<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 11 marzo 2021 n. 34</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, comma 5, primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42); va invece dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 243-quater e 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– La disamina delle questioni di legittimità costituzionale sollevate richiede una preliminare, sia pur sintetica, illustrazione del contesto normativo in cui si inseriscono le disposizioni censurate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In particolare, l’art. 243-bis, comma l, t.u. enti locali stabilisce che i Comuni e le Province per i quali sussistono squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui agli artt. 193 e 194 t.u. enti locali non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate, possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (cosiddetto predissesto).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tal caso l’ente locale deve approvare, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di ricorso alla procedura, un piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) di durata compresa tra quattro e venti anni, incluso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziaria (art. 243-bis, comma 5).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo quanto disposto dal successivo art. 243-quater, comma 1, è compito della Commissione per la stabilità finanziaria di cui all’art. 155 t.u. enti locali provvedere allo svolgimento dell’istruttoria entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione del piano; istruttoria che consiste nella ponderazione dei dati di natura finanziaria, storici e previsionali, per la valutazione delle misure previste nel piano ai fini del riequilibrio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale istruttoria è necessaria per consentire alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti di pronunciarsi – entro trenta giorni dalla data di ricezione della relazione finale della richiamata Commissione – sulla legittimità del piano di riequilibrio, ossia sulla sua congruità rispetto al fine di ripristinare l’equilibrio del bilancio, sulla copertura della spesa nell’intero periodo di rientro, sul rispetto dei limiti di indebitamento che vietano di utilizzare i prestiti per la copertura della spesa corrente e, più in generale, sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica nazionali, eurounitari e convenzionali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il controllo che la sezione regionale della Corte dei conti deve svolgere per verificare l’attuazione del piano di riequilibrio si fonda – come prescrivono le norme del Titolo VIII del testo unico sugli enti locali – sull’andamento dei conti dell’ente in predissesto, attività che deve essere formalizzata in una pronuncia con cadenza temporale coerente con il controllo di legittimità-regolarità sul bilancio preventivo e successivo previsto dall’art. 148 t.u. enti locali, come sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In proposito, questa Corte ha più volte ricordato che i controlli «del titolo VIII del TUEL (artt. 243-bis rubricato “Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”; 243-quater rubricato “Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e controllo sulla relativa attuazione”; […] 246 “Deliberazione di dissesto”; 248 rubricato “Conseguenze della dichiarazione di dissesto”) consistono appunto in controlli di legittimità-regolarità se non addirittura in attribuzioni di natura giurisdizionale. Appartengono alla prima categoria: a) la determinazione di misure correttive per gli enti in predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a, del TUEL); b) l’approvazione o il diniego del piano di riequilibrio (art. 243-quater, comma 3, del TUEL); c) gli accertamenti propedeutici alla dichiarazione di dissesto (art. 243-quater, comma 7, del TUEL)» (sentenza n. 228 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È stato, altresì, sottolineato che i controlli di legittimità-regolarità – sia quelli inerenti al dissesto, sia quelli sui bilanci preventivi e successivi – ove tempestivamente attivati, potrebbero interdire quelle disfunzioni degenerative dell’equilibrio dei bilanci che hanno indotto più volte il legislatore a intervenire per il prolungamento dei tempi di riequilibrio oltre quelli fisiologici fissati dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (in tal senso, sentenza n. 115 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il complesso impianto normativo di riferimento muove dalla ratio unitaria di evitare il dissesto attraverso un fattivo e coerente comportamento economico-finanziario dell’ente locale nel tempo ipotizzato di rientro dal deficit.