Cass. civ., III, ord., 07.10.2024, n. 26185
PRINCIPIO DI DIRITTO
al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie (v. Cass. nn. 10579, 26300, 26301 e 33005 del 2021, n. 11689 del 2022);
[…] secondo consolidato indirizzo, in tema di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, nel caso in cui si tratti di congiunti appartenenti alla cd. famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle) la perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo “nucleo familiare minimo”, nell’ambito del quale l’effettività di detti rapporti costituisce tuttora la regola, nell’attuale società, in base all’id quod plerumque accidit, fatta salva la prova contraria – anche presuntiva ─ da parte del convenuto (Cass. 15/02/2018, n. 3767, Rv. 648035; 11/11/2019, n. 28989; 14/10/2019, n. 25774; 21/03/2022, n. 9010, Rv. 664554);
da tale principio si è evidentemente discostata la sentenza impugnata per aver negato il risarcimento ai fratelli della vittima totalmente obliterando il valore presuntivo ascrivibile ex se allo stretto vincolo formale di parentela che li legava alla vittima, in mancanza di alcuna allegazione o emergenza contraria idonea a far venir meno la presunzione di fatto da esso derivante;
la sentenza impugnata va pertanto sul punto cassata;
con il primo motivo del ricorso incidentale l’Autorità (OMISSIS) denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. Proc. Civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 2043 c.c., 2059 c.c., 2056 c.c. e 1226 c.c., 2697 c.c., per aver fatto erronea applicazione del criterio tabellare di liquidazione del danno parentale in relazione alla posizione della vedova della vittima primaria, A.O., omettendo di valorizzare, quale elemento riduttivo del calcolo, la ridotta durata della sopravvivenza della stessa, deceduta nello stesso anno, poco più di dieci mesi dopo la morte del marito;
il motivo è fondato nei termini appresso precisati;
secondo principio ormai altrettanto consolidato nella più recente giurisprudenza di questa Corte, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie (v. Cass. nn. 10579, 26300, 26301 e 33005 del 2021, n. 11689 del 2022);
adeguate a tali esigenze sono state ritenute le tabelle elaborate presso la Corte di appello di Roma, prima che quelle del Tribunale di Milano fossero adeguate ai criteri sopra indicati, come solo di recente avvenuto con la versione aggiornata al 2022;
l’opzione nella specie espressa dai giudici di merito a favore delle Tabelle di Roma non è stata da alcuno censurata e comunque -si rileva incidentalmente- è in iure corretta essendo stata la sentenza d’appello decisa e pubblicata anteriormente alla pubblicazione delle nuove Tabelle di Milano;
la sentenza impugnata ne fa tuttavia una applicazione meccanica che finisce col tradirne i criteri di fondo, quali sopra evidenziati, omettendo di valorizzare la pur accertata breve durata della vita residua della vedova della vittima primaria;
la rilevanza di tale dato, accertato in sentenza, non può per vero essere posta in dubbio, sebbene si tratti di rilevanza più limitata di quella che ad esso è possibile riconoscere nel caso del danno biologico da premorienza (sul quale v. Cass. 29/12/2021, n. 41933; 29/05/2024, n. 15112);
per il danno da perdita del rapporto parentale occorre invero tener presente che, come ripetute volte affermato da questa Corte (v. Cass. nn. 8887 del 2020; 901 del 2018; 7513 del 2018; 2788 del 2019; 25988 del 2019; 26301 del 2021), la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l’aspetto più significativo del danno de quo;
come è stata efficacemente evidenziato, «esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita, caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in pejus; una differenziazione che rileva da un punto di vista qualitativo/quantitativo del risarcimento se è vero che, come insegna la più recente ed avveduta scienza psicologica, e contrariamente alle originarie teorie sull’elaborazione del lutto, “quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un’idea fallace, poiché … camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi; il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto”; il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione; è il dolore, non la vita, che cambia, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a se stessi nel mondo» (così, in motivazione, Cass. n. 26301 del 2021, cit.);
