La sentenza esamina la disciplina susseguente alla separazione ed al divorzio dei coniugi con particolare riferimento all’affidamento dei figli, al diritto dovere di visita ed alla ripartizione delle spese di viaggio ad esso collegate.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 30 settembre 2022, n. 28483
Testo rilevante della decisione
Con decreto del (Omissis) il Tribunale di X omologava la separazione consensuale dei coniugi A.A. e B.B., dalla cui unione matrimoniale era nato in data (Omissis) il figlio C.C.. Il A.A., nelle more della definizione della procedura exart. 710 c.p.c. intrapresa dalla B.B. proponeva ricorso per lo scioglimento del matrimonio, che veniva accolto dal Tribunale di X con sentenza non definitiva n. 1928/2016. Con sentenza n. 1241/2018, il Tribunale di X confermava le statuizioni adottate in sede presidenziale e disponeva l’affido condiviso del figlio, prevedendone la collocazione prevalente presso la madre e determinando gli obblighi di contribuzione a carico del padre non domiciliatario in Euro 650 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie. Inoltre, il Tribunale imponeva a carico del A.A. l’obbligo di corrispondere un assegno di divorzio in favore della B.B. Con sentenza n. 854/2019, pubblicata in data 21.11.2019, la Corte di appello di X accoglieva parzialmente l’appello proposto dal A.A. avverso la decisione del Tribunale, riformando la decisione impugnata con riferimento esclusivo al diritto di visita del padre con il minore. Confermava per il resto le altre statuizioni e rigettava la domanda di condanna al risarcimento dei danni avanzata dall’appellata, condannando l’appellante alla refusione delle spese di causa nella misura di 2/3 in ragione della maggiore soccombenza e compensando la restante parte. La Corte di appello osservava, in particolare che il Tribunale, dopo aver disposto numerosi accertamenti e verifiche sulla capacità genitoriale delle parti e sulle relazioni tra il minore ed i genitori nonchè sulle condizioni di vita del bambino, aveva correttamente deciso di collocare il minore in via privilegiata presso la madre, anche in ragione della sua maggiore libertà dal lavoro rispetto al padre, medico ospedaliero con turni di lavoro gravosi. Quanto al diritto di visita di quest’ultimo con il figlio la Corte riteneva corrette le valutazioni del Tribunale, disponendo unicamente la modifica del regime quanto al periodo estivo e a quello delle vacanze natalizie, pasquali e dei fine settimana. Quanto agli aspetti di natura economica, esclusa la possibilità di un mantenimento diretto del minore, la Corte di appello ha ritenuto congrue sia la misura dell’assegno di mantenimento che la quantificazione dell’assegno divorzile, come stabilite dal Tribunale. Il A.A., impugnando la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, ha proposto ricorso per cassazione contro la B.B., affidato ad otto motivi.
Ciò posto e passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento alla quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio. La Corte di appello, nel confermare la misura del detto contributo, avrebbe avuto esclusivo riguardo alle condizioni patrimoniali del padre e fatto generico riferimento alle esigenze del minore, omettendo ogni valutazione in ordine agli altri criteri contemplati dalla norma in ossequio al principio di proporzionalità. In particolare il A.A. si duole dell’omesso esame da parte del giudice di merito dell’incidenza dei maggiori tempi di permanenza del figlio presso di lui nonchè della valenza dei compiti domestici e di cura dallo stesso assunti, a fronte dell’ampliamento del diritto di visita paterno, oggetto di discussione tra le parti e disposto dalla Corte di appello, che nemmeno avrebbe preso in alcuna considerazione il peggioramento delle condizioni economiche del ricorrente evidenziato negli atti di causa. Tanto integrerebbe il vizio della motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, tale risultando – ad avviso del ricorrente – generica ed apparente.
Il motivo è inammissibile.
Ed invero il A.A., sotto le mentite spoglie di una censura di violazione di legge, dolendosi della non adeguata considerazione da parte della Corte di appello dei parametri normativi individuati dall’art. 337-ter c.c., comma 4, contesta in realtà la determinazione in concreto operata dal giudice di merito con riguardo al proprio concorso nell’onere di mantenimento del figlio, che involge una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori insindacabile in questa sede. Sotto altro profilo, la sentenza impugnata ha ritenuto che la misura stabilita dell’assegno “…appare consona alle possibilità del padre ed alle esigenze del bambino che ormai segue corsi sportivi e/o formativi ed ha crescenti esigenze anche dal punto di vista economico” ed ha quindi operato una valutazione sistematica al cui interno, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, ha tenuto conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass., n. 6197 del 22/03/2005 e Cass., n. 3974 del 19/03/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass., n. 4811 del 01/03/2018, Cass., n. 16739 del 06/08/2020 e Cass., n. 19299 del 16/09/2020), nonchè dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti -Cass., n. 17089 del 10/07/2013-. Ciò consente di escludere il prospettato vizio di omesso esame sulle circostanze dedotte dal ricorrente negli atti di causa, in realtà prese in considerazione dalla Corte territoriale ovvero ritenute irrilevanti ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento nell’interesse del figlio.