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tale contesto teleologico rientra il controllo di legittimità-regolarità sui bilanci preventivi e successivi, poiché tale coerente comportamento nel tempo previsto per il risanamento deve trovare puntuale riscontro in ciascuno dei bilanci preventivi e successivi del predetto periodo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Il rimettente si duole del fatto che il combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, t.u. enti locali non permetta alla nuova amministrazione, insediatasi in pendenza del termine per la presentazione del PRFP, di predisporlo entro sessanta giorni dalla relazione di inizio mandato, così come consentito alle nuove amministrazioni per l’eventuale rimodulazione del piano deliberato dall’amministrazione precedente, correlando automaticamente il dissesto dell’ente all’inutile decorso del termine originario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il giudice a quo prospetta, altresì, la possibilità di prevedere, nel caso in cui l’istruttoria del piano si sia protratta oltre i termini ordinatori stabiliti dal legislatore, un esame, da parte della sezione regionale di controllo, del piano di rientro dal deficit sulla base della situazione economico-finanziaria esistente al momento del giudizio di sua competenza e non di quella esistente all’epoca della richiesta formulata dalla precedente amministrazione. Ciò per evidenti motivi di carattere funzionale e di ragionevolezza: la situazione dell’ente locale potrebbe essere mutata, anche positivamente, per effetto della gestione successiva o di motivi estrinseci allo stesso andamento della gestione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>I due interventi sono prospettati in via gradata come dimostrato dalla locuzione «e comunque» impiegata dal rimettente, relegando, in tal modo, la seconda addizione a un ruolo meramente subordinato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tanto evidenziato, è indubbio che le norme censurate influiscano in modo determinante sulla decisione del giudice rimettente in quanto, in applicazione del loro combinato disposto, egli dovrebbe ritenere tardiva la presentazione del piano (intervenuta oltre il termine di novanta giorni dalla delibera di ricorso alla procedura di riequilibrio da parte del Commissario straordinario), con conseguente automatico avvio dell’ente locale al dissesto, mentre l’uno o l’altro intervento additivo consentirebbero la valutazione del PRFP nel merito. Di qui la rilevanza delle questioni sollevate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali considerazioni, peraltro, escludono di per sé che, come eccepito dal Presidente del Consiglio dei ministri, possa assumere rilievo l’asserita congruità della porzione residua del termine previsto per la presentazione del piano e la circostanza che esso non sia stato rispettato per errore inescusabile.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce altresì l’inammissibilità delle questioni sollevate, in quanto gli interventi manipolativo-additivi invocati non sarebbero costituzionalmente obbligati, implicando scelte rimesse alla valutazione discrezionale del legislatore, connotate da un alto tasso di creatività, ben potendosi immaginare soluzioni diverse.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’eccezione non è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È ormai costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «l’ammissibilità delle questioni è condizionata non tanto dall’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore» (ex plurimis, sentenza n. 224 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Entrambe le addizioni prospettate rispettano il citato requisito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La prima corrisponde al termine che, sempre nell’ambito della procedura di riequilibrio finanziario, viene riconosciuto proprio alla compagine amministrativa subentrante per la rimodulazione di un piano già presentato ma non ancora approvato (art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, t.u. enti locali), con decorrenza dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato di cui all’art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A sua volta, l’addizione richiesta in via subordinata risulta coerente con le altre ipotesi di avvio al dissesto previste dall’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali (il diniego dell’approvazione del piano; l’accertamento del grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi da esso fissati; il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata del piano stesso), poiché ciascuna di esse implica una valutazione di tipo finanziario quale quella che l’addizione mira a introdurre.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quanto all’ulteriore eccezione d’inammissibilità, secondo cui le censure riguarderebbero unicamente l’art. 243-quater, comma 7, e non anche l’art. 