Corte Costituzionale, Sentenza 16 dicembre 2024, n. 200
PRINCIPIO DI DIRITTO
Sul rilievo che la facoltà di astensione del deporre accordata ai prossimi congiunti trova fondamento nella tutela del sentimento familiare, avendo il legislatore presupposto che i prossimi congiunti, indicati sulla base di tipici rapporti giuridici, siano portatori – secondo l’id quod plerumque accidit – di interessi privati ancorati a tale sentimento, prevalenti su quello pubblico all’accertamento dei reati, il rimettente rileva che la disposizione che contempla la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dà attuazione all’art. 29 Cost. ed all’art. 8 CEDU. Parametri, questi, che risulterebbero, tuttavia, violati per la irragionevole esclusione di tale facoltà in favore del prossimo congiunto che sia anche persona offesa dal reato.
La ratio che priva di rilievo il rapporto familiare fra le parti, ai fini dell’obbligo di deporre, per il solo fatto che il congiunto sia offeso dal reato, appare al rimettente non rispettosa della presunzione di innocenza dell’imputato, di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., operando la disposizione censurata sulla base di una mera ipotesi accusatoria a carico dell’imputato.
Dal suo canto, la giurisprudenza di legittimità intende che la ratio della facoltà di astensione attribuita ai prossimi congiunti stia, da un lato, nella finalità di prevenire situazioni nelle quali l’eventuale falsa testimonianza sarebbe scriminata dall’art. 384 cod. pen. e, dunque, nel preservare la genuinità della prova; dall’altro, nella necessità di tutela del vincolo e del correlato sentimento familiare, allo scopo di evitare che colui il quale è chiamato a testimoniare si trovi nell’alternativa di mentire oppure di nuocere al congiunto.
L’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., nel dettare le regole di rilevanza del cosiddetto “segreto familiare” nell’ambito del processo penale, ha attuato un complesso bilanciamento fra gli interessi pubblici all’accertamento della verità materiale dei fatti, i quali implicano l’esigenza di non disperdere una fonte primaria di notizie, quale può rivelarsi il prossimo congiunto dell’imputato, e gli interessi privati implicati dal rispetto della sfera di affetto e di fiducia che connota le relazioni familiari. Per dirimere il conflitto interiore tra deporre il falso o nuocere al congiunto in cui versa il testimone, il legislatore ha adottato la regola generale della prevalenza delle relazioni affettive familiari sull’interesse della collettività alla punizione dei reati, riconoscendo al componente della famiglia la facoltà di astenersi.
Secondo l’elaborazione della Corte EDU, costringere una persona a deporre in un procedimento penale contro un congiunto costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della “vita familiare”, sicché tale testimone va sollevato dal dilemma morale di dover scegliere tra il rendere una deposizione veritiera, rischiando in tal modo di compromettere il suo rapporto con l’imputato, o il rendere una testimonianza inattendibile o falsa, per proteggere quel rapporto. La facoltà di astenersi dal testimoniare costituisce, in ogni modo, una dispensa da un normale dovere civico ritenuto di pubblico interesse. Pertanto, qualora sia riconosciuta, essa può essere subordinata a condizioni e formalità, esigendo il bilanciamento di due interessi pubblici concorrenti, ovvero l’interesse pubblico al perseguimento di gravi reati e quello alla protezione della vita familiare dall’ingerenza dello Stato.
Trova quindi giustificazione negare l’esercizio della facoltà di astenersi dal testimoniare alla persona offesa dal reato, la quale riveste il ruolo di interlocutore privilegiato, se non essenziale, nell’accertamento dei fatti, e ciò anche a prescindere dalla condizione dell’assoluta necessità della sua deposizione, ai fini della decisione, rispetto a quanto altrimenti acquisito.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con ordinanza del 12 febbraio 2024, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione per la persona offesa dal reato», o, in subordine, nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione alla medesima facoltà di astensione anche nell’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto persona offesa dal reato non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
- Il giudice a quo riferisce che nel processo penale è stata contestata all’imputato una condotta di lesioni personali aggravate in danno della figlia. Nel corso del dibattimento, a seguito della iniziale mancata comparizione della persona offesa citata per deporre in qualità di testimone, ne era stato disposto l’accompagnamento coattivo (poi revocato a fronte dell’impegno della medesima a comparire spontaneamente alla successiva udienza). Dopo l’assunzione della testimonianza di un ufficiale di polizia giudiziaria, all’udienza del 2 ottobre 2023 si era proceduto all’esame della persona offesa. Ancora di seguito si erano tenute l’udienza del 20 novembre 2023 e quella in cui è stata pronunciata l’ordinanza di rimessione.
