Corte di Cassazione civile, Sezione I, ordinanza 8 luglio 2024, n. 18506
PRINCIPIO DI DIRITTO
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale.
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo – perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio.
La funzione perequativo – compensativa dell’assegno divorzile presuppone che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, restando irrilevanti le motivazioni soggettive che abbiano portato a compiere tale scelta, che è stata comunque accettata e condivisa dal coniuge, perché l’assegno di divorzio, sotto l’aspetto in esame, mira a compensare lo squilibrio economico conseguente all’impiego delle proprie energie e attitudini in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale produttive di reddito, indipendentemente dal fatto che alla base di tale scelta vi fossero ragioni affettive o di semplice opportunità economico – relazionale.
L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico – patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per travisamento della c.t.u., espletata nel giudizio di separazione e richiamata a supporto probatorio dalla Corte d’appello.
In particolare, il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente percepito il contenuto oggettivo della c.t.u., con specifico riferimento alla suddivisione dei ruoli endofamiliari assunti dagli ex coniugi in costanza di matrimonio, in quanto dalla stessa consulenza si desumeva che la B.B. avesse riconosciuto il contributo fornito dal padre alla famiglia, accudendo i figli, a nulla rilevando le contrarie affermazioni della figlia D.D., conseguenza del patto di lealtà con la madre.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 5, c.4, l. n. 898/70, per aver la Corte d’appello erroneamente presunto il nesso causale tra il contributo fornito dall’ex moglie alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dei coniugi, attraverso la rinuncia ad occasioni professionali, e la sperequazione tra le risorse reddituali e patrimoniali della coppia.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che l’ex moglie non ha provato di aver rinunciato ad occasioni professionali in funzione della famiglia, a beneficio della formazione del patrimonio dell’ex marito, avendo la Corte territoriale desunto il predetto nesso causale dalla sola organizzazione familiare scelta dai coniugi in costanza di matrimonio, ovvero dall’impegno profuso dalla ex moglie per la vita familiare e l’accudimento delle figlie.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 5, c. 6, l. n. 898/70, per omesso esame dell’asserita rinuncia dell’ex moglie ad opportunità professionali e per contraddittorietà della motivazione su tale questione, in quanto, da un lato, la Corte d’appello ha affermato la sussistenza del sacrificio professionale subito dalla B.B., dall’altro ha invece addotto, quale prova dello stesso, la sottoscrizione, nel 2022, da parte di quest’ultima, di due contratti con il Politecnico di Milano per collaborazioni nell’attività didattica.
Al riguardo, il ricorrente lamenta l’inconciliabilità di tali affermazioni, dato che se la segnalata rinuncia fosse avvenuta da parte dell’ex moglie, la stessa non avrebbe svolto le suddette collaborazioni universitarie di maggior prestigio rispetto all’attività ordinaria e costante di insegnante in istituto scolastico; pertanto, il ricorrente assume che dal matrimonio non sia derivato alcun pregiudizio per l’ex moglie, che non ha mai smesso di lavorare, ricorrendo sotto questo profilo anche la violazione dell’art. 2729 c.c., nel senso che non emerge la gravità degli indizi circa il nesso causale tra la stipula dei predetti contratti e la rinuncia a concrete occasioni di lavoro.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto che, in mancanza di contestazione da parte del ricorrente, sia provato che l’ex moglie abbia messo a disposizione dell’ex marito le proprie competenze professionali per la costituzione della Geolambda Engineering che costituiva l’attività più redditizia dello stesso ricorrente, il quale assume altresì di aver invece contestato quanto affermato dal giudice di secondo grado, lamentando che la controparte non abbia allegato i fatti costitutivi del diritto azionato.
Il quinto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 5, c. 6, l. n. 898/70, per aver la Corte territoriale rigettato le istanze istruttorie, non ammesse in primo grado, ritenendo comunque provato il contributo della ex moglie all’incremento del patrimonio dell’ex coniuge, circa la costituzione della suddetta impresa, sebbene il fatto fosse stato contestato, e senza tenere conto che i testimoni indicati erano collaboratori storici del ricorrente.