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, dalla prospettazione del ricorrente si ricava, al contrario, che anche quest’ultimo è coinvolto nelle questioni sollevate, in quanto a essere inficiato dal dubbio di costituzionalità è proprio il combinato delle due disposizioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, anche tale eccezione deve essere rigettata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– Tanto premesso, passando all’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, occorre evidenziare che la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è strettamente connessa all’attuazione dei principi di equilibrio del bilancio e sana gestione finanziaria di cui agli artt. 1, 81, 97 e 119, primo comma, Cost., essendo finalizzata a superare le situazioni di squilibrio strutturale del bilancio e a riportare gli enti nelle condizioni di equilibrio e sostenibilità della spesa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il PRFP costituisce un rimedio volto a impedire, attraverso la concreta determinazione di un graduale percorso di risanamento dell’ente nel rispetto delle disposizioni vigenti, che lo squilibrio strutturale evolva nella più grave patologia del dissesto. Si tratta, in sostanza, di uno strumento che trova copertura costituzionale proprio nei parametri evocati dal rimettente, essendo funzionalmente orientato ad assicurare il principio di continuità nella gestione amministrativa e dei servizi dell’ente locale, in un contesto di legalità finanziaria (in tal senso, sentenza n. 115 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Infatti, il piano, proprio per la sua attitudine a conseguire l’equilibrio tendenziale del bilancio, costituisce strumento di sintesi delle decisioni dell’ente territoriale in ordine all’acquisizione delle entrate e all’individuazione degli interventi necessari a garantire l’erogazione dei servizi pubblici alla collettività; rappresenta, altresì, un mezzo di verifica attraverso il quale è possibile confrontare i risultati conseguiti e valutare l’operato degli amministratori nella gestione della crisi (sentenza n. 184 del 2016).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il principio della responsabilità di mandato risulta ancor più articolato e bisognoso di una attuazione trasparente quando la nuova compagine dell’ente locale si trova a fronteggiare una crisi già dichiarata dall’amministrazione precedente e, in particolar modo, laddove il tempo impiegato per lo svolgimento dell’istruttoria e di controllo del PRPF abbia consentito, come sostenuto dall’ente locale nella fattispecie in esame, un miglioramento della situazione economico-finanziaria.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È alla stregua di tali considerazioni che occorre valutare se il combinato delle disposizioni censurate vanifichi in radice la funzione della procedura di riequilibrio e sacrifichi gli interessi alla cui soddisfazione essa risponde, pregiudicando in concreto l’equilibrio di bilancio e la sana gestione finanziaria dell’ente locale che, sotto tali profili, si trova nella particolare situazione di una transizione amministrativa geneticamente patologica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– Rilevata l’inammissibilità delle censure formulate in riferimento all’art. 2 Cost. per difetto di motivazione, occorre verificare se, nel merito, sia fondato il dubbio di legittimità costituzionale in relazione alla mancata previsione che anche alla compagine amministrativa insediatasi in pendenza del termine perentorio di novanta giorni – senza che sia stato ancora predisposto e deliberato il PRFP – sia consentito di avvalersi del termine di sessanta giorni, previsto per l’eventuale rimodulazione del piano già deliberato dall’amministrazione precedente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, risulta in contrasto con gli artt. 1, 3, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.– Seguendo l’ordine con cui le censure sono state sollevate dal rimettente, con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., le disposizioni impugnate presentano un’evidente irragionevolezza e determinano una disparità di trattamento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sotto il primo profilo, rispetto all’amministrazione che opera in continuità – la quale elabora il piano a seguito del ricorso alla procedura di riequilibrio da essa stessa deliberato – quella successiva, pur ereditando un grave squilibrio e l’assenza totale di un progetto di risanamento, si trova costretta a intervenire in un lasso temporale gravemente ridotto e potenzialmente insufficiente, poiché il termine di novanta giorni per deliberare il PRFP decorre da un momento anteriore a quello del suo insediamento, ossia dalla data della delibera di ricorrere alla procedura di riequilibrio assunta dalla precedente compagine. Mentre il legislatore ha tenuto presente la complessa interrelazione delle vicende temporali inerenti al procedimento di riequilibrio e alla successione nell’esercizio del mandato elettorale per le amministrazioni che intendono rimodulare il piano precedentemente approvato, una coerente fattispecie legale non è stata presa in considerazione per il caso della procedura ereditata in assenza di un piano.