Cass. Pen. VI, ud. Dep. 01.10.2021, n. 35937
La sentenza impugnata ha fatto buon governo del consolidato indirizzo affermato da questa Suprema Corte (ex multis, v. Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609), secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità. Evenienze, quelle testè indicate, sotto alcun profilo ravvisabili nel caso di specie, avendo le conformi decisioni di merito mostrato di confrontarsi con il contenuto essenziale delle doglianze difensive, spiegando – con ampie argomentazioni (v. pag. 5 della sentenza impugnata) – sia le ragioni giustificative della parziale assoluzione dell’imputato con riferimento alla condotta di maltrattamenti contestata in danno della figlia minore, sia quelle addotte (v. pag. 7 della sentenza impugnata) a sostegno della parziale assoluzione dal reato ascrittogli per l’arco temporale successivo alla data del (omissis) (ragioni correttamente ritenute, in entrambi i casi, del tutto ininfluenti ai fini del vaglio di credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dagli altri testimoni d’accusa). V’è altresì, da considerare, al riguardo, che l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo – come avvenuto nel caso di specie – indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)
- Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla censura concernente l’erronea applicazione della legge penale, avendo la Corte d’appello: a) condiviso la dettagliata ricostruzione storico-fattuale operata nella decisione di primo grado, richiamando il complesso degli elementi di prova sulla cui base ha coerentemente ritenuto che la convivenza familiare era stata abitualmente caratterizzata da comportamenti di prevaricazione fisica e verbale, da un linguaggio offensivo e mortificante, da ripetuti atti di ossessivo e soffocante controllo su ogni aspetto della vita, anche lavorativa, della convivente, sino a determinare uno stato di intollerabile prostrazione, sofferenza ed umiliazione della sua dignità personale; evidenziato, sotto il profilo soggettivo, l’irrilevanza ai fini della configurazione del reato di condotte intermittenti – ossia connotate dall’alternanza di periodi di aperta patologia e di maggior equilibrio all’interno della convivenza familiare – in presenza di una protratta condizione di disagio provocata dalla consapevole reiterazione delle condotte vessatorie in danno della vittima, (da ultimo, v. Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D’A., Rv. 259677).
- Inammissibili devono ritenersi i motivi aggiunti (v., in narrativa, il par. 2.2.), in quanto non previamente enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259). Al riguardo, inoltre, deve ribadirsi che la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre se ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali, come avvenuto nel caso in esame, si intenda allargare l’ambito del predetto “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Tobi, Rv. 280294).