Corte Costituzionale, sentenza 23 dicembre 2021 n. 252
Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale per i minorenni di Firenze.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza del 26 novembre 2020 (reg. ord. n. 1 del 2021), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente in Italia possa presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero e chiedere di essere dichiarata idonea all’adozione legittimante.
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, poiché – non fornendo un quadro normativo chiaro in ordine ai diritti riservati alla persona non coniugata e residente in Italia – non consentirebbe alla stessa di orientare le proprie scelte in funzione di effetti giuridici prevedibili, determinando così un’interferenza indebita nella sua vita privata.
2.– In via preliminare, è necessario esaminare le eccezioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– L’Avvocatura generale eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del censurato art. 29-bis, comma 1, in ragione dell’incompletezza del quadro normativo considerato dal giudice a quo. Infatti, laddove esso fosse stato considerato nella sua pienezza e complessità, sarebbe emersa con chiarezza la ratio che lo sostiene, così da escludere ogni incertezza, essendo possibile distinguere i casi in cui una domanda di adozione monoparentale potrebbe in astratto essere accolta da quelli in cui non lo sarebbe.
2.1.1.– L’eccezione non è fondata.
Nel caso in esame, sulla premessa che non sarebbe opponibile alla ricorrente, quale persona non coniugata, alcuna preclusione all’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, il rimettente appunta le proprie censure sulla norma che non consente alle persone non coniugate di accedere all’adozione piena. Il fondamento normativo di questa preclusione è quindi correttamente individuato negli artt. 6 e 29-bis, comma 1, della stessa legge, che prevedono il requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione piena.
Così delimitata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, l’incompleta illustrazione delle possibilità di adozione monoparentale già riconosciute dall’ordinamento, nonché della loro evoluzione normativa e giurisprudenziale – puntualmente richiamate dall’interveniente – non ne inficia l’ammissibilità. Si tratta, infatti, di elementi di valutazione che attengono al merito della questione, come emerge anche dalla stessa prospettazione dell’Avvocatura, secondo la quale una completa ricostruzione del quadro normativo avrebbe consentito di escludere ogni incertezza e di superare le censure formulate dal rimettente.
2.2.– Deve essere altresì respinta l’eccezione di inammissibilità per l’erronea o incompleta individuazione della norma censurata.
2.2.1.– Ad avviso della difesa statale, la mancata censura degli artt. 6 e 44 della legge n. 184 del 1983 pregiudicherebbe il vaglio di legittimità costituzionale, rendendone frammentario l’esito, essendo la denunciata illegittimità circoscritta al solo art. 29-bis, comma 1, che regola le adozioni internazionali. Secondo la difesa statale, l’ipotetico accoglimento della questione finirebbe per creare un’indebita disparità di trattamento di tale disciplina rispetto a quella delle adozioni nazionali.
2.2.2.– Il requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione nazionale è previsto espressamente dall’art. 6 della legge n. 184 del 1983, cui la disposizione censurata fa integrale richiamo. Il giudice a quo – pur consapevole della simmetrica preclusione derivante dal richiamato art. 6 per l’adozione nazionale – ha limitato le proprie censure al solo art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, ritenendo, con motivazione non implausibile, di essere chiamato a fare applicazione di questa disposizione nel giudizio a quo, instaurato proprio al fine di ottenere l’idoneità all’adozione internazionale.
D’altra parte, la considerazione delle ricadute sistematiche di un eventuale accoglimento della questione – in quanto propriamente destinata alla valutazione del merito della stessa – non influisce sulla sua ammissibilità.
3.– Deve essere, inoltre, dichiarata l’inammissibilità delle ulteriori censure formulate dalla parte costituita.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la parte ricorrente nel giudizio a quo, deduce il carattere sproporzionato della previsione del requisito del coniugio, sia rispetto al ruolo che l’Italia, quale Stato di accoglienza dell’adottando, è chiamata a svolgere, sia rispetto al fine di realizzare il superiore interesse del minore. Ad avviso della parte interveniente, dalla qualità di coniugato di chi richieda l’adozione non conseguirebbero benefici tali da compensare i sacrifici imposti alle scelte di vita privata dell’adottante e ciò renderebbe ingiustificata l’ingerenza.
