Corte costituzionale, sentenza 28 marzo 2022, n.79
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
3.– Preliminarmente, in rito, l’Avvocatura generale dello Stato ha ravvisato una carenza di motivazione, nell’ordinanza di rimessione, in ordine alla competenza del tribunale per i minorenni ad adottare la pronuncia relativa al riconoscimento dei rapporti civili tra l’adottato e i parenti del genitore adottivo.
Tale richiesta – secondo l’Avvocatura – atterrebbe allo status del minore e dunque rientrerebbe nella competenza del tribunale, ai sensi dell’art. 9 del codice di procedura civile.
L’Avvocatura ne inferisce che il giudice a quo, una volta dichiarata l’adozione, avrebbe dovuto declinare la propria competenza: il non averlo fatto e il non aver motivato sulle ragioni di tale scelta renderebbero le questioni sollevate inammissibili.
3.1– L’eccezione non è fondata.
3.1.1.– Come più volte affermato da questa Corte, per determinare l’inammissibilità della questione incidentale di legittimità costituzionale il difetto di competenza del giudice a quo, così come quello di giurisdizione, deve essere macroscopico e, quindi, rilevabile ictu oculi (con specifico riferimento alla competenza, si vedano le sentenze n. 68 del 2021 e n. 136 del 2008, nonché le ordinanze n. 144 del 2011 e n. 134 del 2000, mentre con riguardo alla giurisdizione ex plurimis, sentenze n. 267, n. 99 e n. 24 del 2020, n. 189 del 2018, n. 269 del 2016, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999).
Qualora sussista l’evidenza del vizio, o nel processo a quo siano state sollevate specifiche eccezioni a riguardo, è richiesta al rimettente una motivazione esplicita (sentenze n. 65 del 2021 e n. 267 del 2020), rispetto alla quale il giudizio di questa Corte si ferma alla valutazione del suo carattere «non implausibile, ancorché opinabile» (sentenza n. 99 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 24 del 2020, n. 269 del 2016, n. 106 del 2013, n. 179 del 1999).
Qualora, invece, difetti l’evidenza ictu oculi del vizio, l’ammissibilità della questione non è inficiata dalla mancanza di una motivazione espressa, là dove possa inferirsi che il giudice abbia non implausibilmente ritenuto implicita la sussistenza della sua competenza o giurisdizione (sentenza n. 189 del 2018).
3.1.2.– Ebbene, nel caso di specie, occorre, innanzitutto, rilevare che l’art. 38 cod. proc. civ. prevede una rigida preclusione – costituita dalla prima udienza di trattazione – al rilievo, anche officioso, della competenza per materia. Lo scopo di tale previsione, più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, è quello di accelerare i tempi di risoluzione delle controversie e di impedire che le basi per pervenire a una decisione sul merito della causa possano essere rimesse in discussione, a tempo indefinito, per ragioni di rito (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 16 novembre 2021, n. 34569, 21 novembre 2019, n. 30473 e 15 aprile 2019, n. 1051).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità considera tale barriera temporale, che ha natura preclusiva, applicabile non soltanto ai processi contenziosi di cognizione ordinaria, ma anche a quelli di volontaria giurisdizione da trattare in camera di consiglio (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 22 maggio 2003, n. 8115).
Ne consegue che, nel giudizio a quo, dove non risulta che il giudice o le parti abbiano sollevato un rilievo sulla competenza, quest’ultima dovrebbe oramai reputarsi radicata e non dovrebbe essere rimessa in discussione con il giudizio di legittimità costituzionale.
3.2.– Occorre, inoltre, osservare che l’instaurarsi dei legami parentali è un effetto legale automatico della filiazione, come si evince, in materia di adozione piena, dagli artt. 27 e 35 della legge n. 184 del 1983, che si raccordano all’art. 74 cod. civ. Non a caso, nell’ipotesi dell’adozione in casi particolari, la legge interviene espressamente per escludere l’instaurarsi di un simile effetto (per l’appunto con l’art. 55 della legge n. 184 del 1983 che rinvia all’art. 300, secondo comma, cod. civ.).
Or dunque, se la competenza a decidere con riguardo all’adozione in casi particolari spetta al tribunale per i minorenni, non è implausibile ritenere che, sulla richiesta di pronunciarsi in merito alla produzione ex lege dei legami parentali dalla filiazione adottiva, debba decidere lo stesso giudice competente a riconoscere il vincolo adottivo. Non si palesa, pertanto, un vizio rilevabile ictu oculi.
