Cass. pen., V., ud. dep. 05.08.2024, n. 31853
PRINCIPIO DI DIRITTO
In materia di delitto di cui all’art. 591 c.p., in materia di abbandono di minori o incapaci, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’organo di Appello è tenuto all’obbligo di motivazione rafforzata, prevista nel caso di riforma della sentenza assolutoria e – laddove ricorrano i presupposti – occorre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale come previsto dall’art. 603, comma 3-bis del c.p.p., meglio argomentare , in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perchè non si è condiviso il decisum e chiarire quali sono le ragioni fondanti, a livello logico, probatorio, giuridico, la nuova decisione assunta.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Nella fattispecie, i ricorrenti hanno evidenziato lacune in ordine ad elementi di legittimità relative anche alla mancanza delle valutazioni testimoniali che assurgono ad elementi probatori che, l’ organo di Appello, avrebbe dovuto tener conto.
Scopo dell’incriminazione e cioè del delitto ex art. 591 c.p., è quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per età o per altre cause legislativamente determinate sono particolarmente esposte ai pericoli, contro l’abbandono da parte di chi è tenuto ad averne cura.
Si è precisato, inoltre, come il dovere di custodia implichi una relazione tra l’agente e la persona offesa, che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una spontanea assunzione da parte del soggetto attivo, nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali.
Si deve pacificamente concludere che il delitto di abbandono ha come presupposto l’esistenza in capo all’agente di un uno specifico dovere di custodia o di cura, il quale può essere imposto dalla legge, da un contratto od anche da uno stato di fatto creato dal soggetto attivo, purché si tratti di un dovere giuridico.
Su quanto esposto, si rileva che, il giudice di merito di secondo grado ha ritenuto che lo stato di abbandono della vittima era connesso alle sue effettive e concrete condizioni di salute, incompatibili con la condotta degli imputati che erano soliti farlo circolare liberamente con l’ausilio di un girello, osservandolo a distanza, con l’ulteriore precisazione che la vittima deambulava in un cortile che presentava numerose fonti di pericolo, giacché la vittima non era in grado di evitare l’intralcio costituito dal transito di un gallina che s’infilava fra le sue gambe, ovvero dell’incastro di una ruota del girello nella canalina di scolo.
La Corte di assise di appello non ha offerto alcuna indicazione della specifica connotazione dell’elemento oggettivo del reato, limitandosi ad affermare che l’incapacità a deambulare della vittima quest’ultima derivante da due certificazioni mediche rilasciate dalla ASL di competenza datate 16 agosto 2019 e 6 settembre 2019,aveva determinato un abbandono, tuttavia la presunzione di una situazione di pericolo che non è stata nemmeno verificata.
Dubbi sorgono anche andando a considerare l’accertamento dell’elemento soggettivo; il dolo viene dedotto essenzialmente dal progressivo peggioramento delle condizioni di salute, valutabili e percepibili in considerazione della convivenza presso l’abitazione degli imputati e, per altro verso, dal far circolare sul girello per la necessità di riposare ovvero non ricevere sputi dalla vittima, circostanze che ponevano gli imputati in condizione di percepire il pericolo, nella sua concretezza e attualità.
Tuttavia, è però sempre necessario che la condizione di pericolo sia frutto di una azione od omissione consapevole dell’imputato.
A sostegno della tesi per cui gli imputati sono esonerati da responsabilità personali penali, soccorrono le dichiarazioni di due testimoni, le quali però non sono state prese in considerazione dalla stessa Corte di Appello al fine di confutarle.
In altri termini, le dichiarazioni testimoniali non pare confermino che gli imputati abbiano abbondonato per un arco di tempo significativo il de cuius, tanto da non garantirgli la dovuta assistenza, con l’evidente consapevolezza di esporlo ad un pericolo, sia pure potenziale, per la sua incolumità personale.
Le fonti probatorie orali prima richiamate non descrivono una condotta materiale di “abbandono”, tale da produrre una situazione di pericolo per l’incolumità del soggetto passivo, anzi evidenziano come gli imputati fossero costantemente presenti negli spostamenti del Tr.Ca., non lasciandolo mai solo: la persona offesa non è uscita dal perimetro della sfera di vigilanza del custode.
Proprio gli elementi probatori, appena richiamati, tracciano in modo contraddittorio lo stato di abbandono, nei termini di cessazione della relazione di cura o di assistenza tra l’agente ed il soggetto passivo, con la conseguente consapevolezza dell’abbandono.
Anzi, le inadempienze contestate agli imputati potrebbero piuttosto riferirsi ad un’ipotesi colposa connesse proprio alle condizioni lavorative, assenza di mezzi, di personale medico e paramedico, nonché l’assenza di autorizzazioni amministrative per la presa in carico di soggetti non autosufficienti, la inidoneità dei locali, per la presenza di scale e di violazioni urbanistiche con cui gli imputati erano costretti a convivere.
Pertanto, per quanto tutto esposto, la Suprema Corte declara che la sentenza impugnata va annullata con rinvio dovendo il giudice di merito verificare – alla luce dei principi di legittimità esposti e di tutti gli elementi probatori acquisiti da leggere complessivamente – se la vittima versasse al momento dei fatti in “stato di abbandono” sotto il profilo oggettivo e se gli imputati abbiano agito nella consapevolezza dell’esistenza di un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumità fisica della vittima accettando il rischio del verificarsi dell’evento e non piuttosto con imprudenza o negligenza.