Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 08 novembre 2022, n. 32914
PRINCIPIO DI DIRITTO
In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.La questione, sollevata con il quinto motivo e sottoposta alle Sezioni Unite, attiene, in relazione alla condanna della ricorrente, disposta dalla Corte d’appello, alla restituzione delle somme percepite dal coniuge separato e poi divorziato, dall’ottobre 2009, a titolo di assegno di mantenimento, alla asserita irripetibilità, in tutto o in parte (nei limiti della modesta entità dell’importo del contributo), delle somme versate a titolo di mantenimento, stante la natura sostanzialmente alimentare dell’obbligazione.
La questione, precisa la Corte, implica, a sua volta, la soluzione di alcuni fondamentali quesiti: a) quello circa la sussistenza o meno di un principio generale di irripetibilità delle statuizioni economiche in sede di giudizio di separazione e divorzio (in relazione ai coniugi ed ai figli), ricavabile dalla disciplina processuale; b) quello relativo alla natura alimentare (in tutto o in parte) o para-alimentare o con finalità anche alimentare dell’assegno di mantenimento del coniuge separato o divorzile, ricavabile dal diritto sostanziale e circa l’effettivo carattere di irripetibilità della prestazione di alimenti, desumibile, in difetto di un’espressa disposizione normativa, dalla complessiva disciplina dettata in materia o da principi costituzionali.
Le ulteriori questioni, pure poste dall’ordinanza interlocutoria, attinenti sia all’assegno di mantenimento dei figli sia all’applicabilità agli assegni di mantenimento o di divorzio delle disposizioni specifiche dettate dalla disciplina sugli alimenti, in punto di incedibilità e impignorabilità delle somme, ai sensi degli artt.447 c.c. e 545, 671 c.p.c., non formano oggetto del giudizio di legittimità pendente, o perché sul punto si è formato il giudicato o perché estranee alla fattispecie concreta, e quindi non verranno esaminate.
2. Il quadro normativo.
Le norme su cui specificamente va incentrato l’esame sono:
– Codice Civile (R.D. n. 262/1942):
– Art. 156 (Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi): «Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti».
– Art. 438. (Misura degli alimenti): «1. Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. 2.Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale…».
– Art. 439 (Misura degli alimenti tra fratelli e sorelle), nel testo modificato per effetto della L. n. 39/1975: «Tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario. Possono comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione se si tratta di minore».
– Art.440 c.c. (Cessazione, riduzione e aumento): «Se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze. Gli alimenti possono pure essere ridotti per la condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato. Se, dopo assegnati gli alimenti, consta che uno degli obbligati di grado anteriore è in condizione di poterli somministrare, l’autorità giudiziaria non può liberare l’obbligato di grado posteriore se non quando abbia imposto all’obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti».
– Art.445 c.c. (Decorrenza degli alimenti): «Gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell’obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale».
– Art.446 (Assegno provvisorio): «Finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l’altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati, a carico anche di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri».
– Art.447 c.c. (Inammissibilità di cessione e di compensazione) «Il credito alimentare non può essere ceduto. L’obbligato agli alimenti non può opporre all’altra parte la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate».
– Il comma 19 della l. 76 /2016 estende alle unioni civili, nei limiti di compatibilità, le disposizioni dettate dagli artt.433 e ss. c.c..
– Art. 2033 (Indebito oggettivo): «Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda».
– Codice procedura civile (R.D. 1443/1940):
– Art.282 (a seguito della Riforma di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353): «La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti».
– Art. 336 (a seguito della Riforma di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353): «La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata. La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata». Il testo originario al secondo comma statuiva che «la riforma con sentenza passata in giudicato… estende i suoi effetti al provvedimento e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata».
– Art.708 (Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente), nel testo modificato (quarto comma) per effetto della L.54/2006: «All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione. Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore.
Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento».
– Art. 709, ult. comma (nel testo modificato dalla l. 80/2005): «I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore». (In precedenza, il comma 3° dell’art.708 prevedeva che «Se si verificano mutamenti nelle circostanze, l’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell’articolo 177»).
– Art. 189 disposizioni di attuazione codice procedura civile (nel testo modificato per effetto del R.D. 504/1942): «L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale o il giudice istruttore da’ i provvedimenti di cui all’articolo 708 del codice costituisce titolo esecutivo. Essa conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzione del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito di nuova presentazione del ricorso per separazione personale dei coniugi».
– Art. 669 octies c.p.c., modifiche introdotte dalla l.80/2005, (Provvedimento di accoglimento): Comma 6: « Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito». Comma 8. «L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa».
– Art. 669 novies c.p.c.: (Inefficacia del provvedimento cautelare): «Se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all’articolo 669 octies, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia. In entrambi i casi, il giudice che ha emesso il provvedimento su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara, se non c’è contestazione, con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. … Il provvedimento cautelare perde altresì efficacia se non è stata versata la cauzione di cui all’articolo 669-undecies, ovvero se con sentenza, anche non passata in giudicato, è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso. In tal caso i provvedimenti di cui al comma precedente sono pronunciati nella stessa sentenza o, in mancanza, con ordinanza a seguito del ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento».
– Art. 669 quaterdecies (Ambito di applicazione): «Le disposizioni della presente sezione si applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo, nonché, in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalla leggi speciali».
– Legge divorzio n. 898/1970:
– Art. 4 (commi 8, 12, 13, 14) : «Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore.
L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. … Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva».
– Art. 5 (comma 6): «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».
– Il comma 25 dell’art. 1 della l. 76/2016 prevede poi che alle unioni civili si applichi, tra le altre disposizioni, il sesto comma dell’art. 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sul diritto ad un assegno periodico, in favore del soggetto che non abbia i mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
– Art.1 l. 76/2016, comma 65: «In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, l’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle».
3 – In generale, sul contributo al mantenimento del coniuge.
Vanno, anzitutto, svolte alcune considerazioni generali in ordine agli effetti della separazione e del divorzio (e della crisi del rapporto di coppia, avuto riguardo alle unioni civili) sui rapporti patrimoniali fra i coniugi, con riguardo all’assegno di mantenimento del coniuge (e dei figli).
La separazione personale tra i coniugi, osserva la Corte, non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significati mutamenti: a) il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde invece il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno.
Già per effetto degli artt. 8 e 23 della l. n. 74/1987, di modifica della legge n. 898/1970, si è previsto che, nel procedimento di divorzio come in quello di separazione, «per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva», anticipandosi la scelta poi operata dal legislatore in via generale nel nuovo testo dell’art. 282 c.p.c..
Si afferma, con orientamento prevalente, che il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato sorge e decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio, anche se tale principio attiene soltanto al profilo dell'”an debeatur” della domanda, e non interferisce, pertanto, sull’esigenza di determinare il “quantum” dell’assegno alla stregua dell’evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità della determinazione di misure e decorrenze differenziate, in relazione alle modificazioni intervenute fino alla data della decisione, dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati (Cass. n. 1919/1984, ove si fa richiamo al principio generale stabilito per gli alimenti dall’art. 445 cod. civ.; Cass. n. 147/1994, «L’assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione, così come la sua successiva revisione, decorre dalla data della correlativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio», evidenziandosi, secondo la disciplina vigente ratione temporis della L. div., la differenza rispetto all’assegno di divorzio che decorreva dal momento della formazione del titolo in forza del quale esso è dovuto e cioè appunto dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, avente effetto costitutivo; Cass. n.4011/1999; Cass. n.4558/2000; Cass. n.14886/2002; Cass. n. 17199/2013; Cass.n. 2960/2017).
Invece, soggiunge la Corte, l’assegno divorzile, del tutto autonomo rispetto a quello di mantenimento concesso al coniuge separato, a seguito della riforma introdotta nel 1987, e dell’intervento chiarificatore da ultimo espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2018, ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o meglio perequativo-compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico), nel senso che i criteri previsti dall’art.5 l. div. (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an della concessione sia al fine di determinare il quantum dell’assegno.
Si è quindi evidenziato (Cass. SS.UU. n. 18287/2018) che «la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile – al pari dell’assegno di mantenimento in sede di separazione – non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi». In sostanza, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti, patrimoniale e reddituale, occorrerà verificare se esso, in termini di correlazione causale, sia o meno il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.
È inoltre previsto che le parti si accordino per una corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione (art. 5, comma 8), con conseguente improponibilità di ogni successiva domanda di contenuto economico tra gli ex coniugi.
In ogni caso, rammenta la Corte, l’assegno divorzile cesserà con le nuove nozze dell’avente diritto (art. 5, comma 10), mentre, nell’ipotesi di instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo, viene caducata, alla luce di quanto affermato da queste Sezioni unite nella recente sentenza n. 32198/2021, la sola componente assistenziale dello stesso, potendo essere mantenuto il diritto al riconoscimento di un assegno a carico dell’ex coniuge economicamente più debole, in funzione esclusivamente perequativa-compensativa.
Quanto alla decorrenza dell’assegno divorzile, se, vigente la disciplina dettata dal testo originario della l. 898/1970, si era individuato tale momento, in correlazione con la definitiva acquisizione da parte dei coniugi dello status di divorziati, con riferimento al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, che segna lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale e che rispetto allo status predetto ha efficacia costitutiva (Cass. n. 3038/1977; Cass. n. 6485/1986), la riforma del 1987 ha introdotto un temperamento, prevedendo che la sentenza di primo grado volta a determinare la misura dell’assegno sia provvisoriamente esecutiva, riguardo ai provvedimenti di natura economica, e che il tribunale, nell’emanare la sentenza non definitiva (e questa Corte ne ha esteso la portata anche all’ipotesi in cui sia stata emessa sentenza definitiva di divorzio, Cass. n. 5140/2011, o di contestuale pronuncia sul divorzio e sull’assegno, (Cass. n. 7458/1990), possa stabilire, motivatamente, che l’assegno decorra, ancor prima, a partire dalla data della domanda giudiziale, ex art. 4, pur in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass. n. 3351/2003; Cass. n. 19330/2020). Per il periodo precedente, la situazione economica rimane disciplinata dalla normativa sulla separazione dei coniugi (ove il divorzio sia pronunciato per il protrarsi della stessa).
Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile, precisa la Corte, possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza. Quanto all’assegno divorzile se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell’assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perché trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell’assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202).
4. In generale, sulla disciplina degli alimenti.
Ancora, in generale, sul tema degli alimenti, si osserva che l’obbligazione legale di alimenti, vale a dire la corresponsione dei mezzi atti a soddisfare i bisogni essenziali necessari alla persona per condurre una vita dignitosa (ad es. vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, trasporto), trova anch’essa fondamento, al pari del diritto al mantenimento del coniuge e dei figli, nella solidarietà familiare, peraltro in un’accezione, quanto all’individuazione dei soggetti obbligati ex lege, di famiglia più estesa di quella nucleare cui è dedicato il libro primo del codice (rilevando rapporti di parentela, affinità, coniugio, unione civile, convivenza di fatto), ma essa può sorgere anche tra estranei (si pensi quella a carico del donatario a favore del donante).
Presupposti del diritto agli alimenti sono lo stato di bisogno del soggetto richiedente e l’impossibilità dello stesso di provvedere da solo a superare tale stato; rileva poi, come criterio per determinarne la misura concreta, anche la capacità economica dell’obbligato di provvedere alle necessità del bisognoso (riferita, quanto al donatario, anche al valore della donazione ricevuta). Si deve quindi tener conto (ai sensi del 2° comma dell’art.438 c.c.) dei bisogni specifici del richiedente e delle condizioni economiche dell’obbligato (prevedendosi, conseguentemente, che vi siano più soggetti tenuti all’adempimento del dovere).
La misura degli alimenti che il creditore può pretendere, non fissata dal legislatore in modo fisso, non dovrebbe superare, in generale, quanto sia necessario per la vita dell’alimentando (tenuto conto dei bisogni non solo materiali ma anche civili), avuto anche riguardo alla sua posizione sociale (vale a dire ai bisogni essenziali che si manifestino in concreto in relazione anche alla personalità ed alle abitudini pregresse), senza sperperi o sregolatezza, mentre è limitata allo «stretto necessario» quando l’obbligazione sorge tra fratelli e la prestazione deve comprendere le spese per l’educazione e l’istruzione se l’alimentato è minorenne. In ogni caso, la valutazione deve essere operata in concreto e personalizzata.
