In tema di maltrattamenti in famiglia, […] il reato in esame non postula necessariamente la esistenza di minacce o, comunque, di atti volti a ledere o porre in pericolo la integrità fisica dei soggetti, costituenti quello che sarebbe dovuto essere il “nucleo aggregante di attrazione degli affetti familiari”,, conviventi con l’imputato (o comunque condividenti con questo un comune progetto di vita) essendo necessaria (e sufficiente) una condotta anche solo di tipo maltrattante, la quale si può materializzare anche con atti, certamente realizzati con sistematicità, semplicemente idonei a svilire gravemente la dignità personale di tali individui, in tale modo compromettendo la opportuna serenità della “società naturale” costituita dalla famiglia.
[…] Inoltre, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell’agente (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 12 gennaio 2023), essendo, anzi, questa Corte giunta sino ad affermare che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 aprile 2020, n. 12206) – ma anche poco rispondente alla realtà in cui si è manifestato il caso in questione, ove si rifletta sulla circostanza che l’interesse tutelato dalla norma è riferito a tutti i componenti della famiglia convivente, fra i quali erano annoverate nella specie anche le figlie dell’imputato che, data la loro età estremamente giovanile ove non infantile, erano indubbiamente nella condizione di soggezione morale rispetto all’imputato.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 30 agosto 2023, n. 36170