<p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 19 aprile 2022 n. 100</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, secondo comma, lettera b), del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni, in legge 6 luglio 1939, n. 1272, come sostituito dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nel testo riformulato dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 30, commi primo e terzo, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– Rispetto a entrambe le questioni sollevate dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti, il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità, sostenendo che l’intervento sollecitato «appare senz’altro creativo ed eccedente rispetto ai poteri della Corte, implicando scelte affidate alle valutazioni del legislatore».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.– La disamina dell’eccezione richiede alcune preliminari considerazioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Vale anzitutto precisare che, dal punto di vista dell’eccepita inammissibilità, le due questioni sollevate dalla Corte dei conti devono essere trattate congiuntamente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per un verso, infatti, si apprezza un nesso di pregiudizialità che lega la seconda con la prima: qualora fosse esatta la prospettazione dell’Avvocatura dello Stato, nel senso della esclusione della possibilità per questa Corte di sostituirsi al legislatore nell’opera di riequilibrio delle quote, la conseguente declaratoria di inammissibilità travolgerebbe non solo la seconda questione (volta proprio a determinare le quote), ma anche inevitabilmente la prima, in quanto non sarebbe praticabile l’addizione nel senso auspicato dal rimettente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non potrebbe infatti statuirsi che il figlio superstite, nella fattispecie de qua, abbia diritto al medesimo trattamento che la legge riserva al figlio orfano di entrambi i genitori, qualora dovesse negarsi che la quota del 70 per cento, insieme a quella del 60 per cento spettante al coniuge, possa da questa Corte essere riproporzionata nei sensi auspicati dal rimettente, in modo cioè da non superare l’intero ammontare della pensione, come previsto dall’art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939. Del resto, l’invalicabilità di questo tetto non è posta in discussione dal rimettente e non rientra, pertanto, nell’odierno thema decidendum.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2.– Per altro verso, la disamina dell’eccezione di inammissibilità comporta, per sua stessa natura, l’anticipazione di taluni aspetti afferenti, più propriamente, al merito della prima delle due questioni sollevate. E infatti, in tanto può porsi un problema di riequilibrio delle quote da riconoscersi ai superstiti aventi diritto, in quanto si riconosca preliminarmente che l’attuale sistema di riparto – quale delineato dal censurato art. 13, secondo comma, del r.d.l. n. 636 del 1939, nella formulazione da ultimo introdotta attraverso l’art. 22 della legge n. 903 del 1965 – non è idoneo a fornire risposte costituzionalmente adeguate alle esigenze emergenti dalla fattispecie sottoposta al giudizio del rimettente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quella fattispecie, invero, reclama un riallineamento del sistema delle quote che sia conforme agli artt. 3 e 30 Cost., in termini non dissimili da quelli già precisati da questa Corte nell’invocata sentenza n. 86 del 2009 – avente ad oggetto l’istituto della cosiddetta rendita infortunistica corrisposta dall’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL), di cui all’art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965 –, il cui contenuto di principio, sia pure adattato alla fattispecie che viene in considerazione nel giudizio a quo, merita in questa sede di essere pienamente confermato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.3.– Sul presupposto che, riguardo ad una famiglia di fatto, il convivente more uxorio non debba essere ricompreso tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità (in quanto, come affermato da questa Corte, tale esclusione «trova una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca»), la sentenza n. 86 del 2009 ebbe a considerare la situazione peculiare che si veniva a determinare in capo al figlio della coppia, unico beneficiario – quale figlio superstite del lavoratore deceduto – della rendita di reversibilità prevista dall’art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tale situazione faceva emergere «una discriminazione fra figli naturali e figli legittimi che si pone in contrasto con gli artt. 3 e 30 Cost.». E infatti, qualora il figlio superstite sia nato all’interno di un matrimonio, egli, oltre alla quota del 20 per cento (prevista in suo favore dall’art. 85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 1124 del 1965), può sempre contare, indirettamente, anche sulla quota del 50 per cento che (a norma dello stesso art. 85, primo comma, numero 1), spetta al coniuge superstite, genitore di quel figlio. Invece, al figlio superstite nato fuori dal matrimonio la legge attribuiva solo la quota del 20 per cento, senza che egli potesse beneficiare, neanche in modo indiretto, di quel «plus di assistenza» proveniente dall’altro genitore (al quale, in quanto non coniugato, non spetta alcuna quota). Fu, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spettava