Cass. pen., III, ud. dep. 17.01.2022, n. 1559
MASSIMA
Le dichiarazioni della persona offesa possono autonomamente, senza la necessità dei riscontri estrinseci previsti dall’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa penetrante e rigorosa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto. Qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo ad escludere l’intento calunniatorio del dichiarante.
Nel reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p., l’elemento oggettivo può consistere nella violenza fisica in senso stretto o nell’intimidazione psicologica diretta a provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, o altresì nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, purchè siano compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso, e riguardino zone erogene della medesima, atteso che si configura come atto sessuale esclusivamente il contatto corporeo che intacchi la sfera della sessualità fisica della vittima. Si esclude dalla definizione di atto sessuale ogni altro atto che, sebbene significativo di concupiscenza sessuale, sia tuttavia inidoneo ad intaccare la sfera della sessualità fisica del soggetto passivo, limitandosi ad arrecare un’offesa alla libertà morale o al sentimento pubblico del pudore (es. esibizionismo, autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi, voyeurismo).
Quanto all’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza della non chiara manifestazione di consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico nonché della natura oggettivamente sessuale – intesa quale idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito – dell’atto da egli stesso volontariamente posto in essere.
L’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, dunque, in un errore inescusabile sulla legge penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I primi due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente in quanto entrambi aventi ad oggetto la valutazione di attendibilità della persona offesa, sono manifestamente infondati.
1.1. Va ricordato che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214, che ha, altresì, precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
Il Giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014).
Tale principio è stato ribadito anche di recente, avendo questa Corte affermato, in tema di testimonianza, che le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e che, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, nè assistere ogni segmento della narrazione (Sez.5, n. 21135 del 26/03/2019,Rv.275312 – 01).
Nella specie, la Corte di appello, nel confermare l’affermazione di responsabilità, in linea con il suesposto principio di diritto, ha posto a fondamento della decisione le dichiarazioni rese dalla persona offesa, il cui vaglio di attendibilità è stato effettuato in maniera adeguata, con motivazioni congrue e logiche che si sottraggono al sindacato di legittimità, attraverso l’analisi della condotta della dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso, costituiti dalle convergenti dichiarazioni rese dalle persone presenti ai fatti.
Va ricordato che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito – come avvenuto nella specie – abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr. Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
- Il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso, entrambi relativi alla sussistenza del consenso della persona offesa, sono manifestamente infondati.
Va ricordato che la nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non è limitata alla esplicazione di energia fisica direttamente posta in essere verso la persona offesa, ma comprende qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà (Sez.3, n. 6643 del 12/01/2010,Rv.246186); ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609-bis c.p., violenza sessuale, non è, dunque, necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l’azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo (Sez. 3, n. 6340 del 01/02/2006, Rv. 233315), come avvenuto nella specie.
Deve, quindi, ribadirsi che, in tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso (Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004, Rv.228493; Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, Rv. 260985).
Inoltre, secondo l’orientamento ampiamente prevalente, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, Rv. 268186 – 01; Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, dep 08/05/2017, Rv. 270500 – 01).
Inoltre, costituisce affermazione costante che l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Sez. 3, n. 17210 del 10/03/2011, Rv.250141 – 01; Sez.3, n. 2400 del 05/10/2017, dep. 22/01/2018, Rv. 272074 – 01).
Nella specie, è evidente che la repentinità dell’azione ha, di per sé, integrato il requisito della violenza e, comunque, il comportamento della persona offesa, che ha reagito immediatamente al primo episodio allontanando l’imputato e dicendogli di andarsene, era inequivoco circa la mancanza di consenso all’atto e non poteva ingenerare alcun dubbio in capo all’imputato, il quale, nonostante ciò, perseverava nella condotta illecita, ponendo in essere anche l’ulteriore episodio contestato.
- Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Le condotte poste in essere dall’imputato, nei termini fattuali accertate dai Giudici di merito, insidiose e rapide – la cui natura sessuale appare indubitabile stante le peculiari zone del corpo interessate – e connotate da coscienza e volontà di recare offesa alla libertà di autodeterminazione sessuale della vittima, sono state correttamente ritenute idonee ad integrare il reato di cui all’art. 609-bis c.p..
Tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all’art. 609 bis c.p., infatti, vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente – come ad es. palpamenti, toccamenti, sfregamenti, baci (Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Rv. 256915).
E costituisce insegnamento costantemente ribadito che, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale dell’agente, in quanto è sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito (Sez. 3, n. 20459 del 24/01/2019, Rv. 275965 – 01).
Le condotte poste in essere dall’imputato, inoltre, sono state connotate dal necessario requisito del contatto corporeo, elemento essenziale per configurare l’atto sessuale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’atto sessuale, cui la norma fa riferimento, deve comunque coinvolgere la corporeità sessuale del soggetto passivo il quale deve essere costretto “a compiere o subire atti sessuali”.
Tale requisito deve ritenersi determinante per distinguere l’atto sessuale propriamente detto da tutti gli altri atti che, sebbene significativi di concupiscenza sessuale, siano tuttavia inidonei ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima, in quanto comportano esclusivamente un’offesa alla libertà morale o al sentimento pubblico del pudore, come avviene nel caso dell’esibizionismo, dell’autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o del “voyeurismo”(cfr Sez.3, n. 33045 del 29/10/2020, Rv. 280044 – 01; Sez. 3, n. 23094 del 11/05/2011, Rv. 250654 – 01; Sez. 3 n. 2941, 3/11/1999; Sez. 3 n. 2941 del 28/09/1999, Rv. 215100 – 01).
E si è precisato che integra il reato di violenza sessuale anche quella condotta che, pur caratterizzata da un fugace contatto corporeo con la vittima, sia finalizzata a soddisfare l’impulso sessuale del reo (Sez. 3, 45950 del 26/10/2011, Rv. 251339 – 01); e che è atto sessuale sia il contatto fisico diretto che quello simulato con una zona erogena del corpo, in quanto atto parimenti invasivo dell’altrui sfera sessuale (Sez. 3, n. 51083 del 28/09/2017, Rv. 271881 – 01).
La Corte di appello ha rimarcato che in entrambi gli episodi vi era stato un volontario e diretto contatto fisico, sebbene fugace, tra l’imputato e le zone erogene della persona offesa, tale da coinvolgere oggettivamente la corporeità sessuale della vittima ed idoneo ad invadere la libertà sessuale della stessa (pag 4, 5, 6 della sentenza impugnata).
La motivazione è congrua e logica ed in linea con i principi di diritto esposti e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
A fronte di tale adeguata e corretta motivazione, il ricorrente espone censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
- Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
- Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.