schema negoziale, proprio quegli elementi che, come osservato supra, nel contratto costitutivo del diritto reale di superficie sono destinati a restare sullo sfondo, vale a dire le caratteristiche della costruzione dedotta in contratto (il contratto è funzionale all’ installazione di un ripetitore, non di altri manufatti, e le caratteristiche tecniche del ripetitore sono vincolate dalle previsioni del titolo abilitativo di cui all’art. 87 D.Lgs. n. 259/2003); la determinazione della durata del rapporto; il diritto del beneficiario di asportare il ripetitore alla cessazione del rapporto contrattuale.
Dalle considerazioni fin qui svolte discende quindi in definitiva, prosegue il Collegio, che il contratto avente ad oggetto la concessione totale o parziale, a titolo oneroso, del godimento del lastrico solare di un fabbricato, allo scopo di consentire al concessionario l’installazione di un ripetitore di segnale, del quale il medesimo concessionario abbia la facoltà di godere e disporre nel corso del rapporto e di asportarlo al termine del rapporto, va ricondotto – in mancanza di indicazioni di segno contrario suggerite dall’interpretazione del singolo contratto – allo schema del contratto atipico di concessione ad aedificandum ad effetti obbligatori; concessione soggetta, oltre che ai patti negoziali, alle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, alle norme sul contratto tipico di locazione.
La conclusione testé enunciata appare altresì supportata per il Collegio dalla considerazione onde qualificare la concessione del diritto di godimento del lastrico solare finalizzato all’installazione di un ripetitore come attribuzione di un diritto reale di superficie implicherebbe la necessità di riconoscere alla compagnia telefonica concessionaria la qualità di condomina (con conseguente necessità di revisione della tabella millesimale); il che sembra un effetto tendenzialmente eccedente l’intenzione delle parti, almeno secondo l’id quod plerumque accidit, e sempre in mancanza di evidenze ermeneutiche da cui emerga che, nella specifica situazione dedotta in giudizio, i contraenti abbiano inteso conferire al concessionario del godimento del lastrico proprio un diritto reale di superficie, sia pure temporaneo.
Evenienza, quest’ultima, che potrebbe verificarsi ove il soggetto che intende installare il ripetitore abbia interesse a disporre di un diritto sul quale inscrivere l’ipoteca destinata a garantire il finanziamento dell’iniziativa o, comunque, a disporre di un diritto che, quand’anche di durata inferiore a 9 anni, possa essere alienato secondo le regole di circolazione previste dal sistema della pubblicità immobiliare per porre l’acquirente al riparo dagli effetti del principio resoluto jure dantis, resolvitur et jus accipientis (art. 2652 c.c.).
Con riferimento all’applicabilità della disciplina della locazione al contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura obbligatoria, va sottolineato per le SSUU che, come evidenziato dalla dottrina, la demarcazione tra concessione ad aedficandum atipica ad effetti obbligatori e contratto tipico di locazione corre lungo una linea troppo sottile per assicurare una separazione netta tra i due modelli negoziali.
In linea di massima la differenza tra tali modelli va ravvisata nella maggior ampiezza dell’uso attivo del bene altrui consentito dal contratto tipico di locazione rispetto all’uso limitato al diritto di appoggio di una costruzione, che costituisce il nucleo della concessione atipica ad aedficandum.
Si tratta tuttavia – chiosa ancora il Collegio – di una differenza, come detto, di massima, giacché anche nella locazione tipica il diritto di godimento della cosa attribuito al conduttore può essere convenzionalmente limitato ad una relativa particolare utilità, senza il trasferimento della detenzione del bene in via esclusiva (in termini, Cass. n. 2233/1951, poi ripresa da Cass. n. 17156/2002).
In ogni caso la questione della differenza tra concessione atipica ad aedificandum di natura obbligatoria e contratto tipico di locazione non presenta significative ricadute sull’individuazione della disciplina applicabile giacché, come già precisato dalla stessa Corte nella sentenza n. 18229/2003, ai contratti atipici, o innominati, possono legittimamente applicarsi, oltre alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla norme dettate per i contratto tipici.