il quaranta per cento della rendita, escludeva che essa spettasse nella stessa misura anche all’orfano di un solo genitore naturale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In sostanza, questa Corte equiparò la posizione del figlio superstite nato fuori del matrimonio, il quale non può godere, neppure in via indiretta, di altra quota, per il fatto che l’altro suo genitore ancora in vita non è titolare del diritto alla reversibilità, alla posizione del figlio superstite orfano di entrambi i genitori, il quale – parimenti – non può contare su nessun’altra quota di reversibilità. Il riequilibrio della discriminazione (tra figli nati nel e fuori del matrimonio) fu, quindi, recuperato mediante l’estensione della disciplina prevista in favore del figlio orfano di entrambi i genitori, ossia con il riconoscimento della quota del quaranta per cento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.4.– Una situazione sostanzialmente analoga ricorre nel caso oggi all’esame della Corte.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella disciplina delle quote della pensione indiretta o di reversibilità, di cui all’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, è invero apprezzabile, negli stessi termini di cui alla sentenza n. 86 del 2009, una discriminazione tra figli nati fuori dal matrimonio e figli nati nel matrimonio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per un verso, se il figlio superstite è nato nel matrimonio, egli, oltre alla propria quota del 20 per cento (quale stabilita dall’art. 13, secondo comma, lettera b), del r.d.l. n. 636 del 1939), può sempre contare, indirettamente, anche su un plus di assistenza derivante dalla quota del 60 per cento che per legge (art. 13, secondo comma, lettera a) spetta al coniuge superstite suo genitore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per altro verso, se il figlio superstite è invece nato fuori dal matrimonio, egli può contare solo sulla quota del 20 per cento a lui direttamente attribuita. È evidente che, nei casi come quello in esame, e a differenza del caso sotteso alla pronunzia di questa Corte del 2009, vi è bensì un altro avente diritto alla quota di reversibilità – l’ex coniuge superstite –, ma costui non è genitore di quel figlio: la mancanza del rapporto di filiazione fa, quindi, presumere che quest’ultimo non potrà beneficiare, neppure indirettamente, di tale quota.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La condizione del figlio nato fuori dal matrimonio, dunque, ai fini che qui interessano, è comparabile a quella del figlio orfano di entrambi i genitori. Come nel caso deciso nel 2009, dunque, anche nella presente fattispecie c’è una diseguaglianza sostanziale che è necessario riequilibrare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.5.– Non sono condivisibili, del resto, gli argomenti spesi dall’INPS nel presente giudizio, volti a sollecitare questa Corte a un revirement rispetto al precedente del 2009.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anzitutto, non assume alcun peso, ai fini che rilevano nel presente giudizio, la distinzione tra l’istituto della rendita INAIL (oggetto di quel precedente), che ha natura indennitaria, e la reversibilità della pensione ai superstiti, che sorge dal vincolo di solidarietà e ha natura previdenziale. È pur vero – come osservato dall’INPS – che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la rendita prevista dal d.P.R. n. 1124 del 1965 costituisce una prestazione economica a carattere indennitario, avente funzione di copertura del pregiudizio patrimoniale subito (da ultimo, si veda Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 18 ottobre 2019, n. 26647): caratteristiche che, invece, non si rinvengono nella pensione indiretta, la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, mutua la natura di retribuzione differita dalle proprie connotazioni previdenziali (ex plurimis, sentenza n. 174 del 2016). Tuttavia, il principio che ha ispirato la sentenza n. 86 del 2009, ossia l’uguaglianza tra figli nati nel e fuori del matrimonio, va rispettato anche nella fattispecie in esame.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non è condivisibile nemmeno l’ulteriore argomento difensivo utilizzato dall’INPS, facente leva su una presunta discriminazione che, in caso di estensione della quota del 70 per cento nei sensi auspicati dal rimettente, si determinerebbe tra figlio nato nel matrimonio (che beneficerebbe di tale quota in caso di morte di entrambi i genitori) e figlio nato fuori del matrimonio (che conseguirebbe la medesima quota pur quando sopravviva l’altro suo genitore, che contribuisce al suo sostentamento). Questa obiezione non tiene conto del fatto che il principio affermato dalla sentenza n. 86 del 2009 va inteso entro la cornice in cui opera l’istituto della pensione di reversibilità (o della pensione indiretta), che è quella – come costantemente affermato da questa Corte – volta a preservare il vincolo di solidarietà che lega il dante causa ai suoi familiari, proiettandone la forza cogente anche nel tempo successivo alla morte (sentenza n. 174 del 2016; in precedenza, anche sentenze n. 419, n. 180 e n. 70 del 1999). Tale obiettivo deve, evidentemente, essere riferito in egual misura sia al figlio nato nel matrimonio, sia a quello nato fuori del matrimonio. Sotto questa prospettiva, non rilevano le condizioni soggettive del figlio, ossia il fatto che egli possa contare, o meno, sull’altro genitore ancora in vita (così come su qualsiasi altra provvidenza, anche indiretta, che possa derivargli da terzi).