Cassazione Civile, sezione III, ord. Interlocutoria, 27 settembre 2024, n. 25872
PRINCIPIO DI DIRITTO
La nozione di “vittima di reato”, in origine estranea al nostro ordinamento – che, tradizionalmente, dava rilievo alle sole figure della “persona offesa” o del “danneggiato da reato” – è, invece, accolta in termini molto più ampi dal diritto dell’Unione Europea, secondo quanto risultante dapprima nella Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2001/220/GAI e, poi, nella Direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 25 ottobre 2012, ratificata in Italia con legge 15 dicembre 2015, n. 212. Tale direttiva, in particolare all’art. 2, identifica la “vittima del reato”, tra gli altri soggetti, anche con “un familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”.
Difatti, poiché l’art. 2 della Direttiva 2012/29/UE accoglie una nozione molto ampia di “vittima di reato” (di omicidio), che include pure il “familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato”, purché essa abbia “subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”, occorre chiedersi se contrasti con il diritto unionale la scelta del legislatore italiano di prevedere, incondizionatamente, la fruizione dell’indennizzo – stabilito per le “vittime del reato” intenzionale violento costituito dall’omicidio volontario – solo in favore del coniuge (o convivente) e dei figli dell’ucciso, riconoscendolo, invece, ai genitori dell’ucciso esclusivamente in mancanza dei primi beneficiari, ovvero, ai fratelli o le sorelle, soltanto in carenza anche di tali secondi beneficiari, oltre che in forza dell’ulteriore presupposto che essi fossero conviventi con l’ucciso e a carico dello stesso. Invero, la scelta del diritto unionale pare essere nel senso di dare rilevo, unicamente, alla condizione soggettiva di “familiare” dell’ucciso e a quella oggettiva costituita dall’aver subito un danno a causa della morte dello stesso, senza, però, che vi sia “certezza” su tale interpretazione. Difatti, poiché la suddetta norma di diritto europeo tace sulla possibilità che il diritto all’indennizzo possa essere “graduato” (o “limitato”) per alcuni dei familiari dell’ucciso, siffatto “silenzio” potrebbe interpretarsi, indifferentemente, tanto come preclusione alla previsione di condizioni (o limiti) diversi – per il familiare – dall’aver subito un danno in conseguenza della morte del proprio congiunto, quanto, all’opposto, come riconoscimento di un’ampia discrezionalità ai legislatori nazionali nel dare attuazione al principio della necessità di indennizzare tali soggetti. Mancano, pertanto, le condizioni perché possa ravvisarsi l’ipotesi del c.d. “acte clair”, che consentirebbe “un’interpretazione del diritto dell’Unione europea così ovvia da non lasciare spazio a nessun ragionevole dubbio” sulla sua applicazione, con prevalenza rispetto al diritto interno contrastante.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- La questione pregiudiziale.
- Questa Corte Suprema di Cassazione, giudice di ultima istanza, ritiene di dover sottoporre a codesta Corte di giustizia dell’Unione europea (di seguito: CGUE) domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267, par. 3, TFUE, in ordine alla seguente questione di interpretazione del diritto dell’Unione, la cui soluzione si impone come necessaria ai fini della decisione della controversia pendente dinanzi a sé.
- Dica la CGUE (nelle circostanze proprie della causa principale: concernente un’azione di risarcimento danni proposta da tre cittadini italiani, residenti stabilmente in Italia, contro lo Stato-Legislatore per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, “relativa all’indennizzo delle vittime del reato”, e, in particolare, dell’obbligo, ivi previsto dall’art. 12, par. 2, a carico degli Stati membri, di introdurre, entro il 10 luglio 2005 (come stabilito dal successivo art. 18, par. 1), un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali, nelle ipotesi in cui le medesime siano impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti):
3.1 a) se – con riguardo alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, “relativa all’indennizzo delle vittime del reato”, non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti residenti in uno Stato membro dell’Unione, che fa sorgere la responsabilità risarcitoria dello Stato stesso, in forza dei principi enunciati dalla giurisprudenza della CGUE (cfr., con specifico riferimento alla direttiva suddetta, la sentenza della Grande Sezione del 16 luglio 2020, in C. 129-19, in particolare par. 56) – il diritto dell’Unione imponga che tale responsabilità risarcitoria sia affermata nei confronti di ogni familiare di una persona la cui morte sia stata causata da un reato siffatto, purché abbia subito un danno in conseguenza del decesso di tale persona, neppure esclusi gli ascendenti diversi dai genitori, nonché i fratelli e/o sorelle e ogni altro parente in via collaterale, diversamente da quanto previsto dall’art. 11, comma 2-bis, della legge 7 luglio 2016, n. 122, secondo cui, “in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli”, nonché, ma solo “in mancanza del coniuge e dei figli”, ai genitori e, in assenza anche di costoro, ai fratelli e alle sorelle, per questi ultimi, però, solo alla duplice condizione che fossero conviventi con il defunto, nonché a carico dello stesso al momento della commissione del delitto.