Dalla evidenziata applicabilità della disciplina della locazione al contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale discende che a tale contratto si applica tanto l’articolo 1599 c.c., in tema di opponibilità del contratto al terzo acquirente, quanto l’articolo 2643 n. 8 c.c., in tema di trascrizione dei contratti di locazione immobiliare di durata superiore ai 9 anni.
Per quanto in particolare riguarda l’articolo 1599 c.c., va precisato per la Corte che la relativa applicabilità al contratto atipico di concessione ad aedificandum non trova ostacolo nell’affermazione, contenuta in diversi precedenti della Corte stessa (Cass. 2343/1966, Cass. 5454/1991, Cass. 664/2016), che la disciplina dal medesimo dettata ha natura eccezionale.
Tali precedenti, infatti, sono stati tutti pronunciati in materia di contratto di comodato ed affermano l’eccezionalità delle disposizioni di cui all’articolo 1599 c.c. al fine di escludere che le stesse possano applicarsi, appunto, al contratto di comodato, il quale si differenzia radicalmente dalla locazione perché, per il disposto del secondo comma dell’articolo 1803 c.c. «è essenzialmente gratuito».
Per contro, qualora il contratto atipico di concessione ad aedificandum avente ad oggetto l’installazione temporanea di un ripetitore di segnale su un lastrico solare sia a titolo oneroso, come nel caso dedotto nel giudizio ora scandagliato dal Collegio, non vi è ragione di regolarne il regime di opponibilità all’acquirente dell’immobile coperto da tale lastrico con una disciplina diversa da quella dettata dall’articolo 1599 c.c. per il contratto tipico di locazione.
E’ altresì opportuno precisare – ancora sulla applicabilità dell’articolo 1599 c.c. al contratto atipico di concessione ad aedificandum avente ad oggetto l’installazione temporanea, a titolo oneroso, di un ripetitore di segnale su un lastrico solare – che l’opponibilità di tale contratto all’acquirente dell’immobile secondo il regime, e nei limiti, dell’articolo 1599 c.c. copre non soltanto la pattuizione relativa alla concessione dell’occupazione del lastrico ma anche la pattuizione che attribuisca incondizionatamente lo jus tollendi, al termine del rapporto, alla compagnia di telecomunicazioni.
Come la giurisprudenza della Corte non ha mancato di sottolineare (sent. 11767/1992), infatti, la regola emptio non tollit locatum dettata dall’art. 1599 c.c. implica una cessione legale del contratto, con la continuazione dell’originario rapporto e l’assunzione, da parte dell’acquirente, della stessa posizione del locatore. D’altra parte il patto con cui le parti escludono il diritto del proprietario del lastrico di ritenere, al termine del rapporto, i manufatti ivi installati, pur divergendo dalla disciplina dettata dall’articolo 1593 c.c., non determina, proprio in ragione della natura non imperativa di tale disciplina, alcuna radicale inconciliabilità con il modello tipico della locazione.
Va peraltro evidenziato – prosegue il Collegio – come la tendenziale attrazione della disciplina del rapporto fondato su una concessione ad aedificandum di natura personale nel corpus delle regole dettate dal codice civile per il contratto di locazione non pone in discussione la validità della pattuizione che sottragga al proprietario del lastrico il diritto di ritenere le addizioni (il ripetitore) alla cessazione del rapporto e, specularmente, attribuisca lo jus tollendi alla compagnia di telecomunicazioni concessionaria del godimento del lastrico (salvo l’obbligo di ripristino del lastrico medesimo in caso di eventuali danneggiamenti derivanti dalle operazioni di rimozione); il disposto del primo comma dell’articolo 1593 c.c. – che attribuisce al locatore lo jus retinendi in ordine alle addizioni eseguite dal conduttore – è infatti norma non imperativa, come reiteratamente affermato dalla Corte nelle sentenze nn. 1126/1985, 192/1991, 6158/1998, 13245/2010.