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Né, infine, può sostenersi che il principio sotteso alla sentenza di questa Corte n. 86 del 2009 configurerebbe una sorta di “vincolo di destinazione”, a favore dei figli, della quota di spettanza del genitore superstite. La ratio di quella decisione, estensibile anche alla fattispecie oggetto dell’odierno giudizio, risiede nella situazione di fatto oggettivamente più favorevole per il figlio che abbia un genitore titolare di quota rispetto a quella del figlio che non lo abbia. Ciò, sulla base della presunzione che il dovere di mantenimento dei figli sarebbe, nel primo caso, agevolato dalla reversibilità della pensione spettante al genitore defunto. Nessun “vincolo di destinazione”, giuridicamente rilevante, può farsi cioè discendere dalla sentenza n. 86 del 2009, ma solo la necessità di riequilibrare una diseguaglianza “di fatto” che si traduce nel vulnus ai principi di solidarietà sottesi all’istituto della reversibilità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– La sussistenza, in astratto, di validi argomenti a sostegno della fondatezza, nel merito, della prima questione sollevata dalla Corte dei conti rimettente rende attuale il problema veicolato dalla seconda questione, concernente il necessario riequilibrio delle quote spettanti agli aventi diritto al fine di non valicare il limite del 100 per cento, previsto dall’art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939: questione che si pone nei casi, come quello che ha dato origine al giudizio a quo, in cui una quota della pensione di reversibilità spetti al figlio nato fuori dal matrimonio ed altra al coniuge superstite, non genitore del primo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il rimettente, come visto, propone di risolvere tale problema mediante una sentenza additiva di questa Corte che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dei commi secondo e quarto dell’art. 13, introduca un meccanismo di ricalcolo “proporzionale” delle quote previste dalla legge, così da ricondurne la somma entro il limite suddetto. In tal modo, pur a fronte di un limitato sacrificio per entrambi gli aventi diritto (i quali si vedrebbero decurtate le quote di rispettiva spettanza), verrebbero soddisfatte, a suo dire, esigenze di equità e di ragionevolezza, mantenendosi fermo il tetto fissato dal legislatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È a questo riguardo che assume portata dirimente l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa erariale, eccezione che è fondata e va accolta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pur a fronte dell’inadeguatezza del sistema attualmente vigente – che, come visto, confina all’oblìo le ragioni di bisogno del figlio superstite che concorre nella reversibilità con altro avente diritto non legato a lui da rapporto di filiazione – non può, però, chiedersi a questa Corte una diretta e autonoma rideterminazione delle quote. Si tratterebbe, infatti, di un intervento all’evidenza manipolativo, tale da invadere l’ambito di discrezionalità riservata al legislatore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella fattispecie in esame non è anzitutto ravvisabile una conclusione costituzionalmente obbligata (ex plurimis, sentenze n. 152 del 2020, n. 248 del 2014 e n. 23 del 2013), palesandosi, piuttosto, una pluralità di criteri risolutivi che, in astratto, si possono tutti prospettare come praticabili. La scelta tra di essi, ovvero – in ipotesi – la scelta di un criterio ancora diverso, non può che spettare al legislatore, il quale, del resto, non ha mancato di cimentarsi, in passato, con le più varie soluzioni, afferenti al medesimo istituto della reversibilità ovvero ad istituti analoghi o finanche diversi: e si tratta di soluzioni che sono state messe in campo anche per far fronte ad istanze sovrapponibili, in misura più o meno ampia, a quella che ha mosso l’odierna questione di legittimità costituzionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali soluzioni, proprio per la loro varietà, non possono essere assunte come grandezza o misura di riferimento da parte di questa Corte, neppure ai fini di una sentenza additiva volta a introdurre una soluzione costituzionalmente adeguata, ispirata – ai fini di assicurare una tutela effettiva a diritti fondamentali – alla ratio sottesa ai suddetti interventi (ex plurimis, sentenze n. 62 e n. 28 del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– Pertanto, entrambe le questioni sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, devono essere dichiarate inammissibili, in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore circa l’individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario (da ultimo, sentenza n. 151 del 2021).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tuttavia, questa Corte non può esimersi dal segnalare la necessità di un tempestivo intervento del legislatore, atto a colmare la lacuna che – per le ragioni dianzi poste in evidenza – compromette i valori costituzionali sottesi all’istituto della reversibilità, impedendo la piena soddisfazione del diritto a veder salvaguardata la forza cogente del vincolo di solidarietà familiare.</em></p>