Corte di Cassazione, II sezione civile, Ordinanza n. 3523 del 06/02/2023.
COMMENTO
La Corte di Cassazione ha ravvisato la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 654 c.p.p. per l’estensione nel giudizio civile dell’efficacia della sentenza irrevocabile di condanna per il reato di circonvenzione di persona incapace. Nel caso di specie, il susseguente giudizio civile aveva ad oggetto l’accertamento della nullità del testamento olografo redatto dal de cuius in favore dell’autore del reato; quest’ultimo ricorreva per Cassazione censurando l’illegittima estensione dell’efficacia del giudicato penale ai fini della declaratoria di nullità (ex art. 1418 c.c.) della scheda testamentaria intervenuta in sede civile (pronunciata dal Tribunale e confermata in appello).
In particolare, il ricorrente, muovendo da un’interpretazione riduzionistica dei fatti oggetto del dibattimento, riteneva che l’accertamento della penale responsabilità in ordine al reato di circonvenzione d’incapace andasse genericamente intesa, non presupponendo che anche la redazione del testamento fosse frutto di tale reato; escludeva pertanto che il giudicato penale, così formatosi, fosse idoneo a fondare la declaratoria di nullità del testamento, dolendosi della mancata conduzione di un autonomo accertamento in sede civile circa l’effettiva volontà del testatore.
La Suprema Corte, tuttavia, rilevava che l’accertamento dibattimentale aveva, tra l’altro, investito anche gli atti di ultima volontà del de cuius, risultando certamente anch’essi inficiati dalla circonvenzione e acclarando la nullità testamentaria quale diretta conseguenza della commissione del reato in parola. Ciò posto, tenuto anche conto dalla sostanziale sovrapponibilità sul piano soggettivo dei due giudizi – dal momento che oltre al ricorrente, nelle vesti di imputato, erano presenti nel giudizio penale anche taluni eredi legittimi costituitisi parti civili – non era possibile per costoro (in special modo per il ricorrente) contestare l’efficacia del giudicato penale ai fini della sua rilevanza in sede civile.
La Corte, inoltre, osservava che le risultanze del processo penale ben potevano, in ogni caso, concorrere alla formazione del convincimento del giudice del gravame, dal momento che quest’ultimo – in via gradata rispetto all’assorbente efficacia del giudicato penale – aveva riconosciuto la sentenza penale come valida fonte di prova.
PRINCIPI DI DIRITTO
“ll contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d’incapace è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti”.
“La sentenza penale pronunciata in seguito a giudizio nel procedimento per il delitto di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) ha efficacia vincolante, rispetto alle stesse persone che abbiano partecipato al procedimento stesso, nel successivo giudizio civile in tema di nullità […], siccome contenente l’accertamento sullo stato di capacità della parte lesa, che rileva in termini di fatto materiale, trattandosi di dato suscettibile di rilievo e verifica con gli appositi strumenti, mediante un’operazione mentale non dissimile, salva la complessità e difficoltà, da ogni altra diretta ad acquisire nozione concreta della realtà esterna. Ancor più tale efficacia va affermata nel caso in cui, come nella vicenda in esame, la nullità negoziale o testamentaria sia diretta conseguenza della commissione del reato di cui all’art. 643 c.p., così che, una volta avvenuto tale accertamento con efficacia di giudicato, le parti che hanno preso parte al relativo giudizio non possono contestarne la rilevanza ai fini civili”;
“I limiti soggettivi di efficacia del giudicato penale sono previsti a tutela di coloro che siano rimasti estranei al giudizio nel quale si è formato, non essendosi costituiti parte civile. Costoro, pertanto, possono invocare tale efficacia a proprio vantaggio, senza che la violazione di detti limiti possa essere opposta, in questo caso, da chi, invece, a siffatto giudizio abbia partecipato”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“1. D.D., E.E. e F.F., quali eredi di H.H., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Belluno A.A., deducendo di essere parenti di quinto grado del defunto I.I., il quale aveva redatto quattro testamenti olografi di eguale tenore, con i quali il convenuto era stato istituito erede universale.
Lamentavano che i testamenti fossero invalidi in quanto redatti da soggetto incapace di intendere e di volere, e che in ogni caso dovesse essere dichiarata l’indegnità a succedere del convenuto, che aveva commesso il reato di circonvenzione di incapace in danno del testatore.
Il giudizio era esteso agli altri eredi legittimi del testatore, G.G., B.B. e C.C., che aderivano alla domanda attorea.
Il convenuto contestava la fondatezza della domanda, negando l’incapacità del testatore ed escludendo la possibilità di invocare gli esiti del processo penale che lo aveva coinvolto. Il Tribunale di Belluno, con la sentenza n. 94 del 10 aprile 2020, accoglieva la domanda e annullava le quattro schede olografe delle quali era beneficiario il A.A., disponendo la condanna alla restituzione dei beni relitti in favore degli attori e degli altri eredi legittimi.