Va infine ancora aggiunto, per una compiuta ricostruzione del sistema, che la locazione (nel campo della cui disciplina, come si è sottolineato, è attratta la concessione ad aedificandum di natura personale) costituisce titolo idoneo ad impedire l’accessione. Tale principio è stato espresso dalla Corte già nella sentenza n. 233/1968, secondo cui «la regola dell’accessione delle opere fatte dal terzo, con materiali propri, su suolo altrui -sancita dall’art. 936 cod. civ. – trova applicazione solo nel caso in cui il costruttore possa effettivamente considerarsi terzo per non essere legato al proprietario del suolo da un vincolo contrattuale o comunque negoziale. Pertanto, nel caso che la costruzione su suolo altrui sia stata oggetto di espressa convenzione fra il proprietario del suolo e il costruttore, non può il giudice di merito ritenere senz’altro avverata l’accessione senza prima esaminare – secondo criteri di corretta ermeneutica – il contenuto di tale convenzione, al fine di escludere che con essa si fosse inteso costituire sia un diritto di superficie, sia una concessione ad aedificandum quale rapporto ad effetti meramente obbligatori, che può trovare sua fonte e sua disciplina in un contratto atipico non soggetto a requisiti di forma e di pubblicità».
A tale pronuncia ha fatto seguito la sentenza n. 2413/1976, secondo cui «la regola dell’accessione di cui all’art. 934 cod. civ. non ha carattere di assolutezza, ma è limitata alle sole ipotesi in cui non risulti dal titolo o dalla legge che l’opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene ad un soggetto diverso dal proprietario di questo. Pertanto, nell’ipotesi in cui la costruzione sia stata oggetto di espressa convenzione tra il proprietario del suolo e il costruttore, il giudice del merito non può ritenere senz’altro avverata l’accessione se non abbia prima esaminato il contenuto di tale convenzione al fine di escludere che tra le parti si fosse inteso costituire, quanto meno, una concessione ad aedificandum che, essendo un rapporto ad effetti meramente obbligatori, può trovare la sua fonte e disciplina anche in un contratto atipico, non soggetto a requisiti di forma e di pubblicità»; nello stesso senso si sono poi pronunciate le ulteriori sentenze nn. 4111/1985, 4887/1987, 1392/1998, 7300/2001, 3440/2005.
Va altresì precisato, prosegue il Collegio, per evitare ogni equivoco, che nessun contrasto sussiste tra gli arresti giurisprudenziali citati nel paragrafo precedente e la recente sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 3873/2018, in tema di accessione dell’opera costruita su un’area in comproprietà da uno dei comproprietari. La sentenza n. 3873/2018 ha, infatti, superato il tradizionale orientamento secondo cui presupposto indefettibile dell’accessione sarebbe la qualità di “terzo” del costruttore, ma a tale conclusione essa è giunta con riferimento al tema della operatività dell’accessione nei rapporti tra comproprietari (vedi pag. 16, primo capoverso, di detta sentenza: «l’operare dell’istituto dell’accessione non è affatto precluso dalla circostanza che, in presenza di una comunione del suolo, la costruzione sia realizzata da uno [o da alcuni] soltanto dei comproprietari»).
La sentenza n. 3873/2018, per contro, non tratta il tema dell’operatività dell’accessione nei rapporti tra il proprietario del suolo e colui che al medesimo sia legato da un rapporto contrattuale. Anch’essa, peraltro, sottolinea che l’art. 934 c.c. fa salve le deroghe alla regola dell’accessione previste dalla “legge” o dal “titolo” e include, tra le prime, quelle relative alle addizioni eseguite dal locatore (§ 2.5, pag. 23).
La Corte, del resto, dichiara di avere già persuasivamente affermato, nella sentenza n. 2501/2013, che il contratto di locazione vale a impedire l’accessione finché vige il contratto medesimo e che il diritto del conduttore sul bene costruito è un diritto non reale che si estingue al venir meno del contratto e con il riespandersi del principio dell’accessione. Va poi considerato che è vero che la deroga alla regola dell’accessione derivante dalla “legge“, in ordine alle addizioni del conduttore, subordina lo jus tollendi di quest’ultimo al duplice presupposto che il relativo esercizio non rechi nocumento alla cosa e che il proprietario non preferisca ritenere le addizioni (art. 1593 c.c.); ma è vero pure che la norma dettata dall’articolo 1593 c.c. non ha natura imperativa, come evidenziato, e pertanto può essere convenzionalmente derogata; e la convenzione derogatoria costituisce, appunto, il “titolo” a cui fa riferimento l’articolo 934 c.c..