- La controversia pendente innanzi alla Suprema Corte.
- La Presidenza del Consiglio dei Ministri ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2019/21, del 19 luglio 2021, della Corte d’Appello di Venezia, che – in accoglimento del gravame esperito da A.A. e C.C., nonché da B.B., avverso la sentenza n. 1472/16, dell’8 aprile 2016, del Tribunale di Venezia – ne ha riconosciuto la responsabilità per mancata tempestiva attuazione della direttiva dell’Unione Europea 2004/80/CE, condannandola a risarcire il danno da essi subito, quantificato in Euro 120.000,00 ciascuno, per A.A. e B.B., e in Euro 50.000,00, per C.C.
- Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio, dai D.D. e dalla B.B., affinché ne fosse accertata la responsabilità per la mancata attuazione della direttiva suddetta, e in particolare dell’art. 12, par. 2, in forza del quale, a far data dal 1 luglio 2005, gli Stati membri dell’Unione Europea risultavano tenuti a garantire un equo e adeguato indennizzo alle vittime di reati violenti intenzionali, impossibilitate a conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni. Assumevano, infatti, gli allora attori di essere – A.A. e B.B. – genitori di E.E. e nonni di F.F., nonché, C.C., rispettivamente, fratello e zio delle predette, ambedue rimaste vittime dell’azione omicida del cittadino marocchino G.G. Costui, infatti, il (Omissis), recatosi presso l’abitazione, in Conegliano Veneto, di E.E. (con cui aveva, in passato, intrattenuto una relazione sentimentale, dalla quale era nata F.F.) uccideva entrambe, per poi darsi alla fuga in Slovenia. Assicurato, in seguito, alla giustizia italiana, il G.G. veniva condannato in sede penale, tra l’altro, a risarcire alle parti civili costituite – i predetti A.A. e C.C. e B.B. – il danno cagionatogli, rivelandosi, però, il suo patrimonio incapiente.
6.1. Su tali basi, pertanto, i G.G. e la B.B. adivano l’autorità giudiziaria, allo scopo di far valere la responsabilità dello Stato italiano – e, per esso, della Presidenza del Consiglio dei Ministri – per la mancata attuazione della suddetta direttiva dell’Unione Europea che avrebbe assicurato loro la percezione dell’indennizzo.
6.2. Il Tribunale veneziano, però, rigettava la domanda, ritenutane l’infondatezza, giacché proposta “iure proprio”, e dunque da soggetti non legittimati, in una situazione, per giunta, “interna”, non contemplata dalla normativa unionale suddetta, che il primo giudice riteneva dettata solo per le situazioni c.d. “transfrontaliere.
6.3. Esperito gravame dai già attori, il giudice d’appello lo accoglieva, prendendo atto, in primo luogo, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – con la sopravvenuta (e già citata) sentenza del 16 luglio 2020, in C-129/19 – ha affermato che l’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE non si riferisce alle sole vittime di reati intenzionali violenti che si trovino in situazioni transfrontaliere, essendo applicabile anche nei confronti delle vittime residenti nello Stato membro in cui il reato sia stato commesso, principio, poi, recepito dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3, sent. 24 novembre 2020, n. 26757). Quanto, invece, al supposto difetto di legittimazione degli attori, per aver agito “iure proprio”, il giudice di seconde cure ha escluso che nella nozione di “vittima di reato intenzionale violento” debba farsi rientrare – in caso di omicidio – la sola persona uccisa. E ciò, sia perché, così opinando, proprio nell’ipotesi del più grave dei reati intenzionali violenti, non potrebbe esservi nessun indennizzo, “in contrasto con la ratio della direttiva”, sia perché il testo dell’art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122, che ha dato (tardiva) attuazione alla direttiva, contempla un indennizzo anche in caso di omicidio, in favore degli “aventi diritto”.
- Avverso la sentenza della Corte veneziana ha proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base – come detto – di quattro motivi.
- Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 12, par. 2, dell’art. 17 e del considerando n. 1) della direttiva 2004/80/CE, nonché dell’art. 11 della legge n. 122 del 2016, oltre che dell’art. 117 Cost., dell’art. 1218 cod. civ. e dell’art. 100 cod. proc. civ.