Secondo Cass. n. 21572/2006: «Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata» (conf. Cass. n. 1099/1990; successivamente conf. Cass. n. 3334/2007, Cass. n. 20509/2010; Cass. n. 9415/2017; Cass. n. 10419/2018). Lo stato di bisogno deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (Cass. n. 25248/2013).
Il diritto agli alimenti, chiosa ancora la Corte, sussiste tuttavia anche se l’alimentando versi in stato di bisogno per propria colpa, essendo prevista dalla legge solo che gli alimenti siano ridotti in caso di condotta disordinatamente colpevole dell’alimentando (Cass. n. 2066/1967).
Quanto al modo di somministrazione è prevista la possibilità, per l’obbligato, di scegliere di somministrare gli alimenti, accogliendo e mantenendo in casa propria colui che ne ha diritto (art.443, comma 1°, c.c.).
Si è osservato che l’obbligazione alimentare si differenzi dall’obbligazione tipica civile per alcuni caratteri peculiari della sua specifica regolamentazione, dettata dagli artt.433 e ss. c.c., che si spiegano in relazione alla sua funzione: un regolamento di interessi rivolto alla realizzazione dei bisogni esistenziali di un soggetto privo dei mezzi necessari per provvedervi.
Ancora, la prestazione alimentare prescinde dallo stato soggettivo del creditore, salva la possibilità (art. 440, comma 1°, c.c.) di riduzione (non di esclusione) degli alimenti, in considerazione della condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato. L’art.448 bis c.c. (introdotto dalla Riforma della filiazione con l. n. 219/2012) contempla invece la perdita del diritto agli alimenti, a favore dei figli (e i loro discendenti), che vengono quindi esonerati dall’obbligazione alimentare, in caso di pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ai sensi dell’art.330 c.c.
In ambito successorio, in sede di separazione personale, nasce poi, a favore del coniuge cui sia addebitabile la stessa e che versi in stato di bisogno, un’obbligazione di natura anche alimentare nelle forme di un assegno vitalizio (art. 548 c.c.). L’art. 9 bis l. div. prevede poi, in presenza di determinati presupposti, quali la titolarità dell’assegno di divorzio e lo stato di bisogno, la possibilità di attribuire, dopo il decesso dell’obbligato , un assegno periodico a carico dell’eredità, tenuto conto dell’importo dell’assegno post-coniugale, dell’entità del bisogno, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche.
Ai sensi dell’art. 440 c.c., la sentenza è sempre subordinata alla clausola rebus sic stantibus e quindi, venendo meno uno dei presupposti del credito alimentare, se ne potrà chiedere la riduzione o la cessazione (ovvero l’aumento in caso di peggioramento delle condizioni economiche). Secondo Cass. n. 1231/1967, «La possibilità che, per una causa qualsiasi, lo stato di bisogno dell’alimentando si manifesti o si aggravi da un momento all’altro, modificandosi la precedente situazione di fatto, importa, da una parte, che nell’obbligazione alimentare deve ritenersi insito il carattere di prestazione rebus sic stantibus, suscettibile, come tale, di adeguamenti e modifiche, e, dall’altra, che, nello stabilire se il diritto a tale prestazione sussista o non e, nell’affermativa, in quale misura questa debba essere eseguita, il giudice ben può tener conto di tutti i mutamenti verificatisi rispetto alla situazione di fatto in precedenza considerata, non esclusi quelli eventualmente prodottisi nel corso del giudizio» (conf. Cass. n. 1577/2019, stante l’inequivoco tenore dell’art.440 c.c.).
Il fatto di un coobbligato alla prestazione di alimenti che abbia effettuato la prestazione, oltre che per la propria quota, anche per quella di altro coobbligato di pari grado, senza mai richiedere il concorso di quest’ultimo, non può qualificarsi adempimento di un’obbligazione naturale, in quanto la norma dell’art. 441 cod.civ., che espressamente stabilisce l’obbligo di concorso alla prestazione degli alimenti nel caso di concorso di più obbligati, ha natura cogente, mentre, al contrario, l’obbligazione naturale è un dovere originariamente non giuridico, che acquista efficacia giuridica mediante l’adempimento, cosicché risulta configurabile invece, una gestione di affari ad opera di uno dei coobbligati alla prestazione alimentare, perché l’affare e in parte proprio ed in parte altrui (Cass. n. 3901/1968), cfr. anche Cass. n. 4883/1988, ove si è ribadito che il regresso può essere esercitato senza necessità di previa diffida ad adempiere, non operando l’art.445 c.c., disposizione dettata nei soli rapporti con creditore della prestazione alimentare).
Quanto alla decorrenza, l’art. 445 c.c. prescrive, per le obbligazioni alimentari legali (non quelle da negozio giuridico, Cass. n. 3525/1968, la cui decorrenza è fissata in via pattizia) che gli alimenti siano dovuti dalla domanda ovvero dalla costituzione in mora del debitore, cui deve però seguire entro sei mesi la domanda giudiziale (Cass. 4011/1999: «Il principio secondo cui l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento decorre (in applicazione della regola fissata per gli alimenti dall’art. 445 cod. civ.) dalla data della presentazione della domanda da parte dell’avente diritto riguarda soltanto il profilo dell'”an debeatur” della domanda stessa, e non interferisce, pertanto, sull’esigenza di determinare il “quantum” tenendo conto dell’evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità della fissazione di misure e decorrenze differenziate dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati»).
Più problematica è l’indagine circa il momento di nascita del diritto agli alimenti.
Questa Corte ha parlato di sentenza «determinativa» dell’assegno alimentare (Cass. n. 1996/1967), evidenziandone la distinzione rispetto alla sentenza «costitutiva» (attribuendo quindi al termine «sentenza determinativa» il significato di «sentenza dichiarativa»), in quanto con essa si determina l’entità dell’assegno alimentare ma «il giudice riconosce un diritto già esistente nell’ordinamento» e il giudicato rispetta la clausola rebus sic stantibus, stante la naturale esposizione della sentenza al mutamento delle circostanze di fatto direttamente incidenti sulla fattispecie regolata.
Nello stesso senso, Cass. n. 19057/2006: «In caso di revisione dell’assegno di divorzio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898/1970, il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione, e non da quella della decisione su di essa, in analogia con quanto dispone l’art. 445 cod. civ. per le pronunce in tema di alimenti, al pari delle quali quelle ex art. 9 cit. hanno natura non costitutiva, ma determinativa dell’entità della somministrazione di denaro connessa a uno “status” (di coniuge divorziato) del quale la parte è già titolare, e in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio»; e Cass. n. 113/2003 «In caso di revisione dell’assegno di divorzio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898/1970, il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione, e non da quella della decisione su di essa, in analogia con quanto dispone l’art. 445 cod. civ. per le pronunce in tema di alimenti, al pari delle quali quelle ex art. 9 cit. hanno natura non costitutiva («a differenza della sentenza di divorzio che ha effetto costitutivo del diritto all’assegno, in quanto attribuisce lo status che ne costituisce il presupposto»), ma determinativa dell’entità della somministrazione di denaro connessa a uno “status” (di coniuge divorziato) del quale la parte è già titolare, e in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio».
La prima affermazione (preesistenza del diritto agli alimenti già al momento in cui si verificano i presupposti) è contestata da una parte della dottrina che individua nella decisione del giudice che riconosce il diritto agli alimenti una pronuncia propriamente costitutiva, affermando l’irrilevanza dell’astratta esistenza dei requisiti richiesti dalla legge, tratta dalla stessa disposizione dell’art.445 c.c. secondo cui la decorrenza è fissata nel momento della domanda o, al più, della costituzione in mora. La sentenza che accerta, in concreto, lo stato di bisogno e l’incapacità dell’alimentando di provvedere da sé al proprio sostentamento costituisce in senso proprio il credito alimentare, con decorrenza ex tunc dalla domanda giudiziale (o dalla costituzione in mora nei limiti previsti), al pari di quanto fa la pattuizione negoziale dalla data della stipulazione dell’accordo o dal giorno dettato dalle parti come termine iniziale per la somministrazione.
A tale soluzione non contrasterebbe l’affermata retroattività, perché, se è vero che gli effetti delle sentenze costitutive sono di norma irretroattivi, esistono però ipotesi dove l’anticipazione degli effetti ad un momento anteriore al passaggio in giudicato si ricollega ad una concreta scelta legislativa (ad es.art.290 cc.). La retroattività degli effetti della sentenza trova giustificazione nella necessità, avuta presente dal legislatore, di non far gravare sull’attore bisognoso il pregiudizio economico derivante dalla durata del processo, in caso di esito per lui vittorioso.
L’art. 446 contempla la possibilità per il Presidente del Tribunale, finché non siano determinati definitivamente modo e misura degli alimenti, di ordinare, in via provvisoria, previo accertamento sommario, un assegno, ponendolo, in caso di più obbligati, a carico di uno di essi, salvo il regresso verso gli altri. Secondo Cass. n. 1040/1977, l’assegno provvisorio ha una funzione non cautelare «in senso proprio», ma solo «anticipatoria degli effetti della sentenza», mirando esclusivamente a tutelare le esigenze dell’alimentando in corso di causa.
Cass. n. 1152/1956 (in relazione ad assegno alimentare, somministrato in forma di somma di denaro periodica, in materia di separazione personale tra coniugi) ha affermato che, laddove la sentenza attribuisca all’alimentato un assegno inferiore a quello fissato in via provvisoria, lo stesso non è tenuto a restituire la somma percepita in eccedenza, essendo il principio di retroattività della sentenza (dalla domanda) applicabile «solo in senso favorevole all’alimentato», in quanto l’opzione contraria contrasterebbe con la funzione propria degli alimenti, di assicurare all’avente diritto il necessario sostentamento, oltre a non essere percorribile in forza della consumazione del quantum corrisposto (in senso conforme Cass.n. 2411/1980).
Da rilevare che, in ordine alla durata dell’assegno provvisorio, non è prevista una disposizione analoga a quella dell’art. 189 disp. att. c.p.c., in relazione ai provvedimenti presidenziali temporanei ed urgenti, nei giudizi di separazione personale (e divorzio), che ne prescrive la sopravvivenza in caso di estinzione del giudizio.
Stante la natura strettamente personale del diritto, prosegue la Corte, l’art. 447 c.c. prevede che il credito alimentare non possa essere ceduto, intendendosi evitare che l’alimentando si spogli in maniera definitiva del diritto stesso, e, al secondo comma, che l’obbligato non possa opporre all’altra parte la compensazione con un suo credito (a prescindere dalla sua natura) del debito alimentare, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate, così da escludere sia il venir meno della somministrazione dei mezzi indispensabili di sostentamento sia il ritardo dell’adempimento. Analoghe ragioni di tutela del creditore si traggono dagli artt. 545 e 671 c.p.c., che riguardano l’impignorabilità (non assoluta, essendo pignorabili i crediti a loro volta alimentari, a condizione dell’autorizzazione del giudice) ed insequestrabilità dei crediti alimentari.
Si ritiene, in dottrina, pur in assenza di una previsione normativa e con differenti prospettazioni e distinguo, che, come corollario dell’incedibilità e del carattere strettamente personale del diritto, il credito alimentare non possa formare oggetto di rinuncia, transazione, arbitrato e compromesso, anche se vengono operate, da alcuni autori, distinzioni tra prestazioni arretrate e prestazioni future.
5. Stato della giurisprudenza di legittimità .
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato o in favore dei figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, o di assegno divorzile, di ripetibilità o meno degli importi versati dal coniuge, per effetto sia di provvedimenti provvisori successivamente modificati con la sentenza sia di riforma della sentenza di primo grado, si registra, in effetti, un non pieno «collimare» delle soluzioni proposte, spesso dovuto, tuttavia, anche alle caratteristiche delle fattispecie concrete che rilevavano in giudizio.