Le Sezioni Unite assumono dunque a questo punto di dover dare continuità all’orientamento, già seguito da questa Corte nella sentenza n. 4111/1985, che l’art. 934 c.c. – là dove prevede che il principio superficies solo cedit possa essere derogato dal titolo, non esclude, proprio per l’indeterminatezza della menzione del “titolo” – che le parti, nell’esercizio della autonomia contrattuale loro riconosciuta dall’art. 1322 c.c., possano, anziché addivenire alla costituzione di un diritto reale di superficie, derogare al principio dell’accessione dando vita ad un rapporto meramente obbligatorio.
Non vi sono, del resto, ragioni per ritenere non meritevole di tutela l’interesse che il locatore e il conduttore vogliano realizzare attribuendo al conduttore del fondo locato, in deroga al principio dell’accessione, il diritto personale di godere delle costruzioni ivi da lui realizzate e di asportarle al termine del rapporto; anche, eventualmente, nel caso in cui l’asportazione rechi nocumento al fondo, salva l’obbligazione di ripristino, e con esclusione dello jus retinendi del locatore.
E’ ora necessario per la Corte, per dare risposta alla questione di massima sollevata dalla Seconda Sezione civile, rapportare, come preannunciato, le conclusioni fin qui raggiunte alla specifica situazione in cui il lastrico solare destinato a riceve l’installazione di un ripetitore di segnale costituisca parte comune di un edificio condominiale ex art. 1117 c.c.
Al riguardo il Collegio osserva che, ai sensi dell’articolo 1108, terzo comma, c.c., per la costituzione di un diritto reale di superficie sul lastrico condominiale è necessario il consenso di tutti i condomini; per contro, per il rilascio di una concessione ad aedificandum, come tratteggiata, di durata non superiore a 9 anni è sufficiente la maggioranza prevista per gli atti di ordinaria amministrazione, a seconda che si tratti di prima o di seconda convocazione dell’assemblea condominiale.
In definitiva, la questione di massima sollevata dalla Seconda Sezione civile va per le SSUU risolta nel senso che il contratto con cui un condominio abbia concesso ad altri, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo di consentire al concessionario l’installazione di infrastrutture ed impianti che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di godere e disporre dei manufatti nel corso del rapporto e di asportarli alla fine dello stesso, richiede l’approvazione di tutti i condomini se, secondo l’interpretazione del giudice di merito, esso abbia attribuito al concessionario un diritto temporaneo di superficie; non richiede l’approvazione di tutti i condomini se, secondo l’interpretazione del giudice di merito, esso abbia attribuito al concessionario una concessione ad aedificandum di natura obbligatoria di durata inferiore a nove anni.
Il Collegio conclude alfine il lungo iter motivazionale enunciando i pertinenti principi di diritto:
- I) Il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali. La riconduzione del contratto concretamente dedotto in giudizio all’una o all’altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito.
- II) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti reali è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale attribuisce all’acquirente la proprietà superficiaria dell’impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all’estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione. Il contratto con cui un condominio costituisca in favore di altri un diritto di superficie, anche temporaneo, sul lastrico solare del fabbricato condominiale, finalizzato alla installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, richiede l’approvazione di tutti i condomini.
III) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti obbligatori è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell’accessione. Con tale contratto il proprietario di un’area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell’opera edificata per l’intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Detto contratto costituisce, al pari del diritto reale di superficie, titolo idoneo ad impedire l’accessione ai sensi dell’articolo 934, primo comma, c.c. Esso è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643 n. 8 c.c. II contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale stipulato da un condominio per consentire ad altri la installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, sul lastrico solare del fabbricato condominiale richiede l’approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni.
