Cass. pen., V, ud. dep. 02.02.2023, n. 4572
PRINCIPIO DI DIRITTO
“In particolare, il rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, è ravvisabile anche quando non sia contraddistinto da coabitazione. Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza è quindi attualmente un dato recessivo.”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“L’art. 384-bis c.p.p. recita: “Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento di urgenza dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa (…)”.
Il contrasto interpretativo tra il Pubblico ministero ricorrente ed il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Perugia è relativo alla condizione di “convivenza” presso la “casa familiare”: secondo il giudice il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, adottato quale misura precautelare di urgenza, si lega indissolubilmente allo stato di convivenza in atto nella casa familiare tra agente e soggetto passivo, che ne costituisce indefettibile presupposto.
1.1.Con specifico riferimento alla misura precautelare in esame questa Corte ha chiarito che in tema di convalida dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, il giudice deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito allontanamento, valutando la legittimità dell’operato della polizia in relazione allo stato di flagranza e all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dall’art. 282-bis c.p.p., comma 6, (Sez. 6, n. 17680 del 27/05/2020, Rv. 278965).
In particolare, il giudice della convalida deve valutare la sussistenza del “fumus commissi delicti” secondo una verifica “ex ante”, tenendo conto della situazione conosciuta dalla polizia giudiziaria al momento dell’esecuzione del provvedimento.
Analogamente a quanto avviene per le altre misure precautelari e in particolare in sede di convalida dell’arresto, il giudice, oltre all’osservanza dei termini, deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito allontanamento, ossia valutare la legittimità dell’operato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilità di uno dei delitti di cui all’art. 282-bis c.p.p., comma 6, in una chiave di lettura che non deve riguardare nè la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione questa riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), nè l’apprezzamento sulla responsabilità, riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito.
Nel caso in esame non è emersa alcuna criticità nella valutazione effettuata dal giudice della convalida quanto al rispetto dei termini, nè all’astratta configurabilità di una delle ipotesi di reato di cui all’art. 282-bis c.p.p., comma 6.
La criticità è, quindi, ravvisabile nell’ulteriore presupposto legittimante l’eseguito allontanamento, ossia, secondo il provvedimento impugnato, la condizione di convivenza nella casa familiare.
In realtà, la norma che scaturisce dalla necessaria correlazione tra l’art. 384-bis e la portata dell’art. 282-bis, comma 6, espressamente richiamato dalla prima previsione, non richiede, già per ragioni letterali, che l’autore del delitto abiti attualmente presso l’immobile dal quale deve essere allontanato per ragioni di tutela della persona offesa.
Quanto precede non pone in discussione la premessa che, per effetto dell’indicato richiamo normativo, le fattispecie delittuose ivi indicate – tra le quali la fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. (ivi inserita dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 16, comma 1 convertito con modificazioni nella L. 1 dicembre 2018, n. 132) – sono quelle commesse in danno dei prossimi congiunti o del convivente, ma pone piuttosto il problema di delineare la nozione di convivenza rilevante, che va calibrata in termini attenti e rispettosi della lettera della legge, ma tenendo conto anche delle finalità di protezione, perseguite attraverso la misura precautelare, di scongiurare il grave e attuale pericolo per la vita e l’integrità fisica della persona offesa.
1.2. Occorre, quindi, in relazione allo specifico caso in esame e nel pieno rispetto del divieto di applicazioni analogiche della norma in ragione del contenuto della stessa relativo alla limitazione della libertà personale, verificare il contenuto della nozione di convivenza e di casa familiare.
Attraverso l’esame della giurisprudenza civile di questa Corte, emerge una nozione di convivenza non coincidente con la semplice coabitazione (Sez. 3 civ., ord. n. 9178 del 13/04/2018, Rv. 648590; Sez. 3 civ., n. 7128 del 21/03/2013, Rv.625496).
In particolare, il rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, è ravvisabile anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.
La giurisprudenza richiamata, nell’interpretazione adeguatrice delle norme, evidenzia che è necessario prendere atto del mutato assetto della società, collegato alle conseguenze di una prolungata crisi economica, ma non originato soltanto da queste, dal quale emerge che ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione è destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato.