Il Tribunale di Firenze sostiene che dall’istruttoria svolta è emerso pacificamente che l’imputato abbia percosso la figlia, cagionandole plurime lesioni, restando controverse unicamente l’entità e le modalità della condotta.
2.1 L’ordinanza di rimessione si sofferma sulla deposizione della persona offesa, la quale, in base all’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., non ha potuto beneficiare della facoltà di astensione. In relazione a tale deposizione, il rimettente ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza ex art. 372 del codice penale, in quanto la teste avrebbe cercato palesemente di ridimensionare la gravità della condotta del genitore, rendendo dichiarazioni notevolmente difformi rispetto a quelle rese ai Carabinieri in sede di sommarie informazioni e ai sanitari del Pronto soccorso. La testimone avrebbe circoscritto in termini minori la durata dell’aggressione, attribuito alcune delle lesioni riportate ad una caduta a terra e ad un urto con un tavolo, nonché sostenuto di non avere visto il padre utilizzare una cintura per colpirla (elemento circostanziale su cui si basa, tra l’altro, la procedibilità d’ufficio del reato), smentendo quanto invece emergerebbe chiaramente da altri dati probatori acquisiti. La stessa persona offesa, inoltre, benché ripetutamente avvertita dal giudice ai sensi degli artt. 207, comma 1, e 497, comma 2, cod. proc. pen., avrebbe, nel corso dell’esame dibattimentale, più volte asserito di non ricordare alcuni punti salienti della vicenda e infine affermato che la condotta del padre fosse giustificabile.
2.2. – Il giudice rimettente si interroga, pertanto, sull’utilizzabilità della deposizione testimoniale della persona offesa e sulla necessità di disporre l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge nei confronti della teste, e perciò solleva le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen.
2.3.– L’ordinanza di rimessione ricorda la sentenza n. 440 del 2000 di questa Corte, secondo cui l’art. 512 cod. proc. pen. va interpretato «nel senso che non è consentito dare lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dai prossimi congiunti dell’imputato che in dibattimento si avvalgono della facoltà di astenersi dal deporre a norma dell’art. 199 cod. proc. pen., in quanto tale situazione non rientra tra le cause di natura oggettiva di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio».
Nel caso di specie, tuttavia, la testimone, benché figlia dell’imputato, non poteva astenersi dal deporre, in quanto persona offesa dal reato, e conseguentemente non aveva diritto a ricevere l’avviso di cui all’art. 199, comma 2, cod. proc. pen.
Il rimettente, però, reputa che la teste, visto il comportamento osservato in dibattimento, ove le fosse stato consentito, si sarebbe avvalsa della facoltà di astensione.
Alla luce delle altre emergenze istruttorie (le testimonianze dell’ufficiale di polizia giudiziaria e della madre della persona offesa, il referto ospedaliero, il verbale di sequestro della cintura), la deposizione testimoniale della vittima non risulterebbe nemmeno assolutamente necessaria all’accertamento dei fatti.
Avverte il giudice a quo che neppure sono emersi elementi per ritenere che la testimone sia stata sottoposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché deponesse il falso. Anzi, risulta che la teste, a distanza ormai di vari anni dalla vicenda oggetto di processo, non vive più con la famiglia di origine, ma in altro centro urbano a distanza significativa da essa.
3.– Il rimettente si dice consapevole che le ravvisate questioni di legittimità costituzionale avrebbero dovuto essere sollevate, «più opportunamente, […] prima della deposizione della persona offesa, sì da assicurarle eventualmente (in caso di accoglimento della questione) la facoltà di astensione».
Tali questioni sarebbero, comunque, tuttora rilevanti, innanzitutto perché dalla eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata deriverebbe la nullità della acquisita deposizione testimoniale per omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà di astenersi. Tale nullità, benché relativa, e soggetta al regime di deducibilità di cui all’art. 182, comma 1, cod. proc. pen., ad avviso del rimettente potrebbe essere fatta valere dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale, la quale renderebbe inutilizzabile la deposizione della testimone per la costrizione subita, ai sensi dell’art. 191, comma 1, cod. proc. pen.
