<p style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI – ordinanza 28 giugno 2019 n. 17567</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Come affermato nella recente pronuncia del 28/3/2019, n. 8673, "</em>la categoria dell'organismo di diritto pubblico è stata elaborata nel diritto eurounitario al fine di individuare le c.d. amministrazioni aggiudicatrici, ossia i soggetti tenuti al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte dalle stesse norme dell'Unione Europea. Tale categoria, applicabile solo nell'ambito dei contratti pubblici, costituisce il precipitato della c.d. nozione sostanzialistica di Pubblica Amministrazione, avallata dalla legislazione europea, ribadita dalla giurisprudenza eurounitaria e interna (Cons. di Stato Ad. Plenaria 13/2016) e preordinata - per il mezzo della valorizzazione del "<em>fine</em>" perseguito da un determinato soggetto rispetto alla sua qualificazione giuridica -ad evitare che la privatizzazione puramente formale di enti pubblici possa determinare una sostanziale elusione delle normative europee<em>." Ciò posto, va rilevato in via preliminare che la Direttiva 2014/24/UE, in attuazione della quale è stato emanato il d.lgs. 18/4/2016, n.50, che ha abrogato il previgente d.lgs. 12/472006, n.163, a sua volta emanato in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, e che conteneva disposizione sovrapponibile all'attuale art. 3, comma 1, lett.d) del d.lgs. 50/2016, ha specificamente previsto che un ente può ritenersi quale organismo di diritto pubblico solo ove coesistano i tre requisiti previsti dalla norma (per la coesistenza, nella vigenza delle precedenti Direttive, si erano già espresse la Corte di giustizia 15/1/1998, C-44/96, Mannesmann, nonché Cass.Sez. U. 7/4/2010, n. 8225, 29/5/2012, n. 8511); e l'interpretazione di tali requisiti deve essere svolta adottando un approccio di tipo funzionale "</em>che consenta di perseguire gli obiettivi di non discriminazione e tutela della concorrenza che la disciplina degli appalti pubblici si pone di perseverare<em>" (Corte di Giustizia 10 novembre 1998, in C-360/96, Arhnhem, 15 gennaio 1998, in C-44/96, Mannesman e 5 ottobre 2017, in C-567/15, LitSpecMet UAB). Sempre la pronuncia delle Sezioni unite 8673/2019 ha rilevato che,"</em>a differenza degli altri due requisiti, quello c.d. "<em>teleologico</em>" ha richiesto molteplici interventi da parte della giurisprudenza nazionale ed, in particolare, eurounitaria volti a definirne delle linee guida all'interpretazione. Innanzitutto, in merito all'espressione "<em>specificatamente</em>", si è detto (Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in C-44/96) che essa indica la volontà del legislatore di vincolare all'applicazione delle norme sugli appalti pubblici solo i soggetti istituiti allo scopo specifico di soddisfare interessi di carattere generale aventi carattere non industriale e commerciale e la cui attività risponda a tali esigenze."<em> "Peraltro non risulta necessario che l'organismo eserciti questa attività di interesse generale in modo esclusivo, potendo il medesimo soggetto svolgere altre attività, addirittura con carattere prevalente. In secondo luogo, in merito al significato di "</em>bisogni generali<em>" occorre precisare che questi costituiscono una categoria più ampia all'interno della quale deve essere rinvenuta la sotto-categoria dei bisogni "</em>non industriali e commerciali<em>", i quali devono essere individuati in base al contesto di riferimento e delle finalità perseguite dalle direttive in tema di appalti (si veda Corte di Giustizia 27 febbraio 2003, in C- 373/2000). In merito alla portata applicativa di quest'ultimo requisito, il profilo interpretativo di maggiore rilevanza è costituito dalla possibilità di definire organismo pubblico anche quello che opera in un regime concorrenziale. A seguito di molteplici oscillazioni da parte della giurisprudenza eurounitaria (si ricordino i due </em>leading cases<em> Corte di Giustizia 15 gennaio 1998 C-44/96, "</em>Mannesman<em>" e Corte di Giustizia 10 novembre 1998, in C-360/96, "</em>BFI Holding<em>", orientati nel senso di considerare l'agire in concorrenza come un semplice elemento indiziario, superabile; Corte di Giustizia 10 maggio 2001, in C223/99, "</em>Agorà<em>" c. Ente Autonomo Fiera internazionale di Milano, orientata nel senso di escludere la qualifica di organismo di diritto pubblico nel caso esso