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Il 19 agosto esce l’ordinanza della V sezione della Cassazione n.17334 che convintamente ribadisce l’orientamento onde il termine “trasferimento” contenuto nell’art. 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante) (Cass. 16495/2003).
La Corte rammenta di avere osservato che il nuovo testo unico ha accorpato nell’articolo 1 le disposizioni degli articoli 1 e 1-bis del D.P.R. n. 634 del 1972, dando alla intera materia degli atti traslativi della proprietà dei beni immobili e degli atti traslativi e costitutivi dei diritti reali di godimento sugli stessi, una veste più organica.
Nel primo periodo si stabilisce che gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi vanno registrati con applicazione dell’aliquota dell’8%.
Nel secondo periodo si prevede che, se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli a titolo principale o di associazioni o società cooperative di cui agli artt. 12 e 13 della legge 9 ma ligio 1975, n. 153, si applica la maggiore aliquota del 15%.
Nella disciplina fiscale del primo periodo della tariffa vi è quindi una distinzione solo per tipi di atti e non più, come nel sistema precedente con l’aggiunta dell’art. 1-bis, per tipi di beni che ne formino oggetto.
In particolare, prosegue il Collegio, la distinzione ora corre tra atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili (terreni, fabbricati) e atti traslativi di diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, servitù, uso, abitazione), da una parte, e atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, dall’altra.
Se tale è l’architettura della normativa – che, contrappone gli atti “traslativi” a quelli “costitutivi” di diritti reali di godimento, quali le servitù prediali, e fa ricadere tra i primi i “trasferimenti coattivi” di immobili o di diritti reali di godimento – sembra indiscutibile alla Corte che il termine “trasferimento“, conformemente all’etimo latino, sia stato usato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento.
Ulteriore corollario è che il termine in questione non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante).
L’applicabilità della maggior aliquota del 15% ai soli atti traslativi è ulteriormente dimostrata dal fatto che nelle note all’art. 1 della nuova tariffa, proprio in relazione agli atti previsti dal 2^ periodo, vengono usate espressioni (come acquirente, parte acquirente e beni alienati) e si prescrivono adempimenti che all’evidenza riguardano le alienazioni e non possono tecnicamente rapportarsi alla parte in favore della quale sia stata “costituita” – come nella specie – una servitù (di gasdotto).
Anche a norma dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui nell’applicare la legge non si può attribuirle altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione e dalla intenzione del legislatore, si deve pertanto concludere che l’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 esclude dall’imposizione con aliquota del 15% gli atti portanti costituzione di servitù (in tal Ric. 2018 n. 30203-3- senso Cass. 22198/2019; Cass.22199/2019; Cass.22200/2019; Cass. 22201/2019)
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Il 13 novembre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.25786, alla cui stregua il diritto di superficie – nel caso di specie, scaturito da una transazione – deve assumersi esercitabile anche con il compimento di meri atti preparatori.
Il Collegio rammenta in primis come la Corte d’appello abbia ritenuto nel caso di specie che l’apposizione da parte dei convenuti/appellati di travi di ferro, poi sostituite da una struttura metallica tipo “orsogril“, non costituisse esercizio del diritto di superficie e non fosse un’attività idonea ad interrompere il pertinente termine (ventennale) di prescrizione estintiva.
Gli appellati si erano limitati ad occupare idealmente lo spazio sovrastante il cortile, contrariamente alla facoltà di estendere la costruzione della soletta sino a copertura totale del cortiletto annesso allo stabile dei venditori, espressamente contenuto nella transazione. L’apposizione di tale materiale non poteva ritenersi in alcun modo diretto alla realizzazione della soletta.
La Corte d’Appello ha, quindi, ritenuto che fosse configurabile la fattispecie estintiva del diritto di superficie, prevista dall’art. 954 c.c., u.c., vale a dire il “non uso” protratto per 20 anni, giacché il diritto di superficie non era stato esercitato con la realizzazione delle opere previste.
