Corte di Cassazione penale, Sezione VI, sentenza 20 giugno 2024, n. 24388
PRINCIPIO DI DIRITTO
La legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l’affidamento dei figli, previsto dall’art. 388, comma secondo, cod. pen., spetta al genitore interessato all’osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l’interesse tutelato è quello relativo all’esercizio delle prerogative genitoriali.
Il mero inadempimento del provvedimento del giudice nella suddetta materia non integra il reato di cui all’art. 388, comma secondo, cod. pen., occorrendo che il genitore compia atti fraudolenti o simulati, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede.
Le previsioni incriminatrici di cui ai primi due commi dell’art. 388 cod. pen. tutelano la “effettività” della tutela giurisdizionale onde oggetto del presidio penale non è la mera inosservanza ma la elusione del provvedimento del giudice, consistente in condotte accompagnate da atti fraudolenti o simulati finalizzati ad evitare l’adempimento, sempre che non si tratti di comportamento che richieda l’infungibile facere dell’obbligato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è fondato in relazione al quarto motivo di ricorso, l’accoglimento del quale comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
- Occorre preliminarmente esaminare le questioni processuali dedotte dalla difesa, entrambe manifestamente infondate.
2.1. Per quanto concerne la asserita nullità del capo di imputazione, deve evidenziarsi che appare corretto il riferimento da parte della Corte di Appello di Ancona alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, per la quale non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa.
La contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Ferrante, Rv. 265825 – 01; conf. Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014, Cutrera, Rv. 261741 – 0; da ult. arg. tratto da Sez. 3, n. 6509 del 06/11/2019, dep. 2020, Pace, Rv. 278544).
È proprio in applicazione di tale principio e in considerazione delle risultanze del caso concreto che la Corte territoriale ha ritenuto insussistente qualsiasi incertezza in ordine ai fatti contestati all’imputato.
In particolare, assunto che la contestazione deve risultare anche da tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, consentono all’imputato di conoscere in modo ampio l’addebito, il Collegio di secondo grado ha opportunamente fatto riferimento alla querela, essendo la stessa proprio uno di quegli atti inseriti nel fascicolo del procedimento.
Dunque, il richiamo, lungi dall’avere la funzione di attribuzione alla querela di valore probatorio – come rileva la difesa – si inserisce adeguatamente nel percorso motivazionale della sentenza.
Tra l’altro, non appare corretto neanche il richiamo ad una asserita funzione di integrazione del capo di imputazione e – a questo punto – di qualsiasi altro atto del fascicolo processuale.
A sostegno della correttezza della decisione della Corte territoriale, va considerato che i fatti del 23 e 28 aprile 2017, contestati cronologicamente nel capo di imputazione, risultano proprio dagli atti processuali, tra cui i verbali relativi agli interventi della polizia giudiziaria.
2.2. Con riferimento al terzo motivo, deve rilevarsi che, in sentenza, si precisa che la querela consente di avere contezza delle date in cui sono avvenuti i trattenimenti elusivi dell’esecuzione dei provvedimenti del giudice.
La legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l’affidamento dei figli, previsto dall’art. 388, comma secondo, cod. pen., spetta al genitore interessato all’osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l’interesse tutelato è quello relativo all’esercizio delle prerogative genitoriali (Sez. 6, n. 46483 del 25/07/2017, Corsi, Rv. 271355 – 01).
Dunque, non pare corretto il rilievo della parte per cui sarebbe stato necessario chiedere un’autorizzazione al giudice tutelare alla luce della predisposizione di una garanzia a tutela del solo minore e non dei genitori.
Ciò posto, deve anche osservarsi che, nel caso di specie, la querela presentata dalla B.B. non risulta viziata dal momento che, nonostante l’affidamento della minore ai servizi sociali, non risulta che i genitori siano decaduti dalla potestà genitoriale; pertanto, la querela è stata correttamente presentata in considerazione dell’orientamento consolidato per il quale, in tema di sottrazione di persone incapaci, l’affidamento del minore ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia, non priva i genitori, non dichiarati decaduti dalla potestà, del diritto di querela (Sez. 6, n. 49063 del 22/11/2013, R., Rv. 257653 – 01).
- Venendo al quarto motivo di ricorso, il fatto è stato compiutamente ricostruito, essendo emerso che il provvedimento adottato dal giudice civile non prevedeva giorni fissi in cui il padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questi potesse stare con lei liberamente, previo accordo con la madre e nel prioritario interesse della bambina, o, in caso di disaccordo tra i coniugi, secondo i tempi e le modalità fissati nei provvedimenti temporanei ed urgenti.
Si tratta, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori.
Nell’ambito di tale generica regolamentazione, è emerso che l’imputato aveva trattenuto per giorni la figlia presso di sé, mentre avrebbe dovuto riportarla a casa della madre, con la quale non aveva raggiunto alcun accordo per prolungare la permanenza.
3.1. In buona sostanza, quindi, il fatto è stato cristallizzato nel “rifiuto” dell’imputato di riaccompagnare la bambina dalla madre nel giorno previsto.
A fronte del dato fattuale sopra richiamato, la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato applicando il principio secondo il quale integra la condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388, secondo comma, cod. pen., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione (Sez.6, n. 12391 del 18/3/2016, M., Rv. 266675; in senso conforme si veda anche Sez.6, n.37433 del 23/9/2020, n.m.; Sez.6, n.29882 del 8/1/2019, n.m.).
Si è precisato che il mero rifiuto integra una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, quando l’attuazione del provvedimento richieda la necessaria collaborazione del genitore affidatario (Sez.6, n. 27995 del 5/3/2009, Fichera, Rv. 244521).
3.2. Con riferimento alla condotta tipica del reato in questione, il Collegio intende, invece, dare continuità all’orientamento più recente di legittimità, secondo il quale il mero inadempimento del provvedimento del giudice nella suddetta materia non integra il reato di cui all’art. 388, comma secondo, cod. pen., occorrendo che il genitore compia atti fraudolenti o simulati, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede (Sez. 6, n. 10905 del 31/01/2023, C. , Rv. 284467; Sez. 6, n. 38126 del 11/07/2023, M., Rv. 285214).
Questa più recente esegesi valorizza il dato letterale del tratto tipico della condotta penalmente rilevante della fattispecie di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen. – la “elusione”- che evidentemente non può essere equiparata ad ogni inadempimento del provvedimento del giudice in materia di affidamento dei minori.
Tale impostazione è coerente con l’insegnamento delle Sezioni Unite, là dove hanno chiarito che le previsioni incriminatrici di cui ai primi due commi dell’art. 388 cod. pen. tutelano la “effettività” della tutela giurisdizionale e che oggetto del presidio penale non è la mera inosservanza ma la elusione del provvedimento del giudice, consistente in condotte accompagnate da atti fraudolenti o simulati finalizzati ad evitare l’adempimento, sempre che non si tratti di comportamento che richieda l’infungibile facere dell’obbligato (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937).
Nel caso in esame, del resto, non può parlarsi di infungibile facere dell’obbligato: la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, impropriamente richiamata nella sentenza impugnata, ha, infatti, ad oggetto tutt’altra fattispecie, e cioè il mero rifiuto del soggetto passivo di adempiere un’ordinanza di reintegrazione del possesso, eseguibile coattivamente.
3.3. Applicando, quindi, la regula iuris, secondo la quale la “elusione” non può essere equiparata ad ogni inadempimento del provvedimento del giudice in materia di affidamento dei minori, è agevole osservare come all’imputato si contesti un episodio, di persé, inidoneo a determinare una violazione penalmente rilevante dell’art. 388 cod. pen.
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