Inoltre, l’ordinanza di rimessione evidenzia che dovrebbe ora disporsi la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 207, comma 2, cod. proc. pen., ravvisandosi indizi del reato di falsa testimonianza. Il giudice a quo nega altresì che possa invocarsi la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 384, secondo comma, cod. pen. quando il testimone, prossimo congiunto dell’imputato offeso dal reato, non può avvalersi della facoltà di astenersi ed è obbligato a deporre. Viceversa, ove questa Corte pervenisse a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., non sarebbe nel caso in esame integrato il reato di falsa testimonianza e non andrebbe perciò informato il pubblico ministero, in quanto la dichiarazione non veritiera risulterebbe resa da persona che aveva facoltà di astenersi dal testimoniare e non ne era stata avvertita.
- Circa la non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente assume che, a differenza delle eccezioni alla facoltà di astenersi stabilite per i prossimi congiunti dell’imputato che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, non abbia una ragionevole giustificazione l’obbligo di deporre imposto al prossimo congiunto nella mera qualità di persona offesa.
4.1.– Richiamando gli argomenti contenuti nelle sentenze di questa Corte n. 179 del 1994 e n. 6 del 1977, il Tribunale di Firenze premette che la facoltà di astensione dal deporre accordata ai prossimi congiunti trova fondamento nella tutela del sentimento familiare, avendo il legislatore presupposto che i prossimi congiunti, indicati sulla base di tipici rapporti giuridici, siano portatori – secondo l’id quod plerumque accidit– di interessi privati ancorati a tale sentimento, prevalenti su quello pubblico all’accertamento dei reati.
La disposizione che contempla la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dà, in tal senso, attuazione all’art. 29 Cost. ed all’art. 8 CEDU. Al riguardo, il giudice a quo cita le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 3 aprile 2012, Van der Heijden contro Paesi Bassi e sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2018, Kryževiius contro Lituania, le quali hanno affermato che costringere una persona a deporre in un procedimento penale contro un congiunto costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della “vita familiare”.
4.2.– L’ordinanza di rimessione ritiene che il legislatore gode di un margine di discrezionalità nel riconoscere o meno la facoltà di astensione dal deporre, dovendo procedere ad un bilanciamento tra l’interesse pubblico all’accertamento dei reati e l’interesse privato alla salvaguardia del rapporto familiare. Per sondare la ragionevolezza della disposizione censurata, il giudice a quo pone in risalto che il diniego della facoltà di astensione della persona offesa non era contemplato nell’omologo art. 350 cod. proc. pen. del 1930. Il Tribunale di Firenze ricorda che la relazione illustrativa del progetto preliminare del nuovo codice di rito spiegava la propria scelta sostenendo che, quando offeso dal reato sia lo stesso testimone prossimo congiunto dell’imputato, vengono meno le ragioni di tutela di quei motivi d’ordine affettivo che giustificano la facoltà di astensione. Dunque, la qualità di persona offesa non rileva in relazione alla possibile utilità o essenzialità della relativa deposizione ai fini dell’accertamento dei fatti.
4.3.– La ratio che priva di rilievo il rapporto familiare fra le parti, ai fini dell’obbligo di deporre, per il sol fatto che il congiunto sia offeso dal reato, appare al rimettente non rispettosa della presunzione di innocenza dell’imputato, di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., operando la disposizione censurata sulla base di una mera ipotesi accusatoria nei confronti dell’imputato.
4.4.– Inoltre, la deroga alla facoltà di astensione della persona offesa risulterebbe irragionevole e non proporzionata per il suo carattere incondizionato e assoluto, visto che la disposizione censurata non reca distinzioni a seconda della tipologia di reato in contestazione o della gravità dello stesso, non attribuisce alcun significato al periodo di tempo, più o meno lungo, decorso dal momento dei fatti a quello in cui la persona offesa è chiamata a testimoniare, né distingue l’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto offeso dal reato sia essenziale per l’accertamento dei fatti da quella in cui la stessa non sia assolutamente necessaria.
4.5.– Ancora, l’obbligo di deporre imposto al prossimo congiunto offeso dal reato non considererebbe adeguatamente che questi si trova in ogni caso ad affrontare il dilemma interiore tra il rendere una testimonianza veritiera, rischiando così di compromettere il proprio rapporto con l’imputato, e il dichiarare il falso, con l’effetto che la vittima del reato – anziché essere salvaguardata – viene costretta a sottoporsi all’esame ed esposta all’accusa di falsa testimonianza. Inoltre, il giudizio di non meritevolezza del legame familiare, che sottrae la facoltà di astenersi, risulta irragionevolmente limitato al solo processo in cui all’imputato è contestato il reato in danno del prossimo congiunto.