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quanto all’ingiustificata disparità di trattamento, la fattispecie normativa inerente all’amministrazione che opera in continuità non può essere assunta quale tertium comparationis in quanto strutturalmente diversa: il termine di novanta giorni, intercorrente tra la data di ricorso alla procedura di riequilibrio e quella di deliberazione del PRFP, si innesta in un procedimento in cui coincidono soggetto richiedente e soggetto che predispone il piano.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Diversamente va detto per l’altra fattispecie legale riferita all’amministrazione subentrante interessata alla rimodulazione del piano, per la quale l’art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, contempla un termine di sessanta giorni decorrente dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato di cui all’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 «volta a verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell’indebitamento dei medesimi enti» (comma 1) e sulla base delle cui risultanze, in generale, «il presidente della provincia o il sindaco in carica, ove ne sussistano i presupposti, possono ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti» (comma 2, secondo periodo).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È evidente l’idoneità di tale norma ad assumere la veste di </em>tertium comparationis<em>, perché riguarda la medesima situazione di nuovo ingresso in pendenza del procedimento di risanamento e la correlata presa in carico della gestione amministrativo-contabile: ponendosi un’identica esigenza di acquisire un’apprezzabile conoscenza della reale situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente locale, nonché della misura del relativo indebitamento – elementi indefettibili per costruire un’ipotesi di risanamento affidabile e credibile, coerente con la disciplina funzionale del predissesto – risulta ingiustificato soddisfare tale necessità accordando all’amministrazione subentrante il termine per rimodulare il piano già deliberato e non anche per formularlo ex novo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È bene in proposito richiamare alcune delle operazioni pregnanti propedeutiche alla redazione del piano, indicative della complessa istruttoria dello stesso e del tempo necessario a provvedervi: «a) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; b) l’individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio a partire da quello in corso alla data di accettazione da parte dei creditori del piano; c) l’indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio. È altresì previsto […] che, ai fini della predisposizione del piano, l’ente è tenuto a effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio riconoscibili ai sensi dell’art. 194 del TUEL. Il perimetro costituzionale disegnato da tali disposizioni consiste nella funzionalità della procedura a ridurre il deficit fino ad azzerarlo nel tempo prescritto. Ciò mediante la scansione del percorso attraverso i risultati conseguiti nei singoli esercizi attinenti al piano e la definizione di una proporzione accettabile dei sacrifici imposti alle future generazioni di amministrati affinché l’oneroso rientro dal disavanzo sia comunque compensato dal traguardo dell’equilibrio, presupposto necessario per la sana amministrazione» (sentenza n. 115 del 2020).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.– Quanto fin qui evidenziato comporta anche la fondatezza delle censure sollevate in riferimento agli artt. 1, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Viola, infatti, i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, nonché il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, l’automatico avvio al dissesto quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e, chiamata a farsi carico della pesante eredità ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il PRFP per l’assegnazione di un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento ed è sganciato dal momento in cui acquisisce, con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento. Ciò finisce inevitabilmente per pregiudicare il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse con violazione dell’art. 81, Cost., e impedisce di esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilità