Cas. pen., VI, ud. 23.11.2023, n. 47121
PRINCIPIO DI DIRITTO ( rilevato)
Quanto al dato letterale,la novella introdotta con la L. 19 luglio 2019, n. 69, ha positivizzato – come già ricordato – il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità.
Il legislatore ha, quindi, calato l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” nel corpo dell’art. 572 c.p., introducendo un ultimo comma, a mente del quale “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato”, ed innestando, anzi, nel corpo della fattispecie, un’ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena “se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore” (art. 572 c.p., comma 2).
Altro non ha aggiunto in ordine all’età del minorenne.
Su un piano appena più approfondito, che è quello teorico e di sistema, richiedere la verifica sull’idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest’ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo. Significherebbe, in definitiva, destrutturare la forma dell’offesa prescelta dal legislatore.
Più esplicitamente, l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” è tipizzata in chiave di pericolo astratto, in quanto assume l’elevata probabilità di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) alla presenza del minorenne.
Ciò basta ad integrare l’offesa e, dunque, la tipicità del reato.
Ebbene – e si giunge in tal modo al terzo profilo accennato, che è quello empirico -, nell’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” non vi è ragione di dubitare dell’offensività “in astratto” della fattispecie.
Infatti, non vi è motivo di dubitare del pericolo di danno indotto dalla visione di comportamenti violenti anche in bambini in età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe, quindi, essere vieppiù compromesso, proprio per l’impossibilità/difficoltà, per il neonato e l’infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
1.2. Il ricorrente cita una massima in cui la configurabilità dei c.d. maltrattamenti assistiti del minorenne è subordinata alla condizione che le condotte siano idonee ad incidere sull’equilibrio psicofisico dello stesso (Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S., Rv. 279620), dalla quale inferisce che tale accertamento debba essere svolto in concreto.
Soprattutto, pretermette come tale pronuncia avesse richiamato, evidentemente aderendo alla sua motivazione, un precedente (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985, anch’esso di conferma della sentenza di appello) che, in modo più ampio, argomentava la rilevanza penale di “maltrattamenti assistiti” nel contesto della tipicità dell’art. 572 cod. (prima che vi fossero legislativamente previsti in modo espresso dalla 19/07/2019, n. 69), richiedendo, in modo affatto coerente, la sussistenza dei requisiti individuati dalla consolidata giurisprudenza ai fini della configurabilità dei maltrattamenti in generale.
In altri termini, tale precedente (Sez. 6 n. 18833 del 23/02/2018, cit.) sollecitava l’indagine del giudice di merito sull’abitualità dei comportamenti e sull’offesa al bene personalistico tutelato (offesa che – precisava – deve atteggiarsi in chiave di idoneità ed anzi di effettiva causazione dell’offesa): con riferimento, evidentemente, alle condotte tenute dall’autore dei maltrattamenti nei confronti di terzi (e non nei confronti del minorenne che assiste).
1.2.[ …] per dovere di completezza, va anche precisato che in un altro caso (non citato dal ricorrente) questa Corte ha, per contro, escluso la configurabilità dell’aggravante dei c.d. maltrattamenti assistiti, affermando esplicitamente che la tenera età dell’infante non consentisse a quest’ultimo di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (così, Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, C., Rv. 283271), a prescindere, quindi, dal numero di comportamenti a cui il minore avesse assistito.
1.3. Allo scopo di fugare equivoci interpretativi su una questione così delicata, questo Collegio ritiene doveroso esplicitare che non ritiene condivisibile tale ultimo orientamento – il quale, come detto, non costituisce espressione di una posizione consolidata (in senso espressamente contrario, tra le altre, Sez. 6, n. 55833 del 18/10/2017, V., Rv. 271670) -, dal momento che non trova giustificazione nè nel dato letterale, nè in quello teorico e di sistema, nè, infine, nel dato empirico..
Quanto al dato letterale, […] la novella introdotta con la L. 19 luglio 2019, n. 69, ha positivizzato – come già ricordato – il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità.
Il legislatore ha, quindi, calato l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” nel corpo dell’art. 572 c.p., introducendo un ultimo comma, a mente del quale “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato”, ed innestando, anzi, nel corpo della fattispecie, un’ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena “se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore” (art. 572 c.p., comma 2).
Altro non ha aggiunto in ordine all’età del minorenne.
