Corte Costituzionale, sentenza 06 novembre 2023, n. 200
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, anche in combinato disposto con il comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione, nonché ai principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, dal Tribunale ordinario di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Vanno, inoltre, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, citato, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 Cost., dal Tribunale ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.– Con ordinanze iscritte, rispettivamente, al n. 27 e al n. 66 del registro ordinanze 2023, il Tribunale di Lucca e il Tribunale di Siena, entrambi in funzione di giudici del lavoro, dubitano, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, anche in combinato disposto con il comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014, nella parte in cui «limita l’attribuzione di una quota dei diritti di rogito spettanti all’ente locale ai segretari comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o che prestino servizio in enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale, anziché prevederla per tutti i segretari comunali e provinciali».
Il Tribunale di Lucca, nella sola motivazione della ordinanza di rimessione, aggiunge alla evocazione dei predetti parametri quelli relativi ai principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, non richiamati nel dispositivo della ordinanza medesima.
La previsione normativa censurata, da un lato, ha abrogato la disciplina che attribuiva una quota dei diritti di segreteria (i diritti di rogito) a tutti i segretari comunali e provinciali roganti e, dall’altro, ha mantenuto una parte di tali proventi in relazione all’attività rogatoria svolta dai segretari in servizio presso enti locali che non annoverano nel proprio organico dipendenti con qualifica dirigenziale e, comunque, per i segretari privi di tale qualifica.
1.1.– In entrambi i giudizi principali le parti ricorrenti avevano chiesto il riconoscimento dei diritti di segreteria per avere svolto, in qualità di segretario comunale di fascia «A» in possesso della qualifica dirigenziale, attività di rogito presso un comune munito di dirigenti.
I giudici rimettenti ritengono che l’eliminazione del beneficio economico in questione si traduca, per i segretari che ne sono interessati, nel totale azzeramento di un autonomo compenso volto a remunerare un’attività, quale quella di rogito, del tutto diversa dalle prestazioni ordinariamente riconducibili alle relative competenze.
La misura in scrutinio non investirebbe, infatti, una voce premiale accordata per lo svolgimento di compiti per i quali il segretario è già retribuito, ma lo specifico corrispettivo per un’attività affatto peculiare e foriera di responsabilità di ordine speciale.
1.2.– In particolare, il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Lucca assume che l’attribuzione di un’apposita voce stipendiale per l’esercizio della funzione di rogito sia del tutto «ragionevole» e che, rispetto ad essa, non possa dedursi «l’onnicomprensività del trattamento».
La soppressione dei diritti di rogito contrasterebbe, pertanto, con l’art. 36 Cost., in quanto violerebbe il diritto dei segretari di ricevere una retribuzione commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.
1.2.1.– La normativa censurata confliggerebbe anche con i principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posto che l’«intera categoria dei segretari comunali e provinciali», ai sensi dell’art. 37 del CCNL 16 maggio 2001, «fa affidamento su tale voce stipendiale».
1.2.2.– Emergerebbe, altresì, la violazione dell’art. 3 Cost., tanto sotto il profilo dell’eguaglianza, quanto sotto quello della ragionevolezza, poiché si determinerebbero trattamenti differenziati tra segretari comunali e provinciali svolgenti la medesima funzione. Non sarebbe comprensibile la ragione per la quale i diritti di rogito siano riconosciuti ai soli segretari privi di qualifica dirigenziale o che operino presso enti senza dirigenti. Né potrebbe invocarsi, in proposito, una presunta finalità perequativa di differenti trattamenti economici, posto che l’emolumento in questione costituisce una voce variabile della retribuzione e comunque potenzialmente assente, qualora l’attività di rogito venga a mancare o si riduca.
L’asserita funzione perequativa non potrebbe giustificarsi neppure alla luce dell’istituto del “galleggiamento”, ovvero dell’allineamento alla retribuzione dirigenziale accordato ai soli segretari titolari di incarichi presso enti locali muniti di dirigenti. Tale beneficio, infatti, non opererebbe «automaticamente», essendovi casi, come quello di specie, in cui esso non trova applicazione, pur in presenza di figure dirigenziali nell’organico dell’ente, e potrebbe essere corrisposto anche ai segretari privi di qualifica dirigenziale (di fascia «C»).
Un ulteriore profilo di irragionevolezza risiederebbe in ciò, che il segretario con qualifica dirigenziale che abbia ottenuto il “galleggiamento” potrebbe comunque percepire i diritti di segreteria, ove sia titolare di incarichi in comuni diversi, di cui almeno uno sia privo di dirigenza. Per converso, il segretario in possesso di identica qualifica che operi in uno o più comuni muniti di personale dirigenziale non percepisce i diritti di rogito, anche nel caso in cui non benefici del “galleggiamento”.
1.2.3.– Secondo il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Lucca, la norma censurata determinerebbe, altresì, «un’irragionevole difformità in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratori pubblici», in contrasto con l’art. 97 Cost.
1.2.4.– Infine, sarebbe violato l’art. 77 Cost., in quanto la norma in questione, introdotta in sede di conversione in legge del d.l. n. 90 del 2014, risulterebbe disomogenea rispetto al contenuto dello stesso e non giustificata da una situazione di necessità e di urgenza tale da legittimare il ricorso, da parte del legislatore, alla decretazione d’urgenza.
2.– Il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Siena ha censurato la stessa normativa evocando i medesimi parametri costituzionali – ad eccezione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento – e sviluppando argomenti di analogo contenuto.