5.1. Secondo alcune pronunce che si sono essenzialmente occupate del rapporto tra provvedimenti provvisori presidenziali e sentenza, la sentenza che rivede in diminuzione o che esclude l’assegno corrisposto in base al provvedimento presidenziale o a quello, successivo, del giudice istruttore, non può disporre per il passato; non può, in altri termini, avere efficacia retroattiva, potendo disporre solo per l’avvenire (ex nunc).
Tale affermazione, precisa la Corte, viene giustificata adducendo una serie di considerazioni: a) poiché l’assegno provvisorio tiene luogo del mantenimento, deve ritenersi che la sua corresponsione sia servita alle esigenze della vita del beneficiario; b) la natura cautelare dell’ordinanza presidenziale (ed anche quelle, eventuali e successive, del giudice istruttore), la cui funzione tipica è segnata dalla finalità di apprestare in favore del beneficiario un mezzo di effettiva attuazione della volontà della legge, assicurando il necessario sostentamento al beneficiario, fino a che non intervenga una pronuncia definitiva; c) la disciplina peculiare dettata dall’art.189 disp. att. c.p.c., secondo cui tale provvedimento conserva la sua efficacia fino al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione, salvo che intervenga un nuovo provvedimento modificativo, ed anche nel caso di estinzione del processo
Tale orientamento si trova espresso in una serie di pronunce:
– Cass. n. 2428/1962: «Nelle cause di separazione personale fra coniugi il provvedimento presidenziale di fissazione di un assegno di mantenimento a favore della moglie, emesso in via provvisoria ai sensi dell’art 708 cod proc civ, conserva la sua efficacia nel caso che il tribunale, con sentenza non ancora passata in giudicato, abbia respinto nel merito la istanza di separazione personale. Il provvedimento presidenziale di fissazione dell’assegno di mantenimento a favore della moglie ha per fine di assicurare a questa i mezzi di sostentamento, fino a quando non intervenga sentenza di separazione. Pertanto, il provvedimento, che ha carattere temporaneo, conserva la sua efficacia finché non intervenga una causa, diretta o indiretta, che ne impedisca l’applicazione (ad esempio, se sia adottato un nuovo provvedimento da parte del Presidente (art 189, disp att. cod. proc civ) ovvero se il giudice istruttore, nel corso del giudizio (art 708 cod. proc. civ.) modifichi quantitativamente la misura dell’assegno fissato dal Presidente, ovvero se analoga modifica quantitativa venga apportata dalla sentenza che accoglie l’istanza di separazione personale). Peraltro, ciò non avviene nel caso di sentenza di rigetto dell’istanza di separazione personale, ancora soggetta ad impugnazione, perché soltanto al momento in cui la sentenza acquista efficacia di giudicato i coniugi sono tenuti a riprendere la convivenza interrotta e solo, quindi, da tale momento l’assegno diviene privo di causa. La sentenza di rigetto, pronunciata dal tribunale ed impugnata, non può obbligare i coniugi a riprendere la convivenza in attesa della pronuncia sulla impugnazione; perciò, non può non conservare efficacia l’ordinanza del Presidente, con cui si autorizzano i coniugi a vivere temporaneamente separati, e, in relazione a tale provvedimento, non può non conservare efficacia l’altro provvedimento, strettamente collegato al primo, col quale viene stabilito un assegno alimentare a favore della moglie»;
– Cass. 2791/1976: «la riduzione giudiziale dell’assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato, pronunciata per il peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato, ha efficacia dal momento in cui diviene efficace la sentenza, e non dal momento della domanda, dovendo ritenersi che gli assegni corrisposti nel corso del processo siano serviti alle esigenze di vita del creditore, il quale non era tenuto ad accantonarne una parte in vista dell’eventuale riduzione»); – Cass. n. 1607 del 1977, che ha negato che la moglie, per colpa della quale sia stata pronunciata la separazione, e nei cui confronti sia stato negato l’assegno alimentare, per difetto dello stato di bisogno, sia obbligata a restituire al marito le somme dallo stesso ricevute, a titolo di assegno provvisorio di mantenimento in pendenza di giudizio, salva l’eventuale configurabilità di una responsabilità processuale aggravata della moglie stessa, ai sensi dell’art 96 secondo comma c.p.c. (in motivazione, si ricollega l’irripetibilità delle somme riscosse, sotto il profilo processuale, alla natura provvisoria e strumentale del provvedimento presidenziale di fissazione dell’assegno di mantenimento exart.708 c.p.c., emesso allo scopo di assicurare al coniuge i mezzi di sostentamento fino a quando non intervenga una sentenza di separazione passata in giudicato, nonché al disposto dell’art.189 disp. att. c.p.c., secondo cui gli effetti del provvedimento presidenziale si conservano sino all’emissione della sentenza definitiva, ed al fatto che solo dalla data della sentenza che pronuncia la separazione per colpa della moglie l’obbligazione di mantenimento può trasformarsi, ricorrendone i presupposti in quella meramente alimentare;
– Cass. n. 2411 del 1980: «La sentenza di separazione tra coniugi che determini l’assegno dovuto da un coniuge all’altro in misura inferiore a quella già stabilita dal Presidente del tribunale e dal giudice istruttore, non può stabilire una decorrenza anteriore alla stessa sentenza»;
– Cass. n. 2864/1984: «La riduzione giudiziale dell’assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato disposta per il peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato ha efficacia dal momento in cui diviene efficace la sentenza, e non da quello della domanda, dovendo ritenersi che gli assegni corrisposti nel corso del processo siano serviti alle esigenze di vita del creditore, che non era tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell’eventuale riduzione»;
– Cass. n. 5384/1990: «In tema di separazione personale tra i coniugi, la riduzione dell’assegno di mantenimento fissato dal Presidente del tribunale, disposta per il peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato, ha efficacia dal momento in cui diviene efficace la sentenza, e non da quello della domanda, atteso che l’assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell’eventuale riduzione», chiarendosi, in motivazione, che l’orientamento già espresso dalla Corte sull’irretroattività della riduzione giudiziale dell’assegno di mantenimento si fonda sia sul rilievo che l’assegno provvisorio «è ontologicamente destinato ad assicurare al beneficiario i mezzi adeguati al suo sostentamento, secondo le quotidiane esigenze di vita», sia sull’argomento «di carattere processuale, offerto dalla natura lato sensu cautelare, e quindi provvisoria e strumentale, del provvedimento presidenziale di attribuzione dell’assegno ai sensi dell’art. 708 c.p.c., la funzione tipica del quale è segnata dalla finalità di apprestare in favore del beneficiario un mezzo di effettiva attuazione della volontà della legge», cosicché tale provvedimento «conserva la sua efficacia fino al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione, salvo che intervenga un nuovo provvedimento modificativo, ed anche nel caso di estinzione del processo (art. 189 disp. att. c.p.c.»;
– Cass. n. 9728/1991, ove si è affermato, sotto l’aspetto processuale, che il provvedimento presidenziale ex art.708 c.p.c. ha natura cautelare, come testimonia l’art. 189 disp. att. c.p.c. che, «nel disporre che esso conserva i suoi effetti anche in caso di estinzione del processo, implicitamente stabilisce che tali effetti possono essere modificati solo da un nuovo provvedimento di carattere sostanziale e definitivo», essendo preminente l’interesse pubblico «alla conservazione dello “status quo” (diritto al mantenimento, fino all’eventuale esclusione di tale diritto od al suo affievolimento in un diritto meramente alimentare, che può derivare solo dal giudicato)», e, sotto il profilo sostanziale, «l’assegno provvisorio di separazione tiene luogo del mantenimento cui il coniuge abbiente sarebbe, comunque, obbligato in costanza della convivenza (art. 143 c.p.c.)», cosicché gli effetti della decisione che esclude il diritto del coniuge al mantenimento ovvero ne riduce la misura «non possono comportare la ripetibilità delle (maggiori) somme a quel titolo sino a quel momento corrispostegli e che si presumono consumate per il suo sostentamento, a meno che non si dimostrino, dal coniuge che si ritenga danneggiato da tale corresponsione, gli estremi della eventuale responsabilità, ex art. 96, co. 2, c.p.c. da parte del richiedente il provvedimento cautelare, in eccedenza alle sue esigenze»;
– Cass. n. 3363/1993: «L’assegno a favore del minore, fissato in via temporanea nella fase presidenziale del procedimento di separazione personale dei coniugi – ed eventualmente modificato dal giudice istruttore o dal collegio nel corso del giudizio – è diretto al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento del minore durante il procedimento di separazione. Pertanto, è esclusa la ripetibilità, anche in parte, delle somme erogate prima della pronuncia definitiva sul punto, dovendosi presumersi che il genitore affidatario le abbia utilizzate tutte per il mantenimento del minore, come era suo dovere»;
– Cass. n. 3415/1994, in cui si fa riferimento sempre all’art.189 disp. att. c.p.c. ed alla conservazione degli effetti del provvedimento presidenziale pure nel caso di estinzione del processo, da cui deriva implicitamente che essi possono essere modificati solo da un provvedimento di carattere sostanziale e definitivo;
– Cass. 8977/1997: «In tema di modifica delle condizioni della separazione, quando l’assegno di mantenimento risulti concordato in un verbale di separazione consensuale omologato, la riduzione giudiziale dell’ assegno dovuto al coniuge separato ha efficacia non dalla domanda di revisione, ma dalla pronuncia del corrispondente provvedimento provvisorio o dal momento in cui diviene efficace quello definitivo», esclusa la retroattività della disposta riduzione giudiziale dell’assegno di mantenimento, concordato in sede di separazione consensuale omologata, «perché ciò costringerebbe il beneficiario ad accantonare una parte imprecisata dello stesso, per effetto della sola proposizione di una domanda di riduzione», con richiamo anche al disposto dell’art. 189 disp. att. c.p.c., secondo cui l’assegno provvisorio conserva i suoi effetti anche nel caso di estinzione del processo e quindi può essere modificato solo da un nuovo provvedimento di carattere sostanziale e definitivo, nonché con la considerazione che «con riguardo al contrapposto interesse del coniuge debitore, … quest’ultimo, nel caso di domanda di riduzione dell’assegno concordato in sede di separazione consensuale, ai sensi dell’ult. co. dell’art. 711» potrebbe «chiedere ed ottenere un provvedimento provvisorio – esecutivo – e, quindi, anticipare con efficacia immediata gli effetti della riduzione dell’assegno stesso, senza attendere la conclusione del giudizio»;
– Cass. n. 4198/1998: « In tema di assegno di mantenimento nella separazione personale dei coniugi, le eventuali maggiori somme percepite dal coniuge, in virtù di provvedimenti provvisori, non sono ripetibili, considerato che l’assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell’eventuale riduzione»;
– Cass., Sez. I, n. 11029/1999, in un caso in cui al provvedimento presidenziale di attribuzione di un assegno di mantenimento era seguita la sentenza di primo grado passata in giudicato che escludeva il diritto al mantenimento, ha affermato che, intervenuta la sentenza di merito, il provvedimento presidenziale, che ha natura cautelare, diviene inefficace, con la conseguenza che nessuna azione esecutiva può essere intrapresa dal coniuge già beneficiario dell’assegno provvisorio una volta che sia intervenuta la sentenza di merito che abbia escluso il diritto al mantenimento in capo al coniuge istante e che abbia caducato il titolo sulla base del quale il coniuge pretenda di avviare l’azione esecutiva.
Corollario della non retroattività della riduzione o dell’esclusione dell’assegno di mantenimento è la non ripetibilità delle maggiori somme corrisposte dal coniuge abbiente sulla base di un titolo giudiziale valido ed efficace ratione temporis, somme che si presumono consumate per il sostentamento del coniuge debole.