4.6.– In via subordinata, il Tribunale di Firenze chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen. nella parte in cui priva della facoltà di astenersi dal deporre il prossimo congiunto, che sia persona offesa dal reato, anche nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, e quindi tanto meno si giustificherebbe il sacrificio del diritto del testimone di salvaguardare il proprio rapporto familiare.
4.7.– L’ordinanza di rimessione precisa, ancora, che la invocata modifica del regime di esame del prossimo congiunto dell’imputato non interferisce con quello di procedibilità del reato e non vanifica la possibilità di acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, ove vi siano elementi concreti per ritenere che lo stesso sia stato sottoposto a violenza o minaccia.
4.8.– Infine, il Tribunale di Firenze aggiunge che, in presenza di un chiaro tenore letterale della disposizione censurata e di un costante orientamento giurisprudenziale formatosi al riguardo, non è percorribile una interpretazione conforme a Costituzione.
5.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili, o comunque non fondate.
5.1.– L’inammissibilità delle questioni è dedotta per difetto del requisito della rilevanza, poggiando l’ordinanza di rimessione su una motivazione ipotetica, se non addirittura contraddittoria. Ciò perché il vizio da cui sarebbe affetta la prova testimoniale assunta in conseguenza dell’eventuale accoglimento delle questioni è una nullità relativa e manca al riguardo la necessaria eccezione di parte. Ove si propendesse per il vizio di inutilizzabilità, anziché di nullità, della testimonianza della persona offesa, lo stesso rimettente sottolinea, peraltro, la non decisività della stessa ai fini della ricostruzione del fatto e dell’accertamento di responsabilità dell’imputato. Quanto alla valutazione operata con riguardo alla trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 207, comma 2, cod. proc. pen., essa, a sua volta, avrebbe rilievo solo nel distinto eventuale giudizio avente a oggetto il reato di falsa testimonianza.
5.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, altresì, la non fondatezza delle questioni. Ciò perché la deroga alla facoltà di astensione della persona offesa, stabilita dall’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., troverebbe giustificazione nell’interesse pubblico alla ricerca della verità e all’amministrazione della giustizia, ritenuto dal legislatore prevalente, nel bilanciamento con la tutela del vincolo affettivo e di solidarietà familiare, secondo un giudizio che appare adeguatamente improntato ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza. La disposizione censurata, infatti, tenendo conto sia della necessità di rispettare l’intimità e la complessità delle relazioni interne della comunità familiare, sia del possibile conflitto avvertito dai prossimi congiunti tra il dovere di testimoniare e l’affetto nei confronti dell’imputato, ha adottato una soluzione che non indebolisce tale comunità, il cui equilibrio è stato, piuttosto, danneggiato già dal reato.
L’Avvocatura generale dello Stato avverte che, se il conflitto di lealtà della persona offesa venisse risolto nel senso invocato dal rimettente, la tutela da parte dello Stato perderebbe di effettività, sacrificando il contributo conoscitivo dell’offeso dal reato e privando quest’ultimo della garanzia di rendere la propria testimonianza senza l’interferenza dell’imputato o dei suoi prossimi congiunti.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., «nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione per la persona offesa dal reato», o, in subordine, nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione alla medesima facoltà di astensione anche nell’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto persona offesa dal reato non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.
2.– Il giudice a quo riferisce che nel processo penale è stata contestata all’imputato una condotta di lesioni personali aggravate in danno della figlia e che, dall’istruttoria svolta, è emerso pacificamente che l’imputato abbia percosso la giovane, cagionandole plurime lesioni, restando controverse unicamente l’entità e le modalità della condotta.
2.1.– L’ordinanza di rimessione si sofferma, allora, sulla deposizione della persona offesa, la quale, agli effetti dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., non ha potuto beneficiare della facoltà di astensione. In relazione a tale deposizione, il rimettente ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, avendo la teste cercato palesemente di ridimensionare la gravità della condotta del genitore e avendo altresì, benché ripetutamente ammonita dal giudice nel corso dell’esame dibattimentale, più volte asserito di non ricordare alcuni punti salienti della vicenda, per affermare, infine, che la condotta del padre fosse giustificabile.
