Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 31 marzo 2021 n. 9006
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omogenitoriale ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I primi tre motivi di ricorso prospettano questioni preliminari e pregiudiziali.
8.1 Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 702 bis c.p.c., del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96, della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 67 in relazione al rilevato difetto di legittimazione ad agire del Sindaco, in qualità di ufficiale di Governo. Afferma, al riguardo, la parte ricorrente, che il Sindaco è esattamente l’autorità amministrativa che ha negato la trascrizione, avendo eseguito, secondo le proprie specifiche competenze, il controllo di compatibilità della trascrizione con il limite costituito dall’ordine pubblico che è oggetto del controllo giurisdizionale. Inoltre, il procedimento che s’instaura non ha natura di volontaria giurisdizione e richiede la specifica attivazione del contraddittorio.
La censura è fondata, come ritenuto anche dal Procuratore Generale, alla luce dei principi stabiliti nella recente pronuncia delle S.U. n. 12193 del 2019, cui si presta adesione e che sono stati così massimati:
“Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero e un cittadino italiano, dà luogo, se non determinato da vizi formali, a una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dalla L. n. 218 del 1995, art. 67 in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile destinatario della richiesta di trascrizione, ed eventualmente con il Ministero dell’interno, legittimato a spiegare intervento in causa e ad impugnare la decisione in virtù della competenza ad esso attribuita in materia di tenuta dei registri dello stato civile”.
8.2 La fondatezza della censura consente l’esame degli altri motivi, sia di natura preliminare e pregiudiziale che riguardanti il fondo del ricorso. Deve rilevarsi al riguardo che la sentenza impugnata non si è limitata al rilievo del difetto di legittimazione passiva del Sindaco ma ha esaminato analiticamente tutte le questioni che sono state prospettate nel presente ricorso, fondando la propria decisione su una specifica qualificazione giuridica della domanda, oggetto di discussione nel giudizio di merito ed in quello di legittimità e su un’ampia ricostruzione del limite costituito dai principi di ordine pubblico internazionale applicabili alla fattispecie, come illustrato nella parte narrativa nei paragrafi 4, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4.
8.3 Non viene, infatti, prospettata, nella formulazione del primo motivo, nè in quelli successivi, alcuna limitazione dell’illustrazione e dell’esame delle ragioni espresse negli atti difensivi del procedimento in unico grado svoltosi davanti alla Corte d’Appello di Milano da porsi in correlazione causale con l’erroneo rilievo del difetto di legittimazione passiva del Sindaco in qualità di ufficiale del Governo.
8.4 L‘accoglimento della censura, in conclusione, determina nella parte ricorrente, il riconoscimento della piena legittimazione alla proposizione del ricorso ed all’esame delle censure successive.
8.5 infine il riconoscimento della legittimazione attiva della parte ricorrente assorbe l’esame dell’eccezione relativa al difetto di rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato formulata dalle parti controricorrenti in memoria.
- Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. per essere stato proposto il ricorso davanti la Corte d’Appello, avverso il rifiuto di trascrizione dell’Ufficiale dello Stato civile, soltanto da uno dei genitori adottivi indicati nel provvedimento estero. Afferma la parte ricorrente che la mancata partecipazione in giudizio dell’altro determina un macroscopico difetto d’integrazione del contraddittorio, dovendo essere qualificati litisconsorti necessari entrambi i genitori adottivi. La partecipazione in giudizio di uno solo di essi non consente la verifica ineludibile della condivisione dell’interesse, sotteso alla domanda, alla trascrizione dell’atto anche nell’altro genitore non potendosi ignorare che la decisione produce effetti anche nei confronti della parte pretermessa.
9.1 La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 14987 del 2017 (non massimata), in fattispecie del tutto sovrapponibile riguardante la richiesta di trascrizione di un provvedimento di adozione di minore contenente l’indicazione in qualità di genitore adottante sia del ricorrente che dell’altro partner della coppia omoaffettiva, ha affermato che l’atto da trascrivere ha natura inscindibile quanto al riconoscimento dello status e che sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
9.2 Deve rilevarsi, tuttavia, che nel presente giudizio, il contraddittorio è stato integrato nel giudizio di legittimità con atto d’intervento successivo alla proposizione del ricorso. Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, qualora il litisconsorte necessario pretermesso in primo grado, intervenga volontariamente nel giudizio di secondo grado accettando la causa nello stato in cui si trova, e nessuna delle altre parti resti privata di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, non può essere rilevato il difetto di contraddittorio, nè si deve provvedere alla rimessione della causa davanti al primo giudice ma si deve procedere all’esame del merito ed alla decisione, anche in funzione dell’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. (Cass. 26631 del 2018).
Il principio affermato, pur essendo riferito al giudizio d’appello, può orientare nella valutazione della censura prospettata nel presente giudizio. La Corte di Cassazione intende dare preminenza al principio di effettività nella valutazione dell’esercizio e della lesione del diritto di difesa. Non si sottrae a questo preventivo vaglio neanche l’astratta violazione del principio dell’integrità del contraddittorio. Ne consegue che l’intervento volontario e pienamente adesivo dell’altro genitore adottivo nel giudizio di legittimità, consente di verificare la condivisione dell’interesse sotteso alla domanda volta alla trascrizione del provvedimento che attesta la genitorialità adottiva della coppia omogenitoriale e la assenza di alcun pregiudizio al diritto di difesa dell’interveniente.
Del resto, la formulazione, in modo meramente astratto, della censura contenuta nel secondo motivo, esclude anche in capo alla parte ricorrente che si sia determinato una qualsiasi limitazione all’esercizio del diritto di difesa, concretamente ricollegabile all’assenza dell’interveniente nella fase di merito ed in quella di legittimità che ha preceduto l’intervento.
- Con il terzo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 41,64,65,66; della L. n. 183 del 1984, artt. 35 e ss.; del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 28, comma 2, lett. g) e art. 96; del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 30 nonchè dell’art. 702 bis c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuto la propria competenza a decidere. Afferma, al contrario, la parte ricorrente che la competenza sia esclusivamente da ascrivere al Tribunale per i minorenni. La richiesta formulata all’ufficiale di stato civile è stata formulata D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 28, comma 2, lett. g) che si riferisce ai “provvedimenti di adozione”.
Il giudizio è, di conseguenza, un’opposizione al rifiuto di trascrizione dell’atto, di competenza del tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui tratta, come stabilito dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95. Evidenzia, inoltre, il ricorrente che il diniego è stato comunicato il 19/12/2014 ed il ricorso introduttivo del presente giudizio risulta depositato nel 2016. Sotto un altro versante normativo, la L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 2, prescrive che in materia di adozione dei minori si applichino le norme speciali, richiamando la L. n. 184 del 1983, art. 35, comma 5, nel quale è prevista una competenza per materia in favore del Tribunale per i minorenni del distretto in cui gli aspiranti hanno la residenza nel momento dell’ingresso in Italia.
Secondo la ricostruzione sistematica offerta dalla parte ricorrente, la fattispecie in esame è assimilabile ad un’adozione internazionale in senso tecnico, con conseguente competenza esclusiva del Tribunale per i minorenni, il quale ha il compito di verificare che dal provvedimento risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste nell’art. 4 della Convenzione firmata all’Aja il 29 maggio 1993, ed in particolare la non contrarietà dell’adozione ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori. La L. n. 218 del 1995 ha fatto salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione con l’art. 41, comma 2 così predicando il perdurante valore e la prevalenza di queste norme sulla disciplina di carattere generale contenuta nella legge di diritto internazionale privato.