In linea con tale orientamento, osserva la Corte, si possono anche indicare altre pronunce più recenti: Cass., sez. I, n. 11863/2004, di fronte all’impugnazione di una sentenza di appello che in un processo di divorzio aveva aumentato l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge e della figlia minore con effetto retroattivo ed aveva disposto la revoca dell’assegno a favore di due figli maggiorenni che ben prima della sentenza di appello erano divenuti economicamente autosufficienti, ha affermato che il diritto del coniuge di ottenere l’assegno in favore del figlio maggiorenne convivente non autosufficiente economicamente può essere affievolito o escluso solo con una pronuncia passata in giudicato, sicché le maggiori somme medio tempore corrisposte sono irripetibili, mentre se non sono state versate non sono più esigibili sulla base della sentenza di riduzione o esclusione dell’assegno; Cass., sez. I, n. 13593/2006, ha ribadito la natura cautelare del provvedimento presidenziale, rintracciabile alla luce dell’art. 189 disp. att. c.p.c., che escluderebbe che le maggiori somme corrisposte rispetto all’assegno determinato con la sentenza di merito o quelle corrisposte fino all’esclusione del mantenimento disposta con la sentenza possano essere oggetto di ripetizione, e che solo con il passaggio in giudicato della sentenza che nega il diritto di mantenimento si determina la caducazione degli effetti del provvedimento ex art. 708 c.p.c.; Cass., sez. I, n. 15186/2015, per la quale la sentenza di appello che riduce l’assegno di mantenimento non può avere decorrenza retroattiva.
Anche Cass. n. 18538/2013 fa richiamo alle disposizione di cui agli artt. 708 e 709 c.p.c. per la decorrenza della decisione di separazione in punto di assegno e di effetto ex nunc e non ex tunc della revoca dell’obbligo di corrispondere un contributo al coniuge per il mantenimento delle figlie, di fatto non versato: «In tema di mantenimento dei figli minori, l’assegno perequativo disposto dal giudice nella sentenza di separazione decorre dalla data della decisione e non dalla data della proposizione della domanda, trattandosi di una pronuncia determinativa che non può operare per il passato, per il quale continuano a valere le determinazioni provvisorie di cui agli artt. 708 e 709 cod. proc. civ.»
Un limite alla irripetibilità delle maggiori somme versate è stato quindi individuato dal giudice di legittimità nell’art. 96, comma 2, c.p.c.: se, nel chiedere il provvedimento provvisorio e urgente di natura cautelare, il coniuge debole ha agito senza la normale prudenza, le somme versate in eccesso devono essere restituite al coniuge abbiente; l’elemento soggettivo del coniuge debole nella richiesta dell’assegno, dunque, recuperato attraverso un’applicazione analogica dell’art. 96 c.p.c., condizionerebbe la ripetibilità dell’assegno portato dai provvedimenti interinali o comunque suscettibili di revisione (sentenza di primo grado), o dei maggiori importi in tali provvedimenti determinati.
5.2. Sempre in un’ottica di retroattività dell’assegno definitivo solo a favore del beneficiario, si è sostenuta la possibilità che il provvedimento definitivo (sentenza) disponga anche per il passato, con effetto retroattivo (ex tunc), non per affermare, tuttavia, la generale ripetibilità degli importi o dei maggiori importi sanciti dai provvedimenti interinali o non definitivi (sentenza di primo grado), ma solo per determinare la caducazione del titolo esecutivo in forza del quale il coniuge (o ex coniuge, nel divorzio) creditore pretenda dal coniuge (o ex coniuge) già debitore il versamento dei maggiori importi (o dell’intero importo) contenuti nel provvedimento interinale caducato o nella sentenza riformata.
Quindi, precisa la Corte, la retroattività può operare solo «a favore del beneficiario dell’assegno. Il tutto in relazione al ritenuto carattere propriamente «alimentare» dell’assegno.
In tal senso, Cass. n. 1152/1956, che richiama Cass. n.1631/1943, secondo cui «l’assegno alimentare definitivo, attribuito dalla sentenza, che dichiara la separazione personale, in misura inferiore a quella dell’assegno provvisorio, non retroagisce al momento della domanda giudiziale», in quanto, si legge in motivazione, malgrado il generale effetto sostitutivo della sentenza definitiva, l’efficacia ex tunc dell’assegno definitivo, dal momento della domanda giudiziale, si giustifica, secondo «razionalità giuridica», solo quando esso sia stato liquidato, in sentenza, in misura superiore a quella dell’assegno provvisorio, integrante acconto del dovuto, e la maggiorazione non sia dipesa da un fatto nuovo verificatosi nelle more del giudizio, mentre nel caso di fissazione in via definitiva dell’assegno in misura minore di quella stabilita provvisoriamente, dato il suo carattere alimentare, l’alimentando «non potrebbe ragionevolmente essere tenuto a rimborsare una parte di ciò che egli, in buona fede, spese per la propria alimentazione, a ciò autorizzato da un provvedimento del giudice », perché ciò contrasterebbe con la funzione propria del diritto agli alimenti.
L’orientamento favorevole all’applicazione, in punto anche di ripetibilità, all’obbligazione di mantenimento della disciplina propria di quella alimentare risultava peraltro pacifico già negli anni ’50 (Cass. n. 2646/1952; Cass. n. 1558/1955; Cass. n. 2587/1959, Cass. n. 2001/1959).
Cass., sez. I, n. 9641/1996, soggiunge la Corte, ha ammesso la possibilità che il provvedimento di reclamo (in sede di revisione delle condizioni) o di appello (in sede di cognizione ordinaria) possa avere effetto retroattivo (riconoscendo nel caso di specie una minor somma mensile per il mantenimento dei figli minori rispetto a quanto attribuito dal decreto di primo grado), considerato che, di regola, il provvedimento del giudice d’appello si sostituisce a quello del giudice di primo grado, con effetto – in linea di principio – dal giorno della domanda, ma ha affermato che tale effetto retroattivo debba in ogni caso conciliarsi con i caratteri della impignorabilità, della non compensabilità e «della irripetibilità» dell’assegno di mantenimento «desumibili dagli artt. 447 cod. civ. e 545 c.p.c.», propri dell’assegno alimentare, «ricomprendente anche gli assegni di mantenimento dei figli».
Ne consegue, secondo la riferita impostazione, che, se, per il passato, il coniuge obbligato abbia versato un assegno periodico maggiore di quello riconosciuto (appunto retroattivamente) con il provvedimento di secondo grado (reclamo o appello), egli comunque non potrà ripeterne la differenza né compensare il relativo credito con debiti verso il coniuge (o ex coniuge) debole, fermo restando, però, che se non abbia adempiuto per il passato all’obbligo di versamento, egli non potrà essere obbligato a corrispondere più di quanto disposto retroattivamente dal giudice che ha riformato il provvedimento di primo grado, nonostante che al tempo in cui si era verificato l’inadempimento era vigente l’obbligo di corrispondere l’assegno in misura maggiore. Deve, peraltro, evidenziarsi che, nella specie, il ricorso per cassazione aveva unicamente ad oggetto l’assegno di mantenimento dei figli, espressamente qualificato dalla Corte d’appello come «alimentare», che in sede di reclamo era stato modificato in un importo onnicomprensivo di £ 700.000 (mentre in primo grado era stato fissato in £ 500.000 oltre le spese straordinarie), con decorrenza dalla data già fissata in primo grado.
Quindi l’irripetibilità, quale ulteriore carattere del diritto, strettamente personale, agli alimenti, pur non espressamente previsto dal legislatore, è individuata in via interpretativa.
Il principio si ritrova anche in:
– Cass. n. 15164/2003, ove si ribadisce che, pur essendo vero che, in forza dell’art. 336 c.p.c., ora vigente, la riforma estende immediatamente i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata, essendo stato eliminato il riferimento al passaggio in giudicato della sentenza, con la conseguente attribuzione al giudice di appello di disporre le restituzioni anche di ufficio, «la irripetibilità degli assegni per i figli (liquidati e percepiti nel corso del giudizio di modifica delle condizioni di separazione)» e in generale (ex art. 447 c.c. e art. 545 c.p.c.) delle prestazioni alimentari indebitamente percepite in base a sentenza di primo grado poi riformata va desunto, in generale, dagli artt. 447 c.c. e 545 c.p.c., nonché, sulla base di quanto stabilito dall’art. 189 disp. att. c.p.c., per le prestazioni percepite a titolo di assegno di separazione ex art. 708 c.p.c., trattandosi di disposizione «applicabile per analogia in modo espansivo, quale espressione di un generale principio di intangibilità delle prestazioni pecuniarie percepite, senza dolo o colpa grave, in base a provvedimenti giurisdizionali attinenti al diritto di famiglia e diretti ad assicurare i mezzi economici per fare fronte alle esigenze della vita dei percipienti, così da essere normalmente consumate per adempiere a tale loro destinazione»;
– Cass. n. 11863/2004: «Il contributo per mantenere il figlio maggiorenne convivente, non in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento, che il coniuge – divorziato o separato – ha diritto ad ottenere, iure proprio, dall’altro coniuge, è destinato, fino all’esclusione di esso, o alla riduzione dell’ammontare, con decisione passata in giudicato, ad assicurare detto sostentamento del figlio beneficiario, per cui dalla eventuale decisione di revoca o riduzione non può derivare la ripetibilità di somme già percepite dal coniuge avente diritto, non avendo egli l’obbligo di accantonarle in previsione dell’eventuale revoca o riduzione del corrispondente assegno, riconosciuto con provvedimenti giudiziali, ancorché non definitivi; peraltro, i suddetti provvedimenti ove caducati per effetto della definitiva decisione passata in giudicato, non legittimano l’esecuzione coattiva per ottenere l’assegno o la parte di esso non pagato, per il periodo in cui il provvedimento che lo aveva riconosciuto era ancora efficace»;
– Cass. n. 28987/2008: «Il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in regime di separazione, comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione» e, in motivazione, si legge che «i principi d’irrepetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari» sono «desumibili dall’art. 447 cod. civ. e art. 545 c.p.c., nel senso che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente».
Nello stesso senso anche Cass. n. 21675/2012 (che, tuttavia, ribadisce, in un obiter, il principio di irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento dei figli in forza di provvedimento provvisorio revocato, ma afferma che esso si applica ai figli comuni alla coppia non per quelli esclusivi di uno dei coniugi) e Cass. n. 15186/2015.
Si deve inoltre rammentare che la richiesta di alimenti è stata costantemente ritenuta da questa Corte, nelle situazioni di crisi dell’unione coniugale, un minus rispetto alla richiesta di mantenimento:
– Cass. n. 2128/1994: «Nel procedimento per la separazione personale dei coniugi la richiesta di alimenti costituisce un “minus” necessariamente ricompreso in quella di mantenimento e pertanto il riconoscimento al coniuge separato di un assegno alimentare in luogo del richiesto assegno di mantenimento non comporta vizio di extrapetizione, così come la domanda di alimenti avanzata per la prima volta in secondo grado non comporta violazione del divieto di domande nuove in appello»);
– Cass. n. 5677/1996: «Nel procedimento di separazione personale dei coniugi, la richiesta di alimenti costituisce un “minus” necessariamente ricompreso in quella di mantenimento. Pertanto non costituisce domanda nuova vietata in appello quella di alimenti, quando in primo grado sia stato domandato l’assegno di mantenimento»;
– Cass., Sez.I, n. 5381/1997 ha ribadito che la richiesta di assegno alimentare è un minus rispetto a quella di mantenimento, sicché la richiesta di assegno alimentare proposta solo con l’appello non integra la violazione del divieto di ius novorum, ferma restando la necessità di una domanda di parte, non potendo il giudice riqualificare d’ufficio la domanda di assegno di mantenimento in domanda di assegno alimentare;
– Cass., sez. I, n. 4198 del 1998, in una fattispecie di separazione giudiziale con addebito al coniuge debole, ha affermato l’esistenza di un rapporto di sostanziale continenza tra la richiesta di assegno di mantenimento e la richiesta di un assegno alimentare, essendo quest’ultima un minus necessariamente ricompreso nella richiesta di mantenimento, statuendo che l’assegno alimentare disposto in sentenza deve stabilire, oltre che la misura, anche la decorrenza necessariamente retroattiva (conformemente, peraltro, a quanto previsto dall’art. 445 c.c.), e che le eventuali maggiori somme pagate dal coniuge obbligato per il passato rispetto a quelle determinate con la sentenza non sono oggetto di ripetizione, «considerato che l’assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell’eventuale riduzione» (conf., Cass., sez. I, n. 10718/2013, e Cass., sez. VI-I, n. 27695/2017).