8.1 Tale motivo insiste sulla insussistenza del diritto al risarcimento del danno da parte dei familiari dell’ucciso, e più esattamente sul loro difetto di legittimazione o titolarità attiva della pretesa azionata in giudizio.
8.2. Sul presupposto che l’indennizzo di cui alla direttiva suddetta sia “un’elargizione di natura solidaristica, posta a carico dell’intera collettività sociale”, si assume che l’espressione “vittima” (del reato intenzionale violento) “deve intendersi in senso restrittivo, come riferita alla sola persona direttamente offesa, ovvero al titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice”.
8.3. Lo confermerebbe, innanzitutto, a livello di normativa unionale, la “decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio”, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, che identifica la stessa con “la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche o danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituisco violazione del diritto penale di uno Stato membro”.
8.4. D’altra parte, che le “vittime c.d. collaterali” – come le definisce l’odierna ricorrente – non fossero incluse nella previsione della direttiva, sicché nessuna responsabilità potrebbe attribuirsi allo Stato italiano per la mancata attuazione della stessa, lo confermerebbe proprio la scelta effettuata dal legislatore nazionale. Esso, infatti, nell’esercizio della discrezionalità che si assume riconosciutagli dall’art. 17 della direttiva medesima (che prevedeva la possibilità, per gli Stati membri, nel darvi attuazione, di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli non solo per la “vittima del reato”, ma anche per “qualsiasi altra persona lesa da un reato”), ha contemplato la prestazione indennitaria pure in favore degli “aventi diritto”, con ciò dimostrando che essi non rientravano del novero delle “vittime”, per le sole quali sussisteva, a livello unionale, la necessità dell’indennizzo.
8.5. In via gradata, peraltro, la ricorrente rileva che, in forza di quanto stabilito dal legislatore nazionale, in particolar modo ai commi 2 e 2-bis dell’art. 11 della legge n. 122 del 2016, la pretesa risarcitoria azionata dagli attori non poteva essere in alcun caso soddisfatta, in relazione alla posizione di C.C., mentre andava ridotta, quanto ad A.A. e B.B. Infatti, in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli, e solo in mancanza dell’uno o degli altri ai genitori, mancando pure i quali la prestazione indennitaria è, infine, dovuta ai fratelli e alle sorelle, purché conviventi con l’ucciso e a carico dello stesso al momento della commissione del delitto. Conseguentemente, così come A.A. e B.B. avrebbero avuto, al più, titolo per conseguire l’indennizzo solo in relazione al decesso della figlia E.E., ma non della nipote F.F., C.C. – quale fratello della prima e zio della seconda – in nessun caso avrebbe potuto essere indennizzato.
- Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione del già citato art. 11 della legge n. 122 del 2016, dell’art. 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167, dell’art. 1, comma 594, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, come modificato dall’art. 3, comma 2, lett. a), b), e c), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, noncheE#769; dell’art. 1173 cod. civ. in relazione all’art. 100 cod. proc. civ.
9.1. Assume la ricorrente che il giudice di appello avrebbe dovuto giudicare improcedibile, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, la domanda risarcitoria proposta dai già attori e poi appellanti. Infatti, il legislatore italiano – nelle more, in particolare, del giudizio di appello – non solo ha dato attuazione alla direttiva (art. 11 della legge n. 122 del 2016), prevedendo l’indennizzo per tutte le vittime – “interne” o “transfrontaliere” che siano – di “reati dolosi con violenza alle persone”, includendo nel novero dei soggetti legittimati anche le “vittime indirette”, nel senso poc’anzi illustrato, ma ha esteso retroattivamente tale previsione, consentendo l’applicazione dell’indennizzo anche ai reati commessi dopo il 30 giugno 2005 (art. 6, comma 2, della legge n. 167 del 2017).
9.2. Di qui, pertanto, la necessità – si assume – di una pronuncia cassatoria senza rinvio, ex art. 382, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. civ., a prescindere dalla circostanza che i già attori/appellanti abbiano presentato l’istanza di liquidazione dell’indennizzo ai sensi dell’art. 1, comma 594, della L. n. 145 del 2018, come modificato dall’art. 3, comma 2, lett. a), b), e c), del D.L. n. 162 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 8 del 2020.
- Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1226 e 2056 cod. civ., oltre che dell’art. 1 del D.M. 22 novembre 2019.
10.1. In via di subordine, rispetto a quanto sostenuto con i precedenti motivi, la ricorrente deduce che la sentenza merita di essere cassata almeno sotto il profilo del “quantum” del risarcimento.