agisse in concorrenza e con metodo economico), deve essere condiviso l'orientamento che non considera determinante il mero fatto che la società operi in un mercato concorrenziale ai fini dell'esclusione della relativa qualifica di organismo di diritto pubblico. Si tratta infatti esclusivamente di un indizio presuntivo, superabile con prova contraria, e non di un elemento dirimente. È verosimile, in un mercato i cui connotati sono sempre più complessi, che in alcuni casi i bisogni di ordine generale possano presentare una notevole rilevanza economica inducendo anche operatori economici privati a collocarsi nel settore (e senza che ciò incida sulla possibilità di qualificare l'organismo della cui natura si controverte come organismo di diritto pubblico). Si giunge, pertanto, a concludere per la non incompatibilità tra lo svolgimento di attività di impresa e l'operatività in settori contrassegnati da un'economia di mercato, da un lato, e la qualificabilità dell'ente come organismo di diritto pubblico, dall'altro. La nozione di organismo di diritto pubblico, di conseguenza, in quanto funzionale alla liberalizzazione dei mercati e alla trasparenza, deve essere estensivamente intesa (sul punto si veda Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, in C-373/00) e nella valutazione degli indici richiesti dalla norma deve essere privilegiato - ad un approccio formalistico - un approccio funzionale che tenga conto delle concrete modalità di azione della società. Non può poi guidare la valutazione il fatto che la società non sia totalmente detenuta dall'amministrazione controllante. Gli organismi di diritto pubblico non è necessario che sottostiano alle medesime regole previste per la società </em>in house<em> in tema di controllo analogo, stante la diversa natura dei due istituti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> Per definire la natura di organismo di diritto pubblico di un soggetto, alla luce dei criteri enucleati all'art. 3, lett. d) , D.Lgs. 50/2016, occorre avere riguardo; in primo luogo, al tipo dì attività svolta dalla società e all'accertamento che tale attività sia rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinché la PA possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (si veda, la già citata Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C- 567/15; nonché, con riferimento al criterio di economicità, Cass. 8225/2010). In particolare, in merito a quest'ultimo profilo, è necessario, in primo luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri dì rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono ricadere sull'amministrazione controllante (Cass. 8225/2010). In secondo luogo, il servizio d'interesse generale che ne costituisce l'oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica. In conclusione ai fini della qualificazione di una società come organismo di diritto pubblico, per stabilire se essa agisca per un fine di interesse generale, occorrerà procedere ad una valutazione in concreto degli elementi di fatto e di diritto che connotano l'agire della stessa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla stregua di detti principi, va esaminata la situazione di specie, con iniziale riguardo proprio al requisito sub 1) di cui all'art.3 cit., che, per quanto sopra rilevato, esige il riscontro del perseguimento di un "</em>interesse generale<em>" e del carattere non industriale o commerciale dell'attività. Nel caso di attività svolta da ente fieristico, si è pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza 10/5/2001, C-223/99 e C-260/99, Agorà, che, in relazione all' Ente autonomo Fiera Internazionale di Milano, ha ritenuto che lo stesso soddisfa un interesse di carattere generale, e parimenti di carattere commerciale, fornendo servizi agli espositori che beneficiano della promozione dei beni e servizi che vengono esposti, ed altresì ai visitatori, "</em>che desiderano raccogliere informazioni ai fini di eventuali decisioni di acquisto<em>"; che, per quanto detto soggetto non persegua scopi lucrativi, "</em>opera, come emerge dall'art.1 del proprio statuto, secondo criteri di rendimento, di efficacia e di redditività<em>", e che, non essendo "</em>previsto alcun meccanismo per compensare eventuali perdite finanziarie<em>", lo stesso sopporta direttamente il rischio economico della propria attività; che l'ente agisce in ambito concorrenziale (circostanza la cui valutazione spetta