3.– Per l’identità dell’oggetto delle questioni sollevate e la sostanziale coincidenza delle ragioni di illegittimità costituzionale indicate dai rimettenti, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
4.– In via preliminare, deve rilevarsi che l’ordinanza del Tribunale di Lucca ripropone, nell’ambito dello stesso giudizio principale, questioni già dichiarate inammissibili da questa Corte, per carente motivazione sulla rilevanza, con la sentenza n. 181 del 2022.
Il giudice rimettente ha integrato le argomentazioni allora addotte con alcune precisazioni volte a colmare le lacune espositive – circa la presenza, o meno, di dirigenti nel comune sede di servizio della ricorrente e la fruizione, o meno, da parte di quest’ultima, del “galleggiamento” –, che la citata pronuncia aveva ritenuto ostative alla decisione nel merito.
A tal fine, in punto di rilevanza, l’ordinanza di rimessione chiarisce che la previsione normativa censurata «impedisce, così come formulata, di accogliere le pretese avanzate dalla ricorrente», avendo la stessa svolto le funzioni di segretario comunale di prima fascia con qualifica dirigenziale e abilitazione a prestare servizio presso gli enti territoriali di classe 1^ A e 1^ B, in un Comune, quale quello di Massarosa, che, nel periodo in questione, aveva – come ha tuttora – dirigenti nel proprio organico.
Tali puntualizzazioni consentono di superare i rilievi di inammissibilità contenuti nella citata sentenza n. 181 del 2022.
5.– Ancora in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, sul rilievo che le questioni tenderebbero ad una pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato.
5.1.– L’eccezione deve essere disattesa.
5.1.1.– Occorre, anzitutto, considerare al riguardo che l’assenza di una soluzione a “rime obbligate” non è, di per sé sola, preclusiva dell’esame delle censure nel merito (ex aliis, sentenze n. 48 del 2021 e n. 252 del 2020).
5.1.2.– Non può, comunque, sottacersi che lo scrutinio sollecitato dal giudice a quo investe non già la generale opzione legislativa di differenziare il trattamento dei segretari che operano presso enti senza dirigenza e comunque privi di qualifica dirigenziale da quello riservato ai segretari titolari di tale qualifica che, invece, prestano servizio presso comuni o province muniti di dirigenti, ma la specifica scelta, compiuta attraverso la norma censurata, di ammettere i primi e non anche gli altri alla percezione di una quota dei diritti di rogito.
Nella prospettiva del giudice rimettente, il contenuto della pronuncia additiva che dovrebbe rimuovere il riscontrato vulnus costituzionale è, dunque, necessitato, in quanto potrebbe trovare rimedio solo attraverso il riconoscimento del suddetto provento a tutti i segretari comunali e provinciali. Soltanto una simile soluzione potrebbe, infatti, garantire l’autonoma remunerazione di una funzione, quale quella rogante, del tutto peculiare ed eccedente l’ambito delle attribuzioni normalmente riconducibili al pubblico impiego.
6.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
Tale esito presuppone la ricostruzione dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha portato all’assetto normativo censurato dai rimettenti.
6.1.– I diritti di segreteria sono prestazioni pecuniarie dovute alla pubblica amministrazione dai destinatari di alcune attività da questa compiute nello svolgimento delle sue funzioni di diritto pubblico ed hanno natura di tributi (sentenza n. 156 del 1990).
Tra tali proventi figurano i diritti di rogito, i quali sono versati dalla controparte contrattuale all’ente pubblico, a titolo di spesa, per la ricezione in forma pubblica amministrativa dei contratti in cui lo stesso ente sia parte o per l’autenticazione degli atti unilaterali ai quali esso sia comunque interessato.
Nell’ordinamento degli enti locali, per lungo tempo una quota di tali entrate è stata destinata ai segretari comunali e provinciali, come compenso aggiuntivo per lo svolgimento dell’attività di rogito agli stessi specificamente affidata dalla legge.
6.2.– La funzione rogante dei segretari comunali e provinciali ha origini remote, rinvenendosene traccia già nel regio decreto 8 giugno 1865, n. 2321 (Col quale è approvato il Regolamento per l’esecuzione della Legge sull’amministrazione comunale e provinciale), e nel regio decreto 21 marzo 1929, n. 371 (Norme integrative ed esecutive del R. decreto-legge 17 agosto 1928, n. 1953, sullo stato giuridico ed economico dei segretari comunali), successivamente confluito nel testo unico della legge comunale e provinciale approvato con il r.d. n. 383 del 1934.
L’art. 87, primo comma, di quest’ultimo provvedimento normativo prevedeva che «[i] contratti di comuni riguardanti alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere devono di regola essere preceduti da pubblici incanti con le forme stabilite pei contratti dello Stato», mentre l’art. 89 disponeva che «[i] segretari comunali possono rogare nell’esclusivo interesse dell’amministrazione comunale gli atti e contratti di cui all’art. 87».
In base a tale disciplina, l’ente locale non era tenuto ad avvalersi del segretario comunale quale ufficiale rogante, ben potendo affidare la stipula dei propri atti ad un notaio.
Per converso, il carattere obbligatorio dello svolgimento dell’attività di rogito da parte del segretario che ne fosse stato richiesto trovava fondamento nel rapporto di servizio da questo intrattenuto con l’amministrazione (Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 13 febbraio 1989, n. 79; Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione prima, sentenza 8 aprile 1981, n. 324, TAR Molise, sentenza 13 maggio 1980, n. 85).
In seguito, l’art. 17, comma 68, lettera b), della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo) ha ampliato l’ambito della funzione rogante dei segretari, estendendola a tutti i contratti in cui l’ente è parte e aggiungendovi la competenza ad autenticare le firme delle scritture private.
La previsione in esame è, poi, confluita nell’art. 97, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il quale, nella versione originaria, disponeva che il segretario «può rogare, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente».