L’ordinanza di Cass., sez. VI-I, n. 13609/2016, pur ponendosi nel tradizionale solco della irripetibilità, impignorabilità, incompensabilità dell’assegno di mantenimento, in quanto di natura sostanzialmente alimentare, nella fattispecie versato medio tempore all’ex coniuge per il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente prima che il provvedimento giudiziale di modifica delle condizioni disponesse per la sua cessazione, lascia intravedere, nell’adesione alla proposta del relatore, una tendenza a ritenere ammissibile la ripetizione nel caso in cui la corresponsione dell’assegno fosse divenuta in tutto o in parte indebita in seguito ad una stabile collocazione del figlio nel mondo del lavoro confacente alle sue ragionevoli aspettative e foriera di una sostanziale e definitiva autonomia economica, che il Collegio aveva ritenuto non raggiunta nella fattispecie portata al suo giudizio.
L’ordinanza di Cass., sez. I, n. 23569/2016 ha ritenuto non compensabile l’assegno di mantenimento a carico del coniuge legalmente separato da erogare in favore dei suoi due figli, per il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento a beneficio dei figli. L’ordinanza di Cass., sez. VI-I, n. 25166/2017 ha ribadito che la riduzione dell’assegno in favore del coniuge e dei figli decorre dal momento della pronuncia giudiziale che ne modifica la misura, salva la non ripetibilità della maggior somma versata medio tempore.
5.3. Sempre in aderenza con la funzione normalmente «anche» alimentare dell’assegno separativo e divorzile, prosegue la Corte, si ammette in linea di principio la retroattività della sentenza che determina in diminuzione l’assegno, e con essa la ripetibilità delle somme pagate in eccesso dal coniuge debitore, ma la si esclude nel caso in cui l’assegno, provvisoriamente attribuito al coniuge debole, e successivamente ridotto, per la sua consistenza quantitativa, abbia comunque i connotati dell’assegno alimentare o sostanzialmente alimentare. Si è ritenuto quindi di procedere ad una valutazione «in concreto» dell’entità dell’assegno ai fini della verifica della sua natura alimentare, che si ritiene non possa essere sempre affermata.
In un caso in cui il giudice del rinvio, nel rideterminare un assegno divorzile, aveva disposto la restituzione della maggior somma versata fino a quel momento all’ex coniuge, Cass., sez. I, n. 13060/2002 premessa la differenza tra l’assegno di separazione e quello divorzile, ha affermato che non sempre quest’ultimo soddisfa mere esigenze «di mantenimento e di carattere alimentare», pur non potendo essere questa funzione «da escludere in ogni caso». Dalla distinzione tra assegno di mantenimento separativo ed assegno divorzile e sul presupposto che il secondo possa essere, in genere, di misura ben più elevata del primo, la sentenza in rassegna ha implicitamente assunto la regola della ripetibilità delle maggiori somme medio tempore versate all’ex coniuge, a meno che queste non superino il limite delle necessità assistenziali e di mantenimento del soggetto richiedente, nel qual caso tali somme sono irripetibili.
Anche in Cass. n.10291/2004, chiosa ancora la Corte, si trovava affermato che «qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento del diritto alla percezione dell’assegno divorzile (per non avere nella fattispecie concreta quest’ultimo mai svolto funzioni di carattere alimentare), le somme corrisposte al coniuge più debole, in base ad una pronuncia poi rivelatasi “ab initio” errata, debbono essere restituite, trovando la loro erogazione esclusivo fondamento in un titolo originato dalla infondata domanda del coniuge “debole”». In motivazione, si specificava che i principi espressi in Cass. n. 13060/2002 non erano applicabili nella specie «posto che, pur essendo l’assegno “de quo” di non elevata entità, lo stesso non ha mai svolto funzioni di carattere alimentare, come accertato dalla Corte territoriale, con l’impugnata sentenza, in quanto la Spano disponeva fin dall’inizio del giudizio di mezzi sufficienti a garantirle un elevato tenore di vita, sicché l’assegno stesso corrispostole in unica soluzione, dall’ex marito, non poteva che essere impiegato per fini diversi da quelli alimentari»: le somme percepite dovevano essere pertanto restituite, trovando la loro erogazione esclusivo fondamento in un titolo originato dalla infondata domanda dal coniuge “debole” e caducato fin dall’origine, a seguito dalla pronunzia della Corte d’appello, anche perché «esclusa l’inadeguatezza dei redditi, in base a sentenza, ogni legame fra gli ex coniugi viene meno e la percezione di somme non dovute si configura come indebito, ex art. 2033 c.c., sottoposto alle regole proprie di tale istituto».
La irripetibilità delle maggiori somme corrisposte per il mantenimento del coniuge se queste «per la loro non elevata entità – € 350,00 mensili – siano destinate comunque ad assicurare il diritto al mantenimento del coniuge fino alla riduzione o esclusione dell’assegno con sentenza passata in giudicato» è stata ribadita da Cass., sez. I, n. 6864/2009, fondata sulla presunzione che il carattere alimentare dell’assegno fa sì che le maggiori somme versate medio tempore siano state comunque consumate per fini di sostentamento dal coniuge debole.
Nel caso di un divorzio caratterizzato da importi «milionari», Cass, sez. I, n. 21926/2019, in una fattispecie in cui la Corte di Appello, su impugnazione dell’ex coniuge obbligato, condannato in primo grado a pagare mensilmente, a decorrere dalla domanda di scioglimento del matrimonio, un milione e quattrocentomila euro in favore dell’ex moglie, aveva escluso del tutto l’obbligo della corresponsione dell’assegno divorzile a far data dal mese successivo a quello della pubblicazione della sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale, ha, innanzitutto, ammesso che la sentenza di esclusione dell’assegno di divorzio possa dichiararne la non debenza con effetto retroattivo, a far data dal tempo successivo alla pubblicazione della sentenza di scioglimento del vincolo, passata in giudicato, in applicazione (speculare) dell’art. 4, comma 13, l. div..
L’ex moglie aveva tentato di argomentare, in primo luogo, che i provvedimenti sull’assegno adottati in sede presidenziale avrebbero dovuto essere considerati ultra-attivi: secondo la Corte, quell’effetto ricorre soltanto quando «gli esiti del processo sono diversi dalla decisione di merito sull’esistenza o negazione del diritto». In secondo luogo, ha dichiarato che il principio generale della irripetibilità, incompensabilità e impignorabilità delle somme erogate a titolo di mantenimento separativo o divorzile non interferiva, nel caso di specie, con la decorrenza retroattiva dell’esclusione dell’obbligo di mantenimento, sia perché quest’ultima è da ritenersi autonoma rispetto ai detti princìpi, trattandosi semmai di condizioni impeditive dell’esercizio del diritto alla restituzione dell’indebito operanti in una fase separata autonoma e successiva a quella relativa alla nascita ed alla decorrenza ex lege dell’efficacia della pronuncia di accertamento negativo del credito, il cui regime giuridico rimane del tutto inalterato, sia perché questi ultimi troverebbero applicazione solo se le obbligazioni abbiano per loro natura ed entità carattere sostanzialmente alimentare, «non rilevando come criterio discretivo assoluto, la destinazione al consumo delle somme erogate», poiché, in relazione alla contribuzione esclusivamente rivolta in favore dell’ex coniuge divorziato (e non in funzione dei bisogni dei figli), «la natura e funzione alimentare dell’assegno, alla luce degli orientamenti esaminati, deve essere verificata in concreto, tenendo conto in particolare della destinazione effettiva alle esigenze di vita dell’altro ex coniuge, in relazione all’entità delle somme erogate e della condizione economico-patrimoniale dell’avente diritto». Trattandosi di un assegno divorzile di rilevantissimo importo (un milione e quattrocentomila euro al mese), se ne è esclusa radicalmente la natura anche lato sensu alimentare e, di conseguenza, l’attribuzione ad esso dei summenzionati caratteri (tra cui, la irripetibilità).
La ripetibilità è stata ammessa anche in Cass., Sez. I, n. 28646/2021, secondo cui «quando sia stato disposto un assegno divorzile dal giudice di primo grado, ma questa decisione sia stata revocata dal giudice d’appello in conseguenza dell’accertamento dell’insussistenza originaria dei presupposti per la sua attribuzione, l’ex coniuge che ne abbia beneficiato è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto, a far data da quando ha iniziato a percepire gli emolumenti, oltre agli interessi legali dai rispettivi pagamenti e fino all’effettivo soddisfo, perché in caso di somme indebitamente versate in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, non si applica la disciplina della ripetizione dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., spettando all’interessato il diritto ad essere reintegrato dall'”accipiens” dell’intera diminuzione patrimoniale subita, a prescindere dal suo stato soggettivo di buona o mala fede».
Deve rilevarsi che, nella specie, è stata confermata una sentenza di appello emessa in sede di rinvio, ragione questa per cui il giudice del rinvio si era dovuto attenere ai principi di diritto espressi dalla Corte di cassazione, in primis – quanto all’accertamento demandatogli circa la spettanza, o non, dell’assegno divorzile – al principio già reso da Cass. n. 11504 del 2017, poi in parte confutato, per effetto di una diversa interpretazione dell’art. 5 l. div., dalle Sezioni Unite con la sentenza successiva n. 18287/2018; inoltre la questione della ripetibilità di quanto di corrisposto a titolo di assegno divorzile ove, successivamente, se ne accerti la non debenza ab origine, era nella specie coperta da giudicato interno, non essendo stata impugnata dalla parte interessata la condanna restitutoria ma solo contestata, in via incidentale, dall’altra parte (beneficiaria della ripetizione) la decorrenza del capitale e degli interessi (che la Corte d’appello aveva fissato nella data di pubblicazione dell’ordinanza di questa Corte che aveva dato luogo al giudizio di rinvio, anziché dalla data dei pagamenti).
5.4. Essenzialmente con riferimento ai procedimenti di modifica attivati dal coniuge (o ex coniuge) debitore, a fronte della intervenuta conquista della indipendenza economica dei figli maggiorenni, il cui assegno di mantenimento è stato versato nelle mani dell’altro coniuge, si è poi ammessa la retroattività della modifica in diminuzione o dell’esclusione dell’assegno precedentemente versato, valorizzando lo stato soggettivo di «mala fede» del coniuge percipiente (che conosceva o avrebbe dovuto conoscere il «rischio restitutorio»), derivante dal versamento o dal preteso versamento di un assegno divenuto sostanzialmente «senza causa», ed ammettendo anche che la retroattività si estenda fino al tempo della raggiunta indipendenza economica dei figli maggiorenni, anche se precedente al tempo di proposizione della domanda di modifica o di cessazione dell’assegno.
Secondo Cass., sez. I, n. 11489/2014, in una fattispecie in cui l’ex marito chiedeva la restituzione di quanto versato all’ex moglie per il contributo al mantenimento di due sue figlie maggiorenni divenute economicamente sufficienti, a far data dall’inizio del procedimento di revisione dell’assegno sfociato nel provvedimento che lo esonerava dal contributo, «l’irripetibilità, l’impignorabilità e la non compensabilità delle prestazioni alimentari non operano indiscriminatamente in virtù di una teorica assimilabilità dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni alle prestazioni alimentari, ma implicano che in concreto gli importi riscossi per questo titolo abbiano assunto o abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare, cosa che non può evincersi nel caso in cui la loro corresponsione comporti un beneficio finale a favore di chi sia già divenuto economicamente autonomo ed in cui l’accertamento di tale sopravvenuta circostanza estintiva dell’obbligo di mantenimento di un genitore sia giudizialmente controverso nel procedimento di revisione pendente nei confronti dell’altro coniuge abilitato a riscuotere la contribuzione e per il quale tale procedura comporta anche la conoscenza del correlato rischio restitutorio delle somme percepite dalla domanda introduttiva, se accolta».