Infine, la competenza del Tribunale per i minorenni sarebbe esclusiva anche ove la fattispecie in esame fosse riqualificabile come adozione non legittimante.
10.1. Al fine di stabilire se la Corte d’Appello abbia ritenuto correttamente la propria competenza è necessario esaminare, in primo luogo le norme di diritto internazionale privato applicabili astrattamente alla fattispecie dedotta nel presente giudizio.
10.2 In primo luogo, la L. n. 218 del 1995, art. 41, commi1 e 2 che stabilisce: “I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66. Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozioni dei minori.” Nella specie, la legge speciale che s’impone, secondo la parte ricorrente, come complesso normativo di applicazione necessaria per tutte le ipotesi di riconoscimento di provvedimenti stranieri in materia di adozione è la L. n. 184 del 1983, nella parte in cui (art. da 29 al 39 quater) disciplina la speciale procedura dell’adozione internazionale, introdotta, nel corpus originario della L. n. 184 del 1983, con la L. n. 479 del 1998 di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Ala per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993.
Tale complesso normativo prevede che l’intero procedimento relativo all’adozione internazionale, dall’idoneità degli adottanti alle modalità di acquisto dello status genitoriale sia assoggettato alla competenza esclusiva del Tribunale per i minorenni. Ai fini del riconoscimento del provvedimento estero di adozione (artt. 35 e 36), è necessaria la pregiudiziale verifica della ricorrenza dei requisiti specifici indicati dalle norme e del rispetto della procedura normativamente imposta.
Tuttavia, non tutti i provvedimenti esteri di adozione dei quali si chiede il riconoscimento confluiscono nella definizione normativa di “adozione internazionale”, ma al contrario, essa è limitata alle ipotesi in cui i richiedenti risiedano entrambi in Italia, o siano cittadini italiani risiedenti all’estero (art. 29 bis, comma 1 e 2). Nella specie il solo ricorrente è cittadino italiano ma ha, nel contempo ottenuto la cittadinanza degli (OMISSIS) per naturalizzazione.
Entrambe le parti, infine, risiedono negli (OMISSIS). Difettano, di conseguenza, radicalmente le condizioni soggettive di applicabilità del regime giuridico dell’adozione internazionale al provvedimento adottivo estero oggetto del presente giudizio.
10.3 La competenza del Tribunale per i minorenni, infine, è esclusa anche alla luce della L. n. 183 del 1984, art. 36, comma 4 che si riproduce: “L’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per I minorenni, purchè conforme ai principi della Convenzione”.
La disposizione prevede una modalità di riconoscimento del provvedimento adottivo estero da parte del Tribunale per i minorenni semplificata, nel caso in cui il riconoscimento venga richiesto da cittadini italiani che risiedano all’estero da almeno due anni ma ai richiedenti manca il requisito comune della cittadinanza italiana, così da escludere anche l’applicazione di questa norma ai fini della individuazione del giudice competente.
10.4 Deve essere esclusa anche la competenza del Tribunale ordinario D.P.R. n. 396 del 2000, ex artt. 95 e 96. L’art. 95 prevede espressamente che chi intende opporsi ad un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto od in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, un’annotazione od altro adempimento deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile ma la disposizione, per quanto riguarda la rettificazione ed il rifiuto d’iscrizione riguarda atti formati in Italia.
In ordine alle richieste di trascrizione, il sistema di controllo giurisdizionale fondato sui sopracitati artt. 95 e 96, deve coordinarsi con il regime giuridico del riconoscimento degli atti formati all’estero, in Unione Europea o fuori dell’Unione Europea, tenuto conto della tipologia di atto da riconoscere e del suo contenuto cogente.
Ne consegue che dal rifiuto della trascrizione di un provvedimento estero costitutivo di uno status sorge una controversia che ha ad oggetto non la dimensione formale dell’atto o l’ambito delle attribuzioni e competenze dell’ufficiale di stato civile, cui è rimessa la prima sommaria delibazione di compatibilità con l’ordine pubblico, ma l’accertamento della sussistenza delle condizioni previste dalla legge per il riconoscimento dell’efficacia dell’atto nel nostro ordinamento, sia sotto il profilo del rispetto delle garanzie processuali del contraddittorio che della non violazione del limite costituito dall’ordine pubblico.
In relazione alla trascrizione, pertanto, la competenza del tribunale è residuale e marginale, non potendo avere ad oggetto provvedimenti di rifiuto che si fondino su una valutazione negativa del rispetto del limite costituito dall’ordine pubblico.
10.5 Il provvedimento adottivo estero il cui riconoscimento in Italia venga richiesto da cittadini stranieri stabilmente residenti all’estero in relazione ad un minore, anch’esso cittadino dello Stato estero di cittadinanza dei richiedenti è assoggettato, quanto all’individuazione del giudice competente ed al regime giuridico applicabile alla L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 1 che, come già rilevato stabilisce: “I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66. La Corte Costituzionale con la pronuncia d’inammissibilità n. 76 del 2016 ha fornito rilevanti indicazioni in ordine all’ambito di applicazione dei due commi che compongono la L. n. 218 del 1995, art. 41 ed ha sottolineato la necessità di definire con esattezza le qualità soggettive dei richiedenti al fine di collocare il provvedimento da riconoscere nel corretto binario normativo sia in ordine al giudice competente che al contenuto del controllo giurisdizionale sull’atto estero.
Nella pronuncia è stato, in particolare, evidenziato che i due commi della norma prevedono differenti e alternativi procedimenti per giungere al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione e che la competenza del Tribunale per i minorenni, unitamente all’ampiezza del sindacato giurisdizionale ad essa connessa si applica, con riferimento all’ipotesi prevista nella L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 4 solo quando il riconoscimento venga richiesto da cittadini italiani che, trasferendo fittiziamente la residenza all’estero mirano ad eludere la rigorosa disciplina nazionale in materia di adozione di minori in stato di abbandono. Nessuna delle condizioni giuridiche e fattuali emergenti dal quadro normativo e dall’elaborazione giurisprudenziale su di esso intervenuta è riscontrabile nella fattispecie dedotta nel presente giudizio.
10.6 Deve, ritenersi, in conclusione, come già posto in luce da S.U. n. 12193 del 2019, in relazione a fattispecie radicalmente diversa quanto alle modalità di costituzione dello status genitoriale all’estero, perchè derivante da processo generativo fondato sulla gestazione per altri, ma parzialmente assimilabile quanto a condizioni soggettive del richiedente (cittadinanza italiana ma stabile residenza all’estero), che la controversia che origina dal rifiuto di trascrizione del provvedimento giurisdizionale estero di costituzione dello status filiationis, sia assoggettata al procedimento disciplinato dalla L. n. 218 del 1995, art. 67.
Il rito applicabile come riconosciuto anche dalla parte ricorrente è delineato dalla L. n. 218 del 1995, art. 67 ed D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 30 e la competenza in unico grado è da attribuire alla Corte d’Appello. Non sono previsti termini perentori per la proposizione del ricorso.
10.7 Non rileva, infine, la competenza del Tribunale per i minorenni nei procedimenti riguardanti le adozioni in casi particolari (L. n. 184 del 1983, art. 44) in quanto relativa a procedimenti che non hanno ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia nel nostro ordinamento di provvedimenti stranieri in tema di status genitoriali, ma l’esame di richieste, provenienti da singoli o da coppie di provvedimenti giurisdizionali volti alla costituzione di una peculiare forma di genitorialità adottiva, alla luce delle condizioni previste dalle norme che ne regolano l’acquisto. Al riguardo non risulta formulata in via subordinata una domanda volta al riconoscimento della diversa forma di adozione regolata dalla L. n. 184 del 1983, art. 44.