Il testo di tale disposizione è stato, infine, riformulato dall’art. 10, comma 2-quater, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, nei seguenti termini: «[il segretario] roga, su richiesta dell’ente, tutti i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente».
6.3.– Anche la remunerazione della funzione rogante tramite una quota dei diritti di segreteria radica la sua origine nella cornice dell’unificazione amministrativa del Regno d’Italia attuata dalla legge n. 2248 del 1865, il cui regolamento di esecuzione, approvato con il r.d. n. 2321 del 1865, sopra richiamato, nella Tabella n. 3, riportava l’elenco descrittivo delle tasse e degli emolumenti che i segretari comunali sono autorizzati ad esigere, «per proprio conto», per la spedizione di una serie di atti come i manifesti, gli incanti e le aggiudicazioni relativi ai contratti di locazione, di vendita di tagli di boschi, di appalto e alle concessioni.
Da allora si sono susseguiti diversi interventi legislativi che hanno dapprima variamente modulato l’entità del compenso in esame, per poi sopprimerlo, successivamente ripristinarlo e quindi eliminarlo nuovamente, sia pure in parte, con la normativa qui in scrutinio.
Tra le fonti che hanno contribuito all’evoluzione normativa dell’istituto, va ricordato il r.d. n. 371 del 1929, il quale, agli artt. 111 e 115 e alla Tabella A, stabilì che i diritti di segreteria fossero ripartiti tra il comune e il segretario: i segretari di livello più elevato partecipavano in misura variabile dal trenta al quaranta per cento, mentre i segretari di livello inferiore percepivano i proventi in una percentuale compresa tra il sessantacinque e l’ottanta per cento. Era, inoltre, previsto che la quota di spettanza del segretario non potesse comunque eccedere la metà dell’ammontare annuo dello stipendio, esclusa qualsiasi indennità.
Successivamente, l’art. 205 del r.d. n. 383 del 1934, al secondo comma, dispose che i diritti di segreteria dovessero essere ripartiti in conformità all’allegata Tabella D, la quale ne suddivideva il provento tra il comune e il segretario, secondo quote modulate in base al grado del medesimo funzionario. Il terzo comma precisava, in ogni caso, che la parte dei diritti di segreteria spettante al segretario non potesse eccedere la metà dell’ammontare annuo dello stipendio, esclusa, dal relativo computo, qualsiasi indennità accessoria.
In seguito, l’art. 40, terzo comma, della legge 8 giugno 1962, n. 604 (Modificazioni allo stato giuridico e all’ordinamento della carriera dei segretari comunali e provinciali), rinviando alla annessa Tabella E, previde un aumento della percentuale dei diritti di rogito per il segretario comunale proporzionale al livello della sua qualifica, mentre, per i segretari provinciali, ne confermò la suddivisione con la provincia in ragione del cinquanta per cento.
Inoltre, il quarto comma della disposizione citata fissò un limite annuale massimo che, nell’ultima versione, come introdotta dal d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749 (Conglobamento dell’assegno mensile e competenze analoghe negli stipendi, paghe e retribuzioni del personale statale, in applicazione dell’art. 3 della L. 5 dicembre 1964, n. 1268), fu commisurato «al 22 per cento dello stipendio e al 35 per cento degli assegni per carichi di famiglia percepiti dai segretari stessi».
L’art. 27, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1972, n. 749 (Nuovo ordinamento dei segretari comunali e provinciali) dispose poi la eliminazione dei diritti di rogito per i segretari di livello più elevato.
Lo stesso provvedimento normativo, peraltro, all’art. 25, quinto comma, riconobbe ai segretari in questione lo stipendio dei dirigenti delle amministrazioni statali, così disponendo: «[a]i segretari comunali generali di 1a A, 1a B e di 2a classe ed ai segretari provinciali è esteso, con le medesime decorrenze ed agli stessi effetti, secondo l’equiparazione risultante dalla annessa tabella D, il trattamento economico previsto dal decreto del Presidente della Repubblica concernente la “disciplina delle funzioni dirigenziali delle Amministrazioni dello Stato” emanato in attuazione della delega di cui agli artt. 16 e 16-bis della legge 18 marzo 1968, n. 249, nel testo sostituito dall’art. 12 della legge 28 ottobre 1970, n. 775».
Di lì a poco, l’art. 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734 (Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennità particolari), eliminò anche l’assegnazione di una quota dei diritti di segreteria in favore dei segretari comunali di qualifica non dirigenziale.
La stessa novella ripartì i diritti in questione tra gli enti locali e il Ministero dell’interno, attribuendo agli uni la percentuale unica del settanta per cento e all’altro quella del trenta per cento, allo specifico fine di alimentare il fondo per la formazione dei segretari comunali, istituito dall’art. 42 della legge n. 604 del 1962.
A fronte della definitiva soppressione della partecipazione ai diritti di rogito, l’art. 29 della legge n. 734 del 1973 riconobbe ai soli segretari privi di qualifica dirigenziale un assegno perequativo, così disponendo: «[a]i segretari comunali, esclusi i fruenti di trattamento dirigenziale, ed agli incaricati delle funzioni di segretario comunale, l’assegno perequativo pensionabile è attribuito nella stessa misura prevista per gli impiegati della carriera direttiva, di ruolo e non di ruolo, dello Stato, di corrispondente parametro di stipendio».
Pochi anni dopo, l’art. 41, quarto comma, della legge n. 312 del 1980 riconobbe nuovamente i diritti di rogito in favore di tutti i segretari comunali e provinciali, con decorrenza 1° gennaio 1979.