In altro giudizio, in cui un ex marito, tenuto alla corresponsione nelle mani della ex moglie di un assegno mensile a favore delle due figlie maggiorenni non economicamente autosufficienti, si era opposto ad un precetto di pagamento per gli assegni insoluti a far data dagli anni in cui le figlie si erano sposate (1994 e 1998), a fronte di un «tardivo» procedimento di modifica delle condizioni, attivato solo nell’ottobre 2006, conclusosi positivamente per il ricorrente nel maggio 2007, Cass., sez. I, n. 3659/2020 ha affermato che «in caso di modifica giudiziale delle condizioni economiche del regime post-coniugale, intervenuta in ragione della raggiunta indipendenza economica dei figli, il genitore obbligato può esercitare l’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. anche con riferimento alle somme corrisposte in epoca antecedente alla domanda di revisione, allorché la causa giustificativa del pagamento sia già venuta meno, atteso che la detta azione ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento, qualunque ne sia la causa», precisandosi che, benché l’ex marito debitore si fosse attivato tardi per la modifica giudiziale delle condizioni di divorzio, il suo obbligo doveva ritenersi già cessato allorquando le figlie, contraendo matrimonio, raggiunsero l’indipendenza economica, in quanto «l’irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato all’ex coniuge si giustifica solo ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato figli maggiorenni ormai indipendenti economicamente in un periodo in cui era noto il rischio restitutorio».
5.5. Un ultimo orientamento ha, invece, evidenziato la differenza, sul piano ontologico, tra assegno di mantenimento ed assegno alimentare:
– Cass. n. 6519/1996, Sez. III, nell’ambito di un’opposizione all’esecuzione promossa in relazione a pignoramento presso il terzo di somme dovute dal coniuge separato, «il credito dell’assegno di mantenimento attribuito dal giudice al coniuge separato senza addebito di responsabilità, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., avendo la sua fonte legale nel diritto all’assistenza materiale inerente al vincolo coniugale e non nella incapacità della persona che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, non rientra tra i crediti alimentari per i quali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1246 comma primo n. 5 e 447 cod. civ., non opera la compensazione legale» (la Corte ha ripreso peraltro differenze strutturali già evidenziate in Cass. n. 3033/1980;
– Cass., sez. III, n. 9686/2020: « con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. il debitore esecutato può opporre in compensazione al creditore procedente un controcredito certo (cioè, definitivamente verificato giudizialmente o incontestato) oppure un credito illiquido di importo certamente superiore (la cui entità possa essere accertata, senza dilazioni nella procedura esecutiva, nel merito del giudizio di opposizione) anche nell’ipotesi di espropriazione forzata promossa per il credito inerente al mantenimento del coniuge separato, non trovando applicazione, in difetto di un “credito alimentare”, l’art. 447, comma 2, c.c.», con conseguente ammissione della compensazione tra il debito del coniuge separato ed un controcredito da lui vantato, escludendosi d’altronde che in sede di opposizione all’esecuzione il giudice possa scindere, intervenendo sul titolo esecutivo, la parte di credito azionata in executivis di funzione strettamente alimentare e quella, esorbitante rispetto a tale funzione, oggetto di possibile estinzione mediante compensazione.
Nella sentenza n. 9686/2020 (nell’ambito di un giudizio, di opposizione all’esecuzione avviata dal coniuge beneficiario di assegno di mantenimento da separazione, anche per i figli, promosso dal coniuge esecutato, il quale aveva eccepito la compensazione di tale credito con un proprio controcredito), si è rilevato che, mentre l’assegno percepito a titolo di contributo dei figli, minorenni o maggiorenni, ha sicuramente natura «alimentare», con conseguente sua impignorabilità e non compensabilità se non per controcrediti alimentari, l’assegno di mantenimento del coniuge separato o divorzile si caratterizza «per vincoli solidaristici chiaramente più̀ ampi di quelli rapportati a primarie esigenze di sopravvivenza», e, non essendo possibile, al fine di perimetrare l’eccepita compensazione, una quota alimentare dello stesso, non potendo il titolo esecutivo formato in altra sede giurisdizionale essere modificato dal giudice dell’esecuzione e neppure dal giudice dell’opposizione all’esecuzione (in base ad una valutazione casistica e con effetti pregiudizievoli alla ragionevole durata del processo esecutivo, in quanto si tratterebbe non di determinare l’entità di un credito certo ed illiquido ma di pronta liquidazione, quanto di scomporre e scindere «la struttura stessa del credito azionato rivalutandone, necessariamente, i presupposti intrinseci»); di conseguenza si è esclusa la compensazione anche in coerenza con «l’indiscussa tassatività delle ipotesi d’impignorabilità precipitato della deroga al principio di cui all’art. 2740, cod. civ. (Cass., 17/10/2018, n. 26042) – e correlato divieto di compensazione (art. 1246, n. 3, cod. civ.)».
Da rilevare poi che, in un caso in cui una moglie separata, in sede di opposizione a precetto notificatole in base ad un titolo giudiziale, oppose in compensazione il credito, dalla stessa vantato, per alcuni assegni mensili di mantenimento arretrati dovuti dal marito in favore di lei e delle figlie, Cass., VI-III, n. 11689/2018 ne ha escluso la compensabilità, in ragione della ratio del credito vantato dalle figlie e della non liquidità del credito, non essendo chiaro quale parte dell’assegno arretrato fosse dovuto alla moglie e quale parte alle figlie.
Con riguardo, invece, all’assegno divorzile anche una giurisprudenza formatasi prima della Riforma del 1987 ne escludeva la natura alimentare, pur riconoscendo all’assegno stessa una natura «latamente assistenziale» (Cass. n. 7358/1994, ove in motivazione si chiariva che «La legge sullo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio non prevede, infatti, la permanenza di alcun obbligo di mantenimento, o anche meramente alimentare, a carico dell’ex coniuge, ma dispone solo la somministrazione eventuale di un assegno, di natura composita, che ha la diversa funzione di consentire al coniuge economicamente più debole, il quale non sia in grado di acquisire una piena autonomia economica a seguito della cessazione del rapporto coniugale, di permanere potenzialmente nella medesima situazione economica di cui godeva in costanza di matrimonio », affermandosi che di conseguenza « con lo scioglimento del matrimonio o con la cessazione dei suoi effetti civili, l’obbligazione alimentare sorge in primo luogo, direttamente, a carico dei figli dell’alimentando») .
6. La Corte Costituzionale, in tema di prestazione alimentare.
Va poi rammentato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 17 del 2000, intervenendo sulla legittimità costituzionale degli artt. 2751 n. 4 c.c. nella parte in cui escludono il privilegio generale sui mobili del debitore (riferito al credito di alimenti) anche al credito da mantenimento del coniuge separato o divorziato, ha, di fatto, nel ritenere l’infondatezza della questione, ricompreso tra i crediti privilegiati di cui all’art. 2751 n. 4 e 2778 n. 17 c.c. i crediti di mantenimento in caso di separazione e i crediti da assegni divorzili, rispondendo entrambi i crediti alla medesima funzione, precisando che il credito da mantenimento del coniuge separato o divorziato ha un contenuto più esteso di quello alimentare in senso stretto .
La Consulta, già con la sentenza n. 1041 del 30/11/1988, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 L. n. 163/1969, nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall’art. 2, n. 1, D.P.R. 5 gennaio 1960, n. 180 (1/3), la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall’Inps, in quanto, «dinanzi alla esigenza di tutelare i crediti alimentari, non vi è alcuna ragione di concedere ai titolari di pensioni INPS un trattamento privilegiato rispetto a coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri enti pubblici», ovvero fruiscono di assegni corrisposti da casse di previdenza di professionisti, aveva affermato, al par. 2 della pronuncia, respingendo l’eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata, per non avere il credito in base al quale agiva la pignorante (un assegno di mantenimento attribuitole quale coniuge separata) natura alimentare, che «l’assegno di mantenimento, come peraltro è ius receptum, comprende anche, nella sua maggior ampiezza, l’assegno alimentare quando – e la controversia in esame versa in tale ipotesi – il coniuge separato incolpevole si trovi in stato di bisogno e nell’impossibilità di svolgere attività lavorativa».
Sempre la Corte Costituzionale, nella successiva sentenza n. 506 del 4/12/2002, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, «anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte», ha affermato che l’art. 38 Cost, comma 2, sancendo il diritto dei lavoratori, in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, a che siano «preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», si ispira a criteri di solidarietà sociale e «di pubblico interesse a che venga garantita la corresponsione di un minimum», il cui ammontare è ovviamente riservato all’apprezzamento del legislatore, e che il presidio costituzionale (art. 38, comma 2°) del diritto dei pensionati « a godere di «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», dovendo essere coniugato con i principi della responsabilità patrimoniale e con i diritti dei creditori, «non è tale da comportare, quale suo ineludibile corollario, l’impignorabilità, in linea di principio, della pensione, ma soltanto l’impignorabilità assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al pensionato quei «mezzi adeguati alle esigenze di vita» che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarietà sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall’altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori)»; quindi la Consulta ha statuito che, pur dichiarata l’incostituzionalità della disposizione di legge che prevedeva l’impignorabilità generalizzata, tranne per alcuni crediti qualificati, dell’intero importo dell’assegno pensionistico, dovesse essere enucleato all’interno dello stesso assegno una parte corrispondente al c.d. minimo vitale, che, per la sia natura assistenziale, deve essere mantenuto al riparo da azioni dei creditori.
7. Le conclusioni del Procuratore Generale.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del quinto motivo di ricorso (logicamente subordinato al rigetto degli altri motivi), osservando che:
a) «la tradizionale affermazione relativa alla irripetibilità dell’assegno alimentare versato e, di poi, riconosciuto non dovuto (o ln sede di conferma della statuizione provvisoria di cui all’art. 446 c.c., o in grado di appello) non trova alcun fondamento normativo» e, anzi, è in contrasto con i più basilari principi processuali, considerando che il diritto alla ripetizione dell’indebito ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento, qualunque ne sia la causa (Cass.n. 18266/2018), cosicché non vi sono ragioni per escludere che l’assegno propriamente alimentare giudizialmente riconosciuto come non dovuto, ma concretamente versato nelle more del processo dal soggetto originariamente ritenuto obbligato, non possa formare oggetto di ripetizione di indebito da parte del solvens;
b) invero, l’irripetibilità dell’assegno alimentare viene tradizionalmente ricondotta agli artt. 447 c.c. e 545 c.p.c. ma la prima norma concerne solo l’incedibilità del diritto agli alimenti e il divieto di opporre in compensazione controcrediti dell’obbligato verso l’alimentando, mentre la seconda norma attiene ai limiti di pignorabilità dell’assegno, previsioni queste del tutto coerenti con il carattere personalissimo del diritto agli alimenti;
c) «all’accertamento giudiziale della insussistenza del diritto agli alimenti e dell’infondatezza della relativa domanda – per assenza dello stato di bisogno lamentato o per il difetto del legame fra obbligato e alimentando che tale provvidenza giustifica o, ancora, per la precarietà delle condizioni economiche dell’obbligato -» consegue il carattere oggettivamente indebito dei versamenti effettuati dall’obbligato in esecuzione di un precedente provvedimento interinale e il relativo accertamento non può che operare ex nunc, sin dal momento della domanda, con tutte le conseguenze che ne derivano sia in tema di debenza dell’assegno sia in tema di ripetizione di somme erogate in assenza del diritto dell’accipiens;
d) la scelta opposta finisce per premiare «l’obbligato rimasto inadempiente al provvedimento provvisorio, il quale nulla si vedrebbe costretto a pagare, con effetto ex tunc, mentre l’obbligato rispettoso del provvedimento interinale, non potendo ripetere il versato, patirebbe un pregiudizio economico pari alle somme delle quali egli è pur stato riconosciuto non essere debitore»;
e) a diversa conclusione non potrebbe giungersi nemmeno invocando l’inesistenza di un obbligo del beneficiario «di accantonare le somme ricevute, in vista di una eventuale riduzione od eliminazione della provvidenza ricevuta», atteso che «l’obbligo di restituzione di quanto ingiustamente percepito… non postula un preventivo obbligo di accantonamento cautelativo», ovvero la natura cautelare del provvedimento di assegnazione interinale dell’assegno, non potendosi fare riferimento all’art. 189 disp. att. c.p.c. sulla ultrattività del provvedimento presidenziale di cui 708 c.p.c., prevista per il solo caso di estinzione del processo di separazione in coerenza con la previsione di cui all’art. 669-octies, comma 6, c.p.c. in tema di provvedimenti cautelari idonei ad anticipare la decisione di merito, mentre il successivo riconoscimento dell’infondatezza del provvedimento provvisorio dovrebbe, in omaggio all’art. 669-novies, comma 3, C.P.C., comportarne l’inefficacia e condurre alle disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente, tra cui rientra la ripetizione di quanto indebitamente pagato e percepito (art. 669-novies, comma 2c.p.c.), ovvero il riconoscimento del diritto alla ripetizione solo per il caso di temerarietà della richiesta del coniuge, ex art. 96, comma 2, c.p.c., posto che il principio della ripetibilità dell’indebito oggettivo non è ancorato dall’art. 2033 c.c. allo stato di buona fede dell’accipiens (se non con riferimento a frutti e interessi) ovvero ancora sulla base di considerazioni solidaristiche o equitative, improntate alla necessità di tutelare lo stato di bisogno dell’alimentando, insussistenti una volta negati i presupposti dell’assegno o ritenuto l’assegno originariamente stabilito sproporzionato a tale stato di bisogno o alle condizioni economiche dell’obbligato;
f) tali conclusioni in ordine alla ripetibilità dell’assegno di natura alimentare e, di conseguenza, dell’assegno di mantenimento in ambito familiare non si attagliano al solo caso del rapporto provvedimento interinale-provvedimento definitivo, ma anche al caso della sentenza di primo grado rispetto alle sentenze dei gradi successivi, le quali accertino l’inesistenza dei presupposti del diritto fatto valere e inesattamente riconosciuto in precedenza (o riconosciuto in misura eccessiva);
g) quanto poi alla questione della compensabilità e della pignorabilità dell’assegno di mantenimento (non oggetto di causa ma sollevata nell’ordinanza interlocutoria), laddove sia possibile effettivamente individuare una componente assistenziale o di sostentamento negli assegni in parola, quale che ne sia il loro importo assoluto, «tale aliquota assistenziale, stante la sua natura assimilabile a quella prevista dall’art. 438 c.c., si ritiene debba soggiacere ai medesimi limiti di compensabilità e pignorabilità previsti per l’assegno alimentare, non essendovi ragione alcuna di differenziare le rispettive tutele» e, in assenza di specifiche indicazioni nella sentenza che riconosce il diritto a tali assegni (indicazioni peraltro rare nella pratica), sarà «compito del giudice del merito — segnatamente, del giudice dell’esecuzione, ex art. 545, comma 9, c.p.c. – individuare il minimo vitale (per impiegare le parole di Corte Cost. 506/2002, con riferimento ai trattamenti pensionistici) dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile da considerare impignorabile e, come tale, non compensabile, ex art. 1246, n. 3), c.c.».
