<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Consiglio di Stato, Sezione II, sentenza 3 marzo 2020, n. 2159</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Nelle ipotesi di espropriazione di fondi o terreni per pubblica utilità, nonché di acquisizione proprietaria degli stessi nell’ambito di piani per l’edilizia economica e popolare (PEEP), i Comuni non possono esercitare il diritto di prelazione sancito dall’art. 21, 2 comma della L. n. 865/1971 (ora trasfuso negli artt. 46-48 del d.P.R. n. 327/2001), qualora essi stessi siano al contempo il soggetto espropriante già titolare del diritto dominicale acquisito al patrimonio indisponibile. In tali ipotesi, si configura infatti la confusione tra dante ed avente causa, tale da precludere ex se la traslazione della proprietà del bene ablato e, dunque, l’esercizio della prelazione.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Percorrendo un iter motivazionale che lambisce gli aspetti salienti della disciplina sottesa all’espropriazione per pubblica utilità, il Consiglio di Stato, dopo aver rilevato come le aree già di proprietà degli appellanti fossero ormai comprese nel patrimonio indisponibile del Comune per effetto dell’acquisizione perfezionatasi in ambito PEEP, è approdato all’assunto che la retrocessione parziale – rivendicata dagli appellanti sui beni espropriati – sia esclusa anche dall’art. 21, 2 comma della L. n. 865/1971, nella parte in cui dispone che «qualora venga a cessare la destinazione alla realizzazione di un interesse pubblico delle aree espropriate in base alle disposizioni contenute nel presente titolo, i comuni, entro e non oltre 180 giorni dalla cessazione della succitata destinazione, hanno diritto alla prelazione sulle aree comprese nel loro territorio dietro pagamento di un corrispettivo determinato ai sensi degli artt. 16 e segg. (…) Le aree acquisite al comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo il Supremo Consesso amministrativo, la citata disposizione ha introdotto un diritto di prelazione in favore dei Comuni, tale da consentire loro l’acquisizione delle suddette aree al proprio patrimonio indisponibile, esercitabile, nei confronti dell’ente espropriante, sulle aree rimaste inutilizzate, entro 180 giorni dalla cessazione della destinazione delle stesse ad interesse pubblico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>È tuttavia opinione della maggioritaria giurisprudenza civile ed amministrativa che tale diritto di prelazione non possa operare quando, come nel caso in esame, l’ente espropriante sia lo stesso Comune.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>In tali casi, infatti, appare impossibile, da un punto di vista logico prima che giuridico, che l’amministrazione comunale, già titolare del diritto dominicale acquisito al patrimonio indisponibile (l. n. 865 del 1971, art. 35, comma 3), eserciti la prelazione nei confronti di se stessa, al fine di ottenere la proprietà di un’area da acquisire allo stesso patrimonio indisponibile.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Richiamando il proprio risalente – ma consolidato – orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 981/1997; id., n. 2939/2000; id., n. 5000/2015), <strong>il Consiglio di Stato ha dunque ritenuto che, in ipotesi simili a quella di specie, i fondi o i terreni già espropriati – ma non ancora asserviti alla pubblica utilità – non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828, 2 comma c.c.)</strong>, non essendo peraltro suscettibili di retrocessione (totale o parziale) in favore dei soggetti originariamente ablati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Christian Curzola </em></p>