La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 335 del 16 febbraio 2022 ha rigettato il gravame del A.A.
Disattesi il primo e l’ottavo motivo di gravame, con i quali si sosteneva la nullità della sentenza di primo grado, essendo la stessa munita di adeguata motivazione e non incidendo sulla validità la circostanza che vi fosse stato un mutamento del giudice istruttore, senza il rispetto dei requisiti formali dettati dall’art. 174 c.p.c., erano disattesi anche i motivi di appello che investivano la ricostruzione dei fatti fondanti l’invalidità dei testamenti.
Rilevavano i giudici di appello che il procedimento penale, che aveva visto il A.A. imputato per il reato di circonvenzione di incapace, anche in relazione alla stesura dei testamenti oggetto di causa, si era concluso con pronuncia della Suprema Corte divenuta irrevocabile, essendo quindi condivisibile la soluzione del Tribunale che era pervenuto alla declaratoria di invalidità delle schede, invocando l’efficacia del giudicato penale ex art. 654 c.p.p., quanto all’accertamento della commissione del reato di circonvenzione di incapace, e non anche sul presupposto della incapacità naturale del testatore.
Richiamati i tratti caratteristici del reato di cui all’art. 643 c.p., i giudici di appello ricordavano come la condanna del A.A. fosse ormai irrevocabile, ed all’esito di un processo penale che lo aveva visto imputato con la partecipazione del G.G. e di H.H. come parti civili, il che permetteva di invocare l’efficacia dell’art. 654 c.p.p..
In sede penale era stata specificamente sottoposta al vaglio del giudice l’avvenuta redazione delle schede testamentarie per effetto dell’induzione da parte del convenuto, ed alla luce delle peculiari condizioni soggettive del I.I., che ben si prestavano all’attività di suggestione e di pressione da parte dell’imputato.
I giudici di secondo grado evidenziavano poi che, anche a voler superare l’efficacia di giudicato della sentenza penale, in sede civile è ben possibile trarre elementi di prova dagli accertamenti avvenuti in sede penale ed in particolare, avuto riguardo alla vicenda in esame, l’ampia istruttoria svolta dal giudice penale confortava la ricorrenza del delitto e quindi la conseguente nullità del testamento, come peraltro confermato dalla stessa deposizione resa dal I.I. in sede di incidente probatorio, la quale denotava l’attività di approfittamento posta in essere dal A.A. al fine di far redigere le schede oggetto di causa.
In senso contrario non potevano rilevare le prove invocate dall’appellante, in quanto il complessivo quadro, anche di carattere sanitario, emergente dall’istruttoria svolta confortava la sussistenza di una situazione di debolezza e fragilità psichica del testatore, non risultando peraltro specificamente reiterate le richieste di prova non ammesse in primo grado.
Andava quindi affermata la nullità del testamento per la diretta violazione dell’art. 1418 c.c., nullità rilevabile d’ufficio e che ben poteva essere pronunziata, ancorché gli attori avessero inizialmente fatto richiesta di annullamento, occorrendo a tal fine evidenziare che il G.G. aveva espressamente già in prime cure fatto richiesta di declaratoria di nullità, richiesta poi reiterata in appello ex art. 346 c.p.c..
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso A.A. sulla base di quattro motivi.
Gli intimati hanno resistito con autonomi controricorsi.
Il ricorrente ed i controricorrenti, B.B. e C.C., hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 654c.p.p., nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto di estendere l’efficacia del giudicato penale di condanna del ricorrente anche nel giudizio civile.
Si deduce che i fatti accertati in sede penale hanno ad oggetto una generica circonvenzione di incapace, e precisamente attengono ad atti dispositivi del patrimonio posti in essere dal I.I., senza però estendersi in maniera incontrovertibile alla redazione delle schede testamentarie oggetto di causa.
Ciò implica che i giudici civili avrebbero dovuto compiere una autonoma disamina della volontà del de cuius al momento della redazione del testamento.
Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c..
I giudici di appello sono pervenuti, a parziale modificazione del contenuto della sentenza di primo grado, a dichiarare la nullità delle schede testamentarie poste in essere dal de cuius, ritenendo che, come peraltro accertato in maniera irrevocabile in sede penale, le stesse fossero frutto della circonvenzione di incapace compiuta dal A.A. in danno del testatore.
La sanzione della nullità risulta quindi tratta dall’applicazione dei principi costantemente seguiti da questa Corte secondo cui il contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d’incapace è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti (Cass. n. 10609 del 28/04/2017; Cass. n. 17568/2022, con generico riferimento all’ipotesi di contratto concluso in violazione di una norma penale, ove il bene giuridico protetto dalla norma violata abbia una connotazione pubblicistica, con riferimento al reato di estorsione; Cass. n. 2860/2008; Cass. n. 1427/2004).