L’assunto non è tuttavia per la Corte condivisibile, poiché poggia su una interpretazione errata della nozione di costruzione cui ricondurre l’esercizio dello ius aedificandi da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 952 c.c., comma 1 e art. 954, ultimo comma, c.c..
La prima delle norme citate prevede che il proprietario possa costituire il “diritto di fare e mantenere una costruzione” al di sopra del suolo a favore di altri, che ne acquista la proprietà. Si tratta di diritto reale su cosa altrui, temporalmente limitato, al quale fa seguito la proprietà superficiaria sulla costruzione. Se quest’ultima non è edificata, al pari di ogni altro ius in re aliena, il diritto di superficie è soggetto ad estinzione per effetto del non uso protrattosi per il tempo stabilito dalla legge (ex plurimis, Sez. 2, Sent. n. 10498 del 1994).
Nel caso di specie, prosegue il Collegio, le opere realizzate dai ricorrenti devono essere considerate espressione dello ius aedificandi e, dunque, integrano l’esercizio del suddetto diritto. Infatti, ai fini della soluzione della questione, il Collegio assume di dover aderire alla nozione di costruzione recentemente chiarita, anche in riferimento al diritto di superficie, dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 8434 del 2020.
Nella citata pronuncia le Sezioni Unite hanno sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia già chiarito:
– che costituisce bene immobile qualsiasi costruzione, di qualunque materiale formata, che sia incorporata o materialmente congiunta al suolo, anche se a scopo transitorio (Cass. n. 679/1968);
– che deve considerarsi costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall’uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione (Cass. n. 20574/2007);
– che, ai fini delle norme codicistiche sulla proprietà, la nozione di costruzione non è limitata a realizzazioni di tipo strettamente edile, ma si estende ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità, per le quali non rileva la qualità del materiale adoperato (Cass. n. 4679/2009, pag. 6);
– che la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi opera, non completamente interrata, avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (Cass. n. 22127/2009 che ha ritenuto che integrasse la nozione di “costruzione” una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di m. perimetrali ma dotata di copertura)” (Sez. U, Sent. n. 8434 del 2020).
Le sezioni Unite – prosegue il Collegio – hanno anche precisato come non possa condividersi l’opinione, avanzata in dottrina, secondo la quale il concetto di costruzione di cui all’art. 952 c.c. evocherebbe una nozione tradizionale di costruzione che richiamerebbe pur sempre l’idea di un manufatto stabilmente destinato a circoscrivere lo spazio e, quindi, a distinguere uno spazio interno dallo spazio esterno, in tal modo generando un volume.
La suddetta opinione, infatti, non risulta sorretta da evidenze esegetiche che autorizzino ad assegnare alla nozione di costruzione contemplata nell’art. 952 c.c. un significato diverso da quello alla stessa correntemente assegnato dalla giurisprudenza civile richiamata, oltre che dalla giurisprudenza penale, amministrativa e costituzionale.
Nel caso di specie, dunque, ha errato per il Collegio la Corte d’Appello di Cagliari nell’escludere che le lastre di “orsogril” apposte dal dante causa dei ricorrenti in esecuzione della transazione con la quale era stato costituito il diritto reale di superficie sulla proprietà dei controricorrenti potessero ritenersi modalità di realizzazione della soletta.
L’errore in cui è incorso il giudice del merito emerge dall’esame delle espressioni utilizzate nella sentenza impugnata, dove si legge che le opere realizzate dagli appellati e dal loro dante causa, consistite nell’apposizione di travi di ferro, poi sostituite da una struttura metallica del tipo “orsogril” non integrano l’esercizio del diritto di superficie in quanto l’apposizione di tali materiali non può ritenersi diretta alla realizzazione di una soletta o comunque di un’opera ad essa assimilabile.
La qualità del materiale utilizzato, infatti, non rileva in alcun modo ai fini della suddetta qualificazione e l’opera in esame presenta tutti i requisiti propri della costruzione nel senso indicato dalle Sezioni Unite quali la solidità, stabilità e immobilizzazione nel senso sopra chiarito, oltre ad aumentare la superficie del bene immobile ed essere funzionale ad aumentare il piano di calpestio.