- Con il quarto motivo viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 6 della L. n. 218 del 1995, artt. 16 e 65; del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18 nonchè del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 47 e L. n. 184 del 1983, art. 25. La parte ricorrente contestala nozione di ordine pubblico internazionaleadottata dalla Corte d’Appello di Milano, ritenendo che debbano esservi inclusi anche principi derivanti dalla legge ordinaria, specie se riguardanti i limiti di accesso alla filiazione ed alla costituzione degli status.
In particolare, viene osservato nel motivo di ricorso, come non sia condivisibile che il limite costituito dall’eterosessualità della coppia adottante e la precondizione che tale coppia sia unita in matrimonio possano ritenersi principi recessivi in comparazione con il superiore interesse del minore, tenuto conto che il modello matrimoniale è costituzionalizzato e la stessa Corte Europea dei diritti umani ha ripetutamente evidenziato la discrezionalità degli Stati aderenti in relazione alle forme di riconoscimento delle unioni omoaffettive ed all’introduzione di limiti di accesso alla filiazione.
E’ stato inoltre evidenziato che la pronuncia n. 19599 del 2016 dalla quale la Corte d’Appello di Milano ha tratto la non condivisibile nozione di ordine pubblico internazionale, ha riguardato la richiesta di trascrizione di un atto di nascita di filiazione naturale relativo ad una coppia omogenitoriale femminile, ovvero una situazione di fatto non omologabile a quella oggetto del presente giudizio.
Il provvedimento di adozione di cui si chiede il riconoscimento si pone in evidente contrasto con il principio stabilito alla L. n. 184 del 1983, art. 6 in base al quale l’accesso all’adozione legittimante è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio, ovvero a coppie sposate eterosessuali. L’esclusione delle coppie omogenitoriali è, inoltre, confermato dal divieto di accesso all’adozione legittimante per le coppie omoaffettive, contenuta nella L. n. 76 del 2016, art. 1 comma 20, ancorchè formanti un’unione civile.
Il legislatore, all’interno del margine di apprezzamento riconosciuto anche dalla Corte Europea dei diritti umani ha inteso marcare la differenza tra unione civile e matrimoniale proprio in relazione alla filiazione, ha escluso l’accesso al matrimonio per le coppie omoaffettive, ed ha stabilito che i matrimoni contratti all’estero da coppie omoaffettive possano essere trascritti soltanto come unioni civili. Questi principi, saldamente ancorati sul modello di unione matrimoniale sancito nell’art. 29 Cost., costituiscono un limite ostativo di ordine pubblico in relazione al riconoscimento di provvedimenti esteri di adozione piena di figlio minore da parte di una coppia omoaffettiva, anche se legata in matrimonio, per mancanza dei requisiti di accesso a tale forma di genitorialità, previsti nel nostro ordinamento interno.
La legge applicabile è quella interna anche alla stregua delle regole di diritto internazionale privato, dal momento che l’art. 38 richiama espressamente l’applicazione del diritto interno quando è richiesta al giudice italiano l’adozione di un minore, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio legittimo.
Viene aggiunto che la L. n. 184 del 1983, art. 35, comma 3 prevede che in tema di adozione si debba accertare la non contrarietà ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori. Infine viene rilevato un vizio formale costituito dalla mancata allegazione delle autocertificazioni richieste D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 47.
- L‘ordinanza interlocutorian. 29071 del 2019, come illustrato nel par. 5, ha sollecitato, inoltre, di verificare se il giudizio di compatibilità con l’ordine pubblico che l’autorità giudiziaria italiana deve compiere, ai fini del riconoscimento di un provvedimento giudiziario straniero di adozione cd. legittimante, debba o meno includere la valutazione estera di adottabilità del minore, tenuto conto che il controllo giurisdizionale eseguito si è fondato sull’accertamento del consenso preventivo dei genitori biologici.
- Prima di entrare nel merito delle questioni sottoposte al vaglio delle S.U. deve rilevarsi che la sintetica prospettazione di un vizio formale del procedimento derivante dalla mancanza di autocertificazioni richieste dalla legge deve ritenersi nuova in quanto non risulta trattata nel provvedimento della Corte d’Appello di Milano e la parte ricorrente non ha dedotto di averla già prospettata in sede di merito. Se ne deve rilevare, in conclusione, l’inammissibilità.
- Ritiene il Collegio di dover preliminarmente definire il perimetro del sindacato giurisdizionale in tema di riconoscimento di provvedimenti giurisdizionali esteri. L’esame del terzo motivo ha condotto ad escludere la riconducibilità della fattispecie all’adozione internazionale, così da assumere come paradigma valutativo nel caso di specie quello delineato dalla L. n. 218 del 1995, art. 64. Ne consegue che, incontestata la ricorrenza delle condizioni pure dettate dalla norma riguardanti la competenza del giudice straniero, la definitività della pronuncia estera, la non contrarietà con un giudicato interno, la insussistenza di una situazione processuale qualificabile come litispendenza, deve essere esaminato il profilo del rispetto del principio del contraddittorio e la compatibilità della decisione con iprincipi di ordine pubblico internazionale.
Sotto quest’ultimo versante la valutazione deve, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, essere limitata agli effetti che l’atto è destinato a produrre nel nostro ordinamento e non alla conformità della legge estera, posta a base del provvedimento, alla nostra legge interna regolativa degli stessi istituti. Le S.U. nella pronuncia n. 11601 del 2017, che ha individuato la nozione di ordine pubblico internazionale cui il Collegio presta adesione, hanno ribadito che il controllo giurisdizionale è concentrato sugli effetti dell’atto.
In tema di riconoscimento di atti esteri incidenti sui rapporti familiari, è stato affermato (tra le altre Cass. 9483 del 2013; 15143 del 2016) che deve escludersi il sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione adottata nè in relazione all’ordinamento straniero nè in relazione a quello italiano (Cass. 17170 del 2020), non essendo consentito un controllo di tipo contenutistico sul provvedimento di cui si chiede il riconoscimento.
- Definito l’oggetto del sindacato giurisdizionale, deve essere affrontata la questione relativa alla compatibilità degli effetti del provvedimento straniero con i principi di ordine pubblico che ove contrastanti possono limitarne od escluderne il riconoscimento. Si tratta della censura affrontata nel quarto motivo e nel primo dei due quesiti desumibili dall’ordinanza interlocutoria.
15.1 L‘indagine da svolgere richiede in primo luogo il corretto inquadramento giuridico dell’atto di cui si chiede il riconoscimento. L’adoption order è un provvedimento giurisdizionale emesso dalla Surrogate Court dello Stato di New York che attribuisce alla parte ricorrente ed all’interveniente lo status di genitore adottivo del minore dopo aver preventivamente acquisito il consenso del birth father e della birth mother e dopo aver valutato l’idoneità della coppia adottante al fine di verificare la conformità del provvedimento da assumere al best interest of the child.
Nel provvedimento, regolarmente depositato ed esaminato dal Collegio si dà, infatti, atto che “un investigation have been ordered and made and the written report of such investigation having been filed with the Court, as required by the Domestic Law”. Il provvedimento non è dunque fondato soltanto sull’acquisito consenso dei genitori biologici ma anche sul risultato di un’indagine svolta secondo le prescrizioni normative della legge interna (Social Services Law).