politica oggettiva, con pregiudizio dell’art. 1 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Oltre che contrario ai citati parametri e diseconomico, il meccanismo delineato dalla normativa censurata collide, altresì, con il principio di ragionevolezza (sotto un ulteriore profilo) e con l’interdipendente principio di buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto costituisce conseguenza sproporzionata e non coerente con la ratio sottesa alla procedura di riequilibrio, che è proprio quella di porre rimedio alla situazione deficitaria dell’ente locale ove sia concretamente possibile, mettendo i nuovi depositari del mandato elettorale nella condizione di farsene pienamente carico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso di specie, la violazione del principio di ragionevolezza ben si coniuga con quello di buon andamento della pubblica amministrazione (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 169 del 2017 e n. 188 del 2015).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– La </em>reductio ad legitimitatem<em> del censurato combinato disposto ben può essere realizzata incidendo esclusivamente sull’art. 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, che va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine di cui al primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il PRFP nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.– È da sottolineare come la presente pronuncia, nel segmento della sua operatività, contribuisca a semplificare la tormentata evoluzione legislativa delle norme regolanti l’endemico fenomeno del dissesto degli enti locali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In questo modo, gli enti locali possono operare in coerenza con la situazione finanziaria in cui attualmente versano, permettendo alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti di valutare la congruità del piano.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Inoltre, la pronuncia consente di collegare – in ragione del principio di continuità dei bilanci e della gestione finanziaria – l’eventuale redazione del PRFP con la situazione giuridico-economica esistente al momento dell’effettiva assunzione del mandato realizzando la doverosa tensione verso un equilibrio strutturale che si conservi nel tempo, in ossequio al principio dell’equilibrio tendenziale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.– Stante l’accoglimento delle questioni sollevate in via principale, sono assorbite quelle prospettate dal giudice rimettente in via subordinata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;">Lavoro - Processo - Incarichi non autorizzati dei pubblici dipendenti e giurisdizione della Corte dei Conti per i corrispettivi</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 09 marzo 2021 n. 6473</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> I motivi, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>3.1. Osserva il Collegio che nella giurisprudenza di legittimità si è affermato, a partire dal 2016, un indirizzo secondo cui la domanda della Pubblica Amministrazione rivolta ad ottenere dal proprio dipendente il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di incarichi non autorizzati appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Più precisamente, con l’ordinanza n. 19072 del 28/09/2016 queste Sezioni Unite – dopo aver escluso che nel caso sottoposto al loro esame potesse applicarsi, </em>ratione temporis<em>, ai fini della determinazione della giurisdizione, il comma 7-bis dell’art. 53 del decreto legislativo n. 165/2001, come introdotto dalla legge 190 del 2012, determinativa della giurisdizione della Corte dei Conti, sulla base dell’assunto dei consolidarsi di un precedente orientamento giurisprudenziale anteriore alla novella legislativa, confermativo della sussistenza della giurisdizione contabile, e dopo aver negato che prima della introduzione del comma 7-bis potesse dirsi indiscutibile la giurisdizione contabile le volte in cui non emergesse o non fosse stato formalmente dedotto un profilo di danno (che non fosse quello all’immagine o comunque che si concretizzasse in pregiudizi ulteriori rispetto al mancato introito dei compensi corrisposti da terzi ai propri dipendenti) – hanno affermato il principio secondo cui la controversia avente ad oggetto la domanda della P.A. rivolta ad ottenere dal proprio dipendente il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che l’amministrazione creditrice ha titolo per richiedere l’adempimento dell’obbligazione senza doversi rivolgere alla Procura della Corte dei Conti, la quale sarà notiziata soltanto ove possa prospettarsi l’esistenza di danni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l’art. 53, comma 7, del d.lgs. 165/2001 impone una sanzione ex lege, consistente nel versamento all’Amministrazione