Il primo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha valorizzato il ruolo della ex moglie sulla base della c.t.u., né ciò appare contestato dal ricorrente il quale, però, invoca un passo della stessa c.t.u. (nel quale si legge che “la madre..dice anche che in passato la figlia D.D. giocava con il padre e che lui preferiva divertirsi con le figlie anziché occuparsi dei compiti..”) quale dichiarazione confessoria.
Tuttavia, tale dichiarazione non appare escludere quanto accertato dal consulente d’ufficio in ordine alla dedizione alla famiglia manifestata dalla controricorrente, nel senso che tale condotta non può essere esclusa dal fatto che il padre giocava con le figlie (fatto che, peraltro, non è inconciliabile con il suo intenso impegno lavorativo, anche nei fine settimana).
Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (SU, n. 18287/18).
Sulla scorta di tale pronuncia delle Sezioni Unite, è stato poi affermato che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo – perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., n. 23583/22).
E’ stato altresì affermato che la funzione perequativo – compensativa dell’assegno divorzile presuppone che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, restando irrilevanti le motivazioni soggettive che abbiano portato a compiere tale scelta, che è stata comunque accettata e condivisa dal coniuge, perché l’assegno di divorzio, sotto l’aspetto in esame, mira a compensare lo squilibrio economico conseguente all’impiego delle proprie energie e attitudini in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale produttive di reddito, indipendentemente dal fatto che alla base di tale scelta vi fossero ragioni affettive o di semplice opportunità economico – relazionale (Cass., n. 27945/23).
Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, può dunque affermarsi che, ai fini del diritto all’assegno divorzile in funzione perequativo – compensativa non è attribuito rilievo specifico alle motivazioni delle rinunce professionali per la dedizione alla famiglia, come intende asserire l’istante; cioè, a tal fine, non è richiesto che la suddetta rinuncia da parte dell’ex coniuge sia espressamente motivata in funzione dell’impegno per la famiglia, essendo sufficiente che vi sia il rapporto causale tra tale rinuncia e l’impegno familiare, che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che, attraverso essa, il patrimonio comune o dell’altro coniuge si sia incrementato in ragione della dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, indipendentemente dalle motivazioni che hanno indotto alla stessa scelta.
Premesso ciò, nella specie, è stato accertato lo squilibrio tra la posizione reddituale e patrimoniale tra le parti; la Corte d’appello ha ritenuto che la funzione perequativa dell’assegno derivi dalla dedizione dell’ex moglie alla famiglia, desumendo la prova della rinuncia ad occasioni professionali dalla stipula di due contratti con il Politecnico di Milano nel settembre 2022, e dal contributo professionale che l’ex moglie ha apportato ai fini della costituzione dell’impresa Geolambda Engineering.
Il punto è censurato espressamente dal ricorrente che, al motivo quinto, lamenta la mancata ammissione delle prove testimoniali aventi ad oggetto proprio la questione della costituzione della suddetta impresa, mentre il quarto critica la motivazione sulla mancata contestazione dell’ex marito circa il predetto contributo della controricorrente.
Entrambi i motivi risultano inammissibili perché volti a conseguire il riesame del merito.
Al riguardo, il ricorrente ha formulato la sola prova contraria e dunque non può dolersi della mancata ammissione delle prove orali dedotte da controparte sulla predetta questione.
Va osservato ancora che l’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico – patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass., n. 35434/23).
Inoltre, la sentenza impugnata è adeguatamente motivata sulla rinuncia della controricorrente ad occasioni lavorative professionali, considerando che il riferimento ai due citati contratti di collaborazione universitaria, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ne costituisce un elemento di prova, nel senso che la dedizione alla famiglia ha verosimilmente precluso all’ex moglie più numerosi impegni lavorativi.
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