Tale disposizione stabilì, in particolare, che una quota fissa dei diritti di segreteria spettanti al comune o alla provincia a norma dell’art. 30, secondo comma, della legge n. 734 del 1973, dovesse essere corrisposta al segretario comunale o provinciale rogante, solo per determinati atti – e, segnatamente, quelli indicati dalla Tabella D della legge n. 604 del 1962 – «in misura pari al 75 per cento e fino ad un massimo di un terzo dello stipendio in godimento».
Il citato art. 30, secondo comma, della legge 734 del 1973 è stato modificato dall’art. 25 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (Disposizioni in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51, nel senso che la ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria tra l’ente locale e il Ministero dell’interno è stata rideterminata nella misura del novanta per cento in favore dell’uno e del dieci per cento in favore dell’altro.
Tale riparto è stato, poi, confermato dall’art. 27, ottavo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55 (Provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l’anno 1983), convertito, con modificazioni, in legge 26 aprile 1983, n. 131.
6.3.1.– I diritti di segreteria figurano come autonoma voce nella struttura della retribuzione dei segretari comunali e provinciali, il cui trattamento economico e giuridico trova, a norma dell’art. 97, comma 6, del d.lgs. n. 267 del 2000, la principale fonte di regolamentazione nella contrattazione collettiva.
Tale struttura risulta delineata dall’art. 105, comma 1, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’area delle funzioni locali, sottoscritto il 17 dicembre 2020, il quale ha recepito il previgente art. 37 del CCNL 16 maggio 2001, aggiungendo, alla lettera g), la precisazione che i diritti in questione sono dovuti «ove spettanti in base alle vigenti disposizioni di legge in materia».
Inoltre, l’art. 41, comma 6, del CCNL 16 maggio 2001, non disapplicato dal citato contratto collettivo del 17 dicembre 2020, dispone che la retribuzione di posizione dei segretari «assorbe ogni altra forma di compenso connessa alle prestazioni di lavoro, ivi compreso quello per lavoro straordinario, con eccezione di quelli, indicati nell’art. 37, comma 1, lett. g)».
L’art. 45 del CCNL 16 maggio 2001, anch’esso ancora in vigore, nel determinare la base di calcolo della maggiorazione dovuta al segretario titolare di sede di segreteria convenzionata, fa riferimento alla retribuzione complessiva di cui all’art. 37, escludendo, ancora una volta, i diritti di segreteria.
Da ultimo, il carattere di retribuzione fondamentale del beneficio economico in esame è desumibile dalla formula dell’art. 56 dello stesso CCNL 16 maggio 2001, neppure questo disapplicato dal contratto collettivo del 17 dicembre del 2020, secondo la quale i diritti di segreteria sono computati ai fini del trattamento di fine rapporto.
6.4.– Sull’assetto appena ricomposto ha inciso significativamente la novella in scrutinio.
6.4.1.– Nella formulazione originaria, l’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014 aveva, infatti, disposto, al comma 1, l’abrogazione dell’art. 41, quarto comma, della legge n. 312 del 1980, ossia della norma che, da ultimo, aveva ripristinato i diritti di rogito per tutti i segretari comunali e provinciali.
Al comma 2, aveva, poi, riformulato il testo dell’art. 30, secondo comma, della legge n. 734 del 1973 nel senso che «[i]l provento annuale dei diritti di segreteria è attribuito integralmente al comune o alla provincia», così definitivamente sopprimendo il concorso del Ministero dell’interno nella percezione del tributo.
6.4.2.– Tali previsioni sono state, tuttavia, modificate in sede di conversione del decreto-legge.
La legge n. 114 del 2014, pur lasciandone inalterata la rubrica – la quale continua a riferirsi all’abrogazione dei diritti di rogito dei segretari comunali e provinciali, senza alcuna distinzione –, ha, infatti, integrato il contenuto dell’indicato art. 10 con l’aggiunta dei commi 2-bis, 2-ter e 2-quater.
Il comma 2-bis ha ripristinato il riconoscimento dei diritti di rogito «[n]egli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale» e comunque «a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale».
Così disponendo, la norma individua due categorie di segretari che mantengono i diritti di rogito: da una parte, quelli che non hanno qualifica dirigenziale, ossia quelli appartenenti alla fascia «C», indipendentemente dalla tipologia dell’ente locale in cui prestano servizio; dall’altra, i segretari, pur appartenenti alle fasce «A» o «B», e quindi aventi qualifica dirigenziale, che prestano servizio presso enti locali privi, nel proprio organico, di dirigenti.
Al contempo, la normativa in esame stabilisce che i diritti di rogito sono attribuiti «al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento», così innovando rispetto al regime previgente, in cui la soglia individuale era fissata nella quota di un terzo dello stipendio percepito.
Il comma 2-ter dello stesso art. 10 ha, poi, fatto salve le quote dei diritti di rogito già maturate alla data di entrata in vigore del decreto-legge convertito.
Il comma 2-quater ha, infine, riformulato il testo dell’art. 97, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 267 del 2000, sostituendo all’espressione «può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte» la formula «roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte».
6.4.3.– I lavori preparatori della legge di conversione confermano che, attraverso la soppressione della quota dei diritti di rogito di spettanza dei segretari comunali e provinciali e di quella destinata al fondo ministeriale per la formazione di tali funzionari, il legislatore del 2014 aveva inteso devolvere l’intero ammontare di tali proventi agli enti locali, nell’ottica del contenimento della spesa pubblica e di una più efficace attuazione dei fini istituzionali e del miglioramento dei servizi erogati.