15.2 La decisione è stata adottata nel rispetto del diritto di difesa di tutti i soggetti coinvolti (par. 8 decisione impugnata). La circostanza non è stata, peraltro oggetto di contestazione nè della parte ricorrente nè del Procuratore Generale.
15.3 La esposizione sintetica del contenuto e degli effetti del provvedimento estero pone in evidenza con nettezza l’estraneità della fattispecie oggetto del presente giudizio da quella formante oggetto della sentenza delle S.U. n. 12193 del 2019. Non viene sottoposto al controllo di compatibilità con i principi di ordine pubblico il riconoscimento di uno status genitoriale costituito all’estero per mezzo della tipologia di procreazione medicalmente assistita eterologa (d’ora in avanti p.m.a.) definibile come gestazione per altri.
Alla base della costituzione dello status genitoriale adottivo della coppia richiedente non risulta esserci un accordo di surrogazione di maternità, realizzato mediante una forma di fecondazione eterologa penalmente vietata nel nostro ordinamento e per tale ragione ritenuta contraria ai principi vigenti di ordine pubblico. L’esistenza di entrambi i genitori biologici che hanno prestato il loro consenso all’adozione del minore porta ad escludere dall’esame del Collegio non soltanto la questione della compatibilità con i nostri principi di ordine pubblico della surrogazione di maternità ma anche quella, più generale, relativa all’incidenza diretta sui principi di ordine pubblico internazionale del divieto di accesso alla p.m.a. per le coppie omoaffettive, oggetto di un recente intervento della Corte Costituzionale (n. 221 del 2019), la quale, tuttavia, in un passaggio motivazionale rimanda al divieto di accesso alla genitorialità adottiva per le coppie formate da persone dello stesso sesso.
La complessiva valutazione della pronuncia sarà esaminato nel par. 18.2.
16 Definiti gli effetti del provvedimento estero e precisato che oggetto del sindacato giurisdizionale è la compatibilità dello status genitoriale, di natura intrinsecamente adottiva, acquisito da coppia omogenitoriale maschile con i principi attualmente costituenti l’ordine pubblico internazionale, deve procedersi alla corretta individuazione del predetto parametro.
16.1 In astratto, la soluzione non appare disagevole perchè il Collegio presta convinta adesione alla nozione di ordine pubblico internazionale elaborata nella pronuncia delle S.U. n. 16601 del 2017 e ribadita nella più recente n. 12193 del 2019. Entrambe le pronunce si collocano nel solco della concezione aperta ed universalistica dell’ordine pubblico internazionale, già espressa in precedenti orientamenti (Cass. 19599 del 2016 e 14878 del 2017) riconoscendo ai principi di ordine pubblico internazionale non soltanto la funzione di limite all’applicazione della legge straniera (L. n. 218 del 1995, art. 16) ed al riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri (L. n. 218 del 1995, art. 64) e ma anche quella di promozione (S.U. 16601 del 2017) e garanzia di tutela dei diritti fondamentali della persona (Cass. n. 19405 del 2013), attraverso i principi provenienti dal diritto dell’Unione Europea, delle Convenzioni sui diritti della persona cui l’Italia ha prestato adesione e con il contributo essenziale della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti umani.
Ma a comporre il complesso dei principi fondamentali e caratterizzanti il profilo etico giuridico dell’ordinamento di un determinato periodo storico, secondo la definizione accolta da dottrina internazionalistica autorevole, concorrono non soltanto il sistema dei principi e valori derivanti dalla Costituzione ma anche quelli desumibili dalle leggi ordinarie quando “come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale“. (S.U. 16601 del 2017).
La più ampia connotazione dei principi di ordine pubblico internazionale si è infine consolidato con la recente S.U. n. 12193 del 2019 nella quale viene sottolineata “la rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione” e l’esigenza di valorizzare l’interpretazione della legge che “dà forma a quel diritto vivente dalla cui valutazione non può prescindersi nella ricostruzione dell’ordine pubblico in un determinato momento storico”.
La sintesi operata dalle S.U. di questa Corte, tra il rilievo dei valori condivisi dalla comunità internazionale ed il processo di armonizzazione tra gli ordinamenti giuridici che lo accompagna ed il sistema assiologico proveniente dalla Costituzione unitamente alle leggi che ad esso si ispirano, deve orientare nella ricognizione dei principi fondamentali che al momento del vaglio giurisdizionale costituiscono la trama dell’ordine pubblico internazionale.
L’operazione da svolgere, come già evidenziato, non ha ad oggetto la coerenza della normazione interna di uno o più istituti con quella estera che ha condotto alla formazione del provvedimento giurisdizionale di cui si chiede il riconoscimento, ma la verifica della compatibilità degli effetti che l’atto produce (nella specie l’attribuzione di uno status genitoriale adottivo) con i limiti non oltrepassabili, costituiti dai principi fondanti l’autodeterminazione e le scelte relazionali del minore e degli aspiranti genitori (art. 2 Cost.; art. 8 Cedu); dal principio del preminente interesse del minore di origine convenzionale ma ampiamente attuato in numerose leggi interne ed in particolare nella recente riforma della filiazione (Legge Delega n. 219 del 2012, D.Lgs. n. 153 del 2013); dal principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori con riferimento in particolare al diritto all’identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico nonchè relazionale sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale della coppia richiedente; dal principio solidaristico che è alla base della genitorialità sociale sulla base del quale la legge interna (L.n. 184 del 1983 così come modificata dalla L. n. 149 del 2001 e dalla recente legge sulla continuità affettiva n. 173 del 2015) ed il diritto vivente (CEDU caso Zhou contro Italia sentenza 21/4/2014 e S.H. contro Italia sentenza 13/10/2015; Cass. 3643 del 2020 e 1476 del 2021) hanno concorso a creare una pluralità di modelli di genitorialità adottiva, unificati dall’obiettivo di conservare la continuità affettiva e relazionale ove già stabilizzatasi nella relazione familiare.
16.3 I principi enucleati peraltro risultano strettamente interconnessi essendo l’uno funzionale all’inveramento dell’altro, così come le leggi, in larga parte riformatrici, che li esprimono e li attuano. Sulla base di questo quadro unificante di principi di ordine pubblico internazionale, può svolgersi la valutazione di compatibilità che forma oggetto del quarto motivo di ricorso e di uno dei quesiti posti nell’ordinanza interlocutoria.
- La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14007 del 2018, si è già espressa in merito alla trascrizione di una sentenza straniera (francese) con la quale era stata pronunciata l’adozione piena ed incrociata dei figli minori, biologici, didue donne cittadine francesi coniugate in Francia e residenti in Italia.
Al riguardo, ha ritenuto che il preminente interesse del minore, da ritenersi coincidente con il diritto al mantenimento della stabilità della vita familiare consolidatasi con entrambe le figure genitoriali, positivamente e specificamente valutato dal giudice straniero, dovesse condurre ad escludere la contrarietà dell’atto all’ordine pubblico, “non incidendo l’orientamento sessuale sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale”.
Per comprendere i punti di contatto e le differenze con la fattispecie dedotta nel presente giudizio deve essere precisato che entrambe le partners dell’unione matrimoniale omoaffettiva, trascritta in Italia, sono ricorse alla p.m.a. eterologa per la rispettiva generazione biologica dei figli minori ed hanno ottenuto un titolo adottivo pieno come madri d’intenzione o madri sociali del figlio non biologico.