di appartenenza, dei corrispettivi percepiti in occasione di incarichi non autorizzati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Trattasi di sanzione, in quanto così si esprime la disposizione appena citata («salve le più gravi sanzioni») e, inoltre, in tal senso depone la considerazione che il versamento è per una quantità esattamente corrispondente ai corrispettivi percepiti, emergendo chiaramente lo scopo disincentivante per il dipendente, il quale è consapevole di non poter trattenere alcun vantaggio dalle prestazioni svolte in violazione del dovere dì fedeltà. Con vari argomenti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che trattasi di una figura di danno erariale, atteso che non sarebbe richiesto l’accertamento del presupposti della responsabilità per danno, né deve essere inteso quale danno il mero obbligo di trasferire i profitti conseguiti; la quantificazione “fissa” della somma da trasferire all’amministrazione sarebbe in contrasto con i principi generali della quantificazione del danno; neppure potrebbe ritenersi che vi sia un danno </em>in re ipsa <em>nell’aver effettuato prestazioni lavorative in favore di terzi; l’obbligo di versare il corrispettivo non ancora pagato che grava sui terzi dimostrerebbe, infine, come non vi sia nesso alcuno con la figura del danno erariale, posto che naturalmente la Procura della Corte dei Conti non è titolare di alcuna azione nei confronti di tali terzi in quanto soggetti esterni alla Pubblica amministrazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per tali ragioni, la giurisprudenza di legittimità ha concluso nel senso che la giurisdizione contabile si radica «solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito si accompagnino specifici profili di danno» (Cass., sez. un, ord., 28/09/2016, n. 19072; Cass., sez, un., ord., 19/01/2018, n. 1415; v. anche Cass., sez. un., ord., 28 maggio 2018, n. 13239).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.2. Tale orientamento è stato di recente rivisitato, anche alla luce della portata del comma 7-bis, inserito, come detto, nell’art. 53 del d.lgs. 165/2001, dalla legge 190/2012. In particolare, queste Sezioni Unite, richiamandosi ad altro precedente orientamento (Cass., sez. un., 2/11/ 2011, n. 22688 e Cass., sez. un., 22/12/2015, n. 25769), riferito specificamente ad azioni promosse dal Procuratore 9\ contabile, come quella all’esame, hanno ritenuto che l’azione proposta dal Procuratore contabile nei confronti del pubblico impiegato trovi giustificazione nella violazione dello specifico dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra- lavorativi e del conseguente obbligo di riversare sulla P.A. i compensi in tali occasioni ricevuti. Tali obblighi vengono concepiti quali strumentali all’esatto svolgimento delle mansioni, in quanto preordinati a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il potere dell’Amministrazione di valutare se l’impiego in ulteriori attività possa pregiudicare i compiti d’istituto (Cass., sez. un., ord., 26/06/2019, n. 17124; Cass., sez. un., ord., 14/01/2020, n. 415; Cass., ord., sez. un., n. 8/07/2020, 14237).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tale ottica, l’art. 7-bis non avrebbe portata innovativa, per cui è irrilevante il momento di percezione di tali compensi (se antecedente o successivo alla novella). Si verte, infatti, in ipotesi di responsabilità erariale, che il legislatore ha tipizzato nella condotta e nella sanzione, predeterminando il danno </em>ex lege<em>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La giurisprudenza di legittimità appena citata ha pure chiarito che l’azione del Procuratore contabile e quella dell’Amministrazione volta ad ottenere la restituzione delle somme percepite in assenza di autorizzazione non possono sovrapporsi: così la legittimazione del Procuratore contabile sorge di fronte all’inerzia dell’Amministrazione e, viceversa, l’esercizio dell’azione contabile determina l’impossibilità da parte della medesima Amministrazione di promuovere azione per ottenere il riversamento. Ciò allo scopo di evitare un conflitto di giudicati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.3. Alla luce del più recente orientamento di queste Sezioni Unite sopra ricordato (Cass., sez. un., ord., 26/06/2019, n. 17124; Cass., sez. un., ord., 14/01/2020, n. 415; Cass., ord., sez. un., n. 8/07/2020, 14237) ed al quale va data continuità, va ribadito il principio secondo cui «</em>L’azione ex art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 promossa dal Procuratore della Corte dei conti nei confronti di dipendente della P.A. che abbia omesso di versare alla propria Amministrazione i corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato, rimane attratta alla giurisdizione del giudice contabile, anche se la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente all’introduzione del comma 7-bis del medesimo art. 53, norma che non ha portata innovativa; si verte, infatti, in ipotesi di responsabilità erariale, che il legislatore ha tipizzato non solo nella condotta, ma annettendo, altresì, valenza sanzionatoria alla predeterminazione legale del danno, attraverso la quale si è inteso tutelare la compatibilità dell’incarico extraistituzionale in termini di conflitto di interesse e il proficuo svolgimento di quello principale in termini di adeguata destinazione di energie lavorative verso il rapporto pubblico<em>».