Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza 10 settembre 2021, n. 33596
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Preliminarmente, agli effetti penali, deve disporsi l’annullamento della sentenza impugnata per essere il reato ascritto agli imputati venuto ad estinzione per intervenuta prescrizione, maturata in data (OMISSIS) , già considerati i periodi di sospensione del dibattimento nei gradi di merito come risultanti dai verbali di udienza in cui sono maturati i suddetti differimenti per impedimenti concernenti la difesa degli impudenti e le estensioni per adesione all’astensione proclamata all’Unione delle Camere penali. D’altro canto le doglianze dei ricorrenti non risultano manifestamente infondate o chiaramente dilatorie, ma sono espressione di difese tecniche degne di essere considerate, quantomeno ai fini civili, di talché il rapporto processuale risulta essersi regolarmente costituito; sotto diverso profilo dall’esame dei provvedimenti impugnati e degli atti difensivi non emergono elementi che, in maniera incontestabile e in termini di evidenza “ictu oculi” giustifichino la conclusione, in termini di mera constatazione, della insussistenza del fatto, della mancata commissione da parte dell’imputato e, più in generale, della irrilevanza penale dello stesso.
- In ordine alle questioni civili, sulle quali la Corte è comunque tenuta a pronunciarsi ai sensi dell’art. 578 c.p.p., ancorché in costanza di una causa estintiva della responsabilità penale in presenza di condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile, l’interesse alla pronuncia del ricorrente B. risulta venuto meno a seguito di rinuncia delle parti civili all’azione civile promossa nei suoi confronti in presenza della dichiarazione delle costituite parti civili “di non avere più nulla a pretendere nè dalla Fondazione (…), nè da B.A. per qualsiasi titolo di danno e di spese, anche legali, in dipendenza dell’evento a fronte dell’intervenuto risarcimento operato dall’assicuratore per la responsabilità civile”. Devono conseguentemente essere revocate le statuizioni civili della sentenza impugnata nei confronti di B.A.
- Il ricorso di V.R. deve invece essere rigettato. Innanzitutto giova premettere che la decisione con la quale l’autorità giudiziaria dispone l’affidamento del minore ai servizi sociali rientra nei provvedimenti convenienti per l’interesse del minore, di cui all’art. 333 c.c., in quanto diretta a superare la condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori senza dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c.
Sin dagli anni novanta del secolo scorso, osserva la Corte, è stata elaborata dalla giurisprudenza di legittimità la “teoria del garante” muovendo dall’osservazione – e dalla valorizzazione – del profondo significato che deve riconoscersi agli “obblighi di garanzia” discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (Cass. sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Rv. 191792).
Nello sviluppo di tale teoria, la Suprema Corte ha chiarito che, nell’individuazione dei reali destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente (Cass. sez. U., n. 9874 del 01/07/1992, dep. 14/10/1992, Rv. 191185); che spetta all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia, per tutti i casi della vita – non tipizzati dal legislatore – corrispondenti ad una situazione di passività, in cui versi il titolare del bene protetto; e che l’interprete, in tale ambito ricostruttivo, deve individuare il contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili al soggetto che versa in posizione di garanzia.
3.1 Giova, inoltre, ricordare che la posizione di garanzia deve intendersi come locuzione che esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento e che fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., e che è affidata all’interprete la selezione dei garanti e l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome, tali da giustificare la compartimentazione della responsabilità penale, compito particolarmente complesso specialmente nell’ambito della cooperazione colposa e che l’interprete deve svolgere tenendo presente lo scopo del diritto penale che “è proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella già indicata prospettiva di ricercare responsabilità e non capri espiatori” (Cass. sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, dep. 21/12/2012, Rv. 254094).
- Nella materia di interesse costituisce principio di diritto affermato da questa Corte quello per cui “ai fini della operatività della così detta clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv. c.p., nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante e – in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell’obbligo – come scaturente dalla determinata fonte di cui si tratta – occorre valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza” (Cass. pen. sez. 4, sent. 27/01/2015, dep. 06/03/2015, n. 9855 PG in proc. Chiappa, Rv.262440).
- Tanto premesso, prosegue la Corte, risulta corretta la valutazione della Corte di appello circa il riconoscimento di una posizione di garanzia assunta dalla V. rispetto alla sfera di interessi del minore essendo stata l’imputata, in veste di assistente sociale, incaricata, con decreto del Tribunale di Firenze del 22/6/2010, di assumere l’assistenza del minore, collocato in comunità con la madre, all’evidenza incapace di accudire il figlio visti i trascorsi di tossicodipendenza.