In comune le due fattispecie hanno sia la provenienza della scelta genitoriale da un’unione omoaffettiva matrimoniale sia la riconduzione al modello dell’adozione piena o legittimante dello status genitoriale richiesto. Il provvedimento giurisdizionale estero in entrambe le fattispecie è rivolto al riconoscimento di una genitorialità sociale che sia del tutto equiparabile alla genitorialità biologica sorta dentro o fuori il matrimonio, ai fini del complesso di diritti e tutele dei figli minori, in particolare in relazione alla linea di parentela.
Le differenze consistono nel genere femminile e maschile delle due coppie omogenitoriali e nell’accesso alla p.m.a. eterologa solo da parte della coppia omogenitoriale femminile. Si tratta, tuttavia, di caratteristiche recessive. La differenza di genere per le coppie omogenitoriali maschili costituisce un discrimine soltanto se il progetto genitoriale comune si fonda sul ricorso alla gestazione per altri (Cass. S.U. 12193 del 2019) pur essendo espressamente previsto che il preminente interesse del minore possa essere garantito, anche in questa ipotesi, mediante l’adozione in casi particolari.
Ma il modello adottivo gradato è esclusivamente conseguenza del grave disvalore ricondotto, dalle S.U., alla scelta della gestazione per altri e alla necessità di trovare un bilanciamento che tenga conto di questa valutazione.
Sul rapporto tra il preminente interesse del minore e la “legittima finalità di disincentivare il ricorso ad una pratica che l’ordinamento italiano considera illegittima ed anzi meritevole di sanzione penale” è intervenuta la recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 2021 con la quale è stato riaffermato il margine di apprezzamento degli Stati nel non consentire la trascrizione di atti di stato civile o provvedimenti giudiziari stranieri che fondino gli status genitoriali sulla surrogazione di maternità, pur sottolineando l’esigenza di un sistema di tutela del minore più efficace che non quello garantito dall’adozione in casi particolari.
Ove, tuttavia, manchi la condizione negativa della gestazione per altri, e nella specie, anche l’operatività del divieto di accesso alla p.m.a. alle coppie omoaffettive, la contrarietà ai principi di ordine pubblico appare riconducibile soltanto alle norme interne limitative della genitorialità adottiva e al paradigma eterosessuale delle unioni matrimoniali.
17.1 Deve rilevarsi che l’ininfluenza dell’orientamento sessuale nelle controversie riguardanti l’affidamento dei minori e la responsabilità genitoriale all’interno del conflitto familiare costituiscono un approdo fermo nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 601 del 2013), così come per l’accesso all’adozione non legittimante delle coppie omoaffettive (Cass. 12962 del 2016).
La conclusione univocamente assunta dalla giurisprudenza di legittimità che si è espressa al riguardo si fonda sulla considerazione della mancanza di riscontri scientifici sulla inidoneità genitoriale di una coppia formata da persone dello stesso sesso.
La conferma più rilevante, tuttavia, si ritrae dalla sentenza delle S.U. n. 12193 del 2019 che, pur affermando la contrarietà ai principi fondamentali che compongono l’ordine pubblico della genitorialità formatasi per effetto della gestazione per altri (o surrogazione di maternità) limitano a questo aspetto il contrasto reputando il divieto interno e la sanzione penale consequenziale espressione di valori fondamentali quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione ma escludono che sia da ricondurre a principio fondamentale dell’ordinamento l’eterosessualità della coppia nella definizione dei limiti al riconoscimento di atti stranieri relativi a status filiali.
Nella fattispecie dedotta nel giudizio che ha dato luogo alla sentenza n. 12193 del 2019, la caratteristica della omoaffettività e del genere maschile della coppia ha costituito un mero presupposto di fatto ma non l’oggetto della contrarietà ai principi di ordine pubblico, incentrata esclusivamente sul divieto di surrogazione di maternità, divieto già affermato nella sentenza n. 24001 del 2014 della Corte di Cassazione e, a determinate condizioni, confermato dalla sentenza della Grand Chambre della Corte Europea dei diritti umani del 24/1/2017, caso Paradiso e Campanelli, pronunce, queste ultime, nelle quali la coppia che rivendicava lo status genitoriale era eterosessuale.
17.2 Completa il quadro ricostruttivo la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2017, investita del sospetto d’incostituzionalità dell’art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo se corrispondente al preminente interesse dello stesso.
Nella pronuncia è stato escluso il valore assoluto del favor veritatis e ribadita la necessità del suo bilanciamento con l’interesse del minore che può prevalere, all’esito della concreta operazione di bilanciamento cui è tenuto il giudice. In questo contesto di principi volto a valorizzare la centralità della tutela del minore, anche la Corte Costituzionale riserva una peculiare valutazione alle ipotesi in cui lo status genitoriale su cui si concentra il sindacato giurisdizionale si fondi sul ricorso alla surrogazione di maternità, in relazione alla quale la tutela del minore, deve confluire nel modello gradato dell’adozione in casi particolari.
Ma, fuori dalla gestazione per altri, in questa rilevante pronuncia che ha costituito un solido ancoraggio per la decisione delle S.U. n. 12193 del 2019, non viene individuato alcun ostacolo od impedimento alla piena valutazione dell’interesse preminente del minore nelle azioni sugli status genitoriali che possa ricondursi all’orientamento sessuale delle coppie, dandosi rilievo per un verso al profilo consensualistico nella determinazione consapevole della genitorialità, così come affermato espressamente nella L. n. 40 del 2004, art. 5 che vieta l’azione di disconoscimento in caso di p.m.a. eterologa, e per l’altro alla comparazione tra l’interesse effettivo del minore (alla stabilità dello status acquisito) con la verità della derivazione biologica.
17.3 In conclusione, nel contesto normativo e giurisprudenziale nel quale è maturata la sentenza delle S.U. n. 12193 del 2019 il limite, dovuto alla contrarietà ai principi di ordine pubblico internazionale, al riconoscimento di status genitoriali contenuti in provvedimenti esteri, richiesti da componenti di coppie omoaffettive, è stato individuato esclusivamente nel ricorso alla gestazione per altri, limite peraltro comune anche alle coppie eterosessuali.
In particolare, non sono stati ritenuti incidenti sulla valutazione di compatibilità della omogenitorialità con i nostri principi di ordine pubblico internazionale i limiti derivanti dalla legislazione interna in tema di accesso all’adozione legittimante (L. n. 184 del 1983, art. 6) previsto soltanto per le coppie eterosessuali coniugate e dalla legge sulle unioni civili che non ha espressamente esteso alle coppie omoaffettive l’accesso all’adozione legittimante, lasciando tuttavia aperta la strada all’adozione in casi particolari, in quanto già riconosciuta dalla giurisprudenza sulla base delle norme vigenti (L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20).
Non è stato ritenuto riconducibile ai principi di ordine pubblico internazionale il regime codicistico della prova della filiazione in relazione al riconoscimento di provvedimento estero costitutivo di status genitoriale in coppia omogenitoriale femminile (Cass. 19599 del 2016). La valutazione di compatibilità, anche in coerenza con le considerazioni svolte nella sentenza della Corte Cost. n. 272 del 2017, è stata, fino ad oggi, compiuta assumendo come principi cardine il diritto del minore alla conservazione dell’identità e della stabilità familiare (Cass. 14007 del 2017) ed il favor verso la continuità degli status filiali da bilanciare, tuttavia, con il limite incomprimibile della dignità dei soggetti coinvolti (S.U. 12193 del 2019), senza includere, però, nel perimetro dei principi di ordine pubblico internazionale nè le norme interne che escludono l’accesso alle p.m.a. alle coppie omoaffettive nè quelli che introducono il medesimo limite all’adozione legittimante, attualmente consentita soltanto a coppie unite in matrimonio.