10.2. Si assume, infatti, che, avendo lo Stato italiano fissato in Euro 50.000,00 – con il suddetto D.M. 22 novembre 2019 – la misura dell’indennizzo dovuto ai genitori della vittima di omicidio, a tale importo andava rapportata l’entità del risarcimento spettante (peraltro, ai soli A.A. e B.B.) per l’inadempimento dell’obbligo di dare tempestiva attuazione alla direttiva.
10.3. La condanna comminata, pertanto, “risulta eccessiva e non coerente”, secondo la ricorrente, atteso che la “ratio” della normativa – sia unionale che statale – “non può essere certamente quella di sostituire o aggiungere lo Stato all’autore del delitto nella responsabilità verso le vittime”, ma solo di assicurare un ristoro “equo e adeguato”, secondo criteri predeterminati e non “rimessi alla pura discrezionalità del giudice”, giacché essi finirebbero col dipendere “da fattori casuali (ad es. numero dei parenti)”, oppure “dovrebbero prendere in considerazione non prevedibili casistiche (in ordine alla gravità del fatto) e personalizzazioni (ad esempio l’intensità del legame o rapporto con la vittima)”.
- Infine, il quarto e ultimo motivo di ricorso per cassazione denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ.
11.1. Si assume, infatti, che la motivazione relativa al “quantum” del risarcimento sarebbe nulla per motivazione apparente, risolvendosi “nell’apodittica affermazione dell’asserita inadeguatezza dell’indennizzo alla gravità del fatto e sulla sua efferatezza”, senza che la Corte veneziana abbia lasciato “trasparire il percorso argomentativo seguito”.
11.2. Ricorrerebbe, dunque, l’ipotesi della motivazione “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento”.
- Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con unico controricorso, i D.D. e la B.B., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
- Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo Sostituto, ha presentato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del ricorso limitatamente al terzo motivo.
- Le disposizioni di diritto interno immediatamente rilevanti.
- Assume rilievo in primo luogo il seguente quadro normativo.
- La legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016), entrata in vigore il 23 luglio 2016, per porre rimedio all’inadempimento contestato dalla Commissione europea, ma oltre il termine ultimo da questa stabilito ai sensi dell’art. 258 TFUE.
- La legge n. 122 del 2016 è stata modificata, dapprima, dall’art. 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017) e, poi, da ultimo, dall’art. 1, commi 593-596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).
17.1. L’art. 11 della predetta legge n. 122 del 2016 prevede:
– al comma 1, che l’indennizzo “per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima, ai sensi dell’articolo 583, secondo comma, del codice penale (nonché per il delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso di cui all’articolo 583-quinquies del codice penale) è erogato in favore della vittima o degli aventi diritto indicati al comma 2-bis nella misura determinata dal decreto di cui al comma 3″;
– al comma 2-bis, prima alinea, che in “caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l’indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto”.
- Il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, recante “Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI”.
- Quanto, poi, al profilo della disciplina, di diritto interno, sulla responsabilità dello Stato per il tardivo o inesatto adempimento di direttiva non self executing, viene in evidenza – in base all’attuale inquadramento giuridico di diritto interno, sulla scorta dell’interpretazione più recente di questa Corte di cassazione (su cui, tuttavia, non appare necessario soffermarsi, non prestando incidenza ai fini della risoluzione della questione pregiudiziale) – la norma di cui all’art. 1218 del codice civile (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”), che regola l’inadempimento delle obbligazioni di fonte non solo contrattuale, ma anche legale (art. 1173 cod. civ.), quale è quella, anzidetta, in capo allo Stato-Legislatore.
- Le disposizioni rilevanti del diritto unionale.
- Sul piano del diritto unionale vengono in rilievo le seguenti fonti.
- Anzitutto, la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, “relativa all’indennizzo delle vittime di reato” e, segnatamente, il suo art. 12, inserito nel Capo II (“Sistemi di indennizzo nazionali”), il quale stabilisce: “1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati”.
- Inoltre, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 25 ottobre 2012, che istituisce “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato”, che all’art. 2, nel recare la definizione di “vittima”, vi include anche “un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”.
- La rilevanza della questione pregiudiziale.
- Come già sopra evidenziato (v. par. 8), con il primo motivo del proprio ricorso per cassazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri assume – in via di principalità (e in termini generali) – il difetto di legittimazione ad agire e/o di titolarità del diritto risarcitorio in capo ad A.A. e a B.B., nonché ad C.C., e ciò sul presupposto che la prestazione indennitaria di cui alla direttiva 2004/80/CE “deve intendersi in senso restrittivo, come riferita alla sola persona direttamente offesa, ovvero al titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice”, con esclusione, pertanto, di quelle che la ricorrente definisce come “vittime collaterali”.