Con il secondo motivo il A.A. censura la sentenza impugnata nella parte in cui – senza che nessuna delle due parti avesse formulato qualsivoglia impugnazione in punto di regolamentazione delle spese di viaggio correlate all’esercizio del diritto dovere di visita del padre e ripartite dal primo giudice tra i genitori “in ragione del 50% ciascuno”, su cui si sarebbe formato, ad avviso del ricorrente, il giudicato -, ha affermato che “Quanto alle spese di viaggio che i genitori sostengono per accompagnare il bambino alla casa dell’altro, il buon senso degli stessi suggerirà loro di affrontare le spese relative a seconda di chi provvede all’incombente”. La Corte di appello sarebbe, pertanto, incorsa nel vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., dando peraltro luogo ad una reformatio in peius in danno dell’appellante.
Il motivo è infondato.
Giova premettere che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate -ex multis, Cass., n. 22595 del 26/10/2009; Cass., n. 29200 del 13/11/2018; Cass., n. 17897 del 03/07/2019; Cass., n. 16608 del 11/06/2021; Cass., n. 15734 del 17/05/2022-. Orbene, la Corte di appello, nel pronunciarsi in ordine alle spese di viaggio non ha introdotto un’autonoma ratio decidendi, essendosi piuttosto limitata ad integrare la statuizione sull’assegno di mantenimento, senza che fosse necessaria una specifica impugnazione sul punto, posto che tali oneri, inerendo strettamente al diritto di visita del genitore non collocatario, rientrano tra gli esborsi destinati ai bisogni ordinari del figlio, “che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento” – cfr. Cass. n. 379 del 13/01/2021; Cass., n. 1562 del 23/01/2020; Cass., n. 9372 del 08/06/2012-.
Passando all’esame del terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dei criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile indicati nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in ordine al riconoscimento dell’assegno divorzile. Inoltre, la sentenza impugnata, nel ritenere integrata la finalità assistenziale di tale emolumento, sarebbe incorsa nel vizio motivazionale in relazione alla ritenuta mancanza di mezzi adeguati e all’impossibilità di poterseli procurare per ragioni oggettive, avallando tali condizioni legittimanti il riconoscimento dell’assegno di divorzio con affermazioni apodittiche e contraddittorie rispetto alle risultanze acquisite agli atti. Lamenta altresì il ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame e/o errata valutazione di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, dai quali si desumerebbe una stabilità lavorativa tale da consentire alla resistente di condurre un’esistenza dignitosa dal punto di vista economico.
Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, il ricorrente contesta, sotto le mentite spoglie di una censura di violazione di legge, l’accertamento operato dal giudice di merito in punto di ritenuta sussistenza del prerequisito fattuale per il riconoscimento dell’assegno di divorzio. Ed invero, la doglianza del ricorrente nel senso che erroneamente la B.B. sarebbe stata ritenuta la più debole economicamente tra i due ex coniugi si scontra con la valutazione di merito della Corte di appello per cui la resistente “ha svolto (o svolge) una attività part time di insegnante di italiano nelle S.P.R.A.R. che è retribuita in misura che non le consente di condurre un’esistenza libera e dignitosa senza il contributo dell’ex marito”, tenuto conto anche “che la sua condizione di donna di circa 44 anni che vive in un centro piccolo della X e di madre di un ragazzino quasi adolescente non è tale da garantirle di rinvenire una occupazione che le consenta di vivere dignitosamente senza il contributo dell’ex coniuge”. Tali valutazioni, involgendo accertamenti di merito riguardanti scelte esistenziali effettuate dai coniugi in costanza di matrimonio, sono insindacabili in questa sede (cfr. Cass., n. 23318 del 23/08/2021, sui vari aspetti oggetto di accertamento da parte del giudice di merito con riferimento all’ipotesi in cui il coniuge richiedente l’assegno, dopo essersi dedicato nei primi anni del matrimonio esclusivamente alla famiglia – come nel caso in esame -, abbia intrapreso un’attività lavorativa a tempo parziale). Nè la motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla ritenuta mancanza di mezzi adeguati della B.B., può ritenersi apodittica e contraddittoria rispetto alle circostanze dedotte dal A.A. riguardanti scelte abitative e lavorative della ex moglie, non riscontrandosi nella specie una motivazione apparente – nemmeno ritualmente prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, avendo in ogni caso la sentenza impugnata dato conto che “ella si è portata presso i propri genitori dei quali è ospite insieme al figlio, ossia versa in una condizione abitativa che, per quanto si tratti della sua ex casa, non le permette di esplicare in pieno tutte le esigenze di vita che una persona adulta con un ragazzo può pretendere dalla vita”. Resta da aggiungere che il motivo è altresì inammissibile quanto al prospettato omesso esame delle questioni relative alle richiamate scelte abitative della donna, trattandosi di circostanze già valutate dalla Corte di appello e ritenute irrilevanti. Nè tantomeno è configurabile il prospettato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla carenza di prova da parte della resistente nei precedenti gradi di giudizio in ordine alla mancanza di mezzi adeguati nè parimenti sulle dichiarazioni dei redditi rese dalla resistente nelle precedenti fasi di merito. Ed infatti, l'”omesso esame” va inteso come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., n. 2268 del 26/01/2022; Cass., n. 21152 del 08/10/2014).
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 30 settembre 2022, n. 28483