In ordine ai rapporti tra provvedimenti provvisori di natura cautelare anticipatoria e sentenza di merito, giova rammentare che il rito cautelare contiene una disposizione, l’art. 669-novies c.p.c., secondo la quale i provvedimenti cautelari perdono la loro efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, sia dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso (Cass. n. 13292/1999: «In base all’art. 669 novies cod. proc. civ. la declaratoria di inesistenza del diritto cautelato comporta l’inefficacia automatica del provvedimento cautelare di modo che la pronunzia del giudice sul punto ha mera funzione dichiarativa»; Cass. n. 17028/2008; Cass. SS.UU. n. 12103/2012: «La misura cautelare del sequestro perde la sua efficacia in conseguenza della dichiarazione di estinzione del correlato giudizio di merito, senza che a tal fine sia necessario che la pronunzia sia divenuta inoppugnabile, dovendosi, pertanto, assumere la stessa a presupposto dei provvedimenti ripristinatori previsti dall’art. 669-novies, secondo comma, cod. proc. civ.»).
La norma dovrà essere applicata, secondo il PG, anche nell’ipotesi in cui, accertati i presupposti che portano alla separazione personale dei coniugi o allo scioglimento del vincolo coniugale, il Tribunale ritenga di escludere il diritto al mantenimento di uno dei coniugi, provvisoriamente riconosciuto esistente nel corso dell’udienza presidenziale, ovvero di ridurre l’assegno di mantenimento con conseguente parziale dichiarazione di inefficacia, e quindi riduzione di quanto disposto dai provvedimenti presidenziali. In tutti questi casi, la sentenza che dichiari, in tutto o in parte, inefficace la misura provvisoria dovrà anche disporre le opportune misure restitutorie, in forza dello specifico disposto dell’art. 669-novies c.p.c. che impone al giudice di dare le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente.
Seguendo la disciplina del c.d. nuovo rito cautelare, la causa di inefficacia travolge, quindi, normalmente il provvedimento cautelare con effetto ex tunc.
8. La soluzione della questione della ripetibilità, a composizione delle diverse posizioni sinora espresse.
8.1. L’esame della norma speciale dettata dall’art. 189 disp. att. c.p.c.
Occorre, anzitutto, esaminare i rapporti tra provvedimenti provvisori presidenziali e sentenza definitiva (la cui retroattività dalla domanda, quanto alla decorrenza dell’obbligo di versamento dell’assegno, viene riconosciuta con orientamento ormai consolidato, in riferimento all’assegno in favore del coniuge separato o dei figli, sia in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio sia con applicazione estesa della disposizione dettata per l’assegno alimentare, ai sensi dell’art. 445 c.c., mentre in relazione a quello divorzile, in particolare, essa è prevista, dall’art. 4, comma 13, della legge n. 898 del 1970, previa specifica motivazione da parte del giudice, presupponendo, di regola, tale assegno la definitiva acquisizione da parte del coniuge dello status di divorziato), in relazione alla esecutività ed alla c.d. ultrattività degli effetti, derivante dal disposto dell’art.189 disp.att.c.p.c. («L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale o il giudice istruttore dà i provvedimenti di cui all’articolo 708 del codice costituisce titolo esecutivo. Essa conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzione del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito di nuova presentazione del ricorso per separazione personale dei coniugi»), che opera anche in ambito di divorzio per effetto dell’espresso richiamo normativo dell’art.4 l.d..
Invero, osserva la Corte, il primo orientamento giurisprudenziale sopra descritto ha argomentato la ritenuta irretroattività, sempre, della sentenza che riveda in diminuzione o che escluda l’assegno corrisposto in base al provvedimento presidenziale o a quello, successivo, del giudice istruttore, essenzialmente sulla base di ragioni processuali, correlate alla natura cautelare dei provvedimenti presidenziali ed alla particolare disciplina all’uopo dettata dall’art. 189 disp.att.c.p.c.
Nella rivisitazione, che sembra ormai necessaria di tale orientamento, incidono indubbiamente alcune modifiche processuali via via succedutesi: a) con gli artt. 8 e 23 della l.n.74/1987, di modifica della legge n.898/1970, si è previsto che, nel procedimento di divorzio come in quello di separazione, «per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva», anticipandosi la scelta poi operata dal legislatore in via generale nel nuovo testo dell’art.282 c.p.c., per effetto della l.353/1990, a decorrere dal 1° gennaio 1993; b) l’introduzione del c.d. «nuovo rito cautelare», di cui agli artt. 669 bis /669 quaterdecies, sempre per effetto della l.353/1990, a decorrere dal 1° gennaio 1993; c) la modifica dell’art. 336 c.p.c. (sempre a seguito della Riforma di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353) («La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata. La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata»), che ha sostituito il secondo comma della disposizione; d) la l. 80/2005 che ha previsto, all’art.709 c.p.c., che « I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore», mentre, in precedenza, il comma 3° dell’art.708 prevedeva che «Se si verificano mutamenti nelle, l’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell’articolo 177»; e) la L.54/2006, che ha introdotto la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali ex art.708 c.p.c. («Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento»).
Deve essere, senz’altro, confermata la natura cautelare, nella più vasta accezione ormai comprensiva anche dei provvedimenti anticipatori della decisione definitiva, dei provvedimenti presidenziali in esame: il Presidente del Tribunale regola, in via provvisoria, l’assetto dei rapporti tra coniugi e tra questi ultimi e i figli, anticipando gli effetti della pronuncia di merito, cercando di prevedere, con cognizione sommaria, il contenuto della suddetta decisione definitiva, sotto il profilo della disciplina dei rapporti tra i coniugi e tra questi e i figli.
Si tratta, tuttavia, di una misura peculiare «con funzione cautelare», in relazione alla quale non tutte le disposizioni dettate dal nuovo rito cautelare, in vigore dal 1993, sono operanti, in considerazione di alcune sue caratteristiche, occorrendo tenere conto, quindi, di quanto dispone l’art. 669 quaterdecies c.p.c., circa l’applicazione delle relative disposizioni solo «in quanto compatibili».
Caratteri generali dei provvedimenti cautelari, precisa la Corte, sono la provvisorietà e la strumentalità rispetto alla sentenza di merito: quando il processo prosegue e interviene la pronuncia di primo grado di merito, i provvedimenti presidenziali vengono ad essere assorbiti e sostituiti da quello di merito. Questa Corte aveva invero affermato già in un precedente del 1969 (Cass. n. 3840/1969) che «ai sensi dell’art 708 cod. proc civ, il divieto di modificare i provvedimenti temporanei emanati dal Presidente del tribunale all’udienza di prima comparizione dei coniugi, concerne soltanto il giudice istruttore e, pertanto, non limita i poteri del collegio in sede di pronunzia definitiva, la quale deve essere emessa, secondo i principi generali, in base alla valutazione di tutti gli elementi emersi e travolge i provvedimenti provvisori ».
E deve rilevarsi che non sia più necessario attendere una pronuncia passata in giudicato, in quanto le statuizioni a contenuto economico, nei procedimenti di separazione e di divorzio, vengono modificate già dalla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva (per effetto dell’art.4 della l.div. n.898/1970, come novellata dalla l. 74/1987, prima della riforma dell’art.282 c.p.c.).
Ora, specifici caratteri strutturali dei provvedimenti temporanei ed urgenti in esame sono, anzitutto, la possibile ufficiosità della pronuncia e l’ultrattività che consente ai provvedimenti in questione di sopravvivere all’estinzione del processo, ma anche la necessaria previa audizione delle parti.
Il tutto trova giustificazione nell’interesse sotteso a tale disciplina e che deve essere tenuto presente dall’organo investito della decisione temporanea ed urgente: non quello dell’una o dell’altra parte, ma quello di entrambe le parti e quello superiore del nucleo familiare, sia pure in dissoluzione, comprensivo anche dei figli.
Così, con riguardo specifico alla caratteristica dell’ultrattività, si è soltanto voluta garantire una particolare stabilità dei provvedimenti, valutando il legislatore positivamente l’ipotesi dell’eventuale inattività delle parti che, pur nel perdurare della crisi coniugale, decidano di non proseguire il giudizio ed accettino l’ordinanza presidenziale di regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali, sulla quale non erano riusciti a raggiungere un accordo, quale unica e futura regolamentazione dei loro rapporti. Laddove il processo venga lasciato estinguere e non venga proposto un nuovo ricorso per l’inizio di un nuovo processo, l’ordinanza presidenziale godrà di una funzione autonoma, con una sua stabilità relativa, finché esse non vengano odificati in un nuovo giudizio di separazione, instaurabile in ogni tempo.
Si deve osservare poi che, per il combinato disposto degli artt. 669 octies e 669 novies c.p.c., la regola generale secondo cui, se successivamente al suo inizio il procedimento di merito si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia, non opera per i provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito.
L’art. 669 novies c.p.c. dispone che i provvedimenti cautelari perdono la loro efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, sia dichiarato inesistente, anche in parte, il diritto a cautela del quale era stato concesso. La sentenza che dichiari in tutto o in parte inefficace la misura provvisoria dovrà quindi anche disporre le opportune misure restitutorie, in forza dello specifico disposto dell’art. 669-novies c.p.c. che impone al giudice di dare le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. Seguendo la disciplina del nuovo rito cautelare la causa di inefficacia del diritto, nel merito, travolge quindi, il provvedimento cautelare con effetto ex tunc.
Non sembra possibile ritenere che tale disposizione non sia compatibile con la disposizione di cui all’art.189 disp. att. c.p.c., che si limita a contemplare l’ultrattività dei provvedimenti presidenziali ex art.708 c.p.c., entro precisi limiti, non in assoluto, per l’ipotesi in cui il procedimento di separazione si estingua.
Peraltro, nell’ammettere la retroattività per effetto della sentenza che dichiari in tutto o in parte il diritto al mantenimento, non si tratterebbe necessariamente di sancire l’obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire somme di denaro versate sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento, a fronte di un accertamento a cognizione piena.