Il cambiamento sociale che è ormai verificato nella società comporta che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non può risolversi nella coabitazione. Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza è quindi attualmente un dato recessivo.
La nozione di convivenza di fatto peraltro trova ora il suo supporto normativo nella L. n. 76 del 2016, che all’art. 1, definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, individuando sempre l’elemento
spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilità, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco.
1.3. Lo stesso dicasi avuto riguardo alla nozione di vita familiare rilevante a norma dell’art. 8 CEDU, per la quale è necessario un legame affettivo qualificato da un progetto di vita in comune (Sez. 1, Ordinanza n. 7427 del 18/03/2020, Rv. 657489).
1.4. Tali premesse dimostrano che, all’interno del nostro ordinamento, la nozione di convivenza non coincide con quella di coabitazione. Le specifiche esigenze di protezione delle previsioni penalistiche – oltre che di raccordo tra le varie fattispecie incriminatrici (e, si veda, al riguardo, lo sforzo ricostruttivo di Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, D., Rv. 283436 – 01, all’indomani di Corte Cost., sent. n. 98 del 2021) – impongono, in armonia con le superiori indicazioni, di ritenere che la convivenza, pur quando non si accompagni alla coabitazione continuativa, permanga anche nelle fasi di crisi del rapporto quando quest’ultima non sia divenuta ormai irreversibile.
- Alla luce delle considerazioni espresse, può dunque ritenersi che allorquando la convivenza, intesa come coabitazione già esistita, non sia più in atto, ma sussistono degli elementi in concreto che depongono per una perdurante frequentazione del soggetto di quel domicilio domestico anche in maniera occasionale (nel caso di specie risulta dall’ordinanza cautelare che la sera del omissis l’indagato aveva dormito a casa della donna) o che consistono nel violento ripristino da parte dell’agente della situazione di condivisione del domicilio (nel caso di specie l’indagato era più volte entrato nella casa della persona offesa anche quando la stessa si era recata in Questura per denunciare l’accaduto), appare corretto ravvisare anche l’ulteriore presupposto che legittima l’allontanamento da una casa che l’indagato continua a frequentare, anche contro la volontà della donna con cui ha intrattenuto la relazione.
2.1. A ciò si aggiunga che l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi alla stessa hanno un identico contenuto prescrittivo: l’art. 282-bis c.p.p. quando descrive la condotta che deve osservare il destinatario della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare utilizza due espressioni: “lasciare immediatamente la casa” ovvero “non farvi rientro” e, dunque, non avvicinarsi.
2.2. Non senza considerare, inoltre, che una lettura di segno contrario susciterebbe più di un dubbio di frizione costituzionale della norma e dell’intero assetto sistematico della tutela, risultando manifestamente irragionevole che, proprio laddove l’esigenza di tutela si connota per intensità massima (come nei confronti di chi, nelle fasi di cessazione della relazione affettiva, intenda riaffermare autoritativamente e prepotentemente, nonostante la contraria volontà della persona offesa, la coabitazione intesa come condivisione fisica del domicilio, assieme alla vittima che abbia continuato a dimorarvi), essa risulti irrealizzabile. Può dunque ritenersi che l’operato della polizia giudiziaria sia stato legittimo e coerente con i presupposti applicativi dell’art. 384 bis c.p.p..
- L’ordinanza impugnata di diniego di convalida ai sensi dell’art. 384 bis c.p.p., appare illegittima e deve essere annullata. L’annullamento che ne consegue deve tuttavia essere pronunciato con la formula “senza rinvio perché l’allontanamento è stato effettuato legittimamente”, in quanto trattasi di situazione nella quale appare superfluo lo svolgimento di un giudizio rescissorio con riferimento ad una fase ormai esauritasi, e nella quale il giudice di merito dovrebbe limitarsi a statuire formalmente sulla correttezza della iniziativa a suo tempo assunta dalla polizia giudiziaria (Sez.5, n. 30114 del 06/02/2018, Rv.273279).La natura del reato per cui si procede e il legame sussistente tra le parti comportano l’oscuramento dei dati identificativi ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.”