Inoltre, la relazione illustrativa predisposta dal Governo ha chiarito che la novella tiene conto della crisi economico-finanziaria presente al momento dell’emanazione del decreto-legge e persegue la finalità di una revisione della spesa pubblica in uno dei settori di maggiore rilievo della stessa, quello inerente al costo per il personale della pubblica amministrazione.
All’esito del dibattito parlamentare che ha preceduto la conversione del d.l. n. 90 del 2014 è, tuttavia, prevalsa l’esigenza di mitigare la rimozione dei diritti di rogito attraverso il riconoscimento di una sia pur ridotta quota del relativo gettito in favore dei segretari operanti in comuni medio piccoli, nei quali non sono presenti dipendenti con qualifica dirigenziale, e di escluderli, invece, per i segretari in servizio presso le amministrazioni di maggiori dimensioni e dotate di personale dirigenziale, i quali percepiscono retribuzioni parametrate a quelle degli stessi dirigenti e, al pari di costoro, sono soggetti al principio di onnicomprensività della retribuzione.
7.– Così ricostruito il quadro normativo, deve, per ragioni di priorità logica, essere trattata anzitutto la censura attinente alla dedotta violazione dell’art. 77 Cost., sotto il duplice profilo della insussistenza dei presupposti della decretazione di urgenza e della eterogeneità della norma censurata, introdotta in sede di conversione, rispetto al contenuto del d.l. n. 90 del 2014.
7.1.– Quanto al primo aspetto, va premesso che la sindacabilità della scelta del Governo di intervenire con decreto-legge va limitata ai soli casi di evidente mancanza dei presupposti in questione o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione (ex plurimis, sentenze n. 151 del 2023, n. 8 del 2022 e n. 213 del 2021).
La norma sospettata di illegittimità costituzionale, non solo non risulta affetta, quanto al comma 1, da un’evidente mancanza dei requisiti straordinari di necessità e di urgenza, ma si raccorda coerentemente con le premesse della decretazione d’urgenza.
Come affermato da questa Corte nello scrutinare, in riferimento al parametro costituzionale in esame, l’art. 9 dello stesso d.l. n. 90 del 2014, come convertito, «l’ampio preambolo che precede il provvedimento motiva la straordinaria urgenza, giustificando la necessità di intervenire anche in considerazione dell’esigenza di […] emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici» (sentenza n. 236 del 2017).
La previsione normativa censurata, collocata nel Titolo I del decreto-legge in esame, denominato «Misure urgenti per l’efficienza della p.a. e per il sostegno dell’occupazione» e, più precisamente, all’interno del Capo I di tale Titolo, recante la rubrica «Misure urgenti in materia di lavoro pubblico», tiene conto «della crisi economico-finanziaria presente al momento dell’emanazione e persegue, come reso palese dalla relazione illustrativa predisposta dal Governo, la finalità di una revisione della spesa pubblica in uno dei settori di maggiore rilievo della stessa, quello inerente al costo per il personale della pubblica amministrazione» (sentenza n. 236 del 2017).
7.2.– Insussistente è anche l’asserita disomogeneità tra il comma 2-bis, inserito nell’art. 10 in sede di conversione, e il contenuto del decreto-legge.
7.2.1.– Questa Corte – nel riaffermare il principio secondo il quale la legge di conversione rappresenta una normativa funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi a oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nel provvedimento convertito (tra le ultime, le sentenze n. 113 e n. 6 del 2023) – ha anche ribadito che un difetto di omogeneità, in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., si determina solo quando le disposizioni aggiunte in sede di conversione sono totalmente estranee o addirittura intruse, cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (in tal senso, ex aliis, sentenze n. 245 del 2022, n. 30 del 2021 e n. 115 del 2020).
La normativa in scrutinio, nel rimodulare il trattamento economico di una categoria di dipendenti degli enti locali, persegue finalità di razionalizzazione della spesa pubblica e di sostegno alla finanza locale né estranee, né «intruse» rispetto alla cornice teleologica dell’atto urgente, a propria volta recante disposizioni dirette al riordino e al contenimento della spesa inerente al costo del personale e a favorire la più razionale utilizzazione dei lavoratori pubblici.
8.– Passando all’esame della censura riferita all’art. 36 Cost., deve escludersi che la decurtazione economica operata dall’art. 10, comma 2-bis, in combinato disposto con il comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, contrasti con detta norma.
8.1.– Il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dai giudici rimettenti muove dalla premessa secondo la quale l’eliminazione dei diritti di rogito per i segretari con qualifica dirigenziale e operanti presso enti la cui dotazione organica includa dirigenti si tradurrebbe nella neutralizzazione di un autonomo e ragionevole compenso per un’attività, quale quella di rogito, «specifica e ultronea rispetto a quella ordinariamente prestata dai segretari».
L’autonomia della funzione retributiva dei diritti di rogito ha trovato, in effetti, conferma nella giurisprudenza amministrativa, secondo la quale tali proventi costituiscono un «compenso ulteriore» per una particolare attività, «alla quale è correlata una responsabilità di ordine speciale e sorgono con l’effettiva estrinsecazione della funzione di rogante, la quale, ancorché di carattere obbligatorio, eccede l’ambito delle attribuzioni di lavoro normalmente riconducibili al pubblico impiego» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 12 novembre 2015, n. 5183).
In termini non dissimili si è espressa la giurisprudenza contabile, evidenziando che l’emolumento in questione rappresenta «un compenso aggiuntivo che remunera, nella misura indicata dal legislatore, lo svolgimento della funzione rogante alla quale si correla(va) una particolare responsabilità del dipendente pubblico» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Friuli-Venezia Giulia, deliberazione 27 luglio 2021, n. 33/2021/PAR; nello stesso senso, ex aliis, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione 6 marzo 2023, n. 25/2023/PAR).