al giudice nazionale, tenendo conto del complesso delle attività esercitate, a livello internazionale, nazionale e regionale), concludendo nel senso che l'ente in oggetto non costituisce un organismo di diritto pubblico ai sensi dell'art. 1, lett. b) , secondo comma, della Direttiva del Consiglio 18/6/1992, 92/50/CEE (abrogata dall'art.82 della Direttiva 2004/18/CE, in attuazione della quale è stato emanato il d.lgs. 163/2006, sostituito successivamente dal d.lgs.50/2016). Da tale pronuncia è chiaramente evincibile il principio secondo il quale l'ente fieristico, per essere ritenuto organismo di diritto pubblico, nel perseguire l'interesse pubblico debba agire senza essere soggetto alle regole di mercato, e quindi senza che possa ritenersi esercitata dallo stesso attività di carattere commerciale. Ciò posto, si deve rilevare nel caso di specie che lo Statuto della Fiera di Roma all'art.2.1. dispone che : "</em>La società ha per oggetto l'attività di progettazione, organizzazione, promozione e gestione di attività fieristiche, espositive e congressuali, la gestione e lo sviluppo di quartieri fieristici di carattere sia nazionale che internazionale, nonché la prestazione di servizi complementari e di supporto alle attività stesse<em>." Ora, detto oggetto di per sé è connotato dal carattere commerciale, ed il carattere concorrenziale dell'attività svolta (che, come sopra visto, costituisce un mero indice ai fini che qui interessano) non potrebbe escludersi avuto riguardo al mero ambito regionale (nel quale, in ogni caso, operano altri enti ed eventi fieristici), vista la previsione di attività a livello nazionale ed internazionale. Quanto allo scopo di lucro, da intendersi come criterio di rendimento, efficacia e redditività, non è certo risolutivo, per ritenere escluso detto scopo, il richiamo all'art.10.3 dello statuto che dispone: "</em>Gli utili netti risultanti dal bilancio...verranno ripartiti fra i soci in proporzione alle quote da ciascuno di essi detenute , salvo diversa delibera di destinazione dell'assemblea<em>". Nè vi sono previsioni statutarie di ripianamento delle perdite mediante afflusso di capitali provenienti da enti pubblici, di talchè deve concludersi per l'assunzione del rischio collegato all'esercizio dell'attività (e, osserva condivisibilmente la difesa della ricorrente, ove si escludesse automaticamente il rischio d'impresa per la sola presenza di soggetti pubblici nella compagine societaria non si spiegherebbe perché siano soggette al fallimento le società partecipate: sul punto si veda la pronuncia 17279/2018, che ha affermato che tutte le società commerciali a totale o parziale partecipazione pubblica, quale che sia la composizione del loro capitale sociale, le attività in concreto esercitate, ovvero le forme di controllo cui risultano effettivamente sottoposte, restano assoggettate al fallimento, essendo loro applicabile l'art. 2221 c.c. in forza del rinvio alle norme del codice civile, contenuto prima nell'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 135 del 2012 e poi nell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175 del 2016). Né decisivo, al fine di escludere l'esercizio di attività commerciale, è il rilievo, operato dall' Anva, secondo il quale l'attività di promozione del territorio è in linea con le indicazioni della legge Regione Lazio 1/12/1995, n. 56, recante la soppressione dell'Ente autonomo Fiera di Roma e la partecipazione della Regione alla costituzione della Società Fiera di Roma <a href="http://s.pa/" data-saferedirecturl="https://www.google.com/url?q=http://s.pa&source=gmail&ust=1562922284838000&usg=AFQjCNGglkmGnuGsO6YQWXgXVTQMXRgXcw">s.pa</a>., non riscontrandosi incompatibilità tra lo sviluppo di attività legate al territorio e la natura commerciale dell'attività svolta (vedi la pronuncia Cass. Sez. U. 1/8/2012, n. 13792). La carenza del requisito di cui al numero 1) della lett. d), art.3, comma 1, del d.lgs. 50/2016 esime dal verificare la presenza degli ulteriori due requisiti che concorrono ai fini della individuazione degli organismi di diritto pubblico. Va conseguentemente ritenuta la giurisdizione del Giudice ordinario, avanti al quale vanno rimesse le parti, anche per la statuizione sulle spese del pertinente giudizio.</em></p> <table> <tbody> <tr> <td></td> <td><span style="font-weight: 500;">Reply</span><span style="font-weight: 500;">Forward</span></td> </tr> </tbody> </table>