- La pretesa, pertanto, dell’odierna ricorrente Presidenza del Consiglio dei Ministri di escludere i genitori e il fratello di E.E., oltre che nonni e zio di F.F., dal novero delle “vittime” del duplice reato di femminicidio perpetrato ai danni delle stesse, risulta non in linea con il diritto unionale, come recepito dal legislatore nazionale.
- D’altra parte, già alla stregua del diritto interno appare destituita di fondamento la pretesa dell’odierna ricorrente di configurare i congiunti dell’ucciso quali vittime solo “collaterali” dell’illecito. Valgano, sul punto, le conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte in relazione al danno (persino) da lesione – e non necessariamente da “perdita” – del rapporto parentale, essendosi osservato che, con riferimento ad esso, si parla “spesso impropriamente di danno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri”, mentre, in realtà, “il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette”, sicché “impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 8 aprile 2020 n. 7748, Rv. 657507-01).
- Da quanto appena osservato consegue che, nella specie, i congiunti di E.E. e F.F., in virtù, sia della nozione elaborata a livello unionale (e recepita nell’ordinamento giuridico italiano) di “vittima del reato”, sia della configurazione, data dal “diritto vivente” nazionale, come “illecito plurioffensivo” – in termini civilistici – di quello che cagioni la morte di una persona avente stretti congiunti, nutrivano una legittima aspettativa a che il legislatore italiano desse tempestiva attuazione alla direttiva dell’Unione Europea 2004/80/CE che ha previsto indennizzi in favore delle vittime di reato, essendo pertanto legittimati a far valere l’inadempimento (o meglio, il ritardato adempimento) di tale obbligazione “ex lege”.
- Tuttavia, sempre con il primo motivo del proprio ricorso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri pone, in via di subordine, un’ulteriore censura, che è quella in relazione alla quale si pone, secondo questa Corte, la necessità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (cfr. parr. 31 e 32).
- In via gradata, infatti, la ricorrente Presidenza del Consiglio dei Ministri deduce che, in forza di quanto stabilito da legislatore nazionale, in particolar modo ai commi 2 e 2-bis dell’art. 11 della legge n. 122 del 2016, la pretesa risarcitoria azionata dai già attori non poteva essere in alcun caso soddisfatta, in relazione alla posizione di C.C. Leder, mentre andava ridotta quanto ad A.A. e B.B. Infatti, in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo di cui alla legge suddetta (attuativa, come già rilevato, della direttiva 2004/80/CE) è corrisposto in favore del coniuge – o del convivente – superstite e dei figli, e solo in assenza dell’uno o degli altri ai genitori, mancando pure i quali la prestazione indennitaria è, infine, dovuta ai fratelli e alle sorelle, ma sole se conviventi con l’ucciso e a carico dello stesso al momento della commissione del delitto. Conseguentemente, nel caso di specie, così come A.A. Leder e Raffaella B.B. avrebbero avuto, al più, titolo per conseguire l’indennizzo solo in relazione al decesso della figlia E.E., ma non della nipote F.F., C.C. – quale fratello della prima e zio della seconda – in nessun caso avrebbe potuto essere indennizzato. Pertanto, non sussistendo, nei termini appena riferiti (ovvero, “assoluti” per C.C., nonché, per A.A. e B.B., “relativamente” alla loro condizione di nonni di F.F.), i presupposti perché essi potessero fruire della prestazione indennitaria prevista dalla legge 122 del 2016, analogamente, essi non potrebbero lamentare alcuna pretesa risarcitoria per l’intempestiva adozione di tale provvedimento legislativo.
- Di qui, dunque, la necessità di sottoporre alla Corte di Giustizia la questione già indicata sub A) 3, rilevante nel caso di specie, perché, solo ammettendo che nonni, fratelli e/o sorelle, nonché zii e/o zie dell’ucciso possano fruire dell’indennizzo alla sola condizione di aver subito un danno dall’uccisione del proprio congiunto, appare possibile predicare, nel caso di specie, l’esistenza di una responsabilità per “incompleto” (oltre che intempestivo) recepimento di diritto unionale non self executing.
- La Corte, visto l’art. 267, par. 3, TFUE, chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione europea indicata sub A), par. 3., che precede.
- Dispone la sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.
- Si trasmetta alla Cancelleria della Corte di Giustizia la presente ordinanza, nonché gli atti di causa rilevanti ai fini della decisione (indicati in separato indice), tramite l’applicazione telematica “e Curia”.
- Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone fisiche coinvolte nel presente giudizio, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 del 2003, come modificato dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101.
- Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 18 aprile 2024.
- Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2024.