Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 15 luglio 2024, n. 28417
PRINCIPIO DI DIRITTO
Deve ritenersi incompatibile la circostanza attenuante della “provocazione con il delitto di maltrattamenti e, più in generale, con il genus dei reati abituali.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso, in tema di compatibilità tra delitto di maltrattamenti ed attenuante della “provocazione“, non è fondato.
Vero è che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere l’incompatibilità di tale circostanza attenuante con il delitto di maltrattamenti e, più in generale, con il genus dei reati abituali, quelli, cioè, che si realizzano attraverso una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura, ripetuti e replicati nel tempo (tra altre, per i maltrattamenti in particolare, Sez. 6, n. 13562 del 05/02/2020, F., Rv. 278757; Sez. 6, n. 12307 del 27/10/2000, Nuara, Rv. 217901; in relazione ad altre fattispecie di reato abituale, Sez. 5, n. 14417 del 09/02/2024, F., Rv. 286290; Sez. 5, n. 21487 del 29/04/2021, F., Rv. 281313; Sez. 1, n. 29830 del 03/07/2017, dep. 2018, Aruta, Rv. 273497).
Erra, dunque, la sentenza impugnata, allorché conclude diversamente, confermando, sul punto, quanto ritenuto già dalla sentenza di primo grado.
Tuttavia, è sufficiente leggere tali precedenti di legittimità, per rilevare che quella giurisprudenza è maturata tutta in relazione a vicende nelle quali si invocava il riconoscimento dell’attenuante e non – come invece si pretende nel caso in esame – l’esclusione del reato, avendo la Corte di cassazione rilevato che, in presenza di comportamenti offensivi reiterati e protratti nel tempo, quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto non può che presentarsi, in realtà, come l’espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l’ordinamento non può dare alcun riconoscimento.
L’errore giuridico che inficia le sentenze di merito sta, dunque, nell’aver riconosciuto l’attenuante pur nella ritenuta presenza degli estremi del delitto di maltrattamenti.
Tuttavia, la sentenza d’appello, in mancanza di un’impugnazione del Pubblico ministero sul punto, non poteva emendarlo; d’altro canto, però, di esso non può comunque dolersi l’imputato, trattandosi di una decisione sì errata, ma a lui favorevole.
- La seconda doglianza, in tema di travisamento del narrato della persona offesa, è manifestamente infondata.
Il vizio di travisamento della prova presuppone che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco dell’elemento di prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato dimostrativo di tale elemento (tra molte, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702).
Tale vizio, inoltre, rileva soltanto se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, in quanto rende illogica la motivazione per l’essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758); inoltre, grava sul ricorrente l’onere di indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
Tutto questo nel ricorso non si rinviene, essendosi l’imputato limitato a dolersi della valutazione della testimonianza della B.B. ed a chiedere alla Corte di cassazione, in tal modo, semplicemente una diversa ricostruzione dei fatti e, dunque, un giudizio di merito che non le compete.
- Manifestamente destituito di fondamento giuridico è pure il terzo motivo di ricorso, relativo al diniego delle cause di giustificazione di cui agli artt. 51 e 52, cod. pen.
La comune ragione giustificativa di tali scriminanti risiede nella inevitabile necessità delle relative condotte, perché, a seconda dei casi, imposte all’agente dalla legge od indispensabili per la salvaguardia di un diritto proprio od altrui non altrimenti tutelabile.
Anche, dunque, a voler ipotizzare che vi fosse, per l’imputato, la necessità di proteggerei figli dal contegno irresponsabile della madre e di preservare le proprie disponibilità finanziarie dalle sconsiderate iniziative di costei, certamente tali scopi non si sarebbero potuti realizzare attraverso le condotte da lui tenute, vale a dire picchiando ed insultando sistematicamente la persona che avrebbe messo in pericolo tali suoi legittimi interessi.
Manca, pertanto, l’adeguatezza funzionale della condotta rispetto all’interesse tutelato dall’ordinamento giuridico, che è il presupposto essenziale perché la stessa possa essere ritenuta conforme al sistema normativo e, in quanto tale, giustificata, benché lesiva di altrui situazioni giuridiche soggettive.