- Nella materia qui in esame viene in rilievo il R.D. 20 luglio 1934, n. 1404 (conv. In L. 27 maggio 1935, n. 885), istitutivo del Tribunale per i Minorenni con compiti di tutela minorile in un’ottica essenzialmente volta alla rieducazione e istituzionalizzazione del minore nonché la L. 25 luglio 1956, n. 888 di modifica del settore degli interventi rieducativi di competenza dei tribunali per i minorenni rivolgendo attenzione particolare agli interventi tesi al sostegno del minore. È in quest’ottica che si è avuta una rilettura dell’istituto dell’affidamento al servizio sociale costituendo tale servizio, insieme al servizio psicologico territoriale, il principale veicolo di conoscenza delle situazioni a rischio attuale o potenziale in cui versano i minori sicché compito degli assistenti è quello di segnalare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, organo di impulso processuale, le situazioni di pregiudizio o di abbandono morale e materiale in cui versa il minore nonché quello di collaborare al fine di acquisire informazioni in ordine alle condizioni di vita del minore sottoposto a tutela o curatela. Infatti il servizio sociale professionale è tenuto a collaborare per gli interventi in favore di minorenni che si trovino in una situazione di rischio derivante da comportamenti pregiudizievoli dei genitori a causa delle condotte irregolari e che sono per tale motivo soggetti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile (artt. 330,333 c.c.).
6.1 In particolare, ai sensi della L. 23 marzo 1993, n. 84, l’assistente sociale è dotato di autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone e famiglie in situazioni di bisogno e di disagio. Trattandosi di materia – quella delle funzioni socio assistenziali – oggetto di decentramento agli enti locali, il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, attribuisce ai comuni, singoli o associati, secondo le direttive delle Regioni, il sistema della politica minorile nonché le funzioni amministrative comprendenti gli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza civile e amministrativa e la L. 4 maggio 1983, n. 184 impone all’ente locale di prestare servizi di supporto affinché il minore possa concretamente realizzare il diritto di vivere nella propria famiglia o, qualora non sia possibile, possa essere inserito in una famiglia affidataria, in una comunità di tipo familiare o infine essere adottato.
6.2 Infine, la L. 8 novembre 2000, n. 328, riafferma la centralità degli Enti Locali sulla titolarità delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali, interventi che includono, in particolare, quelli a sostegno dei minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture di accoglienza di tipo familiare (art. 22, lett. c).
- Orbene, soggiunge la Corte, se è vero che gli obblighi dell’assistente sociale incaricato della cura del minore collocato in comunità non sono oggetto di analitica disciplina legislativa non può negarsi, tuttavia, la posizione di garanzia che il soggetto incaricato assume trattandosi, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, di una relazione soggetto affidatario/affidato che, sebbene non comporti un addebito di responsabilità automatico, determina comunque la responsabilità del soggetto garante qualora sia ravvisata violazione di una regola cautelare di condotta da porsi in relazione con l’evento lesivo che la medesima regola mirava a prevenire.
7.1 Diversamente da quanto afferma la ricorrente, secondo cui la Corte distrettuale, nell’inquadrare la vicenda, sarebbe incorsa in un errore giuridico, la condotta che viene contestata non è una condotta attiva, consistita nell’aver consentito alla madre di uscire liberamente dalla struttura socio assistenziale ove era collocata insieme al minore, bensì una condotta omissiva consistita nella mancata instaurazione di qualsiasi contatto diretto con la diade madre-figlio e per essersi l’imputata limitata a ricevere le relazioni degli operatori della Comunità senza mai effettuare una visita personale, così da percepire il pericolo al quale il bambino era esposto.
Parimenti la mancata instaurazione di un qualsiasi contatto con la P., maestra d’asilo del minore, o con l’educatrice professionale, P. , non possono non considerarsi inosservanze dell’obbligo di esercitare un ruolo fattivo nell’iter educativo del minore, ruolo che certamente è chiamato a svolgere l’assistente sociale incaricato della cura del minore stesso.
- La sentenza impugnata, chiosa ancora la Corte, risulta logicamente e coerentemente motivata anche in riferimento alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta all’imputata e l’evento mortale avendo la medesima condotta rappresentato un anello eziologico dell’evento. Difatti, un esercizio corretto e non superficiale del ruolo che l’imputata ricopriva, che certamente richiedeva un rapporto diretto con la diade madre-figlio scandito da incontri periodici, avrebbe portato la stessa, secondo un grado di certezza processuale ovvero di alta credibilità razionale o probabilità logica, ad individuare le evidenti problematiche della madre ed a porre, di conseguenza, maggiore attenzione alla situazione.
8.1 Come risulta affermato dalla stessa difesa nel ricorso, conclude la Corte, anche dalla deposizione della Dott.ssa A. emerge che i servizi sociali, nell’esercizio del ruolo che gli è proprio, al fine di prendere le decisioni che gli competono, possono basarsi esclusivamente sugli incontri periodici che si tengono con i soggetti affidati, nonché su quanto viene loro riferito dal SERT o da coloro che operano nella comunità in cui i soggetti affidati sono collocati.
È di tutta evidenza, quindi, come l’odierna ricorrente, omettendo i suddetti incontri periodici che, appunto, erano doverosi proprio in ragione del ruolo di assistenza che ella era chiamata a svolgere, abbia fornito un contributo alla condotta colposa della madre del bambino nella gestione del proprio rapporto con il minore e, conseguentemente alla inescusabile negligenza che aveva dato luogo alla tragica ingestione del farmaco.
- Il ricorso della V. deve pertanto essere rigettato agli effetti civili e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili nel presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.