La Corte pronuncia conseguentemente il principio di diritto onde ai fini dell’esercizio dello ius edificandi ai sensi dell’art. 952 c.c., comma 1 e art. 954 c.c., u.c., è qualificabile come costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal materiale impiegato per la sua realizzazione, purché determini un ampliamento della superficie e della funzionalità dell’immobile.
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Il 12 novembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.25575 alla cui stregua, in primis, la pronuncia, da parte del giudice amministrativo, sull’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato con il giudizio principale, non rende inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, proposto con riguardo a tale giudizio, ancorché nell’ordinanza che abbia provveduto sull’istanza cautelare sia stata delibata la questione di giurisdizione (S.U., n. 584, 14/01/2014, Rv. 629032; conf. S.U. n. 3167, 09/02/2011; n. 12307, 05/07/2004).
La Corte, sotto altro profilo, rammenta di avere già più volte precisato che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi“, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (S.U. n. 20350, 31/07/2018, Rv. 650270) e qui non è dubbio che il “petitum” sostanziale debba identificarsi con la richiesta di conguagli da parte del Comune.
Nel caso di specie, chiosa il Collegio, soccorrono i precedenti secondo i quali la controversia avente ad oggetto la determinazione del corrispettivo dovuto dal privato per il trasferimento del diritto di proprietà e la cessione del diritto di superficie, nell’ambito di convenzione stipulata ai sensi della normativa che regola le espropriazioni e la successiva assegnazione delle aree da destinare ad edilizia economica e popolare (art. 10 della legge 18 aprile 1962, n.167, come sostituito dall’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni e innovazioni), spetta alla giurisdizione esclusiva del GA, ai sensi degli artt. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove sia messa in discussione la legittimità delle autoritative manifestazioni di volontà della P.A. nell’adozione del provvedimento concessorio cui la convenzione accede, della quale sia contestato “ex ante” il contenuto con riguardo alla determinazione del corrispettivo dovuto dal concessionario, e non siano messe in discussione “ex post” solo la misura del corrispettivo (da stabilirsi in base alle pattuizioni ivi contenute) o l’effettività dell’obbligazione di pagamento (S.U. n. 7573, 30/03/2009, Rv. 607463).
Di talché, proseguono le SSUU, rientra nella giurisdizione del GO la domanda avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo della concessione del diritto di superficie, ai sensi dell’art. 10, della legge 18 aprile 1962, n. 167, come sostituito dall’art. 35, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, su aree comprese nei piani per l’edilizia economica e popolare e, in particolare, la quantificazione di tale corrispettivo, nonché l’individuazione del soggetto debitore, allorché non siano in contestazione questioni relative al rapporto di concessione e in ordine alla determinazione del predetto corrispettivo non sussista alcun potere discrezionale della P.A.(S.U. n. 17142, 10/08/2011, Rv. 618577; conf. S.U. n. 20419, 11/10/2016).
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Il 9 novembre esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n.6863 che si occupa di un particolare diritto reale di origine medievale, il c.d. “livello”.
Per il Collegio, in caso di esproprio da parte di un Comune, l’enfiteusi non è il solo diritto reale a poter attribuire la legittimazione processuale funzionale all’ottenimento della pertinente indennità di esproprio: assimilabile all’enfiteusi è proprio il livello, alla cui disciplina – di ascendenza, per l’appunto, medievale – occorre fare riferimento con riguardo alla titolarità del diritto all’indennizzo in capo al pertinente portatore, detto “livellario”.
La sentenza testimonia il particolare, “congiunturale” interesse della giurisprudenza per i diritti reali c.d. “para-dominicali”, e dunque “tendenti alla proprietà”, tra i quali può essere annoverata la stessa superficie.