Peraltro, la sentenza impugnata lo spiega espressamente (pagg. 13 s.) ed il ricorso si limita a reiterare la doglianza, che dunque risulta pure generica.
- Manifestamente infondato è pure il quarto motivo, in tema di mancata rinnovazione istruttoria in appello. Anzitutto, trattandosi di prove già assunte nel dibattimento di primo grado, il parametro sul quale dev’essere calibrata la relativa decisione è quello della impossibilità, per il giudice d’appello, di decidere allo stato degli atti (art. 603, comma 1, cod. proc. pen.): dunque, in altri termini, dell’indispensabilità della riassunzione di tali prove per la completezza del quadro probatorio essenziale.
Per altro verso, nel giudizio di legittimità, la decisione del giudice d’appello sul punto non può essere sindacata in quanto tale, ma solo nei limiti in cui la carenza probatoria residuata per effetto di essa si riverberi, compromettendola, sulla tenuta logica complessiva della motivazione.
Tanto premesso, è sufficiente rilevare che il ricorso non indica specifici motivi che rendessero indispensabile la rinnovazione, limitandosi, anche per questa parte, a dolersi della valutazione probatoria e non della coerenza logica della relativa motivazione.
- Il quinto motivo, con cui si contesta la configurabilità del reato, è aspecifico nella parte in cui deduce l’inesistenza del requisito dell’abitualità delle condotte e del relativo dolo unitario, limitandosi essenzialmente all’enunciazione della doglianza, senza il sostegno di specifiche allegazioni.
E’ infondato, invece, là dove sostiene l’assenza di una condizione di soggezione ed afflizione della persona offesa, per il fatto che – secondo quanto rilevato dagli stessi giudici d’appello – costei avrebbe mantenuto “integre facoltà decisionali”.
In primo luogo, infatti, il ricorso compie un’operazione epistemica non corretta, poiché estrapola tale affermazione da un passaggio argomentativo più ampio e di tutt’altro segno, con il quale la Corte distrettuale rileva che la presenza di spazi di autonomia da parte della vittima non esclude di per sé la sussistenza del reato (pag. 13, sent.).
Ma, soprattutto, non considera che, come ritenuto da quei giudici, per la sussistenza del delitto di maltrattamenti, la condizione di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di suo completo abbattimento, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione di essa a succube dell’agente e potendo tale condizione perciò consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che sporadiche reazioni vitali ed aggressive possano escluderne lo stato di soggezione, a fronte di soprusi abituali (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023, P., Rv. 284107; Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, C., Rv. 274519).
- Inammissibile è la sesta doglianza, riguardante la mancata risposta al motivo d’appello relativo all’assenza di motivazione, da parte della sentenza di primo grado, dei criteri adottati nella valutazione delle prove. La censura è del tutto generica e puramente formalistica, oltre che implicitamente smentita dallo stesso ricorso, che ha lamentato in più punti l’erroneità di quelle valutazioni, dunque presenti.
- Inammissibile è pure il motivo successivo, in punto di diniego della sospensione condizionale della pena. Esso chiede al giudice di legittimità una rivalutazione dei presupposti per la concessione o meno del beneficio, mediante la valorizzazione di circostanze – peraltro generiche e di contesto – alternative a quelle ritenute qualificanti dal giudice di merito.
Si tratta chiaramente, però, di una valutazione di fatto che è riservata a quest’ultimo e che può essere sindacata in questa sede soltanto nei limiti della manifesta irrazionalità, certamente non ravvisabile nel caso specifico, in cui la Corte d’Appello ha giustificato la sua decisione per la presenza di precedenti specifici.
- Anche l’ultimo motivo di ricorso, infine, con il quale si contestano le statuizioni civili, è inammissibile. Sulla condanna al risarcimento dei danni, manca qualsiasi argomentazione critica. Il ricorrente, infatti, si sofferma solamente sul riconoscimento e la misura della provvisionale, dei quali non tuttavia dolersi in questa sede, trattandosi di decisioni di natura discrezionale, meramente delibative e non necessariamente motivate, per loro natura insuscettibili di passare in giudicato e destinate ad essere travolte dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (fra le tante, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).
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