3.3.– Tanto premesso, si deve ritenere che l’odierno rimettente, sollevando la questione di legittimità costituzionale, abbia non implausibilmente reputato implicita la propria competenza a pronunciarsi sul possibile effetto legale della pronuncia di adozione.
L’eccezione di inammissibilità va, dunque, rigettata.
4.– Nel merito le questioni sono fondate.
5.– Al fine di esaminare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati, si rende necessario, in via preliminare, richiamare i tratti distintivi dell’adozione in casi particolari, che emergono sia dall’originario disegno legislativo sia dal percorso evolutivo tracciato dal diritto vivente.
5.1.– L’istituto è stato introdotto dalla legge n. 184 del 1983 per fare fronte a situazioni particolari, nelle quali versa il minore, che inducono a consentire l’adozione a condizioni differenti rispetto a quelle richieste per l’adozione cosiddetta piena.
L’adozione in esame aggrega una varietà di ipotesi particolari riconducibili a due fondamentali rationes.
La prima consiste nel valorizzare l’effettività di un rapporto instauratosi con il minore.
«La particolare adozione del[l’]art. 44» – ha rilevato questa Corte nella sentenza n. 383 del 1999 – offre al minore «la possibilità di rimanere nell’ambito della nuova famiglia che l’ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui».
A tale esigenza risponde l’adozione del bambino, orfano di ambo i genitori, da parte di persone a lui unite o «da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento» (art. 44, comma 1, lettera a). Si ascrive, inoltre, alla medesima ratio l’adozione del bambino da parte del «coniuge nel caso in cui il minore sia figlio del genitore anche adottivo dell’altro coniuge» (art. 44, comma 1, lettera b), poiché il bambino vive in quel nucleo familiare.
La seconda ragione giustificativa, che emerge dal dato normativo, risiede nella difficoltà o nella impossibilità per taluni minori di accedere all’adozione piena.
Vi rientrano il caso dell’orfano di entrambi i genitori, che «si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3, comma 1, della l. 5 febbraio 1992, n. 104» (art. 44, comma 1, lettera c) – sia cioè persona «che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione» – nonché l’ipotesi del minore non adottabile in ragione della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» (art. 44, comma 1, lettera d).
Le situazioni particolari richiamate e le motivazioni che sottendono giustificano l’accesso a questa adozione anche – o, nel caso della lettera b), solo – a persone singole, oltre che a persone coniugate (art. 44, comma 3).
Al contempo, i suoi presupposti applicativi, avulsi dall’accertamento di uno stato di abbandono – che pure nel caso dell’art. 44, comma 1, lettera d), può di fatto sussistere – spiegano il necessario assenso dei genitori, ove questi vi siano, e il persistere di legami con la famiglia d’origine. Non si rinviene, infatti, nell’adozione in casi particolari una disposizione di tenore analogo all’art. 27, comma 3, della legge n. 184 del 1983, secondo cui, con l’adozione piena, «cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali».
5.2.– Al dato legislativo, che evoca i lineamenti di un istituto marginale e peculiare, è subentrata un’evoluzione del diritto vivente, che ha iniziato a valorizzare alcune specificità di tale adozione e ad ampliarne gradualmente il raggio applicativo. Estendendo in via ermeneutica la nozione di impossibilità, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 – che viene riferita all’impedimento giuridico, oltre che a quello di fatto – la giurisprudenza ha aperto due nuovi itinerari interpretativi nel solco delle originarie rationes.
5.2.1.– Il primo è racchiuso nell’efficace immagine dell’adozione aperta o mite.
Il minore non abbandonato, ma i cui genitori biologici versino in condizioni che impediscono in maniera permanente l’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale (cosiddetto «semi-abbandono permanente»), può sfuggire al destino del ricovero in istituto o al succedersi di affidamenti temporanei, tramite l’adozione in casi particolari, che viene applicata sul presupposto dell’impossibilità di accedere all’adozione piena (art. 44, comma 1, lettera d), impossibilità dovuta proprio alla mancanza di un abbandono in senso stretto.
L’adozione in casi particolari, che non recide i legami con la famiglia d’origine, consente, pertanto, di non forzare il ricorso all’adozione piena. Quest’ultima, in difetto di un vero e proprio abbandono, andrebbe a ledere il «diritto al rispetto della vita familiare» dei genitori biologici, come sottolinea la Corte EDU, la quale cautamente suggerisce proprio il percorso della «adozione semplice» (Corte EDU, sentenza 21 gennaio 2014, Zhou contro Italia, paragrafo 60; di seguito, in senso analogo, Corte EDU, grande camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafi 202-213 e sentenza 13 ottobre 2015, S.H. contro Italia, paragrafi 48-50 e 57).
Inizia, dunque, a rovesciarsi – come osserva la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanze 15 dicembre 2021, n. 40308, 22 novembre 2021, n. 35840, 25 gennaio 2021, n. 1476 e 13 febbraio 2020, n. 3643) – l’originaria raffigurazione dell’istituto in esame quale extrema ratio rispetto all’adozione piena.
5.2.2.– Il secondo itinerario introdotto dal diritto vivente, sempre nel solco dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, riguarda, invece, la situazione di minori che hanno una relazione affettiva con il partner del genitore biologico, quando il primo è giuridicamente impossibilitato ad adottare il minore.
Si tratta, per un verso, del convivente di diverso sesso del genitore biologico, che non rientra nella lettera b) riferita al solo coniuge. Per un altro verso, vengono in considerazione il partner in un’unione civile o il convivente dello stesso sesso del genitore biologico, che hanno spesso condiviso con quest’ultimo un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) effettuata all’estero, posto che la legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) consente l’accesso alla PMA alle sole coppie di diverso sesso.
Il combinarsi delle due finalità sottese all’adozione in casi particolari – quella vòlta a tutelare l’interesse del minore a preservare rapporti già instaurati e quella diretta a risolvere situazioni di giuridica impossibilità ad accedere all’adozione piena – ha indotto la giurisprudenza a consentire, anche nelle citate ipotesi, l’accesso all’adozione in casi particolari.
5.2.3.– Rispetto a questo secondo percorso evolutivo del diritto vivente, che interseca questioni legate alla procreazione medicalmente assistita e al ricorso all’estero alla PMA e talora alla surrogazione di maternità, questa Corte ha già in passato evidenziato diverse sfaccettature del fenomeno tra di loro interconnesse.
Innanzitutto, ha inteso escludere che il «desiderio di genitorialità», attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita «lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati», possa legittimare un presunto «diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo» (sentenza n. 221 del 2019). Inoltre, questa Corte ha, in particolare, ribadito le ragioni del divieto di surrogazione di maternità, che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017 e, da ultimo, sentenza n. 33 del 2021), assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale (in senso analogo, ancora, sentenza n. 33 del 2021).
D’altro canto, lo sforzo di arginare tale pratica – sforzo che richiede impegni anche a livello internazionale – non consente di ignorare la realtà di minori che vivono di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico.
Anche questa Corte – confrontandosi con il diritto vivente – ha ritenuto che l’adozione in casi particolari, lungi dal dare rilevanza al solo consenso e dall’assecondare attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità, dimostri una precipua vocazione a tutelare «l’interesse del minore […] a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate» (sentenze n. 32 del 2021, n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 272 del 2017). L’adozione in casi particolari presuppone, infatti, un giudizio sul miglior interesse del minore e un accertamento sull’idoneità dell’adottante, fermo restando che non può una valutazione negativa sull’idoneità all’assunzione della responsabilità genitoriale fondarsi sul mero «[“]orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962)” (sentenza n. 221 del 2019)» (sentenza n. 230 del 2020).
Il focus del diritto vivente e della giurisprudenza di questa Corte si è, dunque, concentrato sul primario interesse del minore, principio che è riconducibile agli artt. 2, 30 (sentenze n. 102 del 2020 e n. 11 del 1981) e 31 Cost. (sentenze n. 102 del 2020, n. 272, n. 76 e n. 17 del 2017, n. 205 del 2015, n. 239 del 2014) e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento (la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; la Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini, approvata a New York il 3 dicembre 1986; il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; la Convenzione di Strasburgo in materia di adozione, elaborata dal Consiglio d’Europa, entrata in vigore il 26 aprile 1968 e ratificata dall’Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357, nonché da fonti europee (l’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, CDFUE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; gli artt. 8 e 14 CEDU), come rispettivamente interpretate dalla Corte di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Proprio l’attenzione rivolta all’interesse del minore ha indotto, pertanto, di recente, questa Corte ad allargare lo sguardo dai meri presupposti di accesso all’adozione in casi particolari alla condizione giuridica del minore adottato in tali casi.
Simile più ampia prospettiva ha portato, dunque, a rilevare che, se l’istituto in esame offre «una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa», nondimeno esso non appare ancora «del tutto adeguat[o] al metro dei principi costituzionali e sovranazionali» (sentenza n. 33 del 2021; in senso conforme, sentenze n. 32 del 2021 e n. 230 del 2020).
Fra le criticità segnalate spicca quella oggetto del presente giudizio. L’adozione in casi particolari «non assicura la creazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante» (sentenza n. 32 del 2021), «stante il perdurante richiamo operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 300 cod. civ.» (sentenza n. 33 del 2021).
6.– Il chiaro dato testuale della disposizione di rinvio e la sua incidenza su uno snodo centrale della disciplina dell’adozione in casi particolari inducono questa Corte a escludere – come del resto già in precedenza rilevato (sentenze n. 33 e n. 32 del 2021) e come sostenuto anche dal giudice rimettente – che la norma censurata possa ritenersi tacitamente abrogata per effetto della modifica dell’art. 74 cod. civ., introdotta dall’art. 1, comma 1, della legge n. 219 del 2012.
Vero è che il nuovo art. 74 cod. civ. prevede che «[l]a parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti». E non può negarsi che, stante il riconoscimento al minore adottato con l’adozione piena dello «stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti» (art. 27 della legge n. 184 del 1983), l’art. 74 cod. civ., dove evoca «la filiazione […] avvenuta nel matrimonio», dovrebbe già ricomprendere il figlio che è considerato «nato nel matrimonio» in virtù dell’adozione legittimante. Sembrerebbe, dunque, potersi inferire che il successivo richiamo al figlio «adottivo», con la sola esclusione dell’adozione di persone maggiori d’età, riguardi in effetti i minori adottati in casi particolari.
Ciò nondimeno – come già anticipato – la presenza di un ostacolo chiaro e inequivoco, qual è il rinvio della disposizione censurata all’art. 300, secondo comma, cod. civ., la sua mancata inclusione nell’art. 106 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), che indica le disposizioni abrogate dalla riforma della filiazione, nonché il carattere fortemente innovativo della previsione di rapporti civili tra il minore adottato in casi particolari e i parenti dell’adottante portano a escludere che un simile mutamento normativo possa ritenersi realizzato con una mera abrogazione tacita e che la via ermeneutica sia sufficiente a superare il dubbio di legittimità costituzionale.
7.– Escluso tale itinerario, questa Corte deve, pertanto, valutare se il diniego di relazioni familiari tra l’adottato e i parenti dell’adottante determini, in contrasto con gli artt. 3 e 31 Cost., un trattamento discriminatorio del minore adottato rispetto all’unicità dello status di figlio e alla condizione giuridica del minore, avendo riguardo alla ratio della normativa che associa a tale status il sorgere dei rapporti parentali (sul giudizio che indaga il carattere discriminatorio di una disposizione si vedano, ex plurimis, le sentenze di questa Corte n. 276 del 2020, n. 241 del 2014, n. 5 del 2000 e n. 89 del 1996 e l’ordinanza n. 43 del 2021).
7.1.– L’attuale disciplina dei rapporti parentali è espressione della unicità dello status di figlio e, al contempo, risponde al bisogno di tutela dell’interesse del minore, vero principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013 (legge n. 219 del 2012 e d.lgs. n. 154 del 2013).
7.1.1.– «Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico», recita il nuovo art. 315 cod. civ., e lo stato giuridico di figlio è il fulcro da cui si diramano i legami familiari, accomunati dal medesimo stipite (art. 74 cod. civ.).
Il soggetto, divenuto figlio, entra nella rete parentale che fa capo allo stipite da cui discende ciascuno dei suoi genitori, senza che le linee parentali siano condizionate dalla relazione giuridica fra i genitori. Il figlio nato fuori dal matrimonio è partecipe di due rami familiari tra di loro giuridicamente non comunicanti.
La spinta del principio di eguaglianza, alla luce dell’evoluzione della coscienza sociale, ha, dunque, inciso sulla concezione stessa dello status di figlio, che in sé attrae l’appartenenza a una comunità familiare, secondo una logica fondata sulle responsabilità che discendono dalla filiazione e sull’esigenza di perseguire il miglior interesse del minore.
Il legislatore della riforma del 2012-2013, nel valorizzare i legami parentali attratti dalla filiazione, ha disegnato un complesso di diritti e di doveri facenti capo ai parenti, che accompagnano il percorso di crescita del minore, con l’apporto di relazioni personali e di tutele patrimoniali.
Il figlio ha diritto «a mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis cod. civ.), a prescindere dal sussistere di legami fra i genitori (art. 337-ter cod. civ.). In particolare, i nonni sono tenuti a concorrere al mantenimento dei nipoti in via sussidiaria (art. 316-bis cod. civ.) e hanno «il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni», nel rispetto dell’«esclusivo interesse del minore» (art. 317-bis cod. civ.).
A questo nucleo di previsioni riformate, che accentuano il rilievo personalistico delle relazioni familiari, si aggiungono, poi, gli ulteriori effetti che, a partire dalle relazioni parentali, si diramano nell’intero sistema giuridico e concorrono alla tutela del figlio e alla costruzione dell’identità del minore.
7.1.2.– La normativa appena richiamata è, dunque, espressione sia del principio di eguaglianza sia del principio di tutela dell’interesse del minore che – come più volte ha evidenziato questa Corte (sentenze n. 102 del 2020, n. 272, n. 76 e n. 17 del 2017, n. 205 del 2015, n. 239 del 2014) – si radica anche nell’art. 31, secondo comma, Cost., che impegna la Repubblica a proteggere «l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
Non vi è dubbio, infatti, che la riforma della disciplina della parentela e dei suoi effetti sul piano personale, prima ancora che patrimoniale, siano focalizzati proprio sulla protezione del minore e sull’esigenza che egli cresca con il sostegno di un adeguato ambiente familiare, fermo poi restando che lo stato di figlio perdura per l’intera esistenza del soggetto.
La rete dei legami parentali incarna, dunque, uno dei possibili istituti che la Repubblica è chiamata a favorire al fine di proteggere, con una proiezione orizzontale dell’obiettivo costituzionale, l’interesse del minore.
8.– Chiariti i tratti della disciplina che opera quale tertium comparationis e la ratio della normativa sui legami parentali, con il suo ispirarsi a principi costituzionali, occorre ora verificare se la condizione giuridica del minore adottato in casi particolari possa essere equiparata allo status di figlio minore e se sussistano o meno ragioni che giustifichino il mancato instaurarsi di rapporti civili «tra l’adottato e i parenti dell’adottante», sì da escludere la irragionevolezza della disparità di trattamento.
8.1.– Innanzitutto, l’adozione in casi particolari riguarda i minori e si fonda sull’accertamento giudiziale che essa realizza il «preminente interesse del minore» (art. 57, comma 1, della legge n. 184 del 1983), obiettivo primario e principio ispiratore di tale istituto, come costantemente ribadito anche da questa Corte (sentenze n. 33 e 32 del 2021; n. 221 del 2019; n. 272 del 2017; n. 183 del 1994).
Quanto agli effetti che l’adozione in casi particolari genera, numerosi indici legislativi depongono nel senso del riconoscimento dello stato di figlio.
La condizione di figlio adottivo presenta, innanzitutto, i caratteri della tendenziale stabilità e permanenza, nonché dell’indisponibilità, come è tipico di uno status.
Il legislatore, inoltre, si avvale di un lessico inequivoco nell’identificare il rapporto fra genitore e figlio; utilizza cioè un linguaggio ben diverso da quello che adopera per altri istituti anch’essi finalizzati a proteggere il minore, quali la nomina del tutore o l’affidamento temporaneo.
L’adottante, ai sensi dell’art. 48, commi 1 e 2, della legge n. 184 del 1983, assume la «responsabilità genitoriale» e ha «l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall’art. 147 del codice civile», vale a dire la norma che contempla i «doveri verso i figli». Si applicano, inoltre, gli artt. 330 e seguenti cod. civ. (art. 51, comma 4, e 52, comma 4, della legge n. 184 del 1983).
In sostanza, si sommano la responsabilità genitoriale e i doveri verso i figli agli altri molteplici effetti dell’adozione di matrice codicistica: l’adottante trasmette il suo cognome all’adottato, che diviene suo erede non solo legittimo, ma legittimario; se il figlio adottivo non può o non vuole ereditare dall’adottante, opera la rappresentazione a beneficio dei suoi discendenti; l’adozione determina l’automatica revoca del testamento dell’adottante; sorgono fra adottato e adottante reciproci obblighi alimentari; il figlio adottivo è ricompreso nell’«ambito della famiglia» di cui all’art. 1023 cod. civ.; i vincoli parentali rilevano ai fini dei divieti matrimoniali.
E ancora, se è vero che lo status è appartenenza a una comunità, non può tacersi che il legislatore, ancor prima che la novella di riforma dell’art. 74 cod. civ. alludesse al possibile sorgere di rapporti familiari, ha palesato, con l’art. 57, comma 2, della legge n. 184 del 1983, che l’adozione di un minore non può prescindere dal suo inserimento in un contesto familiare. Nel decidere sull’adozione in casi particolari, il giudice deve verificare non soltanto «l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore» dell’adottante, ma anche valutare «l’ambiente familiare degli adottanti».
8.2.– Il quadro normativo richiamato palesa, dunque, che il minore adottato ha lo status di figlio e nondimeno si vede privato del riconoscimento giuridico della sua appartenenza proprio a quell’ambiente familiare, che il giudice è chiamato, per legge (art. 57, comma 2, della legge n. 184 del 1983), a valutare, al fine di deliberare in merito all’adozione. Ne consegue che, a dispetto della unificazione dello status di figlio, al solo minore adottato in casi particolari vengono negati i legami parentali con la famiglia del genitore adottivo.
Irragionevolmente un profilo così rilevante per la crescita e per la stabilità di un bambino viene regolato con la disciplina di un istituto, qual è l’adozione del maggiore d’età, plasmato su esigenze prettamente patrimoniali e successorie.
La norma censurata priva, in tal modo, il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni.
Al contempo, la disciplina censurata lede il minore nell’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare del genitore adottivo e, dunque, dall’appartenenza a quella nuova rete di relazioni, che di fatto vanno a costruire stabilmente la sua identità.
8.3.– La connotazione discriminatoria della norma censurata non può, d’altro canto, reputarsi superata adducendo, quale ragione giustificativa della diversità di trattamento del minore adottato in casi particolari, la circostanza che tale adozione non recide i legami con la famiglia d’origine.
In realtà, l’aggiunta dei legami familiari accomunati dallo stipite, da cui deriva il genitore adottivo, a quelli accomunati dallo stipite, da cui discende il genitore biologico, non è che la naturale conseguenza di un tipo di adozione che può pronunciarsi anche in presenza dei genitori biologici e che vede, dunque, il genitore adottivo, che esercita la responsabilità genitoriale, affiancarsi a quello biologico.
Come sottolinea la più recente giurisprudenza di legittimità, «l’adozione in casi particolari ex art. 44 l. adoz. crea un vincolo di filiazione giuridica che si sovrappone a quello di sangue, non estinguendo il rapporto con la famiglia di origine» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 22 novembre 2021, n. 35840; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 13 maggio 2020, n. 8847).
Deve, allora, ritenersi che, se l’unicità dello status di figlio si spiega dove serve a evitare il contrasto fra due diverse verità (art. 253 cod. civ.), viceversa, quando è lo stesso legislatore ad affiancare al genitore biologico il genitore adottivo e a sovrapporre due vincoli di filiazione, l’unicità della famiglia si tramuta in un dogma, che tradisce il retaggio di una logica di appartenenza in via esclusiva.
Sennonché l’idea per cui si possa avere una sola famiglia appare smentita proprio dalla riforma della filiazione e da come il principio di eguaglianza si è riverberato sullo status filiationis. Il figlio nato fuori dal matrimonio ha, infatti, a ben vedere, due distinte famiglie giuridicamente tra di loro non comunicanti.
Occorre, poi, ulteriormente precisare che la disciplina censurata non trova alcuna giustificazione nell’assunto di evitare una distonia nell’avere una famiglia adottiva, oltre a quella d’origine.
Tale motivazione è, invero, contraddetta dall’esigenza di proteggere l’identità del minore, che è quella di un bambino che vive in un nuovo nucleo familiare, anche se talora continua ad avere dei rapporti con i parenti d’origine o con lo stesso genitore biologico. L’identità stessa del bambino è connotata da questa doppia appartenenza, e disconoscere i legami che scaturiscono dal vincolo adottivo, quasi fossero compensati dai rapporti familiari di sangue, equivale a disconoscere tale identità e, dunque, non è conforme ai principi costituzionali.
Del resto, proprio l’esigenza di rispettare l’identità del minore spiega la necessità di riconoscere i nuovi legami familiari, anche nel caso in cui il bambino orfano venga adottato dai suoi stessi parenti.
L’adozione già oggi incide giuridicamente sul rapporto dell’adottante con il minore, sicché nel caso in cui, ad esempio, la zia adotta il nipote, al suo precedente ruolo si sovrappone quello di madre adottiva, con tutti gli effetti giuridici che ne conseguono. Non si comprende, allora, perché questo non debba coinvolgere anche gli altri componenti del nucleo familiare.
Ma, soprattutto, se si ripercorre la casistica che dà accesso all’adozione in casi particolari ci si avvede che si tratta di situazioni che richiedono di potenziare le tutele e non certo di ridurle. Vengono in considerazione minori orfani o orfani con disabilità, che sono adottati da terzi quando non vi sia la disponibilità dei parenti (art. 44, comma 1, lettere a e c); minori abbandonati (e dunque senza una famiglia che si prenda cura di loro), ma non adottabili (art. 44, comma 1, lettere d); minori semi-abbandonati, con genitori e famiglie inidonei ad occuparsi adeguatamente di loro (art. 44, comma 1, lettera d); minori che vivono in un nuovo nucleo familiare (art. 44, comma 1, lettera b); minori che hanno un solo genitore (art. 44, comma 1, lettera d).
Si tratta, in sostanza, di bambini o ragazzi per i quali la nuova rete di rapporti familiari non è certo un privilegio, quanto piuttosto costituisce, oltre che un consolidamento della tutela rispetto a situazioni peculiari e delicate, il doveroso riconoscimento giuridico di relazioni, che hanno una notevole incidenza sulla crescita e sulla formazione di tali minori e che non possono essere negate, se non a costo di incidere sulla loro identità.
9.– Evidenziate le ragioni del contrasto con gli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., la norma censurata palesa una violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
La Corte EDU, oltre ad aver interpretato in senso ampio il concetto di vita familiare, di cui all’art. 8 CEDU, includendovi le relazioni adottive che devono creare vincoli non diversi da quelli biologici (Corte EDU, sentenza, 28 novembre 2011, Negrepontis-Giannisis contro Grecia; sentenza 15 dicembre 2004, Plau e Puncernau contro Andorra; sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio), ha anche precisato – in una risalente e storica sentenza relativa a una disciplina, che consentiva alla madre non coniugata di creare un legame con la figlia “illegittima” solo tramite l’adozione semplice – che simile istituto determinava una violazione dell’obbligo positivo a garantire la vita familiare. Tale adozione era, infatti, inidonea a far sorgere legami parentali, che – secondo la Corte EDU – rappresentano «una parte considerevole della vita familiare» (Corte EDU sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, paragrafo 45, secondo cui «[i]n the Court’s opinion, “family life” within the meaning of Article 8 includes the ties between near relatives, for instance those between grandparents and grandchildren, since such relatives may play a considerable part in family life. “Respect” for a family life so understood implies an obligation for the State to act in a manner calculated to allow these ties to develop normally»).
Al contempo, la Corte EDU ha messo in luce come la filiazione riguardi un profilo basilare dell’identità stessa del minore, il che attrae tale concetto nella nozione di vita privata e familiare (Corte EDU, sentenza 26 settembre 2014, Mennesson contro Francia, paragrafi 96-101; sentenza 26 settembre 2014, Labassee contro Francia, paragrafi 75-80).
Di recente, poi, la Corte EDU è intervenuta con specifico riferimento alla posizione dei minori nati a seguito del ricorso alla tecnica della surrogazione di maternità – la fattispecie oggetto del giudizio a quo – e ha fornito, a riguardo, una duplice indicazione ermeneutica.