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.4. A tali principi recentemente affermati da queste Sezioni Unite risulta sostanzialmente conforme la sentenza impugnata che – come pure evidenziato dal P.G. – «correttamente qualificando la domanda, ha affermato la giurisdizione contabile, in quanto diretta proprio a far valere la responsabilità erariale in relazione ad una fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa». La domanda così proposta trova fondamento nel danno erariale conseguente alla violazione del dovere strumentale di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi e del conseguente obbligo di riversare alla P.A. i compensi ricevuti, trattandosi di prescrizioni volte a garantire il corretto e proficuo svolgimento delle mansioni attraverso il previa controllo dell’Amministrazione sulla possibilità del dipendente di impegnarsi in un’ulteriore attività senza pregiudizio per i compiti di istituto, essendo stati i compensi dedotti a titolo dì risarcimento del danno, forfetizzato ex lege, conseguente alla violazione degli obblighi gravanti sul pubblico impiego.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3,5. Va evidenziato che il secondo motivo è inammissibile, in quanto con lo stesso è posta non già una questione di giurisdizione ma la questione dei concorso delle due azioni attivate, pressoché Ric. 2019 n. 16034 sez. SU – ud. 12-01-2021 -10- contestualmente dalla Procura della Corte dei Conti e dall’Università presso cui il ricorrente prestava la sua attività di docente e preside di facoltà nel periodo di riferimento. Tale ultima questione, peraltro, risulta già esaminata e risolta dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso dell’alternatività delle stesse, con la conseguenza che, qualora il Procuratore della Corte dei Conti abbia promosso l’azione di responsabilità contabile in relazione alla tipizzata fattispecie legale in esame (art. 53, commi 7 e 7-bis, digs. n.165 del 2001), alla P.A. è precluso l’esperimento dell’azione per la ripetizione dei compensi indebitamente percepiti. Trattasi tuttavia, va ribadito, di questione che non attiene alla giurisdizione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’accertamento dell’esistenza del danno (con riguardo ai requisiti dell’attualità e della certezza) attiene al concreto esercizio della potestas iudicandi della Corte dei conti e, quindi, ogni contestazione al riguardo, inerendo alla corretta applicazione delle norme relative alla fondatezza della pretesa risarcitoria, non può essere sindacata dinanzi a queste Sezioni Unite, in base al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «Il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni della Corte dei conti in sede giurisdizionale è circoscritto al controllo dei limiti esterni della giurisdizione di detto giudice, e in concreto all’accertamento di vizi che attengano all’essenza della funzione giurisdizionale e non al modo del suo esercizio, talché rientrano nei limiti interni della giurisdizione, estranei al sindacato consentito, eventuali errori “in iudicando” o “in procedendo”» (Cass., sez. un., ord., 14/06/2005, n. 127261; Cass., sez. un., ord., 16/12/2008, n. 29348). E in siffatti vizi si risolvono le censure di cui al secondo mezzo, al di là del richiamo al preteso difetto dì giurisdizione, e ciò a prescindere, come pure evidenziato dal P.G., da ogni considerazione in ordine alla peculiare modalità di predeterminazione e quantificazione del danno nella fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa di cui si discute in questa sede.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li><em> Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato. 5. Non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero della Corte dei Conti, stante la sua natura di parte solamente in senso formale (Cass., sez. un., 8/05/2017, n. 11139; Cass., sez. un., 27/02/2017, n. 4879; Cass., sez. un., 27/12/2016, n. 26995). Neppure vi è luogo a provvedere per le dette spese nei confronti dell’Università di Bologna, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.</em></li> <li><em> Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass.13 maggio 2014, n. 10306).</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>