ciò porta a ritenere che, mentre per il danno dinamico/relazionale la durata della vita residua del danneggiato ha una incidenza tale per cui l’entità delle conseguenze pregiudizievoli che occorre risarcire cresce in proporzione diretta alla durata della vita residua del danneggiato (perché fenomenicamente quelle conseguenze inevitabilmente si moltiplicano nell’esplicarsi delle attività della vita quotidiana), per il danno parentale, nella sua componente preminente di lutto e dolore interiore, la sofferenza da risarcire ha una dimensione atemporale che la fa avvertire nella sua massima intensità nel tempo immediatamente successivo all’evento e che col tempo è destinata, non certo a scomparire, ma a «cambiare» e farsi compagna di vita; il protrarsi più o meno a lungo di tale sofferenza interiore non la fa crescere (così come si ripetono e si sommano le limitazioni funzionali conseguenti ai pregiudizi di carattere dinamico/relazionale) ma solo la fa vivere più a lungo, il che è certo elemento da apprezzare ai fini del calcolo, in aumento, del risarcimento, ma in misura diversa e più limitata rispetto a quanto occorre fare per l’altro tipo di danno;
secondo i criteri del calcolo a punto sopra indicati, come tradotti nelle tabelle romane di cui è stata fatta applicazione, tale elemento è congruamente valorizzato calcolando un punto aggiuntivo decrescente al crescere dell’età del congiunto: punto aggiuntivo evidentemente rapportato alla supposta residua durata della vita del congiunto, a sua volta calcolata in base alle statistiche di vita media;
orbene, nel caso di specie, la Corte d’appello ha applicato il punto aggiuntivo 2 in considerazione dell’età della vedova alla data dell’evento (71 anni); più precisamente, dai dati esplicitati in motivazione, può risalirsi al seguente sviluppo del calcolo: Tabella di riferimento: Roma 2019; Valore del Punto Base: € 9.806,70; Punti riconosciuti per il grado di parentela: 20; Punti in base all’età del coniuge: 2; Punti in base all’età della vittima: 2; Punti per la convivenza tra il coniuge e la vittima: 4; Punti per l’assenza di altri familiari conviventi: 3; Punti totali riconosciuti 31;
l’accertata breve durata della sopravvivenza avrebbe invece dovuto essere valorizzata attribuendo un punto aggiuntivo inferiore e segnatamente pari ad 1 atteso che la stessa tabella, anche nella sua versione più aggiornata del 2023, indica tale valore genericamente per congiunti di età superiore ad anni 81 e senza alcun limite di età;
il motivo merita pertanto, in questi limiti, accoglimento, restando assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo i quali prospettano la medesima doglianza, riferendola ad altre tipologie di vizio cassatorio (omesso esame e motivazione apparente);
con il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. Proc. Civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 2043 c.c., 2059 c.c., 2056 c.c. e 1226 c.c., 2697 c.c., per avere la Corte d’appello confermato la liquidazione operata dal Tribunale in favore dei nipoti della vittima, senza procedere ad alcuna analitica considerazione della particolare situazione in cui si era venuto a trovare ciascun nipote a seguito della perdita del nonno, pur in presenza di specifica censura formulata dall’Amministrazione con il secondo motivo di appello incidentale, con il quale si era dedotta la mancanza di alcuna specifica allegazione e prova circa i rapporti sussistenti con la vittima;
il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 cod. proc. civ.;
sul punto la Corte d’appello si è invero conformata al principio che attribuisce al vincolo formale di parentela (e dunque anche a quello che esiste tra nonno e nipote) già di per sé valore di elemento presuntivo della sussistenza del danno, secondo «meccanismi che richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che … trova un limite ragionevole … nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate» (così in motivazione Cass. n. 28989 del 2019, cit.), salva la prova contraria, anche di tipo presuntivo, che spetta al responsabile fornire e che nella specie non è stata in alcun modo offerta;
l’importo liquidato, peraltro, è stato sensibilmente ridotto rispetto a quel che sarebbe risultato in base alle tabelle romane, proprio in considerazione della mancanza di puntuali allegazioni per comprendere l’entità del legame col nonno e della correlativa perdita;
in accoglimento, dunque, dell’unico motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il secondo e il terzo, inammissibile il quarto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità;