La sentenza ripercorre con puntualità le normative nazionali ed internazionali inerenti alla tutela dell’anonimato della madre biologica non riconoscente il figlio al momento del parto ed il contrapposto diritto di quest’ultimo alla conoscenza delle proprie origini. Nelle conclusioni il testo della Suprema Corte stabilisce anche i punti fermi del processo di bilanciamento necessario alla corretta applicazione dei diritti in parola.
Cassazione civile, sez. I, 9 settembre 2022, n. 26616
Testo rilevante della decisione
- Il P.G. ricorrente lamenta, con unico motivo, nei due procedimenti, la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c,p.c., dell’art.28 1.1841983, per avere la Corte d’appello ritenuto recessivo il diritto all’anonimato della madre biologica defunta rispetto al diritto dell’adottato di ricerca delle proprie origini, non riconoscendo tutela al diritto della defunta all’immagine sociale, all’identità ed al trattamento dei dati personali.
- Appare necessario premettere alcuni cenni sul quadro normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto la questione centrale del giudizio, il bilanciamento tra diritti fondamentali, quello dell’adottato all’accesso alle proprie origini e il diritto all’anonimato esercitato dalla madre naturale al momento del parto. Con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (sottoscritta il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176), prima, e con la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia dì adozione internazionale (sottoscritta il 29 maggio 1993 e ratificata con legge 31 dicembre 1998 n. 476, poi, nella nostra legislazione ordinaria, è stato preso in considerazione il diritto di ciascuno di conoscere le proprie radici. L’impegno assunto in sede internazionale ha trovato attuazione con la modifica dell’art. 28 della I. n. 184 del 1983, ad opera dell’art. 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina 4 (omissis) dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile). Nel nuovo testo, infatti, pur essendo conservato il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile, è stato consentito all’adottato di accedere, seppur in presenza di specifiche condizioni, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei genitori biologici. I commi cinque e sei del menzionato art.28 così recitano: «5.L.’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. Il successivo comma 7, come introdotto per effetto della Legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), sanciva, tuttavia, che «L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo». Il comma 7 del più volte menzionato art.28 è stato quindi modificato dall’art.177, comma 2, della I. 196/2003 («7. L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, Gomma 1, del decreto del Presidente della 6 Repubblica 3 novembre 2000, n. 396»). La norma richiamata dispone, a sua volta: «La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata». Il nostro legislatore, quindi, ha scelto di tutelare senza limitazioni il diritto all’anonimato della madre, in quanto verhva precluso a chiunque e, quindi, anche al figlio, di accedere alle informazioni riguardanti la propria origine, e stabilita, altresì, l’impossibilità di chiedere il rilascio del certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, comprensivi dei dati personali della madre, se non trascorsi cento anni dalla formazione dello stesso documento.
Il comma 7 dell’art.28, nella stesura successiva alla 7 1.196/2003 (Nuovo Codice della Privacy) – il cui art.177 è ora abrogato per effetto del d.lgs, 101/2018 – con il quale si segnava il limite assoluto all’accesso alle origini in caso di parto anonirno era stato già caducato dall’intervento della Consulta del 2013, che, come si esporrà nel successivo paragrafo, con pronuncia di declaratoria di illegittimità costituzionale cd. additiva di principio, ha altresì introdotto il principio secondo il quale il figlio possa chiedere al giudice di interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato, a suo tempo fatta. Il legislatore non è ancora intervenuto per assicurare piena attuazione al riconoscimento del diritto alle origini del figlio adottivo, attraverso la regolamentazione della procedura di accesso alle origini da parte dell’adottato nato da madre che abbia scelto l’anonimato. 3.1. Con la sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 è stata dichiarata «l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dall’art. 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, Gomma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai tini di una eventuale revoca di tale dichiarazione», evidenziandosi l’irragionevolezza dell’irreversibilità del segreto conseguente alla scelta di anonimato operata dalla madre partoriente, in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost.. 8 Le Sezioni Unite (Cass. 1946/2017), intervenute su questione di primaria importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto, nell’interesse della legge: «In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativi, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità».
Sempre questa Corte (Cass.22497/2021; conf. Cass. 7093/2022 ) ha chiarito che «il figlio nato da parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a conservare l’anonimato, e deve pertanto consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, occorrendo però tutelare anche l’equilibrio psico fisico della genitrice; pertanto il diritto all’interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta di anonimato. Con la sentenza n. 15024/2016, si è poi affermato che sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre, sul rilievo che ciò determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta, anche dopo la sua morte, e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la reversibilità del segreto e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale scelta.
4.Tanto premesso, venendo all’esame dei ricorsi, le doglianze sono infondate. Con il motivo (riprodotto nei due ricorsi riuniti), il ricorrente deduce, dei tutto genericamente, la violazione di legge con ii richiamo alla «necessità prioritaria di tutelare l’anonimato della madre perché 13 rivelarne l’identità equivarrebbe ad annullarne l’identità» e alla necessità di tutelare, anche dopo !a morte, l’immagine sociale e l’identità della donna, la cui dichiarazione di anonimato non sia stata mai revocata in vita, anche dopo la morte. Orbene, la necessità di un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre in caso di parto anonimo ed il diritto di conoscere le proprie origini, vale a dire tra il segreto materno successivo al parto anonimo ed il diritto del figlio biologico ad accedere alle informazioni sulla madre e sulla famiglia biologica, tali da permettere una ridefinizione del proprio paradigma identitario, permane, malgrado l’abrogazione dell’art.177 d.lgs. 196/2003, in quanto il parto anonimo riceve ancora tutela nel nostro ordinamento e il disposto dell’art.93 d.lgs. 196/2003, sia pure come interpretato da questa Corte, non è stato modificato dal d.lgs. 101/2018. Tuttavia, va ribadita la diversità di trattamento, tra l’ipotesi in cui la madre naturale che aveva scelto l’anonimato ai momento del parto sia ancora in vita e quella in cui la stessa sia deceduta, al momento dell’istanza di accesso alle origini del figlio, poiché la distinzione è coerente con quanto ha affermato questa Corte in ordine alla conoscenza delle proprie origini da parte del figlio adottivo, in caso di parto anonimo. Solo la madre vivente può manifestare il proprio dissenso alla richiesta del figlio, nell’esercizio di propri personalissimi diritti soggettivi; in caso di decesso, invece, il figlio può essere autorizzato dal Tribunale minorile ad accedere alle informazioni riservate sull’identità della propria madre, senza particolari ostacoli.
Cassazione civile, sez. I, 9 settembre 2022, n. 26616