8.2.– Tuttavia, pur alla stregua di tale configurazione, la soppressione disposta dalla norma in scrutinio riguarda comunque solo una parte della retribuzione complessiva dei segretari comunali e provinciali.
Pertanto, alla fattispecie in esame non può non attagliarsi il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui lo scrutinio sulla conformità di una disciplina all’art. 36 Cost. non può essere svolto atomisticamente, in relazione alle singole componenti retributive parcellizzate, dovendo, per contro, investire globalmente l’insieme delle voci che formano il trattamento complessivo del lavoratore (ex aliis, sentenze n. 27 del 2022, n. 236 del 2017 e n. 178 del 2015).
8.3.– La scelta di eliminare la corresponsione dei diritti di rogito sottende una riconsiderazione – coerente, peraltro, con la logica di razionalizzazione e di riordino della spesa per il personale pubblico che permea l’intero provvedimento normativo in cui si colloca la norma censurata – dello stesso presupposto dal quale i rimettenti traggono la lesione dell’art. 36 Cost., ossia della necessità di remunerare la funzione rogante con un autonomo compenso.
Con la soppressione di tale trattamento aggiuntivo, il legislatore ha, infatti, raccordato la disciplina della retribuzione dei segretari ai quali è assicurato l’allineamento economico alle posizioni apicali con il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, consacrato nell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e nell’art. 60 del CCNL 17 dicembre 2020, e, più in generale, con i canoni della evidenza, della certezza e della prevedibilità della spesa per il personale, espressi dall’art. 8, comma 1, del citato testo unico.
Occorre, infatti, considerare che, in forza del principio di onnicomprensività, il trattamento economico determinato dai contratti collettivi remunera tutte le funzioni e i compiti assegnati al dirigente pubblico ed esclude di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dello stesso o di compiti rientranti nelle mansioni dell’ufficio ricoperto e nelle connesse responsabilità (ex aliis, Consiglio di Stato, sezione quinta, decisione 2 ottobre 2002, n. 5163).
8.3.1.– Tale regola è posta «a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica» (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, sentenza 5 ottobre 2010, n. 615).
Trattandosi, quindi, di un principio generale della disciplina del lavoro pubblico (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, sentenza 14 maggio 2013, n. 762), eventuali deroghe, di fonte legislativa o contrattuale, alla regola della onnicomprensività retributiva devono essere sostenute da un ragionevole fondamento giustificativo.
8.3.1.1.– L’eccezione a tale principio, insita nella disciplina dei diritti di rogito, è stata motivata in ragione della ritenuta estraneità della funzione rogante rispetto alle prestazioni tipiche del pubblico impiego e della sua marcata affinità con la funzione notarile.
Tuttavia, è la stessa legge che, nell’ambito delle autonomie locali, da epoca risalente assegna tale competenza ai segretari comunali e provinciali, così inscrivendola nel «nucleo originario e tradizionale della funzione segretariale» (sentenza n. 23 del 2019) e, quindi, tra i «compiti istituzionali e perciò obbligatoriamente compresi nelle prestazioni di servizio» loro assegnate (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 dicembre 2008, n. 29673).
Né l’analogia tra la ricezione in forma pubblica amministrativa dei contratti in cui è parte l’ente locale e la funzione notarile consente di ritenere che il segretario svolga l’attività di rogito non in veste di dipendente dell’amministrazione, che stipula, per mezzo del suo ufficio, il contratto, ma in virtù di un’autonoma funzione al cui esercizio consegua una specifica responsabilità personale.
D’altronde, la stessa giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, affinché un’attività possa ritenersi estranea ai compiti istituzionali, e quindi sottratta al principio di onnicomprensività retributiva, è necessario uno specifico fatto genetico della sua attribuzione, come un provvedimento di nomina, comportante l’adesione volontaria dell’interessato (Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 21 dicembre 1989, n. 929).
Va sottolineato che tale pronuncia, citata dalle parti e da alcuni amici curiae al fine di sostenere l’inapplicabilità del principio di onnicomprensività alla funzione di rogito dei segretari comunali e provinciali, si riferisce, in realtà, alla diversa fattispecie della erogazione dei diritti di cancelleria in favore dei segretari comunali incaricati di svolgere le funzioni di cancelliere dell’Ufficio di conciliazione, ai sensi dell’abrogato art. 28 del regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12 (Ordinamento giudiziario). La remunerabilità separata di tale ultima funzione e la sua sottrazione al principio di onnicomprensività derivava dall’essere tale compito svolto non in rappresentanza dell’ente di appartenenza, nell’ambito delle competenze istituzionali, ma in virtù di un apposito incarico dell’autorità giudiziaria e per effetto dell’accettazione volontaria da parte del segretario incaricato.
Per converso, qualora l’amministrazione ritenga di valersene, la funzione rogante costituisce, per il segretario, un’attività dovuta, rientrante nel normale contenuto del suo rapporto di servizio con l’ente (TAR Lazio, sezione prima, sentenza n. 324 del 1981, già citata).
8.3.1.2.– Occorre, inoltre, considerare che la legittimazione delle amministrazioni a stipulare i contratti per mezzo di propri ufficiali roganti, in alternativa al notaio, non costituisce una prerogativa esclusiva degli enti locali, ma è riconosciuta, in via generale, dall’art. 16 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) e dagli artt. 95 e 96 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 (Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato).
La figura dell’ufficiale rogante era, inoltre, prevista dall’art. 32, comma 14, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) e lo è, oggi, dall’art. 18, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici).