2021
Il 9 giugno esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 16080 che, in tema di cessione di cubatura, ritiene insoddisfacente il richiamo al diritto di superficie, dal momento che nella cessione di cubatura non entrano in gioco gli effetti propri di quest’ultima, la quale presuppone, ex art.952 c.c., l’alterità tra proprietà del suolo e proprietà della costruzione; mentre è connaturato all’istituto della cessione di cubatura il fatto che il cessionario eserciti il diritto di costruire (seppure incrementato di una quota parte di volumetria originatasi altrove) sul fondo proprio. Nella sentenza in parola le Sezioni Unite affermano inoltre che la cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale. Tale atto, non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art.1350 c.c. e trascrivibile ex art.2643, n. 2 bis c.c., risulta assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto ‘diverso’ avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art.9 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R.131/86 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt.4 Tariffa allegata al D.Lgs. 347/90 e 10, comma 2, del medesimo decreto.
Questioni intriganti
Cosa occorre rammentare del diritto di superficie?
- si tratta di un diritto “reale”, e dunque di un coacervo di pretese e di obblighi strettamente avvinti ad una “res”;
- in particolare, si tratta di un diritto reale di godimento “in re aliena”, che implica dunque uno stretto rapporto con un bene – necessariamente immobile – in proprietà di terzi; proprio quale diritto “reale” immobiliare, il contratto che lo costituisce: b.1) va stipulato per atto pubblico o scrittura privata, sotto pena di nullità (art.1350, n.2, c.c.); b.2) va reso pubblico col mezzo della trascrizione (art.2643, n.2, c.c.);
- esso si compendia: c.1) nel caso di terreno inedificato: nel diritto di realizzare e di mantenere al di sopra del suolo altrui una costruzione, che diviene di proprietà di chi – detto superficiario (art.952, comma 1, c.c.) – la realizza esercitando un vero e proprio diritto ad aedificandum “concessogli” dal proprietario del suolo non edificato; b.2) nel caso di terreno già edificato: nel diritto di proprietà sulla costruzione già esistente, distinto dal diritto di proprietà sul suolo che resta a chi è ne è dominus;
- si tratta di una espressa deroga al principio dell’accessione, tradizionalmente ricondotto al brocardo “superficies solo cedit”, risalente al diritto romano e cristallizzato all’art.934 c.c., alla cui stregua “accede” per l’appunto al diritto di proprietà sul suolo tutto ciò che esiste sul suolo stesso o si rinviene nel pertinente sottosuolo;
- dal punto di vista diacronico, ai sensi dell’art.953 c.c. qualora sia previsto un termine al diritto reale di superficie, quando tale termine spira tale diritto reale si estingue, con la conseguenza onde – in forza del principio generale di accessione ridetto – il proprietario del suolo diviene proprietario della costruzione realizzata dal superficiario; con l’estinzione del diritto di superficie, in forza dell’art.954 c.c. si estinguono anche tutti i diritti reali costituiti dal superficiario sul fabbricato oggetto del diritto medesimo, mentre qualora abbia stipulato contratti di locazione, questi durano solo per l’anno in corso alla scadenza del termine (e dunque per tutto l’anno in corso quando la superficie si estingue); per quanto concerne invece i diritti che gravano sul suolo, essi si estendono alla costruzione “neo-acquisita” (ad eccezione di quanto accade in tema di ipoteca ai sensi dell’art.2816, comma 1, c.c.);
- allorché una costruzione non vi sia (terreno inedificato), il diritto del superficiario di realizzare la costruzione ridetta su suolo altrui si estingue per effetto del non uso protrattosi per 20 anni; diversa la fattispecie in cui una costruzione vi sia già e perisca (terreno edificato), circostanza che non estingue il diritto di superficie (art.954 c.c.);
- per quanto concerne il sottosuolo: g.1) è ammissibile il diritto di costruirvi costruzioni; g.2) non è ammissibile il diritto di impiantarvi e coltivarvi piantagioni;
- è collateralmente ritenuto ammissibile un diritto personale di godimento nascente da un contratto atipico di concessione ad aedificandum, che costituisce il contraltare (per l’appunto) “personale” del diritto “reale” di superficie, e che proprio perché tale va soggetto (se infranovennale) ad una disciplina più snella tanto termini di forma che di pubblicità.