2.2.– Il Tribunale di Firenze si interroga, pertanto, sull’utilizzabilità di tale deposizione testimoniale della persona offesa e sulla necessità di disporre l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge nei confronti della teste, e perciò solleva le riferite questioni di legittimità costituzionale.
2.3.– Premesso che la testimone, benché figlia dell’imputato, non poteva astenersi dal deporre, in quanto persona offesa dal reato, e non aveva, quindi, diritto a ricevere l’avviso di cui all’art. 199, comma 2, cod. proc. pen., il rimettente sostiene che le questioni sarebbero rilevanti in una duplice prospettiva.
Innanzitutto, perché dalla eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata deriverebbe la nullità della acquisita deposizione testimoniale per omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà di astenersi. In secondo luogo, perché gli atti dovrebbero essere trasmessi al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 207, comma 2, cod. proc. pen., ravvisandosi indizi del reato di falsa testimonianza.
Ove, tuttavia, le questioni dovessero essere accolte, non sarebbe nel caso in esame integrato il reato e non andrebbe perciò informato il pubblico ministero, in quanto la dichiarazione non veritiera risulterebbe resa da persona che aveva facoltà di astenersi dal testimoniare e non ne era stata avvertita.
3.– Circa la non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente ravvisa nella esclusione della facoltà di astenersi per la persona offesa dal reato che sia prossimo congiunto dell’imputato, un contrasto con gli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.
3.1.– Il giudice a quo, pur riconoscendo che il legislatore gode di un margine di discrezionalità nel regolare la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dell’imputato, evidenzia che il diniego della facoltà di astensione della persona offesa non era contemplato nell’omologa disposizione del codice di procedura penale del 1930 (art. 350).
3.2.– La deroga alla facoltà di astensione della persona offesa sarebbe, ad avviso del rimettente, irragionevole e non proporzionata per il suo carattere incondizionato e assoluto; né la norma censurata consentirebbe di distinguere l’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto offeso dal reato sia essenziale per l’accertamento dei fatti da quella in cui la stessa non sia assolutamente necessaria.
3.3.– Ancora, l’obbligo di deporre imposto al prossimo congiunto offeso dal reato non considererebbe adeguatamente che questi si trova in ogni caso ad affrontare il dilemma interiore tra il rendere una testimonianza veritiera, rischiando così di compromettere il proprio rapporto con l’imputato, e il dichiarare il falso, con l’effetto che la vittima del reato – anziché essere salvaguardata – verrebbe costretta a sottoporsi all’esame ed esposta all’accusa di falsa testimonianza.
3.6.– In via subordinata, il Tribunale di Firenze chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui priva della facoltà di astenersi dal deporre il prossimo congiunto, che sia persona offesa dal reato, anche nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, e quindi tanto meno si giustificherebbe il sacrificio del diritto del testimone di salvaguardare il proprio rapporto familiare.
4.– Va disattesa l’eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri nell’atto di intervento in giudizio.
Il Tribunale di Firenze spiega, tra l’altro, che l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen. avrebbe tuttora rilievo nel giudizio a quo, e ciò al fine di ravvisare, o meno, gli indizi del reato previsto dall’art. 372 cod. pen. e informarne il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti, adempimento cui occorre provvedere in sede di decisione della fase processuale in cui la testimone ha deposto.
Invero, ai sensi del comma 2 dell’art. 207 cod. proc. pen., se ravvisa gli indizi del reato di falsa testimonianza, il giudice ne informa il pubblico ministero, trasmettendogli gli atti, «[c]on la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio».
Con il richiamare questo profilo di incidentalità, l’ordinanza di rimessione supera il controllo “esterno” in punto di rilevanza delle questioni attraverso una motivazione non implausibile del percorso logico compiuto e delle ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare la disposizione censurata nel giudizio principale (tra le tante, sentenze n. 148 del 2024, n. 94 del 2023 e n. 237 del 2022).
5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
6.– L’art. 199 cod. proc. pen. detta la disciplina dello ius tacendi riconosciuto dall’ordinamento ai prossimi congiunti dell’imputato, disponendo che gli stessi non sono obbligati a deporre e perciò il giudice, a pena di nullità, deve avvisarli della facoltà di astenersi e chiedere loro se intendono avvalersene.
Questa Corte già con le sentenze n. 179 del 1994 e n. 6 del 1977 ha esaminato le ragioni e i limiti della facoltà di non deporre nel processo penale riconosciuta dal legislatore ai prossimi congiunti dell’imputato.