8.4.– Tutto ciò premesso, va rilevato che il rapporto di strumentalità che corre tra il principio di onnicomprensività espresso dall’art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001 e il preminente interesse alla corretta e oculata allocazione delle risorse pubbliche e all’equilibrio di bilancio non inibisce al legislatore di introdurre disposizioni derogatorie, spettando alla sua discrezionalità stabilire discipline differenziate per regolare situazioni che ritenga, ragionevolmente e non arbitrariamente, connotate da elementi di distinzione (sentenze n. 383 del 1987 e n. 158 del 1975).
Tuttavia l’art. 10, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, ha rimosso un beneficio economico che, remunerando lo svolgimento di una funzione istituzionale in aggiunta al più alto trattamento retributivo riconosciuto nel settore del lavoro pubblico (quello dirigenziale), ha rivelato nel tempo una intrinseca disarmonia con il sistema.
In conclusione, una disposizione siffatta non mina l’adeguatezza e la proporzionalità della retribuzione dei segretari comunali e provinciali e, quindi, non entra in conflitto con l’art. 36 Cost.
9.– Inquadrata in questa più articolata prospettiva, anche la questione relativa alla violazione dei principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento si rivela non fondata.
Questa Corte ha, infatti, affermato che «[l]’esigenza di ripristinare criteri di equità e di ragionevolezza e di rimuovere le sperequazioni e le incongruenze, insite in un trattamento di favore, è da ritenersi preponderante rispetto alla tutela dell’affidamento» (sentenza n. 240 del 2019).
10.– Prive di fondamento sono anche le censure che denunciano la violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento.
10.1.– L’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, ai commi 1 e 2-bis, esprime due norme, l’una, che abroga la disciplina che destinava a tutti i segretari roganti una quota dei diritti di segreteria percepiti dall’ente locale e, l’altra, che in deroga alla prima, attribuisce tale provento – sia pure in misura ridotta rispetto a quella accordata dalla normativa previgente – ai segretari titolari di incarichi presso enti senza dirigenti e comunque a quelli privi di qualifica dirigenziale.
10.1.1.– Deve, anzitutto, osservarsi che nel giudizio di eguaglianza, tale ultima previsione non potrebbe fornire un utile termine di confronto, stante il suo carattere derogatorio.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del principio di eguaglianza non può, infatti, essere invocata quando la disposizione di legge da cui è tratto il tertium comparationis si riveli derogatoria di una regola generale. In questo caso la funzione del giudizio di legittimità costituzionale alla stregua dell’art. 3 Cost. non può coincidere che con il ripristino della disciplina generale, ingiustificatamente derogata da quella particolare (sentenze n. 208 del 2019 e n. 96 del 2008), e non con l’estensione ad altri casi di quest’ultima, la quale aggraverebbe, anziché eliminare, il difetto di coerenza del sistema normativo (ex aliis, sentenze n. 98 del 2023, n. 206 del 2004 e n. 383 del 1992).
10.1.2.– È pur vero che, in presenza di norme generali e di norme derogatorie, la funzione del giudizio di legittimità costituzionale può, in taluni casi, realizzarsi tramite l’estensione della disciplina particolare ad altre fattispecie, purché ispirate alla medesima ratio derogandi (sentenze n. 98 del 2023 e n. 237 del 2020).
10.2.– Nel caso di specie, le due situazioni poste a confronto – quella dei segretari che subiscono l’abrogazione dei diritti di rogito disposta dall’art. 10, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, e quella di coloro che, essendo soggetti al regime differenziato di cui al comma 2-bis del medesimo articolo, continuano a godere del beneficio – non rispondono alla medesima ragione giustificatrice.
10.2.1.– La previsione derogatoria è stata inserita in sede di conversione al fine di attenuare l’impatto economico che la totale soppressione dei diritti di rogito, disposta dal testo originario del d.l. n. 90 del 2014, avrebbe prodotto sui segretari fruenti del trattamento economico più basso (segretari di fascia «C») o comunque non ammessi all’allineamento economico alla posizione dirigenziale previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL maggio 2001 (segretari di fasce «A» e «B» che prestano servizio in enti privi di dirigenti).
10.2.2.– La genesi e le finalità della disciplina in scrutinio rievocano un analogo processo legislativo che, in passato, aveva già condotto all’eliminazione dei diritti di rogito per i segretari, poi ripristinati dalla legge n. 312 del 1980 e nuovamente rimodulati dalla disposizione qui in scrutinio.
Si tratta della eliminazione, ad opera dell’art. 27, quinto comma, del d.P.R. n. 749 del 1972, di tali diritti per i segretari di livello più elevato, alla quale si coniugò il riconoscimento, in favore degli stessi, dello stipendio dei dirigenti delle amministrazioni statali (art. 25, quinto comma, del d.P.R. n. 749 del 1972).
Come ricordato, a tale previsione seguì, a breve distanza di tempo, la soppressione, ad opera dell’art. 30, secondo comma, della legge n. 734 del 1973, dell’emolumento in questione anche per i segretari privi di qualifica dirigenziale, a fronte della quale l’art. 29 della medesima legge riconobbe a questi ultimi un assegno perequativo pensionabile.
Questa Corte ha osservato che la legge n. 734 del 1973 ha inteso «dare un diverso assetto al trattamento economico dei dipendenti civili dello Stato non aventi funzioni dirigenziali, al fine di introdurre anche per costoro i principi della c.d. onnicomprensività e della chiarezza retributiva» e che, «allo scopo di non arrecare danni economici e cioè di evitare una soverchia diminuzione della complessiva retribuzione dei dipendenti stessi, l’art. 1 della medesima legge ha accordato a costoro un assegno denominato “perequativo”, perché inteso (come del resto dice la stessa denominazione) ad evitare i cennati danni» (sentenza n. 227 del 1982).