Ne consegue che correttamente, in applicazione della suddetta regola, è stata tratta la conclusione della nullità delle schede testamentarie stante l’avvenuto accertamento della commissione del reato di circonvenzione di incapace posto in essere dal ricorrente in danno del I.I., proprio in occasione della redazione di tali atti.
La lettura della sentenza della sezione penale di questa Corte intervenuta nella vicenda oggetto di causa (Cass. pen. 14892/2019) denota come sia priva di assoluto fondamento la tesi del ricorrente secondo cui l’affermazione della responsabilità penale per il delitto di cui all’art. 643 c.p. non avrebbe avuto ad oggetto anche la pressione per la redazione delle schede testamentarie oggetto di causa, risultando chiaramente come la contestazione dei reati operata in sede penale, ed il conseguente accertamento giudiziale, abbiano investito, tra gli altri, anche gli atti di ultima volontà del I.I. (cfr. pagg. 2 ed 11, ove si obietta anche alla tesi secondo cui il testamento non sarebbe risultato pregiudizievole per il testatore, in quanto destinato a produrre effetti solo dopo la sua morte, occorrendo qui ribadire come venga quanto meno pregiudicata la capacità di autodeterminazione della parte, in una delle sue più rilevanti espressioni, quale quella di regolamentare la sorte del proprio patrimonio per il momento in cui avrà cessato di vivere), il che conforta la correttezza dell’assunto del giudice di appello che ha ritenuto come l’accertamento dei fatti compiuto in sede penale abbia investito i medesimi fatti da cui dipende la sussistenza del diritto (nella specie la declaratoria di nullità dei testamenti) di cui si dibatte in sede civile.
Poiché la nullità della scheda discende dallo stesso realizzarsi della fattispecie criminosa oggetto dell’accertamento demandato al giudice penale, è indubbio che il giudicato in quella sede formatosi abbia efficacia vincolante anche in sede civile, posto che al giudizio penale hanno preso parte, oltre che il ricorrente, anche alcuni degli eredi legittimi (ovvero alcuni dei loro danti causa), nella veste di parti civili.
In tal senso rileva quanto affermato da Cass. S.U. n. 7482/1993 che, sebbene con riferimento a fattispecie ancora regolata dal vecchio codice di procedura penale, ma senza che la modifica abbia effettiva idoneità a mutare la conclusione in punto di diritto, attesa la specifica previsione di cui al vigente art. 654 c.p.p., ha statuito che la sentenza penale pronunciata in seguito a giudizio nel procedimento per il delitto di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) ha efficacia vincolante, rispetto alle stesse persone che abbiano partecipato al procedimento stesso, nel successivo giudizio civile in tema di nullità della trascrizione di matrimonio contratto dall’incapace stesso, siccome contenente l’accertamento sullo stato di capacità della parte lesa, che rileva in termini di fatto materiale, trattandosi di dato suscettibile di rilievo e verifica con gli appositi strumenti, mediante un’operazione mentale non dissimile, salva la complessità e difficoltà, da ogni altra diretta ad acquisire nozione concreta della realtà esterna.
Ancor più tale efficacia va affermata nel caso in cui, come nella vicenda in esame, la nullità negoziale o testamentaria sia diretta conseguenza della commissione del reato di cui all’art. 643 c.p., così che, una volta avvenuto tale accertamento con efficacia di giudicato, le parti che hanno preso parte al relativo giudizio non possono contestarne la rilevanza ai fini civili.
Né potrebbe parte ricorrente sostenere che non tutti gli eredi legittimi ebbero a costituirsi parti civili in sede penale, occorrendo a tal fine richiamare il principio secondo cui i limiti soggettivi di efficacia del giudicato penale sono previsti a tutela di coloro che siano rimasti estranei al giudizio nel quale si è formato, non essendosi costituiti parte civile. Costoro, pertanto, possono invocare tale efficacia a proprio vantaggio, senza che la violazione di detti limiti possa essere opposta, in questo caso, da chi, invece, a siffatto giudizio abbia partecipato (Cass. n. 32412/2021).
Infine, non può trascurarsi l’ulteriore rilievo che il giudice di appello, senza arrestarsi al solo richiamo all’efficacia del giudicato penale, alle pagg. 18 e ss., ha ricordato come la sentenza penale sia in ogni caso una valida fonte di prova, le cui risultanze ben possono concorrere, anche laddove si neghi l’efficacia di giudicato, alla formazione del convincimento del giudice. Ha quindi richiamato gli esiti delle prove raccolte in sede penale, riportando in maniera integrale il testo delle dichiarazioni rese dal I.I. in sede di incidente probatorio, dalle quali inferire con rassicurante certezza l’effettiva idoneità della condotta del ricorrente a coartare e menomare la libera espressione della volontà del de cuius, proprio in occasione della redazione delle schede oggetto di causa.