La condizione soggettiva costituita dall’eterosessualità della coppia che resiste all’interno del nostro ordinamento anche in relazione all’accesso all’unione matrimoniale, introduce un limite che definisce, allo stato attuale, la disciplina normativa applicabile ad alcuni istituti. Fino ad ora, tale limite non è stato elevato al rango di principio di ordine pubblico internazionale, alla luce della continua e crescente attenzione ad una prospettiva maggiormente inclusiva dei modelli relazionali e familiari che richiedono riconoscimento e tutela, realizzata mediante un’interpretazione aperta dell’art. 2 Cost. (Corte Cost. n. 138 del 2010 e 170 del 2014) e dell’art. 8 Cedu (Caso X ed altri contro Austria sentenza del 19/2/2013, Labassee contro Francia e Mennesson contro Francia sentenze del 26 giugno 2014; Avis consultatif del 9 aprile 2019, richiesto dalla Corte di Cassazione francese in applicazione del Protocollo 16 in vigore dal 1 agosto 2018, cui l’Italia non ha ancora aderito).
In particolare, per le coppie omoaffettive la condivisione della necessità di un riconoscimento giuridico e di una tendenziale equiparazione al sistema di tutela proprio dell’unione matrimoniale è stata ampiamente realizzata con la L. n. 76 del 2016 dopo il forte monito della CEDU (sentenza del 21 luglio 2015, caso Oliari più altri contro Italia).
Il margine di apprezzamento degli Stati e la conseguente discrezionalità legislativa interna nell’introdurre alcune condizioni a tale equiparazione oltre a non poter oltrepassare il limite della proporzionalità tra il sacrificio del diritto fondamentale in gioco e l’interesse di rilievo pubblicistico che sottende la limitazione, non modifica il riconoscimento, costituzionale e convenzionale, delle unioni omoaffettive come luoghi in cui si sviluppa la personalità dei soggetti coinvolti (art. 2 Cost.) anche in ordine all’aspirazione alla genitorialità, quando si formi in un contesto relazionale caratterizzato da stabilità giuridica ed effettiva (art. 8 Cedu) e, soprattutto non può incidere sulla centralità del preminente interesse del minore nelle decisioni che riguardano il suo diritto all’identità ed ad uno sviluppo individuale e relazionale equilibrato e senza strappi.
- E’ necessario verificare, tuttavia, anche in relazione alle espresse sollecitazioni della parte ricorrente, ampiamente articolate nella requisitoria del Procuratore Generale, se alla luce delle più recenti pronunce della Corte Costituzionale (la già citata n. 221 del 2019, n. 237 del 2019 e 230 del 2020) e di due recenti sentenze della prima sezione di questa Corte (n. 7668 e 8029 del 2020) non debba individuarsi una diversa griglia dei principi fondanti l’ordine pubblico che costituiscono il limite non valicabile ai fini del riconoscimento del provvedimento di adozione piena emesso dalla Corte dello Stato di New York, dedotto nel presente giudizio.
In particolare, si tratta di verificare se il limite di accesso all’adozione piena alle coppie coniugate e la non estensione dell’equiparazione unione civile/matrimonio stabilita dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20 al medesimo istituto adottivo possa determinare la contrarietà dell’atto di cui si chiede il riconoscimento ai principi fondamentali che disegnano la trama dell’ordine pubblico internazionale attuale.
18.1 E’ di cruciale rilievo definire con esattezza le diverse situazioni in concreto esaminate dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, al fine di individuare il perimetro applicativo dei principi precettivi in esse contenute.
18.2 Nella pronuncia n. 221 del 2019, relativa al sospetto d’incostituzionalità del divieto di accesso alle p.m.a. per le coppie omoaffettive, stabilito nella L. n. 40 del 2004, art. 5 la Corte Costituzionale esclude l’illegittimità costituzionale della limitazione osservando che la L. n. 40 del 2004, è una legge costituzionalmente necessaria ma non a rime obbligate in relazione a questa specifica condizione dell’accesso, perchè “la scelta espressa dalle disposizioni censurate si rivela non eccedente il margine di discrezionalità del quale il legislatore fruisce, pur rimanendo quest’ultima aperta a soluzioni di segno diverso, in parallelo all’evolversi dell’apprezzamento sociale della fenomenologia considerata”.
La precisazione finale conduce ad escludere che la limitazione alle coppie eterosessuali dell’accesso alla p.m.a sia espressione di un valore fondante l’ordinamento, condiviso ed irrinunciabile, risultando piuttosto il frutto di una scelta di politica legislativa, peraltro maturata all’interno di una legge marcatamente espressiva di una delle scelte possibili in un campo eticamente sensibile che deve essere contestualizzata e che può essere ripensata.
Dal 2004 ad oggi l’emersione giuridica e la riconducibilità all’interno dei diritti inviolabili della persona delle istanze provenienti dalle coppie omoaffettive, anche in relazione all’aspirazione alla genitorialità, è stata crescente e sempre più condivisa anche grazie all’opera di armonizzazione della Corte Europea dei diritti umani, già illustrata nel par. 17.3 e al nostro interno agli interventi della Corte Costituzionale e della Corte di legittimità (Corte Cost. 138 del 2010 e 170 del 2014 e Cass. 4184 del 2012).
Deve aggiungersi che la Corte Costituzionale, in un altro passaggio motivazionale, nel superare il rilievo critico dell’effetto di discriminazione inversa che sarebbe prodotto dalla perdurante vigenza del divieto nel nostro ordinamento interno, mostra di essere del tutto consapevole del mutato quadro nella prospettiva di tutela multilivello dei diritti fondamentali ed afferma: “Il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può inoltre costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione; diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia”.
In conclusione, pur mantenendo ferma la vigenza del divieto interno, ritenuto costituzionalmente legittimo, la Corte esclude che esso abbia carattere di principio assolutamente intangibile e ne riconosce, al contrario, la possibile mutevolezza, accettando, in particolare, la coesistenza nel nostro ordinamento di statuti giuridici diversi per fattispecie analoghe, divergenti solo perchè gli atti che le contengono sono formati in uno Stato estero, e riconoscendo la diversità del paradigma normativo applicabile, a maglie più strette quello interno, a tessitura più larga quello fondato sui principi di ordine pubblico internazionale.
18.3 Nella successiva sentenza n. 237 del 2019, riguardante un giudizio sorto per il rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile alla trascrizione di atto di nascita richiesto da coppia omogenitoriale femminile, la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’inammissibilità della questione prospettata riafferma la legittimità della legislazione interna relativa alle limitazioni all’accesso a p.m.a. escludendone il carattere discriminatorio per orientamento sessuale ed evidenzia che anche la L. n. 70 del 2016 “non consente la filiazione sia adottiva che per fecondazione assistita”.
Anche in questa pronuncia, si conferma che le limitazioni sopra indicate sono compatibili e non “in distonia” con i parametri costituzionali ed in particolare con l’art. 3 Cost. ma senza tuttavia elevarne l’efficacia a principi fondanti dell’ordinamento ma, al contrario, sottolineandone, l’ancoraggio ad un’opzione legittima ma non universalmente condivisa.
18.4 Le medesime considerazioni vengono, infine, svolte (e sono molto valorizzate nella requisitoria del Procuratore Generale) nella recente sentenza n. 230 del 2020, sovrapponibile quanto alla fattispecie alla n. 237 del 2019 che si chiude anch’essa con una pronuncia d’inammissibilità. Il percorso motivazionale è analogo. La Corte esclude che un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata delle limitazioni della L. n. 40 del 2004 possa condurre ad un loro superamento ma non ritiene che tale superamento sia costituzionalmente imposto.