Su un piano appena più approfondito, che è quello teorico e di sistema, richiedere la verifica sull’idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest’ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo. Significherebbe, in definitiva, destrutturare la forma dell’offesa prescelta dal legislatore.
Più esplicitamente, l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” è tipizzata in chiave di pericolo astratto, in quanto assume l’elevata probabilità di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) alla presenza del minorenne.
Ciò basta ad integrare l’offesa e, dunque, la tipicità del reato…
Va infatti ricordato che, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, ai fini della c.d. offensività “in astratto” del reato (che la Consulta rivendica al suo proprio sindacato), è sufficiente “che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit” (da ultima, sent. n. 139 del 2023, che richiama, a sua volta, sentt. n. 211 del 2022, n. 141 del 2019, n. 109 del 2016 e n. 225 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 278 del 2019). Ove tale condizione risulti soddisfatta – aggiunge la Corte costituzionale – il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa (c.d. offensività “in concreto”) resta affidato al giudice ordinario, nell’esercizio del suo potere interpretativo, allo scopo di evitare che l’area di operatività dell’incriminazione si espanda a condotte prive di un’apprezzabile potenzialità lesiva” (ancora sent. n. 139 del 2023, che richiama sent. Corte Cost.n. 225 del 2008).
Ebbene – e si giunge in tal modo al terzo profilo accennato, che è quello empirico -, nell’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” non vi è ragione di dubitare dell’offensività “in astratto” della fattispecie.
Infatti, non vi è motivo di dubitare del pericolo di danno indotto dalla visione di comportamenti violenti anche in bambini in età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe, quindi, essere vieppiù compromesso, proprio per l’impossibilità/difficoltà, per il neonato e l’infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti[…]
A fronte di tale dato empirico, che – lo si ripete – fonda la conformità a Costituzione della presunzione a fondamento dei “maltrattamenti assistiti” sul piano dell’offensività “in astratto”, e precisato che, ovviamente, gli effetti della compromissione del sano sviluppo psico-fisico del bambino possono emergere a distanza di anche molto tempo dal fatto, neppure si comprenderebbe, infine, come esperire quel giudizio sul pericolo in concreto sollecitato dal ricorrente, e cioè accertare l’idoneità offensiva della specifica condotta: vieppiù in casi come quello di specie, in cui il minorenne era di “tenerissima età”.
1.4. Altro discorso è quali siano i contenuti minimi, sul piano dell’offensività e quindi della tipicità, dei “maltrattamenti assistiti”, che è poi la questione trattata, come detto, da Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B. cit., e, attraverso il richiamo a quest’ultima, da Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S. cit..
Tali pronunce, mediante il riferimento all’idoneità della condotta – “far assistere” il minorenne alle condotte realizzate nei confronti di altre persone -, hanno inteso sollecitare il suddetto riscontro sulla “offensività, in concreto”, da parte dei giudici di merito, sotto questo specifico profilo.
Hanno, cioè, dato conto della necessità, prima di tutto logica e poi anche giuridica, che il minorenne, quale ne sia l’età, abbia presenziato ad un numero di episodi che, per la loro gravità e per la loro ricorrenza nel tempo (abitualità), possano comprometterne il sano sviluppo psico-fisico… E hanno, per contro, escluso che il delitto sia configurabile quando, ad esempio, il minore assista ad un solo atto di maltrattamento verso terzi.
Il principio di diritto espresso in tali pronunce può essere, dunque, più precisamente specificato nei termini seguenti: sussiste violenza assistita a prescindere dall’età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione dei suo normale sviluppo psico-fisico.
1.5. [..]si torna al caso di specie.
Infondata, per le ragioni indicate, appare la deduzione del ricorrente ove eccepisce che i giudici, ai fini della configurabilità dell’art. 572 c.p., comma 2, abbiano trascurato l’età tenerissima del minorenne e comunque non abbiano esperito alcun accertamento in ordine al pericolo di lesione della sua integrità psico-fisica, dal momento che tale età non rileva legislativamente, non potendosi, d’altronde, escludere che, al contrario di quanto ipotizzato dal ricorrente, il pericolo sia tanto maggiore quanto più tenera è l’età del minorenne che assiste ai maltrattamenti.