Ha, infine, evidenziato come anche la documentazione sanitaria relativa alla persona del I.I. deponesse per la sua fragilità piscologica, sottolineando che non potessero deporre in senso contrario i documenti invece richiamati dall’appellante, palesandosi prive di rilevanza le modeste contraddizioni rimarcate dalla difesa del A.A.
La sentenza gravata ha, quindi, deciso facendo una puntuale applicazione dei principi dettati da questa Corte in merito all’efficacia in sede civile del giudicato formatosi in sede penale, senza che il mezzo di impugnazione si periti di evidenziare le ragioni per le quali doversi discostare dai medesimi.
- Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per la violazione dell’art. 174c.p.c., in quanto la causa sarebbe stata affidata in primo grado a diversi giudici istruttori, senza che ricorressero gravi esigenze di servizio o ipotesi di assoluto impedimento.
Ciò implica la violazione dell’art. 174 c.p.c., anche in considerazione del fatto che uno dei giudici istruttori avvicendatisi nella conduzione del procedimento è risultato essere anche il giudice del lavoro cui è stata affidata la trattazione della causa di licenziamento del ricorrente.
Anche tale motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, in quanto a fronte del puntale e pertinente richiamo del giudice di appello alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in merito alla corretta applicazione dell’art. 174 c.p.c. ed alle conseguenze della sua violazione, il ricorrente si limita acriticamente a sollecitare un ripensamento dell’orientamento della Corte, facendo semplice riferimento alla asserita identità della persona del giudice istruttore della presente causa con quella del giudice della causa di licenziamento del ricorrente, ipotesi questa che, attesa anche l’assoluta diversità delle due cause, non può in alcun modo implicare una incompatibilità tra i ruoli rivestiti dal medesimo giudice nei due diversi procedimenti.
Al riguardo va ricordato come questa Corte abbia, anche di recente, ribadito che la sostituzione del relatore senza l’osservanza delle modalità di cui all’art. 174 c.p.c. e art. 79 disp. att. c.p.c., costituendo tale violazione una mera irregolarità di carattere interno, non incide sulla validità del procedimento o della sentenza (Cass. n. 14554/2022) e ciò in quanto l’inosservanza del principio della immutabilità del giudice istruttore, sancito dall’art. 174 c.p.c., e la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedimento di sostituzione da parte del presidente del tribunale, costituiscono una mera irregolarità di carattere interno che, in difetto di una espressa sanzione di nullità, non incide sulla validità degli atti, né è causa di nullità del giudizio o della sentenza (Cass. n. 12982/2022; in senso conforme quanto all’utilizzazione dei giudici onorari, Cass. n. 7878/2020; Cass. n. 4887/2020; Cass. n. 466/2016, dolendosi il ricorrente anche dell’intervento nella causa di un giudice onorario).
- Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115e 116c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost. ed il quarto motivo lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
I motivi, esposti in maniera congiunta dal ricorrente, lamentano che la sentenza non avrebbe adeguatamente valutato le prove testimoniali raccolte in corso di causa che viceversa depongono per la capacità di intendere e di volere del de cuius e per la sua effettiva volontà di testare.
E’ prima facie inammissibile il motivo di ricorso fondato sul vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e ciò stante la preclusione alla sua deducibilità in questa sede per effetto della previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis, avendo la sentenza di appello deciso, quanto alla ricostruzione dei fatti, in senso conforme a quanto statuito dal giudice di primo grado.
Quanto invece alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., si palesa con evidenza come la doglianza sia finalisticamente rivolta a conseguire una non consentita rivalutazione del materiale probatorio in sede di legittimità, onde conseguire una ricostruzione dei fatti più appagante, rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, e sicuramente rispondente alle aspettative del ricorrente.
Ma trattasi di esito che è precluso in questa sede, anche e soprattutto in ragione dell’efficacia di giudicato della sentenza penale emessa in danno del A.A., che contiene un accertamento non più contestabile della commissione del reato di cui all’art. 643 c.p.c., in danno del I.I. e proprio in occasione della redazione delle schede testamentarie, efficacia da cui, come detto, deriva come conseguenza necessaria la nullità delle schede, a prescindere dall’effettiva assoluta incapacità di intendere e di volere della vittima.
Peraltro, ed anche a voler superare tale assorbente rilievo, va ribadito che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione).
La censura di cui al terzo motivo si sostanzia, come già evidenziato, nella sollecitazione ad attribuire una diversa valenza probatoria ad elementi diversi da quelli invece ritenuti prevalenti e maggiormente attendibili dal giudice di merito, il che rende evidente l’inammissibilità della sua formulazione.
- Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
- Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115– della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione”.
Avv. Eugenio Adabbo