7.– è, comunque, censurata in questa sede l’ultima parte del comma 1 dell’art. 199 cod. proc. pen., secondo cui non possono avvalersi della facoltà di astenersi dal deporre i prossimi congiunti dell’imputato che siano offesi dal reato (o prossimi congiunti altresì degli offesi dal reato).
In ciò differenziandosi dall’art. 350 cod. proc. pen. del 1930, la disposizione censurata ha equiparato, agli effetti dell’obbligo a deporre, la persona offesa dal reato a coloro che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, precludendole la possibilità di avvalersi della facoltà di astensione, sul presupposto che, proprio per effetto della condotta dell’imputato, sia venuto meno il legame affettivo che sorregge detta facoltà.
La deroga riguardante l’obbligo di testimoniare imposto alla persona offesa, peraltro, opera anche come forma di protezione per la vittima, avendo il legislatore in tal modo pensato di prevenire le eventuali intimidazioni che sovente accompagnano i reati maturati in ambito familiare, al fine di indurre il teste a non deporre.
- Una delle eccezioni poste a tale regola di prevalenza è però quella del prossimo congiunto che sia offeso dal reato.
Questa eccezione non risulta né irragionevole, né sproporzionata, ed è anzi coerente con entrambe le rationes tradizionalmente ravvisate in detta facoltà di astensione.
L’eccezione alla facoltà di astensione stabilita per l’offeso dal reato risulta altresì del tutto omogenea rispetto a quelle parimenti stabilite per i congiunti che abbiano presentato denuncia, querela o istanza.
Non vi è motivo per esentare dal testimoniare, allo scopo di preservare la genuinità della prova, chi, con riferimento a quel determinato fatto e a quel determinato processo, è titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, e dunque è altresì portatore dell’interesse all’affermazione della responsabilità penale dell’autore del reato.
Privare il congiunto persona offesa della opzione di astenersi dal deporre, come pure si è già evidenziato, vale anche a preservare la vittima da possibili intimidazioni, provenienti dallo stesso ambito familiare, che ne coartino in tal senso la volontà.
D’altro canto, al pari, ed anzi ancor più, che nelle identiche eccezioni stabilite per i congiunti che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, l’ordinamento in tal modo si limita a prendere atto che l’esigenza di protezione della vita familiare, che sorregge il privilegio dell’astensione, è già venuta meno, sicché è pure stato già risolto il conflitto interno tra obblighi di natura affettiva e obblighi di legge.
8.1.– Né la disposizione censurata appare lesiva della salvaguardia dell’unità familiare (art. 29 Cost.) e del diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 CEDU).
8.2. Alcuna pertinenza rivela poi, con riguardo alla disposizione censurata, che attiene alle facoltà ed agli obblighi del prossimo congiunto offeso dal reato, il principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., il quale ha esclusivo riferimento alla posizione dell’imputato e pone una regola di trattamento del medesimo nel corso del processo e una regola di giudizio, le quali non vengono scalfite dalla negazione della facoltà di astensione in esame.
8.3. .– Infine, neppure può accedersi alla richiesta formulata in via subordinata dal Tribunale di Firenze, così da dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui priva della facoltà di astenersi dal deporre il prossimo congiunto, che sia persona offesa dal reato, anche nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti.
Tale petitum, volto a condizionare la deroga alla facoltà di astensione a un preventivo vaglio del giudice sotto il profilo dell’utilità o della indispensabilità della testimonianza da assumere, si traduce nella richiesta di una pronuncia fortemente “manipolativa”, perché volta a introdurre un vaglio preliminare ad opera del giudice sul contenuto della deposizione, i cui caratteri e le cui modalità non trovano, tuttavia, alcun riscontro nel sistema processuale vigente. In tal modo, il rimettente chiede a questa Corte un intervento di spettanza del legislatore, tanto più che la materia processuale, e in particolare quella attinente al diritto alla prova nel processo penale, è caratterizzata da un’ampia discrezionalità del legislatore (ex multis, sentenza n. 252 del2020).
8.4.– Una volta accertata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., deve rilevarsi che la posizione del prossimo congiunto offeso dal reato non si differenzia da quella ordinaria dei testimoni, sicché nei confronti dello stesso ben potrà essere applicata la disposizione di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen., ove, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia stato costretto a deporre il falso dalla necessità di salvare sé medesimo o l’imputato da un grave e inevitabile nocumento alla libertà.
9.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza indicata in epigrafe devono quindi essere dichiarate non fondate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2024.