Anche in questa pronuncia viene espressamente esclusa la riconducibilità del divieto e dello speculare paradigma eterosessuale a principio fondante, come può rilevarsi dal seguente passaggio argomentativo: “Se, dunque, il riconoscimento della ornogenitorialità, all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non è imposto, vero è anche che i parametri evocati neppure sono chiusi a soluzioni di segno diverso, in base alle valutazioni che il legislatore potrà dare, non potendosi escludere la capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali. L’obiettivo auspicato dal rimettente, pertanto, è perseguibile per via normativa, implicando una svolta che, anche e soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, non è costituzionalmente imposta, (…) Anche l’altro profilo della questione, relativo a una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la madre intenzionale, è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono, ancora una volta, al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore”.
18.5 Trova, infine, espresso fondamento nella diversità e coesistenza di due sistemi normativi di riferimento, il recente orientamento della Corte di Cassazione in tema di riconoscimento dello status genitoriale della madre d’intenzione nell’ipotesi in cui il minore sia nato in Italia mediante il ricorso a p.m.a. eterologa realizzata all’estero. Le pronunce n. 7668 e 8029 del 2020 hanno, coerentemente con i principi dettati dalla Corte Costituzionale sopra delineati, ritenuto che nel nostro ordinamento non possa iscriversi nell’atto di nascita anche la madre d’intenzione per l’operatività del divieto all’accesso alla p.m.a. delle coppie omoaffettive.
E’ stato tuttavia, precisato, (Cass.7668 del 2020) che la soluzione adottata non contrasta con la giurisprudenza di legittimità (Cass. 19599 del 2016 e 14878 del 2017) che in fattispecie analoghe aveva riconosciuto l’efficacia dell’atto di nascita nel quale era indicata anche la madre d’intenzione, formato all’estero, perchè il paradigma normativo invocato è diverso. Nella trascrizione degli atti stranieri vi è l’esigenza che lo status acquisito all’estero circoli legittimamente con il solo limite dell’ordine pubblico internazionale, con il limite della surrogazione di maternità.
Quando si deve applicare esclusivamente il paradigma proveniente dal diritto interno (L. n. 40 del 2004; disciplina codicistica della filiazione) questo rimane saldamente ancorato alla necessità di un rapporto biologico tra i genitori (Cass. 8029 del 2020). Lo strumento residuale dell’adozione in casi particolari consente comunque l’inserimento del minore nel nucleo familiare.
18.6 Oggetto del presente giudizio non è la coerenza di un sistema che accoglie la disparità di trattamento di minori che versano in situazioni di fatto del tutto omologabili ma soltanto la verifica della compatibilità di un provvedimento estero di adozione piena che attribuisce la genitorialità ad una coppia omogenitoriale maschile con i principi di ordine pubblico internazionale.
- L‘esame dei più recenti interventi della giurisprudenza costituzionale e di legittimità non consente, in conclusione, d’introdurre tra i principi di ordine pubblico internazionale che possono costituire il limite al riconoscimento dell’atto estero che forma oggetto del presente giudizio, le condizioni di accesso alla genitorialità adottiva legittimante contenute nella L. n. 184 del 1983, art. 6 e dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20. I divieti all’accesso alle p.m.a., anch’essi, come osservato nei paragrafi immediatamente precedenti, non riconducibili ai principi di ordine pubblico internazionale, sono anche estranei al riconoscimento della genitorialità esclusivamente adottiva oggetto del presente giudizio.
Nell’ordinamento coesistono principi di derivazione costituzionale e convenzionale che si pongono rispetto ad essi in una condizione di netta sovraordinazione e preminenza sia per la loro collocazione tra i diritti inviolabili della persona sia per il grado di condivisione che ne costituisce un tratto peculiare.
19.1 In primo luogo, come già rilevato, il principio del preminente interesse del minore nelle determinazioni che incidono sul suo diritto all’identità, alla stabilità affettiva, relazionale e familiare, contenuto nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, nell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e divenuto parte integrante della costruzione del diritto alla vita privata e familiare ad opera della Corte Europea dei diritti umani oltre che fondamento della riforma della L. n. 184 del 1983 ad opera della L. n. 149 del 2001 e della recente Legge sulla continuità affettiva (n. 173 del 2015) nonchè di tutta la disciplina legislativa relativa alla responsabilità genitoriale, ed agli status filiationis (anche secondo la citata sentenza n. 272 del 2017 della Corte Costituzionale) essendo una delle estrinsecazioni più rilevanti dell’art. 2 Cost.
19.2 In secondo luogo il principio della parità di trattamento tra tutti i figli, nati all’interno e fuori del matrimonio o adottivi, che trova la sua fonte costituzionale negli artt. 3 e 31 Cost. e che è stato inverato dalla recente riforma della filiazione (L. n. 219 del 2012; D.Lgs. n. 154 del 2013). Al riguardo, proprio in relazione alla filiazione adottiva, attualmente ripartita tra l’adozione legittimante e quella in casi particolare, deve essere rimarcata l’innovazione relativa all’art. 74 c.c. che ha reso unico, senza distinzioni, il vincolo di parentela che scaturisce dagli status filiali, con la sola eccezione dell’adozione dei maggiorenne, così da ingenerare perplessità in dottrina sulla compatibilità costituzionale della conservazione di un regime differenziato nei diversi modelli di genitorialità adottiva nel nostro ordinamento.
19.3 Il panorama dei principi intangibili in tema di tutela degli status filiali, fortemente caratterizzato dall’obiettivo di non creare discriminazioni nel regime giuridico di tutela dei minori si completa con la considerazione che il quadro attuale della genitorialità sociale è più composito di come rappresentato dalla parte ricorrente. Oltre alla espressa estensione alle persone singole della adozione in casi particolari, deve rilevarsi che la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 183 del 1994) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. 6078 del 2006; 3572 del 2011) che si sono trovate fin dagli anni 90 a confrontarsi con le richieste di costituzione di status genitoriali adottivi da parte di soggetti diversi dalle coppie coniugate eterosessuali, hanno unanimemente riconosciuto l’esigenza di ampliare le condizioni di accesso all’adozione legittimante ed hanno sollecitato il legislatore al riguardo, ritenendo che ciò corrispondesse non solo ad una sensibilità condivisa ma anche alle indicazioni della Convenzione sulle adozioni firmata a Strasburgo il 24/4/1967 che impone di trovare per il minore un “foyer stable et harmonieux”.
Infine, in tempi più recenti in relazione alle istanze delle coppie omoaffettive rivolte alla realizzazione della genitorialità all’interno di un nucleo relazionale stabile e prevalentemente sostenuto da un riconoscimento giuridico in Italia od all’estero è stata individuata proprio nel modello adottivo indicato nella L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d) la forma di riconoscimento minimo e residuale anche per i minori venuti al mondo all’esito di un accordo di surrogazione di maternità (Cass. S.U. 12193 del 2019, per la “residualità” di questo specifico modello adottivo, Corte Cost. 383 del 1999).