Nè vi è motivo di ritenere […] che i comportamenti cui il minorenne ha assistito non integrino la soglia di rilevanza penale dei maltrattamenti. I giudici dell’appello hanno infatti avuto cura di precisare che, sebbene “dagli atti processuali emergano descritti due specifici episodi avvenuti alla presenza del figlio lattante della coppia”, “gli episodi a cui ha assistito il piccolo sono sicuramente molto più numerosi, essendo il bambino, di pochi mesi, a casa con i genitori e quindi inevitabilmente spettatore, se non in qualche modo coinvolto, nelle esplosioni di violenza verbale e fisica del padre nei confronti della madre (padre che frequentemente trascinava la compagna fuori dall’abitazione, privando quindi il minore, di tenerissima età, della presenza materna)”. Ed hanno aggiunto – subito di seguito – che “le urla, l’estromissione della madre dalla casa familiare, i tentativi della P. , di rientrare in casa, il coinvolgimento di vicini e forze dell’ordine hanno costituito il contesto violento e nocivo in cui il minore ha vissuto i primi mesi a causa della violenta condotta paterna verso la madre”.
Così argomentando, essi hanno non soltanto correttamente applicato la legge penale, ma anche ottemperato all’obbligo di rendere una motivazione completa e coerente.
- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, nel dedurre la violazione dell’art. 133 c.p.sotto il profilo della commisurazione della pena e, in particolare, per la mancata considerazione della personalità dell’imputato, il ricorrente non si confronta con la completa e logica motivazione della sentenza.
In particolare, non tiene conto del fatto che i giudici, nel motivare la ragione per cui si sono discostati di tre mesi dal minimo edittale, hanno considerato la pena così determinata proporzionata al disvalore del fatto sotto il profilo sia oggettivo, sia soggettivo, alla luce della protrazione delle condotte maltrattanti per un lasso temporale non breve, anche nel periodo in cui la donna, persona offesa, era in stato di gravidanza e subito dopo il parto – quindi in fasi della vita in cui era particolarmente fragile e bisognosa di collaborazione e solidarietà – nonché dell’impiego, nei confronti della stessa, anche di violenza fisica.
Aggiungono, inoltre, che “l’aumento di pena, stabilito nella misura dei sei mesi di reclusione, è anch’essa adeguata alla brutalità della condotta tenuta nei confronti della convivente e all’entità delle conseguenze dannose a lei cagionati”.
Il motivo appare peraltro generico, anche perché aspecifico, non precisando in che cosa consisterebbe il ravvedimento post delictum del ricorrente e la meritevolezza del suo comportamento processuale .
COMMENTO
Nel pronunciamento in esame la Suprema Corte con un sostanziale revirement muta il proprio orientamento in ipotesi di reato di maltrattamenti assistiti ex art 572 c.p.
Ed infatti, col supporto del Giudice delle leggi di cui cita importanti pronunce e della positivizzazione attuata dalla novella introdotta con la legge 69/2019, il Supremo Collegio rinnega i precedenti orientamenti che asseveravano quale discrimen ai fini della punibilità del prefato reato
l’età della persona offesa di minore età.
Vieppiù.
La Corte asserisce che il reato in parola è tipizzato quale ipotesi “a pericolo astratto” e non “concreto”, essendo sufficiente che la valutazione di pericolosità dell’agente si effettui sulla base del criterio dell’ id quod plerumque accidit.
Sul punto , anche la Corte Costituzionale, ha affermato, infatti, che la “concretezza dell’offensività” potrà ravvisarsi solo in un secondo momento, quale applicazione del principio di offensività in concreto ad opera del giudice di merito.
Per ciò che concerne, poi, il minimum di offensività per la configurabilità del reato di maltrattamenti assistiti ex 572 c.p, secondo la Suprema Corte che sul punto, invece, cita come conformi altri pronunciamenti, lo stesso deve ravvisarsi in una “ abitualità” del comportamento dell’agente che non deve necessariamente “quantificarsi “ in un certo numero di atti violenti bensì connotarsi“ qualitativamente “ in un contesto reiteratamente violento e nocivo per il minore.
Sul crinale processuale la Corte , nel rigettare, altresì, il secondo motivo di gravame, ribadisce l’applicazione del principio di proporzionalità della pena rispetto non soltanto alla condotta assunta dall’agente nella commissione del fatto inadempimento reato, ma anche allo stato di “ particolare fragilità” della persona direttamente offesa .