Da un lato, ha escluso che dall’art. 8 CEDU si possa inferire un diritto al riconoscimento dei rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla surrogazione di maternità, e ha dato atto di un ampio margine di apprezzamento spettante agli Stati membri in merito alla possibilità di riconoscere tali rapporti di filiazione (Corte EDU, sentenza 18 agosto 2021, Valdìs Fjölnisdóttir e altri contro Islanda, paragrafi 66-70 e 75; sentenza 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafi 197-199; sentenza Mennesson, paragrafo 74; sentenza Labassee, paragrafo 58).
Da un altro lato, ove emerga l’esigenza di tutelare l’interesse del minore a preservare un legame che de facto si sia venuto a consolidare con il genitore d’intenzione, la Corte EDU ha sottolineato che, in tal caso, debba essere riconosciuto un rapporto di filiazione anche a tutela della stessa identità del minore (Corte EDU, sentenza Mennesson, paragrafi 80, 87 e seguenti; sentenza Labassee, paragrafi 75-80; nonché, sulle circostanze che fanno emergere l’interesse del minore da preservare, si veda anche sentenza Paradiso e Campanelli, paragrafo 148).
A fronte di tale interesse, la Corte EDU ha poi precisato che gli Stati membri, pur restando liberi di individuare l’istituto più consono a garantire la tutela del minore, nel bilanciamento con le varie esigenze implicate, incontrano nondimeno un limite al loro margine di apprezzamento nella «condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all’interesse superiore del bambino» (sentenza di questa Corte n. 33 del 2021, che richiama il paragrafo 51, della sentenza della Corte EDU, 16 luglio 2020, D. contro Francia; in senso conforme si vedano anche la decisione 12 dicembre 2019, C. ed E. contro Francia, paragrafo 42, nonché Corte EDU, grande camera, parere consultivo 9 aprile 2019, paragrafo 54, reso ai sensi del Protocollo n. 16, non ratificato dall’Italia).
Ebbene, poiché il riconoscimento al minore di legami familiari con i parenti del genitore, in conseguenza dell’acquisizione dello stato di figlio, riveste – come si è sopra evidenziato (Corte EDU, sentenza Marckx, paragrafo 45) – un significato pregnante e rilevante nella nozione di “vita familiare” e va a comporre la stessa identità del bambino (sentenza Mennesson, paragrafi 96-101; sentenza Labassee, paragrafi 75-80), si deve ritenere che la norma censurata, ponendosi in contrasto con l’art. 8 CEDU, violi gli obblighi internazionali di cui all’art. 117, primo comma, Cost.
La declaratoria di illegittimità costituzionale rimuove, dunque, un ostacolo all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari (Corte EDU, sentenza D. contro Francia, paragrafo 51; decisione C. ed E. contro Francia, paragrafo 42; nonché il parere del 9 aprile 2019, paragrafo 54) e consente a tale istituto, la cui disciplina tiene in equilibrio molteplici istanze implicate nella complessa vicenda, di garantire una piena protezione all’interesse del minore.
10.– In conclusione, l’art. 55 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui esclude, attraverso il rinvio all’art. 300, secondo comma, cod. civ., l’instaurarsi di rapporti civili tra il minore adottato in casi particolari e i parenti dell’adottante, vìola gli artt. 3, 31, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.
La rimozione della disposizione censurata nel suo rinvio all’art. 300, secondo comma, cod. civ non richiede coordinamenti sistematici, poiché, con riferimento alle relazioni parentali, è l’art. 74 cod. civ., come novellato nel 2012, che svolge tale precipua funzione.
La declaratoria di parziale illegittimità costituzionale non fa che rimuovere l’ostacolo legislativo che impediva di riferire il richiamo al figlio adottivo, di cui all’art. 74 cod. civ., al minore adottato in casi particolari.
Tale esito consente, pertanto, l’espansione dei legami parentali tra il figlio adottivo e i familiari del genitore adottante che condividono il medesimo stipite, mantenendo – grazie alla definizione adamantina dell’art. 74 cod. civ. – la distinzione fra i parenti della linea adottiva e quelli della linea biologica.
La chiarezza del meccanismo disegnato dall’art. 74 cod. civ. permette, di riflesso, di applicare, in maniera del tutto lineare, le conseguenze e gli effetti giuridici che nel sistema normativo discendono dalla sussistenza dei legami familiari, sicché potranno applicarsi al figlio adottivo tutte le norme che hanno quale presupposto l’esistenza di rapporti civili fra l’adottato e i parenti dell’adottante.