Alla forte promozione della giurisprudenza costituzionale, sovranazionale e di legittimità di un regime giuridico interno di accesso alla genitorialità sociale meno restrittivo e più vicino alla evoluzione condivisa dei modelli relazionali e filiali si collega indissolubilmente il superamento, sotto il profilo dei principi di ordine pubblico internazionale, della limitazione alla coppia eterosessuale unita in matrimonio dell’accesso all’adozione legittimante stabilita nell’art. 6. Al riguardo non può condividersi quanto affermato nel ricorso e nella requisitoria del P.G. in relazione all’inclusione dell’art. 29 Cost. tra i parametri costituzionali dai quali desumere il limite di ordine pubblico internazionale applicabile alla fattispecie, in collegamento con la L. n. 184 del 1983, art. 6 e dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20. L’unione matrimoniale così come prevista nell’art. 29 Cost. costituisce il modello di relazione familiare fornito, allo stato attuale della regolazione interna, del massimo grado di tutela giuridica ma in relazione agli status genitoriali non costituisce più, soprattutto dopo la riforma della filiazione, il modello unico o quello ritenuto esclusivamente adeguato per la nascita e la crescita dei figli minori e conseguentemente deve escludersi che possa essere ritenuto un limite al riconoscimento degli effetti di un atto che attribuisce la genitorialità adottiva ad una coppia omoaffettiva, peraltro unita in matrimonio negli (OMISSIS), tanto più che in relazione alla genitorialità sociale l’imitatio naturae manca ab origine ed è ampiamente compensata dalle ragioni solidaristiche dell’istituto e, con riferimento al minore, dalla realizzazione, da assoggettarsi a verifica giurisdizionale, del processo di sviluppo personale e relazionale più adeguato alla sua crescita.
19.4 Non può pertanto essere accolto il quarto motivo di ricorso, alla luce del seguente principio di diritto: “Non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omogenitoriale ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione“.
- Rimane, tuttavia, da esaminare, la seconda questione di massima di particolare importanza sollevata, tuttavia, esclusivamente nell’ordinanza interlocutoria e non prospettata o riproposta nè dal ricorrente nè dal Procuratore Generale.
Si evidenzia, al riguardo che l’adozione estera è stata pronunciata dopo aver acquisito il consenso dei genitori biologici e dunque si ritiene di dover verificare se la valutazione estera posta a base dell’adottabilità del minore debba comporre lo scrutinio di compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale.
20.1 Preliminarmente, in fatto, deve osservarsi che il provvedimento di adozione estero di cui si chiede il riconoscimento come precisato nel par. 15.1 non si è fondato solo sul consenso dei genitori biologici ma anche sugli esiti di un’indagine relativa all’idoneità della coppia adottante. Ciò significa che il controllo giurisdizionale non si è limitato al riscontro del consenso dei genitori del minore ma ha avuto carattere complessivo, investendo tutte le parti del giudizio.
20.2 Ritiene il Collegio che non possa escludersi in astratto la comparazione delle condizioni di adottabilità poste a base del provvedimento estero di cui si chiede il riconoscimento con i principi di ordine pubblico internazionale.
Ove venga allegato dalle parti ed emerga con obiettività probatoria che la determinazione di privarsi del figlio minore da parte dei genitori biologici derivi da un intervento di carattere oneroso degli adottanti, o il consenso prestato sia la conseguenza di un accordo vietato e sanzionato penalmente nel nostro diritto interno perchè incidente sui diritti inviolabili della persona, come l’accordo di surrogazione di minore, alla valutazione degli effetti “formali” dell’atto, (la costituzione di status genitoriale adottivo, che pure incontra il favor legislativo interno per la genitorialità sociale) deve collegarsi quella sulle modalità di produzione degli effetti predetti.
Ugualmente ove sia stata dedotta e venga accertata la violazione delle condizioni previste dalla legge estera per l’accesso al modello genitoriale richiesto (secondo le indicazioni dalla sentenza della Grand Chambre CEDU, 24 gennaio 2017, caso Paradiso-Campanelli). Ma, deve rilevarsi, che nel presente giudizio nessun rilievo hanno dato le parti nè nel merito nè nella prospettazione delle censure del presente ricorso alla valutazione di adottabilità, così da doverne escludere il concreto esame non potendosi confondere il limite costituito dall’ordine pubblico internazionale con la regolamentazione giuridica interna dell’adozione legittimante.
Proprio in relazione a quest’ultimo profilo deve rilevarsi che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità hanno univocamente escluso che il fondamento consensuale di procedimenti adottivi esteri fosse da ritenere incompatibile con i principi di ordine pubblico. Si tratta di orientamenti che si sono sviluppati prima della regolamentazione giuridica convenzionale ed interna dell’adozione internazionale e che riguardano l’adozione di minori stranieri da parte di cittadini italiani.
Si tratta, pertanto, di fattispecie diverse rispetto a quella oggetto del presente giudizio, perchè assoggettabili a controlli più incisivi e alla competenza del Tribunale per i minorenni ma, anche per questa ragione, estremamente istruttive in relazione alla valutazione del profilo della consensualità.
20.3
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 536 del 1989, relativa a procedimenti volti a dichiarare l’efficacia di sentenze estere di adozione di minori fondate sul consenso espresso dai genitori biologici davanti ad un notaio e successivamente omologate dall’autorità giudiziaria, ha affermato che il modello consensuale non è in contrasto con i principi ispiratori della L. n. 184 del 1983, non soltanto perchè espressamente previsto nel nostro ordinamento per alcune fattispecie di adozione in casi particolari quanto per la “latitudine della formula usata nell’art. 31 (L. n. 218 del 1995 n.d.r.) per definire i provvedimenti stranieri a contenuto adottivo suscettibili di considerazione ai fini della declaratoria di efficacia in Italia” (…) adozione, affidamento preadottivo, altro provvedimento in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori”.
La Corte ritiene che quando si possa riscontrare il “rispetto d’irrinunziabili garanzie” e “in presenza di provvedimenti a contenuto effettivamente adottivo” nell’adozione del modello consensuale che in via esclusiva, o in alternativa all’adozione legittimante è senz’altro molto diffuso nei paesi extraEuropei ed in molti paesi Europei (secondo quanto riferito nella sentenza) non si ravvisa un’aprioristica contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento, dovendosi concentrare il controllo giurisdizionale sul provvedimento con il quale la procedura adottiva si chiude.
Sono escluse, ai fini adottivi, le convenzioni meramente private, anche se recepite in atto notarile, ma la previsione normativa (ed il controllo giurisdizionale successivo) dell’effetto della recisione del rapporto con i genitori biologici per effetto della libera prestazione del consenso non è contrario ai principi di ordine pubblico.
Di estremo rilievo anche in relazione al provvedimento estero oggetto del presente giudizio sono le considerazioni finali contenute nella sentenza della Corte Costituzionale: “E’ ben vero che l’adozione consensuale può in concreto mascherare illecite cessioni (…) ma la constatazione dell’esistenza di questo fenomeno (…) non può condurre questa Corte a ritenere fondata una questione che poggia su generalizzazioni indimostrate”. La giurisprudenza di legittimità coeva aveva manifestato il medesimo orientamento. Il consenso dei genitori biologici all’allontanamento in via definitiva del minore che garantisca al minore di acquisire una nuova famiglia idonea, ove verificato da autorità giurisdizionale, non è ostativo al riconoscimento di provvedimenti di adozione esteri (Cass. n. 3904 del 1986; n. 8506 del 1987; n. 9912 del 1991).
20.5 L‘esame del provvedimento giurisdizionale, alla luce delle deduzioni ed allegazioni delle parti, porta ad escludere il rilievo della condizione di adottabilità, sulla valutazione di compatibilità del provvedimento estero dedotto nel presente giudizio con i principi di ordine pubblico internazionale,
21. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con compensazione delle spese processuali del presente giudizio, attesa la novità delle questioni esaminate.