10.3.– Un’analoga finalità ha ispirato la scelta, alla base della previsione qui censurata, di mantenere l’emolumento per i soli segretari comunali e provinciali fruenti di un trattamento stipendiale complessivamente meno elevato.
La deroga introdotta dal comma 2-bis dell’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, si inscrive, infatti, in una «logica perequativa e di ristoro sotto il profilo retributivo per i segretari che, per fascia di appartenenza e per numero di abitanti dell’ente territoriale in cui prestano servizio, non godano del trattamento equiparato a quello dirigenziale o non usufruiscano del galleggiamento per mancanza di dirigenti o per altre ragioni» (Corte conti, sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, delib. 33/2021/PAR, già citata).
Deve, pertanto, escludersi che la posta economica sottratta ai segretari con qualifica dirigenziale operanti in comuni e province muniti di dirigenti sia funzionalmente omogenea, e quindi comparabile, a quella attribuita ai segretari che, invece, prestano servizio in enti che ne sono privi, o sono sprovvisti di qualifica dirigenziale.
10.4.– Le posizioni in comparazione si differenziano anche sotto il profilo soggettivo.
La normativa censurata sacrifica le sole posizioni di quei segretari che operano presso gli enti locali dotati di dirigenti, e che per tale ragione possono essere allineati, sotto il profilo economico, a tali figure apicali.
La comparazione auspicata dai rimettenti dovrebbe, quindi, avvenire tra dipendenti allineati economicamente alle figure apicali e dipendenti esclusi da tale equiparazione (in quanto collocati presso enti privi di dirigenti) o comunque destinatari di un trattamento economico significativamente inferiore rispetto a quello goduto dai primi (segretari privi di qualifica dirigenziale).
10.4.1.– Né l’incidenza delle indicate differenze è sminuita dall’obiezione, addotta dai rimettenti e ampiamente corroborata dalle parti e dagli amici curiae, secondo la quale l’allineamento al trattamento dirigenziale, presupposto dalla normativa in scrutinio, non opera automaticamente, prevedendone l’art. 41, comma 5, del CCNL 16 maggio 2001 il riconoscimento «nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa» dell’ente.
La formulazione della norma contrattuale non vale, invero, a configurare il “galleggiamento” come un beneficio condizionato alla presenza di risorse in bilancio, ma, piuttosto, impone all’ente locale di assicurarlo, già in sede di predeterminazione della spesa complessiva del personale, nell’ambito della quale deve tenere conto del principio di equiparazione fissato dalla norma contrattuale sopra indicata (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 6 ottobre 2016, n. 20065).
La possibilità che l’amministrazione si renda inadempiente ai propri impegni contrattuali costituisce, pertanto, un mero fatto contingente che non inficia l’idoneità della citata disposizione a garantire l’allineamento della retribuzione dei segretari a quella delle posizioni apicali.
10.5.– L’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, non contrasta neppure con il principio di ragionevolezza.
Assumono i rimettenti che, alla stregua di tale disposizione, i segretari privi di qualifica dirigenziale, ove prestino servizio presso enti locali muniti di dirigenti, potrebbero “galleggiare” e, al contempo, percepire i diritti di rogito.
Inoltre, in caso di esercizio della funzione segretariale presso sedi convenzionate, un segretario che abbia ottenuto l’allineamento stipendiale al livello dirigenziale presso un ente potrebbe percepire, al contempo, i diritti di rogito presso un altro ente.
10.5.1.– Quanto al primo rilievo, deve, anzitutto, evidenziarsi che l’ipotesi di un segretario che, pur non avendo qualifica dirigenziale, presti servizio presso un ente con dirigenti costituisce un’evenienza affatto remota, posto che i segretari di fascia «C» possono assumere l’incarico solo presso enti di dimensioni molto limitate (con popolazione fino a 3.000 abitanti), i quali nella generalità dei casi non dispongono, nel proprio organico, di figure dirigenziali.
Inoltre, il segretario privo di qualifica dirigenziale, anche qualora usufruisca, ai sensi dell’art. 41, comma 5, del CCNL 16 maggio 2001, di una retribuzione di posizione allineata a quella della dirigenza, continua a percepire uno stipendio tabellare largamente inferiore rispetto a quello riconosciuto ai segretari con qualifica dirigenziale, il quale, a prescindere dal “galleggiamento”, eguaglia in ogni caso quello dei dirigenti, come reso evidente dal raffronto tra gli artt. 54 e 106 del CCNL 17 dicembre 2020.
11.– Neanche le censure formulate in riferimento all’art. 97 Cost. sono fondate.
11.1.– Contrariamente a quanto sostenuto dai rimettenti, la norma in scrutinio non può produrre un effetto disincentivante per i segretari investiti dalla soppressione dei diritti di rogito, in quanto, come ricordato, l’esercizio della funzione rogante è connesso ai compiti istituzionali.
In ogni caso, il principio del buon andamento della pubblica amministrazione non può essere associato all’entità della retribuzione, la quale non è legata da un vincolo funzionale all’efficiente organizzazione amministrativa.
Al riguardo, questa Corte ha affermato che, anche nel caso in cui un effetto dissuasivo si produca, «esso non è automaticamente di pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione, posto che l’efficienza della macchina amministrativa non è di per sé scalfita dal fatto che determinate funzioni siano esercitate da personale che non gode del livello retributivo massimo consentito ma dispone comunque di adeguata competenza e professionalità» (sentenza n. 27 del 2022).
12.– Le sollevate questioni di legittimità costituzionale devono, pertanto, essere dichiarate non fondate.