E la stessa giurisprudenza indicata nel primo orientamento riteneva, invece, comunque pacifica la retroattività degli effetti della sentenza per il diverso e simmetrico caso di successivo riconoscimento di un diritto al mantenimento ritenuto inesistente, o solo parzialmente esistente, in sede presidenziale, potendo il coniuge con effetti retroattivi pretendere la differenza tra quanto già percepito e la maggior somma stabilita con la sentenza che definisce il giudizio (Cass. 7458/1990).
Deve, in ultimo, rilevarsi che, nel decreto legislativo n. 149/2022 di Riforma del processo civile, recante attuazione della legge delega n. 206 del 26 novembre 2021, si è previsto, all’art.473.22, nel Titolo IV bis dedicato alle norme per il procedimento – unificato – in materia di persone, minorenni e famiglie, che il giudice, all’udienza di comparizione delle parti, se la conciliazione non riesce, adotta i provvedimenti necessari ed urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti «nei limiti delle domande da queste proposte» e, quando pone a carico delle parti l’obbligo di versare un contributo economico, determina «la data di decorrenza del provvedimento, con facoltà di farla retroagire fino alla data della domanda»; l’ordinanza costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale e conserva la sua efficacia «anche dopo l’estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento».
8.2. La natura o meno alimentare o «para-alimentare» o con finalità anche assistenziale della prestazione di mantenimento, nella separazione e divorzio.
Pur nella comune riconduzione al concetto di solidarietà familiare (ad eccezione del rapporto donatario/donante), sussistono indubbie differenze strutturali e funzionali tra gli alimenti, secondo la modalità di somministrazione periodica di somma di denaro, e l’assegno di mantenimento del coniuge separato e di divorzio (al di fuori dell’ipotesi di corresponsione in unica soluzione):
a) il diritto al mantenimento del coniuge separato, cui non sia addebitabile la separazione, presuppone la mancanza di mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato;
b) l’assegno divorzile ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o meglio perequativo-compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico);
c) presupposti del diritto agli alimenti sono lo stato di bisogno del soggetto richiedente e l’impossibilità dello stesso di provvedere da solo a superare tale stato, rilevando, come criterio per determinarne la misura concreta, anche la capacità economica dell’obbligato di provvedere alle necessità del bisognoso (riferita, quanto al donatario, anche al valore della donazione ricevuta).
Solo il diritto agli alimenti, precisa la Corte, richiede tra i presupposti costitutivi uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento e, di regola, tende ad appagare le più elementari e basilari esigenze di vita quali il vitto, l’alloggio, il trasporto e le cure mediche, ma anche bisogni «civili», quali l’istruzione, avuto anche riguardo alla sua posizione sociale (vale a dire ai bisogni essenziali che si manifestino in concreto in relazione anche alla personalità ed alle abitudini pregresse), senza sperperi o sregolatezza, mentre è limitata allo «stretto necessario» quando l’obbligazione sorge tra fratelli e la prestazione deve comprendere le spese per l’educazione e l’istruzione se l’alimentato è minorenne.
Tuttavia, costituisce acquisizione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui, nonostante la sostanziale diversità delle condizioni che legittimano le due domande, la richiesta di alimenti non costituisce una domanda nuova, ma un minus necessariamente ricompreso nella più ampia richiesta di mantenimento (Cass. n. 4702/1978; Cass. n. 51/1981, Cass. n. 5698/1988; Cass. n. 2128/1994; Cass. n. 5677/1996; Cass. n. 5381/1997; Cass. n. 4198/1998; Cass. n. 1761/2008; Cass. n.10718/2013; Cass. n. 27695/2017 ).
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 17 del 2000, ha, di fatto, nel ritenere l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, ricompreso tra i crediti privilegiati di cui all’art. 2751, n. 4, e 2778, n. 17, c.c. i crediti di mantenimento in caso di separazione e i crediti da assegni divorzili, rispondendo entrambi i crediti alla medesima funzione, precisando che il credito da mantenimento del coniuge separato o divorziato ha un contenuto più esteso di quello alimentare in senso stretto.
In sostanza, si è inteso dare rilievo al comune carattere (o meglio alla comune finalità) «assistenziale» delle diverse prestazioni ed al fatto che anche l’assegno di mantenimento del coniuge separato e l’assegno divorzile, nella sua componente propriamente assistenziale, nonché l’assegno di mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, rispondano, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’accezione più ampia e non essendo necessario uno stato di indigenza o bisogno, come negli alimenti.
Il richiamo, nelle situazioni di crisi della famiglia, ai principi costituzionali generali (artt. 2 e 29 Cost.), strumenti più duttili e quindi più efficienti, talvolta, della disciplina positiva, si realizza anche attraverso il riferimento al «principio di solidarietà sociale», che nel settore della società familiare prende il nome di «solidarietà familiare» o «solidarietà post – familiare», che deve ispirare i componenti della famiglia a comportamenti di correttezza e di buona fede, finalizzati, pur a fronte della rottura della famiglia, ad un riequilibrio del rapporto di coppia e tra genitori e figli, al fine di evitare tendenzialmente, nei rapporti reciproci, conflittualità ed abusi.
8.3. La verifica della effettiva irripetibilità delle prestazioni alimentari. Possibile giustificazione di una parziale irripetibilità delle prestazioni di mantenimento nelle situazioni di crisi del rapporto di coppia. Limiti.
È stato affermato da questa Corte che la retroattività della sentenza, nel rapporto tra sentenza di primo grado e sentenza di appello, nel caso in cui escluda o riduca l’assegno stabilito nella sentenza impugnata, può operare solo a favore del beneficiario dell’assegno, considerato il carattere «latamente alimentare» o la funzione anche alimentare dell’assegno (nel senso della ricomprensione del minus alimentare nella più ampia obbligazione di mantenimento) e la conseguente applicabilità, per analogia, agli assegni separativi o divorzili del trattamento riservato agli alimenti, ragione questa per cui l’effetto retroattivo della sentenza debba in ogni caso conciliarsi con i caratteri della impignorabilità, della non compensabilità e «della irripetibilità» dell’assegno di mantenimento «desumibili dagli artt. 447 cod. civ. e 545 c.p.c.», propri della disciplina dell’assegno alimentare
Ora, in effetti, non si rinviene nell’ordinamento una disposizione che, sul piano sostanziale, sancisca la irripetibilità dell’assegno propriamente alimentare provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando, atteso che l’art. 447 c.c. si occupa di disciplinare la cessione del credito alimentare e la sua compensazione con un controcredito dell’obbligato, ma non ne sancisce l’irripetibilità, mentre gli artt.545 e 671 c.p.c. contemplano l’impignorabilità (non assoluta, essendo pignorabili i crediti a loro volta alimentari, a condizione dell’autorizzazione del giudice) e l’insequestrabilità dei crediti alimentari. Le stesse disposizioni specifiche degli artt.440 e 446 c.c. non escludono la possibilità del ricorso al generale rimedio dell’azione di ripetizione di indebito, nelle ipotesi di riduzione dell’assegno alimentare fissato in via cautelare e provvisoria dal Presidente del Tribunale o di esclusione del diritto con il provvedimento definitivo.
Di conseguenza, non può negarsi l’efficacia caducatoria e ripristinatoria dello status quo ante e dunque sostitutiva della sentenza impugnata propria della sentenza emessa in esito al successivo grado di giudizio, sulla base del semplice riferimento alla disciplina dettata per gli alimenti in senso proprio.
Peraltro, riguardo alla questione che in questa sede interessa, come già esposto in merito al rapporto tra provvedimenti presidenziali e sentenza definitiva che modifichi il contenuto dei primi, non si tratterebbe di sancire l’obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire somme di denaro versate sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento, oppure di parziale restituzione di somme di denaro versate sulla base di un supposto e parzialmente inesistente diritto al mantenimento.
In realtà, un temperamento al principio di piena ripetibilità trova giustificazione solo per ragioni equitative, di stampo c.d. «pretorio».
Invero, l’opinione, pacifica in giurisprudenza, secondo cui la sentenza che escluda o riduca l’assegno alimentare concesso con provvedimento provvisorio o con la sentenza definitiva del grado inferiore del processo non potrebbe, a determinate condizioni, comportare la ripetibilità delle maggiori somme già versate, si giustifica su di un piano «equitativo», sulla base nei princìpi costituzionali di solidarietà umana (art. 2 Cost.) e familiare in senso ampio (art. 29 Cost.: la società «naturale» costituita dalla famiglia), e solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario, dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche «per finalità alimentare», sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita (argomento tratto da art. 438, comma 2 c.c.).
Occorre dunque, precisa la Corte, dare il giusto rilievo alle esigenze equitative-solidaristiche, espressione di quella solidarietà che trova sede anche nella peculiare comunità sociale rappresentata dalla famiglia ed anche nelle situazioni di crisi della unione, in un’ottica di temperamento della generale operatività della regola civilistica della ripetizione di indebito (art.2033 c.c.), nel quadro di un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della stessa.
Non si tratta di dettare una regola di «automatica irripetibilità» delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento, quanto di operare un necessario bilanciamento tra l’esigenza – palesata nel presente giudizio dal controricorrente – di legalità e prevedibilità delle decisioni e l’esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole nel rapporto.
Ora, ove con la sentenza venga escluso in radice e «ab origine» (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno «stato di bisogno» del soggetto richiedente (inteso, nell’accezione più propria dell’assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati), ovvero si addebiti la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell’art.2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità).
Per converso, si deve affermare che, invece, non sorge, a favore del coniuge separato o dell’ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato «al ribasso»; il tutto sempre se l’assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione.
Ciò si giustifica, osserva la Corte, in considerazione della tutela di quella solidarietà post-familiare, sottesa in tutta la disciplina relativa alla crisi della famiglia, e del fatto che non è in discussione, in tali ipotesi, l’esistenza e la permanenza, in giudizio, di un soggetto in condizioni di debolezza economica. Si deve infatti ragionevolmente presumere, in rapporto all’entità della somma di denaro litigiosa, che le maggiori somme (attribuite in via provvisoria o in via definitiva con la sentenza di primo grado), versate medio tempore dal richiesto al richiedente, siano state comunque (in atto o in potenza) consumate, proprio per fini di sostentamento, dal coniuge debole.
Si tratta, oltretutto, di una regola anche di esperienza pratica, in quanto il denaro, nell’ambito di cifre di modesta entità, percepito in funzione del necessario sostentamento del coniuge, è da presumere che sia stato speso a quel fine, con conseguente esclusione di ogni, inutile, azione di ripetizione.
L’entità, necessariamente, modesta di tale somma di denaro non può essere determinata in maniera fissa ed astratta, considerato che il legislatore non ha fissato in maniera rigida la misura ed il contenuto neppure della prestazione alimentare in senso proprio, essendosi ritenuta necessaria una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, valutate tutte le variabili del caso concreto: la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica, nonché il contesto socio-economico e territoriale in cui i coniugi o gli ex coniugi sono inseriti.
In definitiva, si deve affermare il seguente principio di diritto: «In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».
9. Di conseguenza, nella fattispecie in esame, va respinto il quinto motivo di ricorso, denunciante la falsa applicazione degli artt. 156 e 445 c.c., in relazione al capo dell’impugnata decisione che, accogliendo l’appello incidentale del ha pronunciato la condanna della ricorrente alla ripetizione in favore dell’ex coniuge delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento a seguito dei provvedimenti provvisoriamente adottati dal presidente del tribunale, adottati in primo grado nel giudizio promosso ex art.710 c.p.c., a decorrere dall’ottobre 2009 (come indicato nell’ordinanza presidenziale del febbraio 2010), assegno fissato nella misura di € 500,00 mensili, e, di seguito, dal giudice istruttore, dal dicembre 2010, nella misura di € 400,00 mensili, essendosi ritenuto che «sin dalla richiesta di modifica delle condizioni della separazione non sussistessero i presupposti», per l’assegno di mantenimento a favore della
L’esame dei restanti motivi, involgenti tra l’altro anche la questione della spettanza o meno alla ricorrente dell’assegno divorzile, deve essere rimesso alla Sezione Prima.