Tuttavia, questi argomenti si pongono al di fuori del perimetro tracciato dall’ordinanza di rimessione. In essa, la violazione dell’art. 8 CEDU non deriva dal carattere sproporzionato e per ciò stesso irragionevole della previsione, come prospettato, ma dalla mancanza di chiarezza del quadro normativo, tale da incidere negativamente sulla capacità dei singoli di autodeterminarsi in ordine alla propria vita privata.
Mentre il giudice a quo non contesta alcun difetto di proporzionalità nella previsione del requisito del coniugio e propone incidente di legittimità costituzionale, lamentando la mancanza di chiarezza della disciplina delle adozioni, la parte, invece, dubita della conformità a Costituzione della sproporzione e irragionevolezza del medesimo requisito e chiede a questa Corte di accertarne, sotto tale profilo, il contrasto con l’art. 8 CEDU. Ancorché la disposizione censurata ed il parametro evocato siano formalmente gli stessi, la questione illustrata dalla parte privata introduce un profilo di illegittimità costituzionale diverso e ulteriore rispetto a quello fatto proprio dal giudice a quo.
Le differenti prospettive da cui sono scaturiti i dubbi di legittimità costituzionale rispettivamente avanzati risultano indicative della novità delle censure formulate dalla parte. In quanto volte ad ampliare il thema decidendum delineato dall’ordinanza di rimessione, esse non possono essere prese in considerazione da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 26 del 2020, n. 222 del 2018, e ordinanza n. 37 del 2017).
4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU, è inammissibile per la carente illustrazione delle ragioni di contrasto tra la disposizione censurata e il parametro interposto sovranazionale.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta senza un’adeguata ed autonoma illustrazione, da parte del giudice rimettente, delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro evocato. Non è sufficiente, quindi, l’indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione (ex multis, sentenze n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009).
Nel caso in esame, con riguardo al requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione internazionale, l’ordinanza di rimessione non illustra le ragioni della dedotta antinomia tra la disposizione censurata e i princípi presidiati dalla garanzia dell’art. 8 CEDU, né articola critiche mirate, che avvalorino la prospettata violazione. Il giudice a quo si limita a svolgere alcune considerazioni sulla nuova disciplina della filiazione scaturita dalla riformulazione dell’art. 74 del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), e sull’evoluzione dei casi di adozione monoparentale già previsti dall’ordinamento, per desumerne – senza motivarlo – un difetto di chiarezza e frammentarietà del quadro normativo. Tali censure, tuttavia, non sono sorrette da alcuna considerazione comparativa degli istituti e delle discipline rispetto ai quali esse si manifesterebbero, né è fornita alcuna spiegazione in ordine al modo in cui la lamentata mancanza di chiarezza e omogeneità – essa stessa genericamente affermata, ma non corroborata da precipue argomentazioni – si realizzerebbe nello specifico contenuto precettivo dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che viceversa è assunto dallo stesso rimettente nel suo univoco significato, preclusivo dell’adozione piena da parte dei non coniugati.
D’altra parte, l’ordinanza non fornisce neppure un’idonea spiegazione circa le modalità in cui l’asserito difetto di chiarezza e la frammentarietà della disciplina delle adozioni si risolverebbero nella violazione del principio del rispetto della vita privata, presidiato dalle garanzie dell’art. 8 CEDU. Infatti, anche in riferimento alla tutela convenzionale richiamata, è omessa qualsiasi motivazione sui presupposti individuati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per qualificare una situazione di incertezza normativa in termini di contrasto con il principio di non ingerenza. Al riguardo, è richiamata una sola sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sezione seconda, 14 maggio 2013, Gross contro Svizzera), che – oltre ad essere stata superata dalla successiva pronuncia della Grande camera del 30 settembre 2014 – è riferita ad un contesto normativo del tutto differente da quello in esame. In definitiva, il contrasto con il principio convenzionale di cui all’art. 8 CEDU risulta solo genericamente affermato, ma non sufficientemente argomentato.
Le rilevate lacune del tessuto argomentativo dell’ordinanza di rimessione determinano l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 e ne impediscono la valutazione nel merito.